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Deo gratias!

Il 9 aprile scorso, nel Palazzo Apostolico, è stata data pubblica lettura al Decreto che proclama l'eroicità delle virtù di Mons. Escrivá. Al termine della cerimonia il Santo Padre ha confermato il contenuto del documento pronunciando la formula rituale: un semplice e solenne Deo gratias!, che è insieme suggestiva preghiera. Da quell'istante il Servo di Dio ha ricevuto il titolo di Venerabile.

Si è chiusa così la fase della raccolta e dello studio delle prove nell'ambito della Causa di canonizzazione del Fondatore dell'Opus Dei. Quest'atto pontificio non autorizza i fedeli a tributare alcuna forma di culto pubblico a coloro di cui ha riconosciuto l'eroismo: per farlo, la Chiesa attende che il Signore stesso apponga il proprio sigillo al giudizio cui essa è pervenuta. Ecco il senso della condizione stabilita dalla legislazione canonica perché si possa giungere alla beatificazione: il requisito richiesto, vale a dire la dimostrazione di un miracolo attribuito all'intercessione del Servo di Dio, rispecchia tutta l'audace coerenza della logica squisitamente soprannaturale con cui la Chiesa procede in questa materia.

Ma la dichiarazione dell'eroicità delle virtù di Mons. Escrivá, in quanto altissimo riconoscimento della sua esemplarità, è già invito ad imitarne l'eroico prodigarsi al servizio di Dio e delle anime. Al di là di uno specifico significato sul piano tecnico-giuridico, tale atto pontificio possiede infatti una valenza teologica (spirituale ed ecclesiale) predominante. La coscienza cristiana vi percepisce anzitutto un appello di Dio, un nuovo evento di grazia, principio e sostegno di concrete risposte da parte dell'uomo.

Quale dunque lo spunto teologico implicito nella proclamazione dell'eroismo di questo sacerdote, se non —come ha osservato Mons. del Portillo[1] - l'attesa di una nuova «esplosione di aneliti di santità» che, attraversando tutti gli ambienti sociali ai quali è rivolto il messaggio del Fondatore dell'Opus Dei, renda sempre più incisiva la missione salvifica della Chiesa nel mondo?

Il Decreto riconosce in Mons. Escrivá uno di quegli «araldi della santità» che, protesi sempre a cercare l'unione con il Signore in tutta la propria vita, hanno testimoniato agli occhi degli uomini quanto sia perennemente operante quel «mistero della comunione con Dio» che costituisce la natura più profonda della Chiesa. In un contesto in cui, sotto la pressione degli umanesimi atei o laicisti di varia ispirazione, la fede sembrava imbrigliata nella sfera "privata" di un esangue devozionalismo, o tutt'al più costretta ad esprimersi entro una "sociologia ecclesiastica" estranea alla mentalità comune, il Fondatore dell'Opus Dei ne mostrò tutta la potenza redentrice, l'energia trasfigurante così delle singole creature come delle strutture in cui si snoda il vivere e si concentrano gli affetti, le passioni, gli ideali degli uomini.

Come ricorda il testo del Decreto, «grazie ad una vivissima percezione del mistero del Verbo Incarnato, egli comprese che l'intero tessuto delle realtà umane si compenetra, nel cuore dell'uomo rinato in Cristo, con l'economia della vita soprannaturale e diviene luogo e mezzo di santificazione». Risvegliando nei cristiani la coscienza della «radicalità della vocazione battesimale», proclamò con «forza singolare» la chiamata universale alla santità. L'orizzonte della sua sollecitudine e della missione alla quale era stato chiamato si apriva alla salvezza del mondo intero: «Queste crisi mondiali sono crisi di santi»[2].

Con la sua incessante predicazione indicò a tutti i fedeli la necessità di attingere la pienezza della contemplazione e dell'amore «nel bel mezzo della strada», dischiudendo dinanzi a loro l'esito affascinante di un compito che andava oltre la storia: «Mettere Cristo al vertice di tutte le attività umane». E, grazie a quell'inesauribile zelo apostolico che il Signore benedisse con «prodigiosa fecondità» (citiamo il testo del Decreto), mostrò anche i mezzi per conseguirlo, plasmandolo in una realtà pastorale solida ed organica.

Sacerdoti e laici, uomini e donne di tutte le condizioni, hanno così scoperto nel lavoro professionale, nelle occupazioni quotidiane, l'ambito della propria santificazione e, insieme, la materia della propria indeclinabile corresponsabilità nella missione di universale salvezza che incombe alla Chiesa. Un programma di cui il Decreto sottolinea l'attualità perenne, «destinata a perdurare al di là dei mutamenti dei tempi e delle situazioni storiche, come fonte di inesauribile luce spirituale» che, «vecchia come il Vangelo e come il Vangelo nuova», si proietta sulla società d'ogni tempo.

Ma, affinché tutto questo si compia, occorre che ogni cristiano, «dal posto che occupa nel mondo», si inserisca oggi nel dinamismo salvifico che pulsa nella Chiesa, sorgente e luogo di santità, e riverbera nell'«intero tessuto delle realtà umane». Un compito che appare tanto al di fuori delle nostre capacità naturali, quanto alla portata delle virtualità della grazia che agisce nell'uomo redento. L'affermazione netta della santificazione personale, come compito fondamentale del cristiano, va congiunta con la previa e altrettanto decisa accentuazione del primato della grazia. L'esempio di coloro che, come Mons. Escrivá, hanno saputo rispondere con eroica generosità alle richieste di Dio non viene proposto ai fedeli per abbatterli, sottolineando la loro distanza da tali modelli. Esso mostra invece, quasi in trasparenza, anzitutto l'efficacia della grazia divina. E' su questa realtà che lo sguardo dei credenti viene sospinto. Nella penombra della nostra inadeguatezza si apre uno squarcio di invitante chiarore.

Nel messaggio del Fondatore dell'Opus Dei, e in tutto il suo infaticabile adoperarsi per innestare nel mondo l'eterna verità del Vangelo, palpita soprattutto un'insopprimibile fede nella Chiesa come dispensatrice di santità. La mobilitazione senza precedenti di energie spirituali ed apostoliche, che egli promosse nei cinque continenti, fu innervata proprio dall'annuncio del primato della grazia e si tradusse, perciò, in un risveglio di speranza nella Chiesa, depositaria dei canali per i quali la grazia di Cristo si travasa nel mondo.

Dunque, la proclamazione delle sue virtù eroiche fa sì che la figura del Venerabile Josemaría Escrivá si ingigantisca davanti a noi; ma la consapevolezza che lo sviluppo della vita cristiana si sostanzia essenzialmente di docilità all'azione divina la rende quanto mai familiare e vicina. Non si corre il pericolo di vedere nel modello un paradigma irraggiungibile, la cui funzione esemplare verrebbe contraddetta dalla sua stessa straordinarietà. Se è l'opera di Dio che, al di sopra di tutto, ammiriamo nella sua vita, l'atto pontificio che lo propone alla nostra imitazione ci sprona ad intraprendere con rinnovato slancio il nostro cammino di santità: cammino di ottimismo filiale e di serena disposizione a «servire la Chiesa come la Chiesa desidera essere servita», e dunque cammino di apprendistato nell'amore e nell'umiltà.

Nel ringraziare il Signore per gli innumerevoli doni con cui ha fatto del Fondatore dell'Opus Dei uno strumento eroicamente fedele al servizio del disegno della redenzione, ci sentiamo spinti ad accogliere con fiducia la responsabilità di seguire l'esempio dell'eroismo con cui egli percorse la propria traiettoria terrena. L'azione di Dio nel mondo non conosce fratture temporali: non si interrompe, non cade in improvvisi silenzi. La grazia, che in tanta abbondanza il Signore elargì al suo Servo, trabocca con meravigliosa continuità nella vita di tanti cristiani e incessantemente la feconda: è la stessa grazia che «fece di lui un contemplativo itinerante (...), capace di attingere i vertici dell'unione persino nel frastuono del mondo e nell'intensità di un lavoro senza risparmio». Questo vincolo di comunione nella medesima grazia ci addita nel Venerabile Josemaría Escrivá anche un intercessore solerte cui affidare gli aneliti di santità che la proclamazione delle sue virtù eroiche ci stimola a ravvivare.

Gratitudine e fiducia: ecco i sentimenti che si intrecciano nel nostro animo mentre supplichiamo il Signore affinché, se tale è la Sua Volontà, giunga presto il giorno in cui la Chiesa annoveri il Fondatore dell'Opus Dei fra i suoi Beati. Che Iddio si degni di ascoltare benevolmente la nostra supplica, per la Sua gloria e l'edificazione della Chiesa.

[1] Omelia, 4-V-1990.

[2] Cammino, n. 301.

Romana, n. 10, Gennaio-Giugno 1990, p. 5-8.

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