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Un' eco universale

Dal 17 maggio 1992, giorno della beatificazione di Josemaría Escrivá, è trascorso un anno e la risonanza della sua figura e del suo messaggio di santità si è moltiplicata in tutta la Chiesa. La festosa e spontanea adesione con cui tutti i settori del popolo di Dio hanno accolto la beatificazione del Fondatore dell'Opus Dei è un segno eloquente dell'intensità con cui la Chiesa "sente" il mistero della santità che l'innerva e la percorre.

Ogni beatificazione rappresenta un momento così intrinsecamente legato al mistero della Chiesa, da assumere il valore di un vero e proprio luogo teologico: rivelazione viva e attuale di quella partecipazione dell'uomo alla vita divina in Cristo che costituisce la "cifra", misteriosa ed essenziale, della realtà della Chiesa. Nei santi e nei beati essa rivela al mondo la propria fede nella presenza attiva di Dio nella storia, riaffermando la consapevolezza di essere strumento efficace di santità.

La vastità dell'eco sollevata da quest'avvenimento ecclesiale è motivo di speranza per tutti i credenti. Il mondo ha sete di Dio; l'uomo reca in sé una sensibilità alla realtà della santità che è certamente più profonda dell'indifferenza religiosa da cui è assediato. Gratitudine a Dio e speranza per tutti i credenti, dicevamo. Perché ogni beatificazione, ogni canonizzazione, è un atto della Chiesa come tale: un atto che si pone in relazione con la santità della Chiesa tutta.

Ciò che è avvenuto il 17 maggio 1992 esprime dunque, al di sopra di tutto, la certezza che un piano divino si è compiuto in favore della Chiesa: l'inserimento di Josemaría Escrivá nel numero dei Beati, la concessione degli onori del culto, la sua pubblica proclamazione quale modello ed intercessore per i cristiani, hanno confermato nella coscienza dei fedeli la consapevolezza dell'attuarsi di una disposizione della Provvidenza, il cui oggetto è il bene di tutto il popolo di Dio. Quel giorno in Piazza San Pietro il mondo intero ha potuto constatare, con evidenza solare, l'attrazione che la figura del Fondatore dell'Opus Dei esercita sui cristiani.

Cardinali, Vescovi, Superiori di Ordini e Congregazioni religiose, sacerdoti, religiosi e religiose di tutto il mondo, intere comunità e monasteri di clausura e migliaia di altri fedeli di tutte le condizioni hanno scritto a S.E. Rev.ma Mons. Alvaro del Portillo, Vescovo Prelato dell'Opus Dei, per esprimere il proprio entusiasmo. Stralciamo alcune frasi dai loro messaggi augurali: espressioni che testimoniano tangibilmente il senso di comunione ecclesiale con cui è stata vissuta l'elevazione agli altari del Fondatore dell'Opus Dei e la speranza con cui la Chiesa guarda alla fecondità del suo messaggio di santificazione.

Nel Beato Josemaría Escrivá la Chiesa percepisce «una delle forze portanti della rievangelizzazione del mondo». La sua beatificazione costituisce un «dono provvidenziale», un «grande evento di grazia per tutta la Santa Chiesa»: essa «irradierà la luce delle sue virtù sull'umanità intera». «Oggi un'altra stella splende più raggiante dal Cielo, ad indicare agli uomini le vie di Dio». «Sono certo che la sua beatificazione, e più tardi la sua canonizzazione, apporterà un beneficio immenso alla Chiesa, specie per quanto riguarda la piena partecipazione dei laici alla sua missione apostolica». «Questo è un giorno di grazia particolare non solo per l'Opus Dei, ma per tutta la Chiesa»: «un evento di grande rilievo e speranza per la Chiesa, in quanto rafforza una concezione assai feconda della vita interiore e della presenza cristiana nel mondo di oggi». «Fin dal primo momento ho considerato questa beatificazione come una grande grazia per tutta la Chiesa». «Tutto il mio Ordine nel suo insieme gioisce di questa grazia che il Signore fa alla sua Chiesa».

La medesima esultanza ha percorso con la stessa intensità il mondo e quei luoghi, appartati dal mondo, in cui il silenzio della preghiera edifica con misteriosa efficacia la Chiesa di Cristo. Da un monastero di Clarisse hanno scritto: «Abbiamo assistito a tutto, in prima fila. Eravamo spettatrici invisibili, ma presenti (...). Non abbiamo visto la televisione, ma abbiamo seguito tutto davanti al Tabernacolo (...). E abbiamo intonato un Te Deum di ringraziamento, cantando con tutto il fervore di cui siamo capaci».

E come non ricordare la partecipazione della gerarchia e dei comuni fedeli alle Messe officiate in tutto il mondo attorno al 26 giugno, anniversario del suo transito al Cielo? I presenti si sono contati a centinaia di migliaia: un fenomeno di pietà popolare che ha superato ovunque qualsiasi previsione[1].

L'intuito di fede del popolo di Dio ha dunque colto nella beatificazione di Josemaría Escrivá un segnale eloquente sulla fecondità del suo messaggio per l'evangelizzazione. Infatti le beatificazioni e le canonizzazioni sono anche atti con cui la Chiesa riconosce il dono che Dio le fa attraverso ogni santo e ne trae slancio per la propria missione. Esse costituiscono quindi, in maggiore o minor misura secondo i casi, decisioni mediante le quali la Sposa di Cristo orienta il proprio corso storico e si proietta verso il futuro.

Gli stessi documenti pontifici della Causa del Beato Josemaría Escrivá sottolineano il carattere provvidenziale del suo messaggio, destinato a prestare un valido contributo al rinnovamento ecclesiale. Così il Breve pontificio di beatificazione: «Il messaggio del Venerabile Josemaría Escrivá rispecchia, con mirabile congruenza, l'universale portata del mistero salvifico (...). Proclamando la radicalità della vocazione battesimale, egli ha aperto nuovi orizzonti per una più profonda cristianizzazione della società. (...). Il Venerabile Josemaría Escrivá ha mostrato tutta la potenza redentiva della fede, la sua energia trasfigurante così delle singole persone come delle strutture in cui si plasmano gli ideali e le aspirazioni degli uomini».[2].

Una constatazione che non viene posta in rapporto soltanto con i frutti pastorali derivanti dagli apostolati dell'Opus Dei, ma evidenzia una fecondità che travalica i confini della Prelatura per vivificare la missione stessa della Chiesa nel mondo. Anche il decreto sull'eroicità delle virtù si situa in questo quadro, soffermandosi sull'incidenza ecclesiale che l'insegnamento del Beato Josemaría Escrivá sembra destinato ad assumere: «Vero pioniere, già alla fine degli anni venti, dell'intrinseca "unità della vita cristiana", il Servo di Dio proiettò la pienezza della contemplazione "nel bel mezzo della strada" e richiamò tutti i fedeli ad inserirsi nel dinamismo apostolico della Chiesa, ognuno dal posto che occupa nel mondo». E, dopo aver sottolineano la provvidenziale attualità di questa dottrina «nella situazione spirituale della nostra epoca», il documento precisa che tale «attualità è destinata a perdurare al di là dei mutamenti dei tempi e delle situazioni storiche, come fonte inesauribile di luce spirituale»[3].

Questi testi, e la risposta dei fedeli nei cinque continenti alla beatificazione del Fondatore dell'Opus Dei, ci mostrano la Chiesa audacemente proiettata nell'evangelizzazione di una società in cui i cristiani si sentono immersi da protagonisti e non da soggetti passivi del destino del mondo. Per tutti i fedeli della Prelatura, sacerdoti e laici, ciò costituisce un richiamo alla responsabilità di custodire fedelmente l'eredità ricevuta dal Fondatore, servendo generosamente tutte le anime e, sempre ed ovunque, in strettissima unione con il Papa e con i Vescovi in comunione con la Sede di Pietro. La vastità della risonanza ecclesiale della beatificazione del nostro amatissimo Fondatore offre un'ulteriore conferma di quello spirito di fattiva testimonianza dell'unità della Chiesa di cui egli volle fare uno degli elementi caratteristici dell'Opus Dei.

La circostanza che nell'anno presente cade il 50º anniversario della fondazione della Società Sacerdotale della Santa Croce, poi, sottopone alla nostra attenzione il dovere di concretizzare tale responsabilità di fedeltà in un particolare impegno a sostenere la santità dei sacerdoti con l'orazione, la mortificazione e l'aiuto fraterno sempre più assiduo.

L'intercessione del Beato Josemaría Escrivá ci aiuti a tradurre in opere fattive di servizio la nostra gratitudine al Signore, e ci colmi di sicura speranza filiale: «Salveranno questo nostro mondo —permettetemi di ricordarlo ancora una volta— non coloro che pretendono di narcotizzare la vita dello spirito, riducendo tutto a questioni economiche o di interesse materiale, ma coloro che hanno fede in Dio e nel destino eterno dell'uomo, e sanno accogliere la verità di Cristo come luce orientatrice per l'azione e la condotta. Perché il Dio della nostra fede non è un essere lontano, che contempla indifferente la sorte degli uomini. È un Padre che ama ardentemente i suoi figli, un Dio Creatore che prodiga affetto alle sue creature. E concede all'uomo il grande privilegio di poter amare, trascendendo così l'effimero e il transitorio»[4].

[1] Sulla partecipazione della gerarchia e dei fedeli alle cerimonie liturgiche di ringraziamento per la beatificazione e alle Sante Messe celebrate in tutti i continenti in occasione della prima memoria liturgica del Beato Josemaría Escrivá, vedi "Romana", vol. VIII, 14 (1992) pp. 148-162.

[2] "Romana", cit., p. 14.

[3] "Romana", vol. VI, 10 (1990), p. 23.

[4] Josemaría Escrivá, Discorso pronunciato il 9-V-1974 per il conferimento di alcune lauree honoris causa all'Università di Navarra, in "Redacción", XI-76.

Romana, n. 16, Gennaio-Giugno 1993, p. 5-9.

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