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Annunciare all'Europa il mistero di Cristo

Il discernimento alla luce della fede dei recenti avvenimenti sociali e politici europei —di rilevanza storica e dagli influssi non soltanto continentali— ha avuto, come logica conseguenza, il chiaro indirizzo pastorale formulato dai Vescovi europei, riuniti con il Successore di Pietro nella recente Assemblea sinodale: occorre che l'Europa «sia messa in grado di decidere nuovamente del suo futuro nell'incontro con la persona e il messaggio di Gesù Cristo» (Dichiarazione finale I, 2).

E' alla dimensione religiosa dell'incontro con Cristo che va ricondotto ogni elemento dell'analisi svolta dall'Assemblea sinodale sugli eventi passati e sulle future prospettive di evangelizzazione e di ecumenismo.

Da tale dimensione divergono radicalmente alcune linee del pensiero europeo segnate tanto dall'ateismo di Stato dei regimi comunisti, persistenti nel recente passato, quanto dall'ateismo pratico dell'Occidente, con l'aggravante che quest'ultimo minaccia, con straordinaria capacità di contagio, gli spazi di libertà apertisi ad Est. Sia l'uno che l'altro, rimpicciolendo l'uomo alla dimensione immanente, sono evidentemente causa della perdita di vitalità delle radici più profonde della civiltà europea. L'elenco di tali mali è lungo, ma ben vani sono i pianti sui valori perduti, se non viene riconosciuto il fondamento di questi valori nel messaggio evangelico e nella fede in Cristo. L'annuncio cristiano, da cui la civiltà europea è stata modellata, dovrà sempre più tener presente che non è possibile disgiungere tali valori dal loro fondamento cristologico: «Per la nuova evangelizzazione non è sufficiente pertanto prodigarsi per diffondere i "valori evangelici" come la giustizia e la pace. Solo se è annunciata la persona di Gesù Cristo, l'evangelizzazione si può dire autenticamente cristiana. I valori evangelici infatti non possono essere separati da Cristo stesso, che ne è la fonte e il fondamento e costituisce il centro di tutto l'annuncio evangelico» (II, 3). La speranza dell'Europa ha i caratteri della conversione religiosa a Cristo, senza per questo annacquare la legittima autonomia delle realtà temporali.

E' in tale senso eminentemente apostolico che viene sottolineata dal Sinodo l'esigenza di unità fra cristiani. E' «perché il mondo creda» (cfr. Gv 17, 21) che si rendono improcrastinabili gli sforzi per giungere all'unione di tutti coloro che credono in Cristo. A tale compito la Chiesa si prepara fomentando «il rispetto della libertà e la giusta consapevolezza dei valori che si trovano nelle altre tradizioni religiose» (III, 9), senza per questo incorrere nel «relativismo, né indebolire la coscienza della necessità e dell'urgenza del comandamento di annunciare Cristo» (ibid. ).

D'altra parte è lecito guardare alla nuova evangelizzazione del Vecchio Continente come foriera di ricchezze inesauribili per l'uomo europeo. Così come sotto l'oppressione del totalitarismo hanno potuto salvare la libertà del cuore e della professione di fede soltanto coloro che si erano legati più intensamente a Dio, in modo analogo, anche nella nuova Europa che ha lasciato alle spalle il totalitarismo comunista, la fede cristiana si presenta come il più saldo fondamento di un umanesimo rispettoso della libertà dell'uomo: «La fede, l'adorazione e l'amore hanno un profondo rapporto con la libertà umana (...). Chi, nello spirito di adorazione del vero Dio, piega le ginocchia soltanto davanti a quest'unico Signore, è più facilmente in grado di sottrarsi all'attrattiva dei molti idoli» (II, 4).

Benché la missione di rievangelizzazione dell'Europa riguardi tutti i fedeli, «i laici (...) possiedono in questo campo, in virtù della loro "indole secolare", una missione del tutto particolare» (IV, 10). E' soprattutto attraverso la loro testimonianza del Vangelo, resa nell'esercizio delle diverse attività professionali, che verrà instillata in Europa e nel mondo la linfa della vita cristiana e della nuova evangelizzazione. Non è difficile a questo proposito fare un richiamo ai concetti espressi dal Venerabile Josemaría Escrivá: «Il modo specifico che hanno i laici di contribuire alla santità e all'apostolato della Chiesa è la loro libera e responsabile azione all'interno delle strutture temporali, nelle quali essi infondono il lievito del messaggio cristiano. La testimonianza di vita cristiana, la parola che illumina nel nome di Dio, l'azione responsabile per servire gli altri contribuendo a risolvere i comuni problemi: ecco come si manifesta questa presenza, attraverso la quale il comune cristiano compie la sua missione divina» (Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 59).

L'impegno apostolico dei laici ha una ricchezza di applicazioni davvero senza limiti: «La promozione della dignità umana, il rispetto inviolabile della vita, il diritto alla libertà di coscienza e di religione, il matrimonio e la famiglia come campi primari per l'impegno sociale e l'"umanizzazione" della società, il servizio della carità e le opere di misericordia, l'impegno per il bene comune e quello nella vita politica, la responsabilità nella vita economica, l'impegno per la salvaguardia del creato, l'evangelizzazione nel campo della cultura, dell'istruzione e dell'educazione, così come in quello dei mezzi di comunicazione sociale», con parole che il Sinodo (IV, 10) riprende dall'Esortazione apostolica Christifideles laici.

Ma perché la nuova evangelizzazione sia testimonianza viva di Cristo, essa «deve trarre la propria efficacia dalla santità della vita, rendendo visibile nell'esistenza quel mistero di comunione con Dio e fra gli uomini che la Chiesa celebra nell'Eucaristia» (II, 5). «Solo attraverso il nutrimento della parola di Dio e del Pane eucaristico, e il frequente uso del sacramento della riconciliazione, può avvenire in noi una continua conversione e trasformazione personale» (ibid. ).

Romana, n. 13, Luglio-Dicembre 1991, p. 197-199.

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