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Omelia nella Santa Messa celebrata nella Basilica di Sant'Apollinare, in Roma, in occasione dell'apertura dell'anno accademico dell'Ateneo Romano della Santa Croce (21_X_1991).

1. "Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra" (Sal 103, 30).

L'odierna liturgia mette sulla nostra bocca un canto di lode e di ringraziamento rivolto a Dio Padre per l'ineffabile dono dello Spirito Santo. Gesù aveva promesso ai suoi discepoli: "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce" (Gv 14, 16_17). Questa promessa si compì il giorno di Pentecoste quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli, e continua a realizzarsi oggi nella vita della Chiesa che non cessa di essere da Lui guidata, illuminata e santificata.

Alla lode e al ringraziamento si unisce anche la nostra invocazione, all'inizio di un nuovo anno accademico nell'Ateneo Romano della Santa Croce, affinché noi tutti possiamo "gustare nello Spirito Santo la vera sapienza e godere sempre del suo conforto"[1]. La preghiera che in modo speciale rivolgiamo oggi alla Terza Persona della Santissima Trinità esprime così il nostro bisogno della sua assistenza e del suo aiuto per dare inizio, proseguire e portare a termine il lavoro concreto che ciascuno —docenti, studenti e personale non docente— svolge in questo Ateneo, voluto dal Venerabile Servo di Dio Josemaría Escrivá. Alla sua figura va anche il mio commosso pensiero, nella prossimità della sua beatificazione: la Chiesa, dopo averne dichiarato l'eroicità delle virtù, lo porterà agli onori degli altari e lo additerà solennemente come intercessore e noi ne invochiamo la protezione per i frutti dell'attività accademica.

2. La consapevolezza del fatto che è Dio stesso l'oggetto del vostro studio deve portarvi a un rapporto più intenso, più famigliare, con lo Spirito Santo. Per mezzo di Lui —abbiamo detto nell'orazione colletta—, il Padre guida tutti i credenti alla conoscenza della verità; e dopo la sua venuta, nel giorno di Pentecoste, ebbe inizio l'espansione missionaria della Chiesa che da allora non si è mai interrotta, sempre sotto la Sua guida e il Suo impulso. Conoscenza della verità e slancio apostolico sono quindi due delle principali realtà, frutto dell'amore, che l'azione dello Spirito Santo suscita nei credenti. E tanto più esse saranno presenti nella vostra vita quanto più sia profonda l'intimità con il Divino Ospite, quanto più sia da voi conosciuto il Grande Sconosciuto, come soleva chiamarlo nella sua predicazione il Venerabile Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer.

La familiarità con il Paraclito ci porta innanzitutto a conoscere con maggiore pienezza quella fondamentale verità di cui ci parla San Paolo nella prima lettura: Non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo "Abbà Padre!" Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio (Rm 8, 15_16). Quindi, la prova che noi cristiani siamo realmente figli di Dio è l'invocazione a Lui rivolta: Abbà!, che è l'appellativo con cui Gesù invocava Dio Padre (cfr. Mc 14, 36). I cristiani mediante lo Spirito partecipano alla filiazione di Gesù, al suo rapporto filiale con il Padre. «Lo Spirito Santo scende nei cuori come Spirito del Figlio. Proprio perché è lo Spirito del Figlio permette a noi, uomini, di gridare a Dio insieme a Cristo: Abbà, Padre»[2].

L'insegnamento dell'apostolo Paolo ha un particolare rilievo nell'ambito dello studio delle scienze sacre. Infatti, il cristiano che, illuminato dallo Spirito Santo, è consapevole della sua filiazione divina, sa che Dio non è un mero oggetto di studio. Tra lui e Dio c'è una reale relazione in virtù della quale lo studio di tali scienze è permeato dallo stesso amore e dallo stesso interesse che ha un figlio nel conoscere ciò che riguarda suo padre. In questo modo nell'arduo sforzo quotidiano si finisce per gustare la conoscenza di un Padre e sperimentare sempre il suo conforto[3]. Quando si lavora non è possibile accantonare questa realtà o dimenticarla, perché la sola luce della ragione non basta per conoscere la ricchezza della vita divina. E' necessaria la fede e, insieme ad essa, è imprescindibile l'amore che scaturisce proprio dal rapporto di paternità e di filiazione. Non a caso i più grandi maestri della teologia sono stati anche grandi santi: in loro troviamo sempre uniti lo studio e la vita di pietà. La pietà, infatti, è ciò che contraddistingue i figli ed è uno dei doni dello Spirito Santo.

3. L'intimità con il divino Paraclito vi farà giungere ad una più profonda consapevolezza della filiazione divina e quindi alla convinzione che Dio Padre si conosce soltanto divenendo figlio. Da parte nostra vi è sempre il dovere di non frapporre ostacoli all'azione dello Spirito Santo che ci configura con Cristo, il Figlio Unigenito del Padre, mediante la santificazione e la giustizia[4]. Ci troviamo veramente dinanzi a un grande mistero; un mistero nel quale siamo protagonisti. Meditate frequentemente questa realtà: se lo stesso Spirito, il vincolo di amore tra il Padre e il Figlio abita in noi, allora siamo veramente figli di Dio e siamo uniti a Cristo, viviamo in Cristo, siamo un altro Cristo[5], lo stesso Cristo[6]. Pertanto siamo chiamati a trattare e conoscere Dio con la fiducia di un figlio, con l'abbandono di un figlio che è sicuro dell'Amore Misericordioso del Padre.

C'è di fatto una stretta unità tra il vostro lavoro e il vostro rapporto con Dio: l'uno accompagna l'altro e l'uno è la necessaria conseguenza dell'altro; si sviluppano e crescono insieme. L'intimità con lo Spirito Santo vi aiuterà anche a non perdere mai di vista l'unità di vita, che è il vero cardine sia dell'autentica pietà sia del lavoro ben fatto, cioè del lavoro santificante e santificato.

Il Venerabile Josemaría Escrivá predicò instancabilmente su questo aspetto fondamentale della vita del cristiano, basandosi sulla propria esperienza personale. Ecco un brano di una sua omelia: «Il cristiano avverte con nuova chiarezza tutta la ricchezza della sua filiazione divina, quando si riconosce pienamente libero perché lavora nelle cose del Padre suo, quando la sua gioia diventa costante perché nulla riesce a far crollare la sua speranza. Oltretutto, è proprio allora che può ammirare ogni bellezza e ogni meraviglia della terra, che può apprezzare ogni ricchezza e ogni bontà, e può amare con tutta l'integrità e tutta la purezza per le quali è stato fatto il cuore dell'uomo»[7].

4. Accanto a questa verità che si fa vita e inseparabilmente unito ad essa si trova lo zelo apostolico. La conoscenza di Dio e della Chiesa che si acquista con lo studio e la riflessione si deve manifestare nella continua azione apostolica, rivolta ad ogni uomo. Portate quindi a tutti la chiamata ad essere figli di Dio in Cristo e confermate la vostra parola con l'esempio. L'effusione dello Spirito Santo, ricevuta dagli Apostoli nel giorno di Pentecoste, non restò chiusa nel Cenacolo, ma si estese fino agli estremi confini della terra. Così anche nella vita di ogni credente la famigliarità con il mistero di Dio non può esaurirsi in una sterile soddisfazione personale, ma è destinata, di per sé, a manifestarsi agli altri, favorendo l'azione del Paraclito nella mente e nei cuori di tutti gli uomini affinché essi possano, insieme a noi, chiamare Dio col nome di Padre.

La Chiesa è chiamata a lavorare in un campo apostolico sconfinato, soprattutto dopo le recenti vicende storiche. In questi frangenti mi sembrano particolarmente attuali le seguenti parole del Fondatore dell'Opus Dei: «Vedo tutti gli avvenimenti della vita —quelli di ogni esistenza individuale, e in certo modo quelli delle grandi svolte della storia— come altrettanti appelli che Dio rivolge agli uomini perché affrontino la verità; e anche come occasioni offerte a noi cristiani per annunziare con le nostre opere e le nostre parole, aiutati dalla grazia, lo Spirito al quale apparteniamo»[8]. E' con questa prospettiva che dobbiamo guardare alle nuove frontiere aperte in questi ultimi anni all'azione della Chiesa. Non c'è dubbio che non solo in Europa, ma in ogni parte del mondo, ci sono molti uomini nei quali lo Spirito Santo suscita la sete di verità che può essere appagata solo da un'evangelizzazione che testimoni chiaramente, con le parole e con l'esempio, la dignità di ogni uomo in quanto chiamato ad essere figlio di Dio.

«Oggi la Chiesa» —afferma il Santo Padre Giovanni Paolo II— «deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes, sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l'annunzio di Cristo. Oggi a tutti i cristiani, alle Chiese particolari ed alla Chiesa universale son richiesti lo stesso coraggio che mosse i missionari del passato e la stessa disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito»[9]. Per poter rispondere efficacemente a quest'appello è indispensabile una preparazione tanto dottrinale quanto spirituale. Il Signore ha bisogno di apostoli che sappiano trasmettere agli altri ciò che prima hanno assimilato nello studio e nella preghiera; ciò che cercano di vivere con esemplarità. Abbiate sempre come guida e maestro lo Spirito Santo; è Lui che vi condurrà alla verità e accenderà i vostri cuori con il fuoco della carità.

Poiché siamo figli di Dio, Santa Maria è nostra Madre. Gesù è nato da Maria affinché noi possiamo ricevere l'adozione a figli (cfr. Gal 4, 4_6). Quindi la filiazione ci giunge attraverso Maria. La sua corrispondenza, la sua fede eroica hanno reso possibile la nostra nascita alla grazia. Pertanto abbiamo nella Madonna, Figlia di Dio Padre, Madre di Dio Figlio e Sposa di Dio Spirito Santo un modello perfetto da imitare e un efficace aiuto per ottenere dallo Spirito il dono di conoscere e vivere questa importante verità: "Tu sei mio figlio" (Sal 2, 7).

[1] Orazione colletta della Messa votiva dello Spirito Santo, Messale Romano, p. 844.

[2] Giovanni Paolo II, Discorso 26_VII_1989, n. 4.

[3] Cfr. Orazione colletta della Messa votiva dello Spirito Santo, Messale Romano, p. 844.

[4] Cfr. S. Cirillo di Alessandria, In Isaiam, 4, 2: PG 70, 936.

[5] Cfr. S. Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 21 (Mistagogica 3.1): PG 33, 1088.

[6] Cfr. J. Escrivá de Balaguer, E' Gesù che passa, nn. 120, 135_138.

[7] J. Escrivá de Balaguer, E' Gesù che passa, n. 138.

[8] Ibid., 132.

[9] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Missio, n. 30.

Romana, n. 13, Luglio-Dicembre 1991, p. 263-265.

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