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EVANGELIZZARE L'EUROPA

La Lettera del Santo Padre ai Presidenti delle Conferenze Episcopali europee, dello scorso 2 gennaio, il cui testo viene integralmente riportato in questo numero di Romana, è il nuovo anello di una catena ininterrotta di appelli che Giovanni Paolo II ha cominciato fin dal primo momento della sua elezione alla Cattedra di San Pietro, per spronare ad un rinnovato sforzo nella rievangelizzazione del vecchio continente.

Infatti, già nel discorso inaugurale del suo Pontificato, nell'ottobre 1978, il Papa gridò al mondo intero e in particolare ai Paesi dell'Europa: "Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo. Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura!"

(Giovanni Paolo II, Omelia per l'inizio del Pontificato, 22-X-1978.)

In questi anni il Papa si è servito di molti momenti privilegiati per risvegliare la coscienza cristiana dell'Europa: i diversi simposi dei Vescovi europei (1979, 1982, 1985); le celebrazioni commemorative del quindicesimo centenario della nascita di San Benedetto (1980) e dell'undicesimo centenario dell'opera evangelizzatrice dei Santi Cirillo e Metodio (1985); i congressi e i simposi tenutisi a Roma su questo tema (1980, 1981); e alcuni discorsi particolarmente significativi nel corso dei suoi viaggi pastorali, come quelli pronunciati a Santiago de Compostela (1982), a Vienna (1983), ad Amersfoort (1985) e, recentemente, a Ravenna (1986).

E' facile capire che se l'Europa per secoli è stata faro di civiltà e veicolo della fede cristiana per quasi tutti gli altri continenti, ha agito anche —e adesso in modo particolare— come un focolaio d'infezione ed una fonte di morte, poiché produce ed invia ovunque ideologie che "fanno stragi, come infermità importate"

(Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso su "La crisi in Occidente e la missione spirituale dell'Europa", 12-XI-1981.)

Se volessimo riassumere in una parola il male di cui soffre la società attuale, sceglieremmo la seguente: materialismo. Materialismo storico e dialettico (nei Paesi dell'Est, con ampie frange di penetrazione in Occidente), e materialismo edonista, proprio della società occidentale, che viene contagiato anche ai Paesi in via di sviluppo. In ambedue i casi, il risultato è lo stesso: Dio scompare dall'orizzonte umano. Non si tratta di una semplice dimenticanza, come se si mettesse Dio tra parentesi, bensì di un patologico rifiuto di qualsiasi trascendenza. "Si tratta di un 'autentico secolarismo', secondo l'espressione di Paolo VI nella sua Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: 'Una concezione del mondo, nella quale questo si spiega da sé senza che ci sia bisogno di ricorrere a Dio, divenuto in tal modo superfluo ed ingombrante. Un simile secolarismo, per riconoscere il potere dell'uomo, finisce dunque col fare a meno di Dio ed anche col negarlo' (n. 55). Questo è il dramma spirituale del nostro tempo"

(Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso su "Evangelizzazione e Ateismo", 10-X-1980.)

L'ombra distruttrice di questo secolarismo ateo si proietta sui più svariati campi della vita umana e viene ad essere la radice comune di fenomeni così diversi come il consumismo sfrenato, l'ossessiva ricerca di piaceri, la negazione di qualsiasi norma morale oggettiva, la diffusione della violenza a tutti i livelli, la disgregazione della famiglia, l'aborto, l'eutanasia... E' la prova pratica dell'impossibilità di costruire un mondo veramente umano dopo aver voltato le spalle a Dio.

Ogni volta che il Papa ha trattato direttamente quest'argomento, la conclusione è stata chiara: "L'Europa ha bisogno di Cristo e del Vangelo, perché qui stanno le radici di tutti i suoi popoli!"

(Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Colloquio Internazionale su "Le radici cristiane delle nazioni europee", 6-XI-1981.)

In quest'ora difficile della storia è necessario un nuovo sforzo evangelizzatore della Chiesa, "luce delle nazioni"

(Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, proemio.)

che non cesserà mai di illuminare le genti con la luce di Cristo.

Tutti i cristiani devono sentirsi personalmente chiamati dal Romano Pontefice a questo compito, al quale ciascuno deve collaborare secondo la propria situazione nel mondo e nella Chiesa. Ai membri della Gerarchia spetta incoraggiare i fedeli, indicando i fini e i mezzi adatti a tale impresa ed offrendo a tutti l'alimento della Parola e dei sacramenti della grazia di Dio, in particolar modo quelli della Penitenza e dell'Eucaristia. La missione dei laici è quella di permeare con lo spirito di Cristo —fortificati dalla grazia che ottengono con l'orazione costante, con la mortificazione e la frequenza dei sacramenti— le realtà nelle quali si trovano immersi: la famiglia, la professione, la società, e tutte le occupazioni temporali.

In sintonia con quest'appello del Romano Pontefice, il Prelato dell'Opus Dei ha inviato una Lettera pastorale ai fedeli della Prelatura, spingendoli ad assecondare le direttive del Santo Padre. Lo faranno secondo lo spirito e il carisma che Dio ha voluto per l'Opus Dei: si adopereranno per vivificare con spirito cristiano il proprio ambiente, operandovi come il fermento, con iniziativa e responsabilità personale, forti della formazione spirituale e apostolica che incessantemente offre loro la Prelatura. Si ispirano così, come ha detto Giovanni Paolo II parlando di questa nuova evangelizzazione della vecchia Europa

(Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Simposio del Consiglio della Conferenza Episcopale d'Europa, 11-X-1985.)

al primissimo modello apostolico della storia della Chiesa: quello degli Apostoli e dei discepoli della prima ora, che pregano nel Cenacolo di Gerusalemme, attorno alla Madre di Gesù, in attesa dello Spirito Santo

(Cfr. At. 1, 14.)

A questo modello si rifaceva anche il Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, Fondatore dell'Opus Dei, quando scriveva: "Negli Atti degli Apostoli è narrata una scena che mi affascina, perché propone un esempio chiaro, sempre attuale: E tutti perseveravano nella dottrina degli Apostoli, nella partecipazione alla frazione del Pane e nella preghiera (At 1, 14) (...). L'orazione era allora, come oggi, l'unica arma, lo strumento per vincere le battaglie"

(Josemaría Escrivá de Balaguer, Amici di Dio, n. 242; Ed. Ares, Milano, 1978.)

E, con l'orazione, gli altri mezzi che mettono il cristiano in grado di "dare un'anima alla società moderna"

(Giovanni Paolo II, Discorso al Simposio del Consiglio della Conferenza Episcopale d'Europa, 11-X-1985.)

l'amore verso la croce, la testimonianza di una vita retta, la pratica delle virtù teologali e cardinali...

Solo se i cristiani impiegheranno con umiltà e perseveranza queste risorse soprannaturali, gli sforzi evangelizzatori della Chiesa in tutto il mondo potranno dar frutto. Solo se si risveglia in loro un autentico desiderio di santità personale, le speranze e i desideri del Papa saranno una realtà.

La protezione di Maria, Madre della Chiesa, è una garanzia di successo nelle imprese apostoliche. "A Lei chiediamo —ha scritto Mons. Alvaro del Portillo ai fedeli dell'Opus Dei— di abbreviare il tempo della prova e di ricavare, dalle difficoltà e dalle contrarietà, grandi beni: una Chiesa ringiovanita, salda nell'unità, rinnovata nell'anelito di santità e nello zelo apostolico di tutti i suoi membri, in modo che in Europa e dall'Europa si collochi Cristo nella gloria di tutte le attività umane, per attrarre a Lui ogni cosa (Gv 12, 32) (J. Escrivá de Balaguer, Istruzione, 1-IV-1934, n. 1)"

(Alvaro del Portillo, Lettera pastorale, 25-XII-1985, n. 12.)

Questi sono il compito affascinante e la grave responsabilità che vengono affidati ai cristiani nello scorcio del XX secolo, agli albori ormai del terzo millennio dell'Era Cristiana.

Romana, n. 2, Gennaio-Giugno 1986, p. 5-8.

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