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Nella vita di tutti i giorni (Testimonianza di un padre di famiglia)

Oltre allo studio teologico riportato nelle pagine precedenti, pubblichiamo la testimonianza di un padre di famiglia che riflette un'esperienza comune a molti altri genitori, uomini e donne, in tutto il mondo: il fatto che gli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá rappresentano un aiuto di valore inestimabile per mettere in pratica nella vita quotidiana, la dottrina del Magistero della Chiesa sul matrimonio e la famiglia.

«Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare», recita un proverbio notissimo, e tra il capire e il fare c’è di mezzo molto di più: la volontà. La volontà però certe volte è un pericoloso animale: una belva che soffia e graffia per evitare le briglie. È una bestia astuta che sa combattere non solo con la violenza della repulsione, ma spesso con la sublimità della teoria. Così affronta l’intelletto, che dovrebbe domarla ed indirizzarla, con le sue stesse armi. E il piacere di una stimolante conversazione la vanità non sa negarla a nessuno. Allora la volontà si adorna di cavilli, di ragionamenti preziosi che tutto appaiono meno quello che sono: vani.

Un precetto è un precetto: semplice. Già, ma come... interpretarlo? Come applicarlo? Con chi? In quale situazione? Ora? O quando? E poi, sarà proprio la legge giusta per questa occasione? O forse non si ricade in quell’altra prescrizione? Così il messaggio dell’amore viene trasformato neppure in filosofia, ma in un dibattimento giudiziario dove i due avvocati si contendono a colpi di codicilli, di precedenti, di obiezioni, di riserve. E il tempo sfugge e con esso la serenità di un focolare che dovrebbe essere —come diceva il Beato Josemaría— luminoso e allegro.

Che c’entra questo con la mia vita? C’entra perché questa lotta è quotidiana. La famiglia comunità di persone: qui «la persona umana non solo viene generata e progressivamente introdotta, mediante l’educazione, nella comunità umana, ma mediante la rigenerazione del battesimo e l’educazione alla fede, essa viene introdotta anche nella famiglia di Dio, che è la Chiesa» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, n. 15). Bello, ma la famiglia sono io, mia moglie, i tre bambini, ognuno con i suoi desideri, i suoi bisogni, le sue stanchezze, i suoi limiti. L’educazione: parola che appare persino banale, tanto è stata svuotata da programmi scolastici o allucinati saggi di psicopedagogisti. Ma parola che costa fatica. «L’educatore è una persona che “genera” in senso spirituale. In questa prospettiva l’educazione può essere considerata un vero e proprio apostolato. È una comunicazione vitale, che non solo costruisce un rapporto profondo tra educatore ed educato, ma li fa partecipi entrambi alla verità e all’amore, traguardo finale a cui è chiamato ogni uomo da parte di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo» (Giovanni Paolo II, Lettera alle Famiglie, n. 16).

Da un lato dunque inviti dolcissimi e profondi, la cui verità non si può non percepire; dall’altro però le fatiche del giorno: e in mezzo le macerie di una lotta tra una volontà che istinti e sentimento ammansiscono con piaceri e un intelletto svuotato di argomenti.

Il Beato Escrivá ci porta la calce: il sostegno per ricostruire ogni giorno un pezzo di quel muro che tiene lontane le “bestie feroci”. Cose piccole. Ecco il segreto. Cose piccole. La vita quotidiana in famiglia è fatta di cose piccole: da conquistare, da assaporare, da ammirare. La moglie che finalmente chiude i cassetti —e chissà mai perché a me vedere un cassetto aperto da così sui nervi—, il figlio che torna indietro a spegnere la luce senza bisogno di ricordarglielo ancora...

E io che lotto con il mio... burro. «Leggevamo —tu e io— la vita eroicamente “ordinaria” di quell’uomo di Dio. E lo vedevamo lottare, per mesi e anni (che “contabilità” quella del suo esame particolare!), all’ora della colazione: oggi vinceva, domani era vinto... Annotava: “non ho preso burro..., ho preso burro!”. Magari vivessimo anche noi —tu e io— la nostra... “tragedia” del burro!» (Beato Josemaría Escrivá, Cammino, n. 205).

Cose piccole: spirito semplice per capire l’insegnamento del Magistero, per assimilare i comandamenti, le leggi —scoprendo che sono sostegno ai quali aggrapparsi quando l’onda sta per strapparti dalla barca e trascinarti in mare.

È sera: una giornata pesante in ufficio. Quel collega che non ti ha dato l’aiuto promesso. Hai dovuto fare tutto tu. In più all’ultimo momento, avevi già le mani protese verso il cappotto —è freddo fuori e buio—, quando qualcuno è piombato nella stanza e ti ha chiesto ancora una risposta immediata. Arrivi a casa. Ti sforzi di sorridere ma non trovi risposta. Sei lì, teso, pronto al conato di ira, la valvola di massima pressione compressa sotto la violenta scarica che, non sai come, sta scoppiandoti dentro... «Taci, ogni qualvolta senti dentro di te il ribollire delle indignazione. —E questo, anche se fossi giustamente adirato. —Perché malgrado la tua discrezione, in quei momenti dici sempre più di quello che vorresti» (Ibid., n. 656). Sì, ma... e io... non ho diritto... non sono anch’io... «Perché arrabiarti, se arrabiandoti offendi Dio, molesti il prossimo, passi tu stesso un brutto quarto d’ora... e alla fine non ti resta che calmarti?» (Ibid., n. 8).

È passata da un pezzo l’ora di cena, c’è tanto ancora da fare. E la più piccola non vuol dormire. Si agita nel letto, se mi allontano comincia a frignare, quel pianto spigoloso, intriso di capricci. Sto seduto in una posizione innaturale, scomoda. Penso a quello che mi aspetta nello studio, al riposo del quale mi sembra di avere molto bisogno e che vedo allontanarsi sempre di più. Mi vien voglia di far andare le mani, ora che all’ennesimo tentativo di alzarmi mi ha risposto un nuovo strillo. «Pretesti. —Non te ne mancheranno mai per venire meno ai tuoi doveri. Che abbondanza di ragioni senza ragione!» (Ibid., n. 21). Mi risiedo, mi strappo un sorriso. Appoggio la testa sulla sbarra del lettino abbassata. La bambina si alza a sedere, si appoggia ai miei capelli. Mi bacia, mi accarezza la barba. Tutto scompare. Questo è il centuplo quaggiù promesso da Cristo a coloro che rinuncieranno a se stessi.

Ecco come il Beato Josemaría mi aiuta a vivere il Magistero. Con la sua voce. Così, nei momenti di difficoltà, mi pare di vedere il suo dito indicare la Santa Famiglia come esempio. Non sempre si ha la lucidità per... ma no, meglio dire, non sempre si ha la voglia, la forza per sedare la bufera del proprio egoismo: allora... «Nunc cœpi!», ricominciare, chiedendo scusa, a Dio e a chi abbiamo offeso. E si ritorna a quella bottega di Nazaret, della quale ci ha spesso parlato e continua a farlo nei suoi scritti, dove tutto è così perfetto perché non c’è traccia di “io” in quei cuori.

Ecco, sforzarsi di fare perché altri —e quali altri!— hanno già fatto prima di me, beh è molto diverso che sentirsi obbligati da norme incomprensibili o forzose.

Questo è l’aspetto più affascinante della religione cattolica: che i suoi insegnamenti non sono contro l’uomo, anzi fanno portare alla dimensione soprannaturale ciò che è nella natura della persona umana. Non c’è una norma che Dio ha voluto chiedere all’uomo che lo allontani dalla sua felicità: Egli ci ha suggerito con la delicatezza di un Padre il cammino più diritto per raggiungere la nostra meta. E ci è vicino, tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28, 18), per sostenerci lungo questa strada.

Non solo: ma tutto questo non è teoria, ma vita. La vita di Cristo, vero Dio e vero uomo, che ha fatto per insegnare.

E Josemaría Escrivá ci ricorda questa vita nascosta, fatta di piccoli sacrifici per servire e per piacere l’uno all’altro. Per trasformare in gioia ogni istante.

Paolo Pugni

Romana, n. 19, Luglio-Dicembre 1994, p. 385-387.

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