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Nella ricorrenza del primo anniversario del pio transito di S.E. Mons. Álvaro del Portillo (23-III-1995), il Prelato ha celebrato una solenne Messa di requiem nella Basilica romana di Sant’Eugenio, pronunciando la seguente omelia.

1. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò[1]: queste parole della liturgia ci riportano alla mente il ricordo incancellabile di Mons. Álvaro del Portillo, della pace interiore che traspariva sempre nel suo sguardo. Era, la sua, la gioia di chi vive nel Signore e con il Signore: la serenità che nessuna fatica può offuscare, che nessuna sofferenza cancella. Quest’impronta di Dio era così profondamente scolpita in lui che sembrava appartenere alla sua stessa natura. Anche per questo, ogni incontro con don Álvaro costituiva un’occasione di arricchimento spirituale. Perciò tutti noi, che lo abbiamo conosciuto, fin dal primo istante dopo la sua morte ci siamo sentiti invadere dalla certezza che il Signore lo ha premiato nella gloria. E, man mano che approfondiamo la conoscenza della sua vita, scopriamo sempre più nitida la continuità —fin dalla giovinezza— di quella limpidezza di coscienza, di quella trasparenza interiore che abbiamo ammirato in lui e che tanto contribuiva a portarci a Dio.

Oggi siamo convenuti qui spinti dal desiderio di rispondere al dovere filiale, impostoci dalla pietà cristiana, di continuare ad offrire pii suffragi per l’anima di questo buon pastore. La Santa Messa è l’espressione più alta della preghiera del cristiano e, dunque, anche della preghiera di suffragio. Perché è anzitutto un’azione divina, che si compie in primo luogo nella corrente dell’amore trinitario. Al cospetto della Trinità Beatissima, la Chiesa tutta, Capo e Corpo, rinnova in modo incruento il mistero della Morte di Gesù. Gesù offre il Suo Corpo ed il Suo Sangue per noi e con noi. La nostra supplica si innalza al Cielo con la forza e —non è un termine eccessivo— con l’autorità della preghiera di Cristo. Egli presenta al Padre, e fa sue, le nostre intenzioni, unite alla Sua preghiera ed alla Sua Passione redentrice. Ecco perché ogni Messa ha un valore infinito. Come può il Padre non accogliere l’offerta del Suo Figlio, non ascoltare Gesù che oggi, con noi, invoca: Accóglilo nella dimora eterna, perché riceva nella gioia il premio delle sue fatiche apostoliche?[2]. Come lo Spirito Santo non effonderà Se Stesso ed i Suoi doni su di noi, membra di Cristo, che con Gesù offriamo il Sacrificio eucaristico per don Álvaro?

2. Nell’antifona d’ingresso abbiamo detto: In Sion, Signore, ti si addice la lode[3]. È il secondo aspetto che contraddistingue questa celebrazione liturgica: in Sion, nella Chiesa, raccolta in fiduciosa implorazione di suffragio, il dolore si tramuta in gratitudine e si esprime in accenti di lode. Assieme a migliaia e migliaia di anime, con cui condividiamo l’esperienza diretta del bene ricevuto attraverso la persona di don Álvaro ed il suo instancabile magistero spirituale, tutti noi viviamo la ricorrenza odierna soprattutto all’insegna della gratitudine. In questa Eucaristia —azione di grazie— vogliamo ringraziare il Signore anche per ciò che ha operato in e attraverso questo suo servo buono e fedele. Nell’omelia che pronunciai in questa stessa Basilica lo scorso anno, nel giorno del suo funerale, non esitai ad affermare che don Álvaro fu «un gigante nel firmamento ecclesiale di questa seconda metà del secolo». Le testimonianze che, da allora, ci continuano a pervenire da parte di migliaia di persone del mondo intero confermano quest’affermazione.

Un gigante nel firmamento ecclesiale. Professando sempre un’adesione assoluta al Santo Padre e la piena comunione con gli altri Vescovi, don Álvaro mantenne fede all’impegno del Beato Josemaría di «servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita»[4]. Come Prelato dell’Opus Dei egli stimolò l’espansione degli apostolati della Prelatura, che si sono estesi a nuovi Paesi ed hanno fecondato con la luce del Vangelo settori sempre più ampi dell’attività umana. E, anche al di là dell’attività dispiegata alla guida della Prelatura, ha lavorato generosamente per la Chiesa, senza mai risparmiarsi e senza cercare il riconoscimento degli uomini. È davvero impossibile contare le persone che hanno trovato in lui il Pastore comprensivo ed esigente, il sacerdote che sapeva infondere nell’anima, con la gioia della riscoperta della filiazione divina, la decisione di una conversione spesso radicale.

Carità, comprensione, perdono che facevano in don Álvaro tutt’uno con la fermezza nella dottrina. Non adattava il Vangelo alle miserie umane, ma sapeva stimolare le coscienze ad aprirsi alla verità eterna del Vangelo. Accanto a lui, svaniva quella paura che insidia tante anime e le trattiene dall’abbandonarsi a Dio. Il Sacramento della Confessione, questa dimostrazione della misericordia del Signore così mirabilmente prossima a tutti noi, perdeva quell’alone cupo e minaccioso di cui le deformazioni dello spirito cristiano hanno tentato di circondarlo. Le sue parole destavano il desiderio della contrizione e del perdono divino. Se vogliamo imitarlo, non dimentichiamo i suoi frequentissimi appelli a farci araldi di un assiduo apostolato della Confessione. In esso giace un aspetto essenziale della nuova evangelizzazione, a cui il Santo Padre ci richiama con tanta insistenza: la Confessione, infatti, contiene un’ammirevole pedagogia spirituale, che guida spontaneamente il cristiano a scorgere in Dio il volto amabilissimo di un Padre.

3. Non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”[5]. Come ci risultano familiari queste parole della Scrittura: Abbà, Padre! Il Signore le fece radicare con straordinaria profondità nell’abisso d’amore in cui viveva il Beato Josemaría Escrivá. A questa fonte attinse don Álvaro, sospinto dalla sete di sondare l’inesauribile ricchezza del mistero della nostra adozione a figli di Dio e di coltivarlo in tutte le espressioni che ne debbono scaturire nella condotta quotidiana del cristiano.

Sì, la certezza di essere sempre guidati dal nostro Padre celeste deve generare in noi anzitutto una completa fiducia nei disegni divini, malgrado talvolta a prima vista ci appaiano indecifrabili e duri; e, con la fiducia, la corrispondenza totale, pervasa di serenità interiore ed esteriore, di inalterabile ottimismo cristiano, perché omnia in bonum![6]: tutto è disposto da Dio per il bene di coloro che lo amano.

Prova della nostra corrispondenza alla Volontà divina è il desiderio di lavorare bene. Il lavoro è il segno più palpabile dell’offerta di sé che il figlio leale presenta al proprio padre e lo sguardo di predilezione —di santo orgoglio— con cui questi lo ricambia è il premio migliore ai suoi sforzi. Il figlio si adopera senza risparmio nel portare a compimento i progetti del padre. In ogni situazione il Signore ci chiama a collaborare al piano della redenzione. Don Álvaro imparò alla perfezione la necessità di scoprire il senso vocazionale di tutti gli istanti della nostra vita e ne ricavò la certezza che, se la nostra risposta è pronta e totale, se siamo fedeli, sperimenteremo la fecondità racchiusa in ogni piccolo segmento della nostra traiettoria terrena. Di questa equazione di fedeltà e felicità, così ricorrente negli scritti e nella predicazione del Beato Josemaría, don Álvaro ci ha offerto una personificazione veramente convinta e convincente.

4. Della realtà della nostra filiazione divina in Cristo il Beato Josemaría fece il fondamento dello spirito dell’Opus Dei. Vissuta nei fatti, la filiazione divina ci conduce come per mano ad amare la fraternità e a testimoniarla nel servizio agli altri, a tutte le anime. Non possiamo ritenere di essere buoni figli di Dio se non sentiamo palpitare in noi —se non ci consuma— lo zelo di aiutare gli uomini, nostri fratelli. In don Álvaro questa sintesi fra l’amore di Dio e l’amore per gli uomini ha trovato lo sbocco vitale più immediato e tangibile nella lealtà con cui visse il proprio rapporto filiale con il Fondatore. Lo seguì come il figlio più fedele segue un padre dotato di un cuore immenso. E lo fece perché convinto che la propria fedeltà al Signore doveva identificarsi con la fedeltà al Padre, in quanto Dio aveva scelto proprio lui come guida del suo cammino di santità. Accanto al Padre lavorava per la Chiesa, compiva i desideri del Papa e spendeva la propria vita per il bene di tutte le anime.

Sono persuaso che don Álvaro ha servito costantemente la Chiesa —lo ripeto— proprio perché ha assecondato nostro Padre come un “figlio fedelissimo”. Quest’espressione, che leggiamo nella preghiera per la devozione privata, mi sembra costituisca il ritratto più sintetico e preciso della sua figura. Non si può comprendere il legame che l’univa al Beato Josemaría soltanto alla luce di una singolare sintonia umana. Era un rapporto il cui polo costitutivo si trovava, nella coscienza di don Álvaro, saldamente ancorato a Dio. Di qui l’eroismo con cui per quarant’anni, stando al fianco del nostro Fondatore, fu sempre la sua ombra: lo aiutò, con la sua fortezza silenziosa e sorridente, nei momenti della prova e della contrarietà, nel lavoro quotidiano, nella preghiera e nella penitenza, nelle gioiose fatiche che li condussero a percorrere il mondo nel desiderio di aiutare sempre di più le anime, amando pazzamente Dio nelle situazioni più comuni della giornata.

5. Quando il Signore lo chiamò a succedere al nostro santo Fondatore, don Álvaro profuse, nel governo della Prelatura, le proprie eminenti doti soprannaturali ed umane ad applicare con la massima esattezza lo spirito che Iddio aveva voluto per l’Opus Dei ed affidato al Fondatore. Divenuto erede della paternità spirituale del Beato Josemaría nei confronti di tutti noi, egli continuò ad essere il figlio fedelissimo di nostro Padre, perché non intese la successione come sostituzione, ma come continuità. E così, dopo aver dato a tutti i fedeli della Prelatura esempio di filiazione, ha fornito anche il modello perfetto di ciò che deve essere il Prelato dell’Opus Dei: Padre dei suoi figli e figlio di nostro Padre.

Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata[7]: questa trasformazione è anche un innalzamento, una divinizzazione degli affetti umani più cari e sentiti. Immerso nella contemplazione della gloria di Dio —così confidiamo—, don Álvaro esercita con amore ancora più soprannaturale ed effiace la paternità e la filiazione. La sua intercessione mira soprattutto a spianare dinanzi ai suoi figli la via della santità. Chiediamogli di impetrare per noi da Dio la grazia di vivere con sempre maggior intensità la nostra filiazione adottiva in Cristo e a tradurla nella ferma decisione di essere buoni figli di nostro Padre. E così anche in noi l’amore di Dio e l’amore fattivo per il prossimo diverranno una sola cosa.

Che la Madonna, Figlia di Dio Padre, Madre di Dio Figlio, Sposa di Dio Spirito Santo[8] e Madre dei cristiani, presenti oggi al Signore questa nostra supplica.

[1] Canto al Vangelo (Mt 11, 28).

[2] Orazione colletta.

[3] Cfr. 4 Esdr 2, 35.

[4] Beato Josemaría Escrivá, Lettera, 31-V-1943, n. 1.

[5] Seconda lettura (Rm 8, 15).

[6] Cfr. Rm 8, 28.

[7] Prefazio I nelle Messe dei defunti.

[8] Cfr. Cammino, n. 496.

Romana, n. 20, Gennaio-Giugno 1995, p. 144-147.

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