envelope-oenvelopebookscartsearchmenu

Le iniziative apostoliche dei fedeli nell'ambito dell'educazione

In queste pagine intendo affrontare in prospettiva canonistica le questioni relative all'apostolato dei fedeli nel campo dell'educazione. Tratterò delle iniziative educative promosse dai fedeli, come frutto della loro personale responsabilità in un settore vitale per la conformazione cristiana della società. Per dare avvio a quest'analisi, mi sembra opportuno un riferimento alle fonti, principalmente al nuovo Codice di Diritto Canonico[1], interpretato alla luce dei documenti del Concilio Vaticano II che ne rappresentano l'immediato e precipuo fondamento magisteriale. L'esame di queste fonti e di altre attinenti alla materia[2], sarà oggetto dei primi due paragrafi del presente lavoro. Su queste basi verrà offerto poi, nel terzo e ultimo paragrafo, un tentativo di sistematizzazione della materia.

1. Le iniziative educative dei fedeli nel Codice di Diritto Canonico

In una questione come la presente non ci si può accontentare della semplice esegesi successiva di ogni singolo precetto codiciale o brano conciliare, poiché invano si cercherà un testo in cui siano confluiti tutti gli elementi in gioco, e in cui si sia quindi formulato espressamente il diritto del fedele a promuovere iniziative scolastiche ispirate dalla fede cristiana. In un approccio globale e sistematico al Codice e ai documenti del Vaticano II risulta invece agevole trovare i fondamenti di tale diritto. In questo paragrafo esporrò le principali basi codiciali. Nel seguente tenterò un loro ulteriore approfondimento alla luce del Concilio.

Il titolo del CIC sull'educazione cattolica si apre con il seguente enunciato: «I genitori, come pure coloro che ne fanno le veci, sono vincolati dall'obbligo e hanno il diritto di educare la prole; i genitori cattolici hanno anche il dovere e il diritto di scegliere quei mezzi e quelle istituzioni attraverso i quali, secondo le circostanze di luogo, possono provvedere nel modo più appropriato all'educazione cattolica dei figli» (can. 793 § 1). Il testo distingue il livello naturale —relativo a tutti i genitori— e quello soprannaturale —proprio dei genitori cristiani—, mostrando così la continuità e armonia tra le situazioni giuridiche di entrambi questi piani. Nella seconda frase si dichiara il diritto_dovere di educare cristianamente la prole —formalizzato in modo più ampio da altri canoni (cfr. cann. 226 § 2, in fine; 774 § 2; e 1136)— sotto un profilo particolare: quello della scelta dei mezzi e istituzioni attraverso cui provvedere all'educazione cattolica dei figli. Lo stretto collegamento del mezzo principale per l'educazione dei figli —la scuola— con la funzione dei genitori, in relazione alla quale esso ha natura di aiuto, è ben evidenziata dal canone 796 § 1: «Tra i mezzi per coltivare l'educazione i fedeli stimino grandemente le scuole, le quali appunto sono di precipuo aiuto ai genitori nell'adempiere la loro funzione educativa»[3].

La prospettiva però deve ampliarsi, tenendo conto, da un lato, che anche quei fedeli che non sono genitori né fanno le loro veci hanno diritto a partecipare all'opera educativa, compresi gli aspetti riguardanti la trasmissione del Vangelo; e, dall'altro, che l'educazione non finisce con le scuole —intese nel nuovo CIC solo come quelle inferiori e medie—, ma comprende pure il livello universitario o, più in generale, superiore (cfr. can. 814)[4]. Sicché la posizione giuridica del fedele rispetto all'educazione cristiana può essere concepita in maniera più generale, quale partecipazione a quella missione educativa della Chiesa, di cui al canone 794 § 1: «A titolo speciale il dovere e il diritto di educare spetta alla Chiesa, alla quale è stata affidata da Dio la missione di aiutare gli uomini, perché siano in grado di pervenire alla pienezza della vita cristiana». Riguardo a questo testo va però evitata ogni interpretazione riduttiva che continui ad identificare in questo settore la Chiesa con la sua dimensione istituzionale, e che consideri i fedeli come mera longa manus della Gerarchia. In verità, la partecipazione dei fedeli alla missione educativa della Chiesa si configura come una funzione loro propria, che poggia sulla funzione e sul diritto naturale a educare di cui essi sono titolari. Di nuovo riscontriamo la continuità tra ordine naturale e soprannaturale.

Dal punto di vista delle istituzioni, il CIC riconosce l'esistenza di iniziative che, essendo veramente cattoliche ( reapse catholica è l'espressione usata sia nell'ambito delle scuole —cfr. 803 § 3— che in quello delle università —cfr. can. 808—), non possono utilizzare il nome di «cattolica», se non con il consenso della competente autorità ecclesiastica[5]. Tali scuole o università effettivamente cattoliche comprendono ovviamente quelle nate dall'autonoma attività dei fedeli: anzi, sono queste ultime quelle contemplate primariamente da quei canoni, giacché di per sé non si ravvisa di regola alcun problema perché le iniziative educative della Chiesa in quanto istituzione adoperino la denominazione di «cattolica»[6]. Altre disposizioni presuppongono con molta chiarezza che non si può identificare scuola od università ufficialmente cattolica —collegate cioè con la dimensione istituzionale della Chiesa[7] - con scuola od università la cui ispirazione sia davvero cattolica. In questa luce vanno letti ad es. i seguenti due precetti, in cui si evita l'espressione «scuola cattolica»: «I genitori affidino i figli a quelle scuole nelle quali si provvede all'educazione cattolica (...)» (can. 798)[8]; «Se non ci sono ancora scuole nelle quali venga trasmessa una educazione impregnata di spirito cristiano, spetta al Vescovo diocesano curare che siano fondate» (can. 802 § 1)[9]. D'altra parte, il can. 809, circa la sollecitudine delle Conferenze Episcopale perché ci siano nel loro territorio centri di studi superiori veramente cattolici, prescinde significativamente dall'impiego della categoria di «università cattolica», e preferisce una descrizione sostanziale della loro intrinseca identità cattolica[10]. E, tranne casi ormai eccezionali in cui scuole e università pubbliche —dello Stato o di altre istituzioni secolari pubbliche— abbiano tale identità cattolica, da dove procederanno queste entità educative veramente collegate con la fede —all'infuori dalle iniziative della stessa Chiesa in quanto istituzione— se non dall'iniziativa privata dei fedeli?

Nella normativa del CIC sui doveri e sui diritti dei fedeli e dei laici si riscontrano le basi giuridiche ecclesiali di queste iniziative. Penso che il precetto più rilevante a questi effetti sia quello del can. 216, secondo cui: «Tutti i fedeli, in quanto partecipano alla missione della Chiesa, hanno il diritto, secondo lo stato e la condizione di ciascuno, di promuovere e di sostenere l'attività apostolica anche con proprie iniziative; tuttavia nessuna iniziativa rivendichi per se stessa il nome di cattolica, senza il consenso dell'autorità ecclesiastica competente». L'educazione cristiana costituisce senz'altro un'attività apostolica, per cui le iniziative apostoliche educative vanno comprese nell'anteriore formulazione, la quale è da collegare sotto questo profilo al diritto fondamentale di annunciare il Vangelo, proclamato dal can. 211. Ma l'educazione cristiana integrale non comprende solo l'educazione religiosa e morale in senso stretto, ma investe anche l'intera formazione umana[11], la quale non per questo muta la propria indole di attività situata —anche giuridicamente— nell'ambito tradizionalmente denominato secolare o temporale. Perciò risulta anche pertinente il rispettivo diritto di libertà nel temporale di cui al canone 227: «E' diritto dei fedeli laici[12] che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi come dottrina della Chiesa». Questo diritto deve essere rispettato da tutti nella Chiesa, compresa ovviamente l'autorità ecclesiastica. Sotto questo profilo, il riconoscimento dell'autonomia ecclesiale delle imprese educative promosse dagli stessi fedeli comporta anche un riconoscimento del diritto di libertà nel temporale appartenente ai fedeli coinvolti.

2. Le iniziative educative private dei fedeli alla luce della dottrina del Concilio Vaticano II

La disciplina del libro III del CIC in campo educativo è ispirata specialmente —com'è scontato— alla dichiarazione Gravissimum educationis del Concilio Vaticano II, dedicata per l'appunto all'educazione cristiana[13]. Poiché da questo testo conciliare e dalla storia della sua redazione non sembra possibile trarre molte conclusioni sulla questione giuridico_canonica delle scuole e delle università cattoliche[14], non è nemmeno possibile trovarvi immediate indicazioni d'indole giuridico_canonica rispetto alla presente questione. Tuttavia, ci sono diversi elementi abbastanza rilevanti, che possono gettar luce sull'argomento. Essi procedono dall'impostazione globale del documento che non è incentrato sulle istituzioni educative ufficialmente cattoliche, ma sull'educazione cristiana[15] e sul ruolo dei diversi responsabili dell'educazione —genitori, società e Chiesa—[16]. D'altra parte, prima di esporre la dottrina sulle scuole e sulle università cattoliche, la Gravissimum educationis tratta della dottrina della Chiesa, rispettivamente, sulle scuole e sulle università in generale[17]. Di modo che l'attività dei cattolici nel campo dell'educazione viene contemplata in tutta la sua ampiezza e nelle sue diverse modalità, senza ridurla all'ambito delle entità ufficialmente cattoliche.

D'altra parte, nel n. 4 dello stesso documento, che introduce alla trattazione delle scuole e delle università, il Concilio espone una distinzione che ritengo assai rilevante per la comprensione dell'intera problematica. Tra i molteplici mezzi idonei per educare, si distinguono prima quelli che la Gravissimum educationis considera come «propri» della Chiesa, di cui si fornisce solo l'esempio prioritario della catechesi. E poi si aggiunge: «La Chiesa valorizza anche e tende a penetrare del suo spirito e a elevare gli altri mezzi, che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al perfezionamento morale e alla formazione umana, quali gli strumenti della comunicazione sociale, le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le associazioni giovanili e in primo luogo le scuole». Viene in questo modo dichiarato dal Concilio che le scuole in quanto tali sono mezzi educativi appartenenti al patrimonio comune degli uomini. Il loro sostanziale collegamento con i diritti naturali della persona nonché con il diritto di libertà del cristiano nell'ambito temporale rappresenta una logica conseguenza giuridica dell'anzidetta concezione.

Tuttavia, la dottrina di questa dichiarazione deve essere ulteriormente illuminata da altri passi conciliari, maggiormente espliciti in materia di azione apostolica dei fedeli. Questo metodo di reciproca interconnessione tra i documenti magisteriali, essendo sempre necessario data l'unità essenziale del Magistero, appare particolarmente efficace quando si tratta dell'ultimo Concilio ecumenico, il cui messaggio gode di una peculiare coerenza di fondo. Non è il caso di analizzare adesso la sua ricca dottrina ecclesiologica —contenuta soprattutto nella costituzione dogmatica Lumen gentium e sviluppata per quel che riguarda l'apostolato dei laici nel decreto Apostolicam actuositatem —, circa la partecipazione di ogni fedele a titolo battesimale alla missione salvifica di Cristo e della Chiesa —in cui si fonda il suo diritto fondamentale a diffondere la Parola di Dio—.

Soltanto vorrei insistere in questo momento sull'importanza che assume la dottrina di Apostolicam actuositatem, n. 24 nell'ambito delle iniziative apostoliche dei fedeli nel settore educativo[18]. Si deve tener presente la varietà di possibili rapporti delle iniziative apostoliche dei laici con la Gerarchia, contemplati dai successivi paragrafi di quel numero, prestando particolare attenzione a quanto si dice nell'ultimo paragrafo circa «le opere e istituzioni di ordine temporale». Nei loro riguardi «il compito della Gerarchia ecclesiastica consiste nell'insegnare e interpretare autenticamente i principi morali da seguire nelle cose temporali; è anche suo potere giudicare, tutto ben considerato e servendosi dell'aiuto di esperti, della conformità di tali opere e istituzioni con i principi morali e stabilire quali cose sono richieste per custodire e promuovere i beni di ordine soprannaturale» (n. 24g). L'intreccio tra ordine spirituale —della salus animarum — e ordine secolare richiede dunque il non dimenticare quest'ultima modalità di rapporto di certe iniziative veramente apostoliche —ma di natura essenzialmente temporale— con l'autorità ecclesiastica. E tra le iniziative del genere vanno certo annoverate quelle rivolte all'educazione integrale della persona. Esse sono da ritenere comprese in quelle che il decreto, nel numero dedicato all'apostolato di animazione cristiana del temporale, descrive in questi termini: «Tra le opere di simile apostolato si distingue l'azione sociale dei cristiani, che il Concilio desidera oggi si estenda a tutto l'ambito temporale, anche alla cultura» (n. 7e). Non c'è dubbio pertanto che l'apostolato della cultura viene concepito dalla dottrina conciliare come una parte dell'apostolato di cristianizzazione del temporale, in diretto collegamento con il diritto dei fedeli ad illuminare con la Parola di Dio tutte le realtà umane.

Ci sono ancora altri luoghi conciliari che ritengo particolarmente utili agli effetti della nostra indagine[19]. Nella cornice dei ripetuti insegnamenti conciliari sulla legittima autonomia dell'ordine temporale[20], conviene prendere in considerazione gli appelli a distinguere tra i diritti e i doveri dei fedeli in quanto tali —cioè nella Chiesa— e in quanto cittadini —ossia nella società civile—. Così la Lumen gentium rivolge questo appello ai fedeli: «A causa dell'economia stessa della salvezza imparino i fedeli a distinguere accuratamente fra i diritti e i doveri, che loro incombono in quanto aggregati alla Chiesa, e quelli che loro competono in quanto membri della società umana. Cerchino di metterli in armonia fra loro, ricordandosi che in ogni cosa temporale devono essere guidati dalla coscienza cristiana, poiché nessuna attività, neanche in materia temporale, può essere sottratta al dominio di Dio. Nell'epoca nostra è sommamente necessario che questa distinzione e nello stesso tempo questa armonia risplendano nel modo più chiaro possibile nella maniera di agire dei fedeli, affinché la missione della Chiesa possa pienamente rispondere alle particolari condizioni del mondo moderno» (n. 36d). E la Gaudium et spes ribadisce che: «E' di grande importanza, soprattutto in una società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in nome proprio, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori» (n. 76a).

D'altra parte, è opportuno ricordare la distinzione che, nell'ambito degli strumenti di comunicazione sociale —la cui analogia con le scuole a questi effetti è ben vistosa[21] -, traccia il decreto Inter mirifica, n. 14a: «Al fine poi di formare i lettori a un genuino spirito cristiano si crei e si promuova una stampa specificamente cattolica, tale cioè che —sia essa promossa e dipenda direttamente dalla stessa autorità ecclesiastica, oppure da cattolici— venga pubblicata con l'esplicito scopo di formare, rafforzare e promuovere opinioni pubbliche conformi al diritto naturale, alla dottrina e alla morale cattolica, e di divulgare e far conoscere nella giusta luce i fatti che riguardano la vita della Chiesa». La doppia modalità indicata dal Concilio —dipendenza dall'autorità ecclesiastica oppure da cattolici— risulta perfettamente applicabile all'ambito delle imprese educative aventi identità cattolica.

Per completare questo panorama di fonti conciliari riguardanti il nostro argomento, va segnalato il passo della dichiarazione Dignitatis humanae, n. 4e, in cui si asserisce che: «nella natura sociale dell'uomo e nel carattere stesso della religione si fonda il diritto in virtù del quale gli uomini, mossi dalla propria convinzione religiosa, possono liberamente riunirsi e dar vita ad associazioni educative, culturali, caritative, sociali».

3. Verso una sistematizzazione: la partecipazione dei fedeli e della Chiesa in quanto istituzione agli aspetti umani, dottrinali e pastorali delle iniziative educative effettivamente cattoliche

Sulla base dei dati raccolti nelle fonti è possibile ora tentare una sistematizzazione di questa materia. Nelle iniziative educative ispirate dalla fede cattolica si possono differenziare tre aspetti: l'educazione umana —naturalmente impregnata di spirito cristiano—; l'educazione dottrinal_religiosa —ossia, l'insegnamento della religione o della teologia—; e l'assistenza pastorale. Mi propongo di analizzare qui la partecipazione dei fedeli —in quanto tali— e della Chiesa come istituzione in ognuna di queste tre componenti della scuola o università effettivamente cattolica.

La dimensione umana dell'educazione —essenziale in queste istituzioni educative— le accomuna a tutte le altre istituzioni d'educazione —sia private che pubbliche—. Questa tesi —accolta dal Concilio Vaticano II nel menzionato brano della dichiarazione Gravissimum educationis, n. 4— è decisiva per la comprensione dell'intera questione: una scuola o università sostanzialmente cattolica è anzitutto ed essenzialmente una scuola o una università come tutte le altre. La sua identità cattolica non muta questa sua naturale collocazione all'interno dei mezzi educativi di cui dispone l'uomo in quanto tale per la trasmissione del sapere e delle altre dimensioni (morali, fisiche, sociali, ecc.) che compongono l'educazione. Tale collocazione distingue nettamente queste istituzioni dalle iniziative catechetiche, che sono sempre essenzialmente e costitutivamente proprie della Chiesa.

Ne consegue che, indipendentemente dal soggetto ecclesiale che le promuove e da cui dipendono, tutte le entità scolastiche reapse catholicae che operano nel campo dell'educazione umana a qualsiasi livello appartengono in quanto tali all'ordine delle realtà temporali, e dunque rientrano sotto tale profilo nell'ambito di applicazione del diritto secolare. La tutela dei diritti e dei doveri fondamentali dell'uomo in materia educativa ad opera delle istituzioni civili —in cui si concretizza la protezione del bene comune della società civile in questo campo— è la stessa che esiste per le omologhe iniziative educative non aventi finalità di apostolato cattolico[22].

Tuttavia, non tutte le imprese educative d'indole cattolica possiedono lo stesso statuto canonico[23]. Occorre infatti distinguere tra quelle dipendenti dai fedeli e quelle dipendenti dalla Chiesa in quanto istituzione. Si noti che il criterio di discernimento non riguarda la sostanza dell'impegno cattolico della comunità educativa, ma solo la dipendenza giuridica di governo[24], vale a dire si riferisce a chi ha poteri e responsabilità sul funzionamento dell'ente nella sua dimensione propria di istituzione educativa.

I primi soggetti naturalmente responsabili in materia di educazione sono gli stessi genitori. Questa priorità è assunta nell'ordine della giustizia intraecclesiale, in modo che il soggetto cui spetta primariamente nella Chiesa la promozione e il funzionamento delle iniziative scolastiche —almeno di quelle inferiori e medie— sono gli stessi fedeli che siano anche genitori[25]. Naturalmente essi hanno bisogno della collaborazione di altri fedeli[26] —insegnanti, direttori di scuole, personale amministrativo, ecc.— per poter attuare la loro naturale competenza, ma questi vengono abilitati naturalmente a farlo a titolo primario di collaboratori dei medesimi genitori.

La funzione determinante dei genitori nell'educazione e nelle scuole è stata vivamente percepita, insegnata e promossa dal Venerabile Servo di Dio Josemaría Escrivá, Fondatore dell'Opus Dei. Già nel 1939, in una lettera rivolta ai suoi figli, esplicitava questa dimensione del loro lavoro apostolico in campo educativo: "Nella vostra attività, tenete molto presenti i genitori. La scuola, o il centro docente in cui lavorate, è costituito dai ragazzi, dai professori e dalle famiglie dei ragazzi, in unità di intenzioni, di sforzo e di sacrificio"[27]. Ed aggiungeva: "Anzitutto cerchiamo di fare del bene alle famiglie dei ragazzi, quindi ai ragazzi che si educano in questi centri e a coloro che lavorano con noi alla loro educazione; infine anche noi ci formiamo nel formare gli altri. I genitori sono i primi e i principali educatori (cfr. Pio XI, enc. Divini illius Magistri, AAS, 22 [1930], pp. 59 ss.) e debbono arrivare a considerare il centro come un prolungamento della famiglia. A questo scopo occorre seguirli, renderli partecipi del calore e della luce del nostro impegno cristiano. Non dimenticate, inoltre, che altrimenti essi potrebbero facilmente distruggere (per noncuranza, per mancanza di formazione o per qualsiasi altro motivo) tutto il lavoro svolto dai professori con gli studenti"[28].

Nel caso dell'educazione superiore il rapporto con i genitori si affievolisce, ma esiste un altro titolo che consente di affermare la stessa priorità della competenza dei fedeli. In effetti, i cristiani che si dedicano all'insegnamento e alla ricerca universitaria sono coloro primordialmente chiamati —dalla stessa essenza della loro vocazione professionale— ad animare cristianamente queste aree, e ad unirsi nel farlo, in virtù delle esigenze sociali derivanti contemporaneamente dalla cultura e dall'apostolato[29].

Le iniziative apostoliche dei fedeli nell'animazione cristiana dell'ordine temporale —per ciò che attiene alla loro essenziale dimensione umana— costituiscono naturalmente un esercizio dei loro diritti umani nella sfera secolare. Ne deriva che, nonostante sia possibile che i fedeli ricorrano a vie canoniche per l'organizzazione delle loro iniziative proprie[30], la via naturalmente più consona alla natura di queste organizzazioni di tendenza —come vengono denominate nel diritto ecclesiastico italiano[31] - sia quella del diritto secolare. Alla secolarità sostanziale di qualunque iniziativa scolastica d'ispirazione cristiana (perfino di quelle canonicamente istituzionalizzate[32]) si aggiunge allora la secolarità del modo giuridico di organizzare e di presentare l'iniziativa. Tale scelta appare avallata dagli stessi brani conciliari in cui si invita a distinguere tra diritti dei cristiani in quanto membri della Chiesa e in quanto membri della città terrena[33]. La dimensione veramente apostolica di quest'attività non costituisce motivo per dover privilegiare nell'istituzionalizzazione dell'iniziativa il suo nesso con la Chiesa, basato sulla dimensione apostolica di tale attività. Ciò può perfino rendere meno efficace —in ultim'analisi anche apostolicamente— l'azione educativa, in quanto può ingenerare ingiuste discriminazioni per ragioni religiose o allontanare l'adeguata partecipazione —apostolicamente tanto interessante— di non cattolici[34].

Trattasi dunque di quelle «associazioni di ispirazione cristiana che operano nel temporale» di cui parla un documento della Conferenza Episcopale Italiana del 1981[35]. Tali associazioni possono essere riconosciute dall'ordinamento civile in vari modi, i quali devono però evidenziare la loro natura strettamente secolare[36]. A ciò è interessata la stessa comunità ecclesiale, che sa di realizzare allora la sua missione apostolica secondo forme pienamente adeguate alla secolarità dei propri membri laici, le quali si dimostrano particolarmente efficaci anche dal punto di vista dell'evangelizzazione[37].

La dimensione apostolica di questo combinato esercizio dei diritti naturali di educare, di associarsi e di libertà religiosa non implica affatto che le rispettive organizzazioni debbano essere canonicamente costituite. Di fatto la maggior parte dell'apostolato dei laici —ossia dell'esercizio del loro diritto fondamentale a comunicare la parola di Dio— si realizza attraverso vie e modalità pienamente secolari, che non mutano la loro natura a motivo dello spirito cristiano e apostolico con cui devono essere vissute dai battezzati.

Anche sotto questo profilo la mia argomentazione si ispira al lucido insegnamento di Mons. Escrivá, che ha evidenziato la secolarità di queste iniziative apostoliche dei fedeli nell'ambito dell'educazione. Del resto, tale nota caratterizza essenzialmente le opere di apostolato promosse dalla Prelatura dell'Opus Dei in questo settore (e in altri affini, come quello dell'assistenza sociale). Nella medesima lettera già citata, il Fondatore dell'Opus Dei scriveva: "Il nostro apostolato —lo ripeterò mille volte— è sempre lavoro professionale, laicale e secolare: ciò dovrà evidenziarsi in modo chiaro, come una caratteristica essenziale, anche —e direi anzi specialmente— nei centri educativi che costituiscono attività apostoliche istituzionali dell'Opera. Questi ultimi, quindi, saranno sempre centri promossi da cittadini comuni (membri dell'Opera o non), a modo di un'attività professionale, laicale, in piena conformità con le leggi del paese e una volta ottenuto dalle autorità civili il riconoscimento che viene concesso alle iniziative analoghe degli altri cittadini. Inoltre, normalmente essi saranno promossi con l'espressa condizione che non vengano mai considerati come attività ufficialmente o ufficiosamente cattoliche, cioè alle dirette dipendenze della gerarchia ecclesiastica. Non saranno centri educativi promossi e creati gerarchicamente dalla Chiesa, conformemente al diritto inviolabile che le proviene dalla sua missione divina, bensì iniziative di cittadini che esercitano il diritto di svolgere un'attività lavorativa nei diversi ambiti della vita sociale e, quindi, anche nell'educazione. Nonché nel rispetto del diritto, che compete ai genitori, di educare cristianamente i propri figli (...)"[38].

Tenuto conto dell'indipendenza di queste iniziative educative dei fedeli nei confronti della Gerarchia ecclesiastica, può sorgere la preoccupazione per la tutela giuridica della loro sostanziale identità cattolica. Questa preoccupazione è ben giustificata, ma non deve oscurare la natura delle cose. In effetti, quando si tratta di imprese che operano nel temporale e nelle quali i fedeli partecipano non in quanto tali, bensì a titolo di membri della società civile, non ha senso pretendere che l'autorità ecclesiastica possa assumere in esse compiti di governo: ciò, oltre ad essere del tutto invalido, contraddirebbe la natura stessa di queste entità. Sotto il profilo del munus regendi, in questo caso la Gerarchia può agire soltanto attraverso i rispettivi fedeli: imponendo loro, se il caso lo richiedesse, un determinato comportamento ritenuto necessario per tutelare la natura veramente cattolica dell'attività svolta. Ma l'esecuzione di tale mandato compete ai medesimi fedeli, i quali —uniti agli altri cittadini che possano essere coinvolti e come veri responsabili—, dovranno cercare i mezzi per mettere in pratica tali misure.

Comunque, la responsabilità primaria nella protezione dell'identità cristiana di queste organizzazioni compete agli stessi fedeli interessati. Sono loro che dovranno rintracciare le vie giuridiche —clausole statutarie e contrattuali, procedure interne, ecc.— che abbiano efficacia di fronte all'ordinamento civile e consentano di far rispettare a tutti —anche giudizialmente— la tendenza ideale che anima l'istituzione[39]. Ne consegue che il miglior contributo della legislazione della Chiesa rispetto a queste iniziative consiste nel riconoscerle come tali, ossia anche come ambiti di legittima libertà dei cristiani nel temporale (cfr. can. 227)[40]. L'alternativa di assorbirle in qualche modo nell'organizzazione ecclesiastica per meglio proteggere il loro collegamento sostanziale con la Chiesa priverebbe quest'ultima nonché la società civile di un mezzo di apostolato e di promozione umana in piena sintonia con gli intenti conciliari. Bisogna invece fare affidamento su tali iniziative autonome, e anche aiutarle mediante l'opportuno servizio pastorale. Nel contempo, non si può falsare la libertà dei fedeli nei riguardi della Chiesa in quanto istituzione, come se essa implicasse un'affievolimento dei vincoli di comunione nella fede o minore impegno nell'obbedienza al Magistero. Allora non ci sarebbe più un vero comportamento ecclesiale e si dovrebbero prendere eventualmente le opportune misure di protezione della fede comune.

D'altra parte, in questo settore assume particolare importanza il munus docendi della Gerarchia. Ciò è stato evidenziato molto chiaramente dal decreto Apostolicam actuositatem, n. 24g. Anzitutto, trattandosi di iniziative collegate con la trasmissione della verità, la funzione di Magistero presenta particolare rilevanza. I fedeli sono sempre tenuti ad aderire e conformarsi in pratica agli insegnamenti magisteriali che possano avere relazione con il compito educativo (contenuti delle discipline insegnate, moralità delle ricerche o pratiche compiute, ecc.). Tutte le misure giuridiche di tutela dell'integrità della fede e dei costumi possono essere all'occorrenza attuate nei riguardi dei fedeli coinvolti (ma senza poter raggiungere la struttura scolastica d'indole secolare in quanto tale)

Ma la funzione docente dell'autorità ecclesiastica che a mio parere è dotata di maggior incidenza pratica per la tutela dell'indole veramente cattolica delle scuole e delle università è quella del giudizio morale sul temporale, enunciata anche dall'appena ricordato paragrafo del decreto sull'apostolato dei laici. La Gerarchia infatti può e talvolta deve pronunciarsi con autorità docente —non giurisdizionale— sulla conformità evangelica di determinate iniziative educative[41]. Questa possibilità, certamente estrema ma di grande efficacia ecclesiale, va naturalmente evitata attraverso tutti i mezzi possibili. Tuttavia, non può essere dimenticato che il principale ricorso di cui la Gerarchia dispone per portare avanti le trattative ritenute adatte con i responsabili dell'ente educativo consiste proprio nella possibilità di formulare un giudizio negativo che chiarisca la situazione di fronte alla comunità di fedeli e alla società civile. Quando le circostanze mostrino che non c'è altra via per chiarire la situazione, la formulazione di siffatto giudizio costituirà un vero dovere —anche giuridico— dell'autorità ecclesiastica: sarà richiesta dal diritto dei fedeli a conservare la propria fede nonché dal diritto di ogni uomo rispetto alla parola di Dio.

Tutto ciò naturalmente non intende assolutamente negare le competenze della Chiesa in quanto istituzione ad assumere responsabilità dirette nel terreno educativo. In primo luogo, essa può garantire ufficialmente, sotto il profilo dottrinale e morale, l'identità cattolica di determinate iniziative educative, senza che ciò debba comportare l'istituzionalizzazione ecclesiastica di tali iniziative. Esse pertanto si configurano pienamente come organizzazioni di diritto secolare, in cui la Gerarchia non è titolare di poteri di governo[42]. Il coinvolgimento istituzionale resta dunque limitato —in modo assai congruente con le finalità più proprie della Chiesa in quanto tale— a ciò che è la dimensione religiosa e morale delle attività[43]. Di fronte a situazioni che contraddicano l'ideale cattolico di queste iniziative, il potere giuridico della Gerarchia potrà esercitarsi attraverso la rottura del vincolo che si era instaurato, declinando la specifica responsabilità che si era assunta.

Il vincolo con la Chiesa come istituzione può rafforzarsi ulteriormente, investendo cioè la stessa attività educativa in quanto tale, che si struttura quale forma di presenza istituzionale della Chiesa nel temporale. Conviene tener presente tuttavia che nemmeno in questo caso si verifica un'impossibile trasformazione dell'educazione nei suoi aspetti umani in un aspetto della missione di evangelizzazione della Chiesa. «Insegnare scienze profane con spirito cristiano non è un'attività dell' institutum salutis, ma del fructus salutis (intendendo come tale il criterio cristiano, non la scienza profana) e normalmente sarà un'attività personale del fedele, benché possa essere svolta anche in centri creati dall'autorità ecclesiastica in virtù della sua funzione di promozione o della sua funzione di supplenza. In quest'ultimo caso si darebbe un'organizzazione e istituzionalizzazione del fructus salutis»[44]. Ne deriva che «dal punto di vista giuridico queste attività sono regolate dal diritto canonico, per quanto riguarda il carattere e la struttura istituzionale ecclesiale; ma in quanto si svolgono nell'ordine secolare, spetta all'autorità civile regolarle, trattandosi di attività protette dai relativi diritti naturali o umani (libertà religiosa, libertà d'insegnamento, ecc.) e dai principi dell'ordine secolare (ad es., il principio di sussidiarietà)»[45]. In quest'ambito rientrano le scuole e le università direttamente dipendenti dall'autorità ecclesiastica —in quanto rispondono di esse entità canoniche strutturalmente appartenenti alla Chiesa in quanto istituzione (diocesi, parrocchie, ecc.)—; quelle gestite da altre persone giuridiche pubbliche —anche con base associativa, come gli istituti religiosi[46] - la cui dipendenza dalla Gerarchia rende anche in qualche modo istituzionale l'impegno ivi assunto dalla Chiesa; e quelle, erette da chicchessia, per le quali venga emesso un riconoscimento ad hoc da parte della Gerarchia.

L'intervento della Chiesa in quanto tale in questo settore, appartenente per sua natura all'ordine temporale, è di natura sussidiaria —nel doppio senso di promozione e supplenza[47] - rispetto a quello dei fedeli, in modo analogo a come lo è quello dello Stato e delle altre istanze pubbliche civili rispetto a qualunque privato[48]. Ciò tuttavia non vuol dire che le iniziative della stessa Chiesa in questo campo —storicamente tanto rilevanti— non continuino ad essere molto necessarie. Le circostanze attuali richiedono dappertutto un'incisiva azione sia dei fedeli —protagonisti naturali in questo terreno— che della Chiesa come tale, la quale deve però adoperarsi alacremente non solo attraverso i propri centri scolastici, ma anche e soprattutto nella formazione dei fedeli in modo che, tra l'altro, essi possano esercitare i loro diritti per creare propri centri educativi cattolici.

Nelle iniziative scolastiche di ispirazione cattolica, oltre all'impegno ad educare cristianamente la persona in tutti gli aspetti umani, deve esserci l'offerta —sempre nel dovuto rispetto della libertà dei destinatari— di formazione specificamente cristiana e di assistenza pastorale cattolica. Non analizzerò in questo momento le molteplici questioni che si pongono in questi due altri versanti delle iniziative educative istituzionalmente[49] cattoliche. Soltanto vorrei tentare di individuare le grandi linee dell'azione dei fedeli e della Chiesa in quanto tale in ognuno di questi campi.

La formazione dottrinal_religiosa impartita nelle scuole e nelle università, sia nell'insegnamento della religione che in quello delle discipline teologiche, non è un insegnamento che di per sé sia collegato con il munus docendi gerarchico. Esiste tuttavia un nesso giuridicamente formalizzato nell'attualità attraverso la normativa dei cann. 805 e 812 sui docenti, e 827 sui libri di testo di qualunque livello. In questo insegnamento si esercita, tra l'altro, il diritto fondamentale del fedele a trasmettere la sua conoscenza scientifica sulla propria fede. Trattandosi di iniziative educative dipendenti dalla stessa Chiesa, questa docenza dipenderà anche —come l'intero compito educativo— dall'autorità ecclesiastica, che allora si rende prioritariamente responsabile di tutto il progetto educativo e della sua realizzazione. Ma penso che nemmeno in quel caso la natura non gerarchica di questo insegnamento subisce mutamenti. Conviene ribadire però che, data la natura di questo insegnamento, l'autorità della Chiesa è sempre competente ad emanare norme al riguardo —ovviamente nel rispetto dei diritti dei fedeli interessati[50] -, nell'esercizio del suo munus regendi per il bene comune ecclesiale. Tali norme valgono per qualunque attività educativa in cui i fedeli possano essere presenti, ma all'infuori delle iniziative di cui è responsabile la Chiesa in quanto tale, dovranno essere applicate dagli stessi fedeli, nell'uso della loro libertà nell'ambito secolare[51].

Per quel che concerne l'assistenza pastorale, essa per sua natura dipende sempre dalla Gerarchia (a differenza dell'apostolato nella sua dimensione battesimale, che compete a tutti i componenti delle comunità educative, e verrà svolto da ognuno secondo la propria funzione nelle scuole e nelle università). I cappellani, le parrocchie universitarie e gli altri centri in cui si svolge la pastorale universitaria[52] e tutte le iniziative propriamente pastorali nell'ambito scolastico dovranno emanare dalla Chiesa in quanto istituzione, sia attraverso l'agire diretto delle strutture pastorali —che nominino cappellani, erigano parrocchie o centri pastorali, ecc.—, sia attraverso le competenze concesse ad altre istituzioni canoniche —come gli istituti religiosi— che, dotate di proprio clero, possano organizzare l'assistenza pastorale nelle proprie iniziative scolastiche. Ogni forma di assistenza pastorale dovrà adeguarsi all'indole propria dell'organizzazione di cui si tratti, rispettando le legittime determinazioni dei responsabili, in modo che vi sia sempre la maggiore armonia possibile tra il progetto educativo e la cura pastorale offerta.

Carlos J. Errázuriz M.

Professore di Diritto Canonico

Ateneo Romano della Santa Croce

[1] D'ora in avanti citato come CIC. Qualora si citino canoni senza esplicitarne la fonte, essi apparterranno a questo Codice. Trattandosi invece dei canoni del precedente Codice per la Chiesa latina —del 1917—, si utilizzerà la sigla CIC_1917; e per quelli del recente Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium (promulgato con la Cost. ap. Sacri Canones da Giovanni Paolo II, 18 ottobre 1990; i testi rispettivi sono stati pubblicati in AAS, 82 [1990], pp. 1033_1363), verrà adoperata la sigla CCEO.

[2] Come la recente Cost. ap. Ex corde Ecclesiae di Giovanni Paolo II sulle Università Cattoliche, 15 agosto 1990.

[3] Il can. 796 § 1 trae delle conseguenze per quel che riguarda la partecipazione dei genitori alle scuole e i rapporti con gli insegnanti. La centralità dei genitori nelle scuole viene ribadita con chiarezza.

[4] La dottrina canonistica ha evidenziato la differenza che intercorre tra università cattolica (l'unica di cui ora tratto) e università ecclesiastica —distinzione costituente il cardine della nuova normativa canonica sull'educazione superiore—: «la nouvelle législation et sa mise en catégorie législative de deux types distincts d'universités, devraient être interprétées à partir de deux principes: 1) D'abord celui de la participation à la mission de l'Eglise dans le monde, a laquelle coopèrent tous les fidèles par leurs initiatives, ici par la création d'universités d'études. Cette participation n'est pas mentionées expressément dans les cc. 807 à 814, mais est fondée sur d'autres canons. Elle apparaît, en effet, comme la réalisation d'un droit fondé sur le status acquis dans le baptême et la confirmation (c. 225). 2) Ensuite, celui d'une rérserve faite par l'autorité compétente dans l'exercise de ce droit de constituer des universités, en raison de l'objet même des études menées dans une université ecclésiastique, réserve qui explique la création d'un statut particulier d'universitè» (P. Valdrini, Les universités catholiques: exercise d'un droit et contrôle de son exercise (canons 807_814), in Studia canonica, 23 [1989], pp. 450 s.). Su questa distinzione concettuale nel nuovo assetto legale universitario della Chiesa, cfr. anche H. Schwendenwein, Katholische Universitäten und kirchliche Facultäten. Begriffliche und kompetenzmäßige Klärungen in der neueren kirchlichen Rechtsentwicklung, in AA.VV., Ecclesia Peregrinans. Josef Lenzenwerg zum 70. Geburtstag, a cura di K. Amon, Wien 1986, pp. 379_389.Per un quadro generale sulla storia e sulla situazione presente delle università cattoliche nel diritto canonico —con utili riferimenti bibliografici—, cfr. la tesi dottorale di W. Scott Elder III, Catholic Universities in current Church Law. Their Nature, Purpose and Control, Rome 1987.

[5] Si applica così in quest'ambito la regola generale del can. 216, in fine.

[6] Tuttavia, non c'è una norma che li obblighi a farlo: di per sé si tratta solo di una questione di nomi.

[7] La Commissione incaricata della stesura del nuovo CIC, dopo un lungo dibattito (cfr. Communicationes, 20 [1988], pp. 127 ss., 138, 141 ss., 171 ss., 173_175), ha optato per una definizione alternativa di «scuola cattolica», che implica sempre un nesso con la Chiesa quale istituzione (come si desume soprattutto dalla norma del can. 806 § 1, sulle competenze specifiche del Vescovo diocesano rispetto alle scuole cattoliche): «Schola catholica ea intellegitur quam auctoritas ecclesiastica competens aut persona iuridica ecclesiastica publica moderatur, aut auctoritas ecclesiastica documento scripto uti talem agnoscit» (can. 803 § 1). Quando i documenti della Congregazione per l'educazione cattolica parlano di scuole cattoliche, è logico che adoperino il termine nel senso tecnico del CIC, e che dunque offrano una visione del tema piuttosto legata all'azione della Chiesa in quanto istituzione (nella quale è appunto competente in materia —a livello universale— l'anzidetta Congregazione). Così ad es. succede col documento La scuola cattolica, 19 marzo 1977, in Seminarium, 33 (1981), pp. 15_41. Perciò, questo documento, nei nn. 71 s., parla di un mandato della Gerarchia ricevuto dalle scuole cattoliche ai sensi del decreto Apostolicam actuositatem (in seguito citato come AA), 24e del Concilio Vaticano II. Tuttavia, non sarebbe legittimo dedurne che altre forme di presenza dei cristiani in istituzioni educative effettivamente cattoliche siano meno adeguate: esse ovviamente non potranno però essere considerate scuole cattoliche in senso canonico formale.Nel caso delle università cattoliche, il CIC non offre nessuna definizione attinente al loro statuto giuridico. Il CIC, oltre alla già cit. norma sull'uso del nome di universitas catholica (cfr. can. 808), si limita a dichiarare il diritto della Chiesa a istituirle e fondarle (cfr. can. 807), ma senza distinguere tra i vari soggetti ecclesiali che possono intervenire, e senza dunque fornire una nozione canonica di università cattolica. Questa lacuna è stata recentemente colmata dalla Cost. ap. Ex corde Ecclesiae, cit., la quale, oltre ad offrire una descrizione di ciò che è la natura di un'università cattolica in senso sostanziale (cfr. art. 2), determina secondo quali condizioni un'università può essere considerata formalmente cattolica agli effetti della legislazione ecclesiastica (cfr. art. 3). Si distinguono tre categorie: le università erette o approvate dalla Gerarchia ecclesiastica (Santa Sede, Conferenza Episcopale o un'altra Assemblea della Gerarchia cattolica, oppure Vescovo diocesano); quelle erette da un istituto religioso o da altra persona giuridica pubblica, col consenso del Vescovo diocesano; e quelle erette da altre persone ecclesiastiche o laiche, col consenso della competente Autorità ecclesiastica, secondo le condizioni che saranno concordate dalle parti. Su una linea simile si pone il can. 642 del CCEO, il quale però fornisce un concetto canonico ben più ristretto: sono ritenute università cattoliche unicamente quelle erette o approvate sia dall'autorità amministrativa superiore di una Chiesa sui iuris, avendo consultato previamente la Sede Apostolica, o sia dalla medesima Sede Apostolica. Resta chiaro dunque che alla fine si è optato per un concetto canonico formale di università cattolica —analogo a quello di scuola cattolica—, che lascia fuori da questa normativa quelle iniziative educative veramente cattoliche in cui non ci sia l'intervento ufficiale —e il conseguente legame— con la Gerarchia ecclesiastica, e quindi con la Chiesa in quanto istituzione. Del resto, come si afferma nella Relatio del 1981, la mens del CIC è che chiunque può erigere università veramente cattoliche nella Chiesa (cfr. Communicationes, 15 [1983], p. 103), e non riterrei che esista alcun obbligo canonico nel senso che tutte le iniziative universitarie promosse dai fedeli debbano diventare università cattoliche agli effetti dell'art. 3 della Cost. ap. Ex corde Ecclesiae. Si conferma dunque la distinzione, proposta dalla dottrina, tra università cattoliche in senso materiale e in senso formale (così J. Hervada, Sobre el estatuto de las Universidades católicas y eclesiásticas, in AA.VV., Raccolta di scritti in onore di Pio Fedele, vol. I, a cura di G. Barberini, Perugia 1984, pp. 507_511).

[8] L'iter di questo can. fu alquanto travagliato: per i principali mutamenti, cfr. Communicationes, 20 (1988), pp. 223 s. e soprattutto il testo dello Schema Codicis Iuris Canonici (1980), can. 753 (paragonandolo a quello dello Schema canonum libri III de Ecclesiae munere docendi [1977], can. 50 § 1). Alla fine si privilegiò la sostanza dell'educazione cattolica rispetto ad ogni altra considerazione sull'organizzazione delle scuola (si tolse perciò la menzione della scuola cattolica in senso proprio). Del resto, nei cann. 1372_1374 del Codice anteriore era presente la medesima impostazione sostanziale —e non formale— della questione.

[9] Anche nel CIC_1917 il parallelo can. 1379 § 1, nel suo rapporto con il can. 1373, esprimeva con identica chiarezza l'indole sussidiaria dell'intervento dell'autorità diocesana.

[10] Cfr. anche il corrispondente can. 1379 del CIC_1917, che parlava di Universitates doctrina sensuque catholico imbutae.

[11] Cfr. gli insegnamenti dell'Enc. Divini illius Magistri di Pio XI, 31 dicembre 1929 (in AAS, 22 [1930], pp 55 s.) a proposito del rapporto di tutte le discipline e aspetti dell'educazione con la fede e i costumi. Sul punto, cfr. inoltre Congregazione per l'Educazione Cattolica, Dimensione religiosa dell'educazione nella scuola cattolica, 7 aprile 1988, in Seminarium, 39 (1988), pp. 163_211.

[12] Di questo diritto sono in realtà titolari tutti i fedeli, anche qualora l'esercizio sia condizionato —a volte fortemente— dal rispettivo stato personale ecclesiale (di chierico o religioso).

[13] In seguito citata mediante la sigla GE.

[14] Non si è voluto dirimere la discussione in proposito: dopo aver descritto la sostanza dello spirito cattolico di una comunità scolastica, la GE, n. 9a, dice: «Huic scholae catholicae immagini omnes scholae ab Ecclesia quavis ratione dependentes pro viribus conformentur oportet (...)». Su quest'argomento, cfr. G. Baldanza, Appunti sulla storia della Dichiarazione «Gravissimum Educationis»: il concetto di Educazione e di Scuola Cattolica, in Seminarium, 37 (1985), pp. 13_54. D'altra parte, il n. 10a si riferisce ad una presenza veluti publica, stabilis atque universalis del pensiero cristiano nella cultura attraverso le università cattoliche, essendo manifesto che con quella sfumata allusione alla dimensione pubblicanon si intende risolvere nessuna questione giuridica, ma solo indicare una rilevanza sociale di fatto.

[15] Cfr. n. 2, il quale a sua volta presuppone il n. 1, dedicato all'educazione in generale.

[16] Cfr. n. 3.

[17] Sulle scuole, cfr. nn. 5_9; sulle università, cfr. n. 10

[18] Cfr. J. Hendricks, Schola catholica, Ecclesia, Civilis Societas, in Periodica, 76 (1987), pp. 301_303, il quale mostra molto opportunamente la necessità di interpretare la dottrina di GE alla luce di altri passi rilevanti del Concilio sull'apostolato dei laici —specialmente AA, n. 24—. Ma, a mio parere, offre una visione piuttosto uniforme del rapporto di tutte le scuole di ispirazione cattolica con la Gerarchia, concepito alla stregua di quello delle scuole dipendenti dalla Chiesa come istituzione.

[19] I principali tra essi vengono opportunamente richiamati nell'esposizione di A. del Portillo su «I laici e le università di ispirazione cattolica» (in Laici e fedeli nella Chiesa, Milano 1969, pp. 146_149).

[20] Cfr. Cost. dogm. Lumen gentium (in seguito LG), n. 36; Cost. past. Gaudium et spes (in seguito GS), n. 76; AA, n. 7.

[21] Essa è evidenziata dal cit. testo di GE, n. 4.

[22] Lo fa notare S. Berlingò, La libertà della scuola confessionale, in AA.VV., Studi di diritto ecclesiastico in tema di insegnamento, a cura di S. Gherro, Padova 1987, p. 45: «La specifica connotazione confessionale, che una scuola possiede, non vale di per sé ad escludere l'estensione ad essa del fondamento di diritto costituzionale comune sotteso alla libertà degli omologhi istituti d'istruzione non confessionale». Da ciò derivano molte conseguenze rilevanti dal punto di vista degli aiuti della società civile alle scuole e università d'ispirazione cattolica. Non si richiedono privilegi, ma la normale giustizia distributiva in campo scolastico.

[23] Il diritto ecclesiastico degli Stati non potrà fare a meno di riconoscere anche questa diversità: quando è coinvolta direttamente la Chiesa in quanto tale, ci si trova di fronte ad un soggetto dotato di un proprio ordinamento giuridico di carattere universale, la cui autonomia è stata classicamente riconosciuta mediante il concetto di sovranità. Non è pertinente adesso trattare il rapporto tra diritto civile e diritto canonico in questa materia. Mi accontento di indicare che allora emerge la questione relativa ai rapporti istituzionali tra Chiesa e comunità politica, che non ha senso trattandosi di scuole promosse dai cattolici in quanto cittadini.

[24] Il criterio della creazione è anche importante, ma ciò che ultimamente determina la natura canonica dell'istituzione è l'esistenza o meno di un nesso attuale con la Chiesa in quanto istituzione.

[25] Mette in risalto questa partecipazione dei genitori in tutte le scuole —anche in quelle formalmente cattoliche— F. Retamal, La misión educadora de la Iglesia, in Seminarium, 33 (1983), pp. 563 s. Cfr. anche F. Morrisey, The Rights of Parents in the Education of their Children (Canons 796_806), in Studia canonica, 23 (1989), pp. 429_444.D'altro canto, vanno sottolineati in questo settore i diritti della famiglia come società naturale (e anche nella sua partecipazione alla vita della Chiesa): cfr. la Carta dei diritti della famiglia, presentata dalla Santa Sede il 24 novembre 1983, in Enchiridion Vaticanum, Bologna 1987, vol. 9, 538_552.

[26] I non cattolici possono partecipare nelle iniziative educative sostanzialmente cattoliche. Ciò è un'altra conseguenza della collocazione di questa realtà nella sfera del temporale. Tuttavia —ed è questa la ragione per cui menziono soltanto i fedeli nel testo— la naturale conditio sine qua non per la sussistenza dell'identità cattolica è l'attiva presenza dei fedeli che vivifichi soprannaturalmente queste comunità educative. La loro proporzione è una questione di fatto, sulla quale non possono stabilirsi regole a priori.

[27] "En vuestra labor, tened muy en cuenta a los padres. El colegio —o el centro docente de que se trate— son los chicos y los profesores y las familias de los chicos, en unidad de intenciones, de esfuerzo y de sacrificio" (Lettera, 2-X-1939, n. 22).

[28] "Buscamos hacer el bien primero a las familias de los chicos, luego a los chicos que allí se educan y a los que trabajan con nosotros en su educación, y también nos formamos nosotros al formar a los demás. Los padres son los primeros y principales educadores (cfr. Pius XI, Enc. Divini illius Magistri, AAS, 22 [1930], p. 59 ss.), y han de llegar a ver el centro como una prolongación de su familia. Para eso es preciso tratarles, hacerles llegar el calor y la luz de nuestra tarea cristiana. Tened en cuenta además que, de otra forma, podrían fácilmente destruir —por descuido, por falta de formación o por cualquier otro motivo— toda la labor que los profesores hagan con los estudiantes" (Ibidem).

[29] Del resto, questa stessa argomentazione relativa alla funzione dei docenti è anche applicabile, sebbene in modo secondario, alle scuole inferiori e medie, a quelle cioè essenzialmente rivolte ad una funzione di aiuto ai genitori.

[30] Si può infatti usare ad es. la via delle associazioni private di fedeli —aventi o meno personalità canonica privata— (cfr. i cann. 298 § 1 e 217, che enunciano tra i possibili fini delle associazioni canoniche dei fedeli quelli concernenti l'animazione cristiana dell'ordine temporale). Sono anche possibili formule come quelle delle associazioni pubbliche con mandato di cui al decreto AA, n. 24c, nelle quali il carattere pubblico dell'istituzione non nega l'indole sostanzialmente privata dell'attività svolta. In quest'ultima ipotesi esiste certamente un fenomeno misto di presenza della Chiesa in quanto istituzione e dei fedeli a titolo proprio nell'educazione, ma in esso prevalgono, a mio avviso, la presenza e la conseguente responsabilità dei fedeli associati, con ampi spazi di autonomia ecclesiale. D'altra parte, per rendere canonica l'organizzazione rispettiva può bastare il consenso o il riconoscimento dell'autorità ecclesiastica (come ad es. è previsto dal can. 805 § 1 e dall'art. 3 della Cost. ap. Ex corde Ecclesiae). In tale caso l'istituzione —in virtù di un accordo tra i suoi responsabili e la Gerarchia ecclesiastica— rientra nell'ambito della legislazione ecclesiastica sulle scuole o università cattoliche in senso formale.

[31] Nella dottrina ecclesiasticistica italiana, cfr. F. Santoni, Le organizzazioni di tendenza e i rapporti di lavoro, Milano 1983; M.G. Mattarolo, Il rapporto di lavoro subordinato nelle organizzazioni di tendenza, Padova 1983; e G. Lo Castro, Relazione (sul tema dei rapporti di lavoro nelle organizzazioni di tendenza), in AA.VV., Rapporti di lavoro e fattore religioso, Napoli 1988, pp. 47_72. Cfr. anche Jorge Otaduy, La extinción del contrato de trabajo por razones ideológicas en los centros docentes privados, Pamplona 1985.

[32] Questa secolarità costitutiva suscita sempre la questione del riconoscimento civile di queste scuole e università, e in relazione non solo agli effetti inerenti al riconoscimento di qualunque ente ecclesiastico, ma anche per molteplici esigenze di funzionamento interno derivanti dalle competenze dell'autorità pubblica secolare in quest'ambito —compatibili con la natura ecclesiale o ecclesiastica di queste istituzioni educative e con la loro conseguente autonomia—.

[33] Cfr. LG, n. 36d e GS, n. 76a.

[34] A siffatti motivi di efficacia allude LG, n. 36d.

[35] Cfr. Commissione Episcopale per l'Apostolato dei Laici, della CEI, Nota pastorale Criteri di ecclesialità dei gruppi, movimenti, associazioni, 22 maggio 1981, in Enchiridion CEI, Bologna 1986, vol. 3, 597. Benché questo documento preceda il nuovo CIC, le considerazioni ivi contenute su questa questione rimangono pienamente in vigore, in quanto adeguate al riconoscimento conciliare —e anche codiciale (cfr. can. 227)— del diritto di libertà dei fedeli nel temporale. La nota pastorale descrive tali associazioni in questi termini: «sono quelle i cui membri, interpretando le diverse situazioni culturali, professionali, sociali, politiche, alla luce dei principi cristiani, e intervenendo in esse per farle crescere secondo prospettive di autentico umanesimo plenario, impegnano nella propria azione esclusivamente se stessi, operando sempre e soltanto sotto la propria responsabilità, personale e collettiva. Si tratta di realtà associative che, pur rivestendo una grande importanza come concreti strumenti per un'efficace azione dei cristiani nel mondo, non presentano tuttavia una specifica consistenza ecclesiale; ad esse, tra l'altro, possono aderire o comunque dare il proprio sostegno persone che ne condividono gli ideali e i programmi, anche senza condividere un preciso e personale impegno di fede e di vita ecclesiale». E in nota si aggiunge: «A ben vedere, si tratta di organismi «civili» più che «ecclesiali» (...). In tali organismi si esprime piuttosto quel diritto di libera associazione per finalità non contrastanti con i valori fondamentali che è proprio della persona umana in quanto tale ed è solitamente riconosciuto come diritto costituzionalmente garantito negli stati veramente democratici».Per quanto riguarda il rapporto con l'autorità ecclesiastica, si precisa: «L'autorità pastorale della Chiesa, di conseguenza, non assume una diretta responsabilità nei loro confronti». E si ricorda che la Gerarchia può e talvolta deve prendere posizione in rapporto a questa realtà, citando molto opportunamente l'ultimo paragrafo di AA, n. 24.

[36] Ad es. l'Associazione FAES (Famiglia e Società) —la cui ispirazione ideale si rifà «alla tradizione cristiana, così come la si ritrova nella vita e nel buon senso di tante famiglie, e ad alcuni tratti caratteristici dell'esempio e dell'insegnamento del Ven. J. Escrivá»— opera in questo settore in Italia attraverso cooperative di gestione scolastica, mediante cioè organismi giuridici di carattere cooperativistico d'indole nettamente secolare (la citazione è presa da A. Cirillo, voce FAES, in Enciclopedia Pedagogica, Brescia 1989, vol. 3, col. 4727; nell'intera voce —coll. 4726_4732— si troverà un'informazione di base abbastanza completa, con bibliografia). Le formule legali dipenderanno dalla legislazione di ogni paese e da ciò che si ritenga in ogni caso più conveniente.

[37] Per la sua chiarezza mi si permetterà una citazione alquanto lunga della descrizione di queste iniziative fatta da G. dalla Torre: «sono quelle costituite e gestite da privati (sia persone fisiche sia persone giuridiche, enti a base associativa o fondazionale costituitisi solo civilmente, ecc.), i quali si prefiggono un progetto educativo conforme ai principi cattolici, ma che per esplicita scelta non intendono qualificarsi formalmente come «scuole cattoliche», né hanno conseguentemente il relativo riconoscimento ad opera della competente autorità ecclesiastica (cfr. in proposito il combinato disposto dei parr. 1 e 3 del can. 803; ma cfr. anche il can. 216). Queste ultime sembrano costituire esplicitazione, nel campo concreto dell'esperienza, dell'insegnamento conciliare sulla duplice via —ufficiale o gerarchica, ovvero personale e privata— da percorrersi nel diverso modo di relazionarsi della Chiesa col temporale. In ragione della loro qualificazione formale, che tende a non coinvolgere la Chiesa in attività scolastiche che pure mirano ad una educazione cattolica, tali scuole non sono soggette ovviamente alle specifiche disposizioni canoniche dettate, a livello universale così come a livello particolare, per le scuole cattoliche, ricadendo in pieno nella disciplina statuale. Ciò non toglie naturalmente che i fedeli dei quali esse costituiscono tangibile espressione siano soggetti, anche specificamente all'attività educativa e di istruzione esplicitata, ai comuni vincoli di obbedienza verso ciò che i pastori dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa (cfr. can. 212, par. 1)» (Scuola cattolica e «question scolaire». Sondaggi nella nuova codificazione canonica, in AA.VV., Studi in memoria di Mario Condorelli, vol. I, tomo I, Milano 1988, pp. 441 s.). Cfr. anche D. Le Tourneau, La prédication de la parole de Dieu et la participation des laïcs au «munus docendi»: fondements conciliaires et codification, in Ius Ecclesiae, 2 (1990), p. 121.

[38] "Nuestro apostolado —repetiré mil veces— es siempre trabajo profesional, laical y secular: y esto deberá manifestarse, de modo inequívoco, como una característica esencial, también —y aun especialmente— en los centros de enseñanza que sean una actividad apostólica corporativa de la Obra. Siempre se tratará, pues, de centros promovidos por ciudadanos corrientes —miembros de la Obra o no—, como una actividad profesional, laical, en plena conformidad con las leyes del país, y obteniendo de las autoridades civiles el reconocimiento que se concede a las mismas actividades de los demás ciudadanos. Además, de ordinario se promoverán con la condición expresa de que no sean nunca considerados como actividades oficial u oficiosamente católicas, es decir, con dependencia directa de la jerarquía eclesiástica. No serán centros de enseñanza, que la Iglesia jerárquicamente fomenta y crea de distintos modos, conforme al derecho inviolable que le confiere su misión divina; sino iniciativas de los ciudadanos, en uso de su derecho de ejercer una actividad de trabajo en los distintos campos de la vida social, y, por tanto, en la enseñanza. Y en uso del derecho de los padres de familia, a educar cristianamente a sus hijos (...)" (Lettera, 2-X-1939, n.23).

[39] Così ad es. nel FAES si è provveduto in questo modo: «La Carta dei principi educativi formulata nel 1977 è stata recepita nel contratto e nel regolamento del personale e fatta formalmente propria dalle varie cooperative di genitori delle singole scuole quale garanzia delle finalità ideali che configurano il FAES come uno di quei particolari enti che la dottrina e la giurisprudenza definiscono "Organizzazioni di tendenza"» (ibidem, loc. cit.).

[40] Su questo riconoscimento in relazione alle università, A. del Portillo ha scritto: «sembra molto opportuno che si proclami con tutta chiarezza la possibilità e la convenienza che i laici creino, sotto la loro responsabilità, Università e altri centri di insegnamento superiore dedicati allo studio di scienze profane secondo una concezione cattolica della cultura» (Laici e fedeli nella Chiesa, cit., p. 149). Questo riconoscimento va distinto da quello che fa sì che un'iniziativa si trasformi in ufficialmente cattolica.

[41] Cfr. A. de Fuenmayor, El juicio moral de la Iglesia sobre materias temporales, in Ius Canonicum, 12 (1972), pp. 106_121.

[42] In ciò la differenza è netta rispetto alle già menzionate possibilità di creazione di associazione pubbliche di fedeli con fini educativi.

[43] Su questa linea di colloca la responsabilità che assume la Prelatura dell'Opus Dei rispetto a determinate iniziative con fini educativi, assistenziali, ecc. che promuove istituzionalmente. Gli Statuti di questa struttura pastorale della Chiesa dichiarano che la responsabilità non si riferisce mai agli aspetti tecnici ed economici delle iniziative, ma solo alla loro vivificazione cristiana mediante gli opportuni mezzi di orientamento e formazione dottrinale e spirituale, così come attraverso l'adeguata assistenza pastorale. Si prevede anche la possibilità di una semplice assistenza spirituale rispetto ad iniziative promosse dai membri della Prelatura con altre persone (cfr. nn. 121_123 degli Statuti, in A. De Fuenmayor_ V. Gómez_Iglesias_J.L. Illanes, El itinerario jurídico del Opus Dei. Historia y defensa de un carisma, Pamplona 1989, p. 646).Ciò rappresenta una opzione pienamente legittima e molto congruente con l'ecclesiologia conciliare. Tuttavia, il Fondatore dell'Opus Dei non l'ha mai presentata come se fosse l'unica possibile nella Chiesa. Dopo essersi riferito al diritto della Chiesa e degli Ordini e Congregazioni religiose di istituire centri di istruzione, precisando che non è un privilegio ma un onere, egli aggiungeva: «Il Concilio non ha voluto dichiarare superate le istituzioni scolastiche confessionali; ha solo voluto far capire che c'è un altro modo —che è anzi più necessario e più universale, praticato da tanti anni dai soci [adesso, con la definitiva configurazione giuridica di natura non associativa, membri] dell'Opus Dei— per garantire la presenza cristiana nella scuola: e cioè la libera iniziativa dei cittadini cattolici che hanno come professione le attività educative, sia nelle istituzioni promosse dallo Stato che altrove. Ciò costituisce un'altra prova della piena consapevolezza che la Chiesa ha, in questi anni, della fecondità dell'apostolato dei laici» (Colloqui con Mons. Escrivá, Milano 1987, 5ª ed, n. 81).

[44] J. Hervada, Diritto costituzionale canonico, Milano 1989, p. 202.

[45] Ibid., Elementi per una teoria fondamentale sulla relazione Chiesa_mondo, in Ius Ecclesiae, 2 (1990), p. 59.

[46] Sulle scuole dei religiosi, in termini molto incoraggianti della loro missione, cfr. il can. 801.

[47] Sul punto, cfr. A. del Portillo, Laici e fedeli nella Chiesa, cit., p. 40_42; A. de Fuenmayor, El convenio entre la Santa Sede y España sobre Universidades de estudios civiles, Pamplona 1966, pp. 23 s; J.L. Gutiérrez, I diritti dei «christifideles» e il principio di sussidiarietà, in Estudios sobre la organización jerárquica de la Iglesia, Pamplona 1987, pp. 67_82.

[48] Il can. 802 costituisce un'efficace conferma di quest'indole sussidiaria dell'azione della Gerarchia in questo terreno, sia perché condiziona l'intervento del Vescovo diocesano all'inesistenza di scuole impregnate di spirito cristiano, sia perché descrive quell'intervento come «curare ut condantur».

[49] Si noti che qui l'avverbio si riferisce alla medesima istituzione educativa —in quanto trascende i propri membri— e non allude invece alla dimensione istituzionale della Chiesa. Questo equivoco attorno alla voce «istituzionale» è piuttosto frequente. Quando ad es. la Cost. ap. Ex corde Ecclesiae, art. 2 § 2 parla di un «impegno istituzionale» assunto dai responsabili di un'università, l'aggettivo istituzionale può significare sia la stessa istituzione universitaria —in questo senso ogni università reapse catholica ha quell'impegno istituzionale—, oppure può riferirsi al nesso con la Chiesa in quanto istituzione, che soltanto possiedono le università formalmente cattoliche di cui all'art. 3 della medesima Cost. ap.

[50] Ad es. sarebbe del tutto inadeguato pretendere di imporre determinati insegnanti di religione nei centri non dipendenti dalla Chiesa come istituzione (anche per questo motivo nel can. 805 si fanno accuratamente le distinzioni tra nominare o approvare i professori, e tra rimuoverli o esigere che siano rimossi).

[51] Conviene notare a questo proposito che si deve distinguere chiaramente tra i cann. 804 e 805 —che si riferiscono all'educazione religiosa cattolica in qualunque scuola— e il can. 806 —esclusivamente riguardante le scuole cattoliche in senso codiciale—. Il senso tecnico_formale del can. 803 § 1 implica sempre —proprio in virtù della norma del can. 806— un collegamento di governo con la Chiesa; non avrebbe senso un riconoscimento ufficiale come scuola cattolica se non comportasse gli effetti del can. 806. Come fa notare M. Condorelli da buon giurista —benché la sua impostazione di fondo in materia sia favorevole ad una difesa della libertà religiosa nella Chiesa che non mi pare compatibile con l'identità confessionale della Chiesa—, i precetti dei cann. 804, 805, 827 § 2, ecc. non risultano direttamente applicabili alle scuole non soggette alla giurisdizione ecclesiastica (tra cui quelle dipendenti dall'autonomia privata dei fedeli) (cfr. Educazione, cultura e libertà nel nuovo «Codex Iuris Canonici», in Il Diritto Ecclesiastico, 94 [1983], I, pp. 73 s.). Ma —aggiungo io— tali disposizioni sono applicabili attraverso la libera attività dei fedeli.Nell'ambito delle università cattoliche, i precetti del CIC —soprattutto il can. 810 § 1— si presentano come un invito ai responsabili a organizzare la nomina e rimozione dei docenti in modo consono con l'identità cattolica. Ma l'operatività giuridica di queste norme dipenderà dagli statuti dell'università, i quali possono contemplare una partecipazione di governo dell'autorità ecclesiastica —come dovrà succedere nel caso delle università dipendenti dalla Chiesa in quanto istituzione — oppure prescindere da tale partecipazione, lasciando dunque l'applicazione del can. 810 § 1 alla sola responsabilità dei fedeli e delle altre persone che possiedano i poteri giuridici del caso. La recente Cost. ap. Ex corde Ecclesiae ha contribuito a chiarire la normativa codiciale, in quanto ha determinato quali università sono da considerarsi ufficialmente cattoliche, stabilendo nei loro riguardi diverse esigenze di diritto universale (cfr. specialmente art. 2 § 3 e art. 5) che il diritto particolare dovrà sviluppare (cfr. art. 1 § 1). Nelle università non formalmente cattoliche, l'esigenza di tutelare giuridicamente l'identità cattolica della rispettiva istituzione si rivolge personalmente ai fedeli interessati, affinché siano loro —i responsabili— a mettere in pratica i meccanismi necessari perché le università possano funzionare come effettivamente cattoliche. Non si possono mescolare queste due categorie: ad es. pensando che sia possibile un intervento giuridico della Gerarchia all'interno delle università di ispirazione cristiana costituite solo civilmente; o che invece un simile intervento non sia possibile quando esiste un collegamento diretto o indiretto d'indole giurisdizionale tra università e autorità ecclesiastica. Vista la questione dal punto di vista dei promotori, i fedeli che agiscano da cittadini non possono pretendere di coinvolgere la Chiesa come istituzione nelle loro iniziative (tranne ovviamente che essa accetti e assuma dunque l'iniziativa); e i dirigenti e i professori di un'iniziativa universitaria formalmente cattolica non possono pretendere che la loro autonomia operativa —che indubbiamente esiste, in quanto non si può mai prescindere dai margini naturali di iniziativa delle persone direttamente coinvolte— comporti un disconoscimento del vincolo anche di governo con le autorità ecclesiastiche competenti.

[52] Cfr. can. 813; Cost. ap. Ex corde Ecclesiae, art. 6.

Romana, n. 11, Luglio-Dicembre 1990, p. 279-294.

Invia ad un amico