envelope-oenvelopebookscartsearchmenu

Un avvenimento ecclesiale

Il 17 maggio circa trecentomila fedeli colmavano Piazza San Pietro e le strade adiacenti. I romani stentavano a ricordare un raccoglimento così intenso in mezzo a tanta folla. Milioni di spettatori stavano assistendo in tutto il mondo alla trasmissione in diretta della solenne cerimonia di beatificazione.

«Concediamo, con la nostra Autorità Apostolica, che i Venerabili Servi di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, presbitero, Fondatore dell'Opus Dei, e Giuseppina Bakhita, vergine, figlia della Carità, Canossiana, d'ora in poi possano essere chiamati Beati, e che si possa celebrare la loro festa, nei luoghi e secondo le regole stabilite dal diritto, ogni anno, nel giorno della loro nascita al cielo». Quando il Santo Padre Giovanni Paolo II pronunciò la formula di rito, i teli che ricoprivano gli stendardi con i ritratti dei nuovi Beati vennero riavvolti. Lo sguardo amabilissimo del Beato Josemaría sembrava cercare, sorridendo, gli occhi di ognuno dei presenti...

Proruppe in quell'istante il canto del Christus vincit, testimonianza della fede della Chiesa nel potere della grazia. E dalla folla si levò un applauso che era preghiera: inno di lode a Dio, supplica di aiuto, atto di speranza. Il Concilio afferma: «A causa della loro più intima unione con Cristo i Beati rinsaldano tutta la Chiesa nella santità, nobilitano il culto che essa rende a Dio qui in terra e in molteplici maniere contribuiscono a una sua più ampia edificazione»[1].

Ogni beatificazione rende tangibile la realtà più profonda della Chiesa: mistero di santità, comunione dell'uomo con Dio, azione salvifica del Signore, silenziosa ed eloquente, nella storia dell'umanità. Dio innalza davvero l'uomo fino a renderlo eternamente partecipe, in Cristo, della sua stessa vita. Così, malgrado l'esperienza delle proprie debolezze, il cristiano percepisce con rinnovata evidenza che l'amore di Dio è più forte di qualsiasi limite personale. E la speranza prevale ancora. L'esempio di ciò che il Signore ha operato nei santi imprime nuovo slancio alla nostra fiducia, una certezza più vera, perché più soprannaturale, nel compimento —anche in noi— della promessa insita nell'adozione filiale che ci fu concessa con il battesimo. Il testo conciliare prosegue: «Mentre infatti consideriamo la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, per un motivo in più ci sentiamo spinti a cercare la città futura e insieme ci è insegnata la via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità, secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno»[2].

Si percepiva in modo quasi palmare, fra i presenti in Piazza San Pietro, la comune consapevolezza di essere chiamati ad una nuova decisione di fedeltà alla vocazione cristiana: un sì pieno, definitivo a Dio. La fede infatti ci conduce, quasi intuitivamente, ad attingere la sostanza ultima del reale: attraverso i santi, il nostro sguardo si spinge fino a Dio. Leggiamo ancora il Concilio: «Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo, Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto. In loro è Egli stesso che ci parla e ci mostra il segno del suo regno, verso il quale, avendo davanti a noi un tal nugolo di testimoni e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati (...). La comunione con i santi ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla fonte e dal capo, promana tutta la grazia e tutta la vita dello stesso popolo di Dio (...). Infatti ogni nostra autentica attestazione di amore fatta ai santi per sua natura tende e termina a Cristo, che è "la corona di tutti i santi", e per lui a Dio, che è mirabile nei suoi santi e in essi è glorificato»[3].

Questa traiettoria teologale vissuta qualifica l'intima appartenenza di ogni beatificazione al mistero della vita della Chiesa. Presente in ogni passo della Causa del Beato Josemaría Escrivá, essa è come esplosa, in assoluta trasparenza, la mattina del 17 maggio e nei giorni immediatamente successivi, in occasione delle Messe di ringraziamento: la prima, celebrata l'indomani nella stessa Piazza San Pietro dal Prelato dell'Opus Dei, e le altre, svoltesi in differenti basiliche romane e presiedute da eminenti personalità della Curia romana o da Cardinali e Vescovi di varie diocesi. Ovunque, folle immense e un clima di preghiera che nulla sembrava distrarre.

Per chi ha vissuto dall'interno l'iter della Causa di Mons. Escrivá era impossibile non vedere in tutto questo la conferma di ciò che fin dall'inizio si era imposto alla nostra attenzione. Una Causa non è mai un'operazione di laboratorio; essa nasce da un fenomeno sociale, che via via prende corpo e si estende nel popolo di Dio: la diffusione spontanea di una fama di santità che diviene devozione e si consolida in fatti ecclesiali (conversioni, scelte spesso difficili di coerenza cristiana, decisioni di piena dedizione a Dio), che né la commozione di un momento né altri fattori umani possono spiegare. Già il Decreto pontificio sulle virtù eroiche affermava che la diffusione della devozione per il Fondatore dell'Opus Dei aveva raggiunto proporzioni tali da doversi considerare come «un autentico fenomeno di pietà popolare». Dall'osservazione di una simile realtà, che pulsa nel suo seno, la Chiesa è indotta a domandarsi se essa risponda ad un'intenzione di Dio. L'indagine sull'eroicità delle virtù della figura, il cui esempio e il cui messaggio fanno da leva di tale moto ascensionale, offre una prima risposta a questa domanda. Poi, la dimostrazione del miracolo: Dio stesso interviene a suggellare il giudizio al quale la Chiesa è pervenuta. E' l'ultima certezza, la conferma definitiva.

La beatificazione costituisce dunque il solenne riconoscimento del disegno provvidenziale che il Signore ha voluto compiere attraverso un uomo. Ripercorrendo i tratti salienti della figura del Beato Josemaría Escrivá, il Santo Padre ha sintetizzato così, nell'omelia del 17 maggio, la missione da lui svolta nella Chiesa: «Con soprannaturale intuizione, il Beato Josemaría predicò instancabilmente la chiamata universale alla santità e all'apostolato. Cristo convoca tutti a santificarsi nella realtà della vita quotidiana; pertanto, il lavoro è anche mezzo di santificazione personale e di apostolato quando è vissuto in unione con Cristo (...). In una società nella quale la brama sfrenata del possesso di cose materiali le trasforma in idoli e in motivi di allontanamento da Dio, il nuovo Beato ci ricorda che queste stesse realtà, creature di Dio e dell'ingegno umano, se usate rettamente per la gloria del Creatore e per il servizio dei fratelli, possono essere via per l'incontro degli uomini con Cristo (...). L'attualità e l'importanza di questo messaggio spirituale, profondamente radicato nel Vangelo, sono evidenti, come mostra pure la fecondità con cui Dio ha benedetto la vita e l'opera di Josemaría Escrivá»[4].

Se ad ogni beatificazione la Chiesa riafferma che la santità non è una chimera, un ideale tanto desiderabile quanto irraggiungibile, bensì il centro vitale del suo stesso mistero, la beatificazione del Fondatore dell'Opus Dei assume un rilievo ecclesiale di particolare portata, come ha ricordato Giovanni Paolo II nell'udienza concessa il 18 maggio ai pellegrini: «Voi siete ricolmi di gioia per la beatificazione di Josemaría Escrivá de Balaguer, perché confidate che la sua elevazione agli altari, come appena detto dal Prelato dell'Opus Dei, recherà un gran bene alla Chiesa. Condivido anch'io questa fiducia»[5].

Il concentrarsi dell'attenzione mondiale su quest'evento ecclesiale è stata la testimonianza più eloquente di come fosse universalmente sentito il significato della beatificazione, ribadito anche da S.E. Mons. Alvaro del Portillo nell'omelia della Messa di ringraziamento celebrata il 18 maggio in Piazza San Pietro: «La santità raggiunta dal Beato Josemaría non rappresenta un ideale impossibile: è un esempio che non si rivolge soltanto a poche anime elette, bensì a innumerevoli cristiani, chiamati da Dio a santificarsi nel mondo: nell'ambito del lavoro professionale, della vita familiare e sociale. E' un esempio illuminante di come le occupazioni quotidiane non siano un disturbo per lo sviluppo della vita spirituale, ma possano e debbano trasformarsi in orazione (...). Per seguire Cristo è necessario lasciare tutte le cose. Il Beato Josemaría ha risposto senza esitazione a questa richiesta, e ha insegnato che è possibile adempierla pienamente in mezzo al mondo. Sì! E' possibile essere del mondo senza essere mondani; è possibile restare ciascuno al proprio posto e al tempo stesso seguire Cristo e restare in Lui»[6].

La Chiesa vive oggi una fase assai delicata della propria storia. Il Romano Pontefice ha sottolineato molte volte l'urgenza di un'evangelizzazione che renda presente lo spirito cristiano nei processi attraverso i quali si plasmano la società e la cultura. Un'analisi anche parziale della vita della Chiesa nel secolo XX rivela l'esistenza di un vasto movimento, suscitato dallo Spirito Santo e culminato nel Concilio Vaticano II, di sensibilizzazione e di attivazione del popolo di Dio all'azione trasformante della grazia nella storia. In questo processo la figura del Beato Josemaría Escrivá svolge un ruolo indiscutibile, come hanno voluto ricordare, commentando molteplici aspetti del suo messaggio, i porporati che hanno presieduto le concelebrazioni di ringraziamento svoltesi a Roma il 19 e il 20 maggio.

Il carattere, insieme festoso e di intenso raccoglimento, delle celebrazioni di quei giorni indimenticabili scaturiva proprio dalla comune coscienza del promanare, dalla beatificazione del Fondatore dell'Opus Dei, di un personalissimo richiamo divino ad un sì più pieno e convinto alle esigenze della vocazione cristiana. Il nostro ringraziamento a Dio, pertanto, è al tempo stesso consapevolezza delle attese che la Chiesa ripone su coloro ai quali spetta la responsabilità di prolungarne la missione. Ecco perché risuoneranno sempre nel nostro cuore le parole del Prelato dell'Opus Dei, nella Messa del 21 maggio, dinanzi al feretro con le spoglie mortali del nuovo Beato: «L'elevazione agli altari del Beato Josemaría rappresenta come l'inizio di una nuova espansione della missione ecclesiale per la quale egli fu scelto dal Signore. L'universalità del compito al quale Iddio lo chiamò —annunciare che tutte le realtà terrene sono cammino di santità— è stata sottolineata in modo solenne e tangibile. La sua beatificazione è per tutti i cristiani una nuova chiamata alla santità (Giovanni Paolo II, Discorso, 18-V-1992), un nuovo motivo di speranza, un esempio di fedeltà e di docilità a Dio nel compimento del lavoro quotidiano (...). Allo stesso tempo, quest'esempio e questi insegnamenti riguardano più che mai noi, figli del suo spirito nell'Opus Dei; perché così come la Chiesa ci affida le reliquie del suo corpo, ci affida anche il compito gioioso di custodire e trasmettere il tesoro dei suoi insegnamenti e del suo esempio di vita. Non c'è dubbio: la beatificazione del nostro Fondatore segna anche l'inizio di una nuova tappa nella vita dell'Opus Dei, e deve segnarla nella vita di ciascuno dei suoi membri. Una tappa di un amore più profondo verso Dio, di un più assiduo impegno apostolico, di un servizio più generoso alla Chiesa e a tutta l'umanità. Una nuova tappa, insomma, di fedeltà più piena allo spirito di santificazione in mezzo al mondo che il nostro Fondatore ci ha lasciato in eredità»[7].

[1] Cost. dogm. Lumen gentium, n. 49.

[2] 2 Ibid., n. 50.

[3] Ibid., n. 50.

[4] Giovanni Paolo II, Omelia nella beatificazione dei Servi di Dio Josemaría Escrivá e Giuseppina Bakhita, 17-V-1992.

[5] Giovanni Paolo II, Discorso ai pellegrini convenuti per la beatificazione di Josemaría Escrivá, 18-V-1992.

[6] Mons. Alvaro del Portillo, Omelia nella Santa Messa in onore del Beato Josemaría Escrivá, 18-V-1992.

[7] Mons. Alvaro del Portillo, Omelia nella Santa Messa in onore del Beato Josemaría Escrivá, 21-V-1992.

Romana, n. 14, Gennaio-Giugno 1992, p. 5-10.

Invia ad un amico