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Omelia pronunciata il 26 giugno 1996 nella Basilica di S.Eugenio (Roma) in occasione della festa liturgica del Beato Josemaría Escrivá

1. Vorrei cominciare soffermandomi su un particolare molto significativo del brano evangelico che abbiamo appena letto. Fra tutte le barche ormeggiate in riva al lago, il Signore non ne sceglie una a caso, ma quella di Simone: dalla barca di Pietro, predica alla folla. Su quella piccola barca vuole che si compia il miracolo della pesca. È un segno palese di una precisa intenzione di Dio.

Oltre al significato storico dei fatti narrati dal Vangelo, la Chiesa ci invita infatti a cercare un’interpretazione spirituale, solidamente fondata sul senso letterale, per giungere ad una più profonda comprensione della dottrina di Cristo[1]. Cosi, nella barca di Pietro la Tradizione ha sempre riconosciuto un’immagine della Chiesa che, guidata dal principe degli Apostoli, solca i mari del mondo e, fedele al mandato di Cristo, getta le proprie reti in tutte le latitudini geografiche, in tutte le culture, in tutti i ceti della società e, ovunque, raccoglie una copiosa pesca di anime.

In sintonia con la tradizione patristica, il Beato Josemaría osserva che «quando Gesù si mise in mare coi discepoli, non aveva di mira solo questa pesca. Perciò, quando Pietro si inginocchia ai suoi piedi e confessa con umiltà: Allontanati da me che sono un peccatore, il Signore risponde: Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini (Lc 5, 10). E anche in questa nuova pesca non mancherà tutta l’efficacia divina: gli apostoli saranno strumenti di grandi prodigi, nonostante le loro personali miserie»[2].

La conseguenza che ne possiamo ricavare è chiara: occorre mantenersi fermamente uniti al Romano Pontefice, successore di San Pietro nel governo della Chiesa universale. Solo cum Petro e sub Petro —con il Papa e sotto il Papa[3]- si può vivere in piena comunione con la Chiesa e, perciò stesso, con Dio: Ubi Petrus, ibi Ecclesia, ibi Deus, proclama il famoso adagio, che il Beato Josemaría glossava così: «Vogliamo stare con Pietro, perché con lui sta la Chiesa, con lui sta Dio e, senza di lui, non si sta con Dio. Per questo io ho voluto romanizzare l’Opera. Amate molto il Padre Santo. Pregate molto per il Papa. Vogliategli bene, ma molto bene! Perché ha bisogno dell’affetto di tutti i suoi figli»[4].

2. Questi pensieri rivestono oggi una particolare attualità per i fedeli della Prelatura: infatti si sono appena compiuti cinquant’anni dal giorno in cui il nostro Fondatore giunse a Roma. Era il 23 giugno 1946, vigilia della solennità della nascita di San Giovanni Battista, quando il Beato Josemaría, superando una curva della via Aurelia, vide per la prima volta la cupola di San Pietro. Veniva a Roma, sospinto dallo Spirito Santo, per ottenere dalla Santa Sede uno statuto giuridico adeguato all’Opus Dei. Era stato Mons. Alvaro del Portillo, da lui inviato nell’Urbe qualche mese prima allo scopo di avviare le pratiche per tale approvazione pontificia dell’Opera, a sollecitare la sua presenza.

Infatti, sembrava che non ci fosse posto, nel diritto canonico allora vigente, per un fenomeno pastorale così nuovo. A quel tempo, come ebbe a scrivere poco più tardi il Beato Josemaría, «l’Opera appariva, al mondo e alla Chiesa, come una novità. La soluzione giuridica che cercavo sembrava impossibile. Ma, figlie e figli miei, io non potevo aspettare che le cose diventassero possibili (...). Bisognava tentare l’impossibile. Sentivo l’urgenza di migliaia di anime che si donavano a Dio nella sua Opera, con la pienezza della nostra dedizione, per fare apostolato in mezzo al mondo»[5]. E come riuscì ad ottenere “l’impossibile”? La risposta scandisce tutta la storia dell’Opus Dei: prodigandosi anzitutto nella preghiera e nella penitenza. E, ancora una volta, la fiducia e la perseveranza nel ricorso ai mezzi soprannaturali mostrò la propria efficacia. L’Opus Dei ricevette l’approvazione pontificia ed iniziò così una nuova tappa di quel lungo cammino giuridico che sarebbe culminato molti anni dopo con l’erezione in Prelatura personale da parte del Santo Padre Giovanni Paolo II.

Oggi innalziamo la nostra azione di grazie alla Santissima Trinità che, nella sua provvidente misericordia, si valse di quelle circostanze per indurre il Beato Josemaría ad intraprendere il suo pellegrinaggio ad sedem Petri, alla sede di Pietro, ove l’Opus Dei doveva gettare le proprie radici. Era necessario romanizzare l’Opera; era necessario, cioè, consolidare ulteriormente e sviluppare ancor più quella profonda comunione con il Romano Pontefice che l’Opus Dei, in quanto porzione viva della Chiesa, annovera fra le proprie caratteristiche essenziali.

Dal 2 ottobre 1928 il Beato Josemaría condensò l’anelito di porre l’Opera al servizio della Chiesa in una frase categorica: «omnes con Petro ad Iesum per Mariam!», fare in modo che tutti gli uomini, uniti al Vicario di Cristo, giungano a Gesù per mezzo di sua Madre. Con il suo arrivo a Roma nel 1946, quest’aspirazione poté esplicitarsi in numerose realtà fattive di servizio alla Chiesa e al Papa nel corso dei quasi trent’anni che il Fondatore dell’Opus Dei trascorse nella Città Eterna, fino al 26 giugno 1975, quando il Signore lo chiamò a godere della gloria del Cielo.

3. Gli anni romani del Beato Josemaría Escrivá furono segnati da una fecondità apostolica davvero straordinaria. A Roma e da Roma egli guidò personalmente l’espansione dell’Opus Dei in tutti i continenti. Lo spirito universale, cattolico, che contraddistingueva l’Opera fin dalla fondazione, divenne splendida realtà. La Città Eterna fu lo scenario quotidiano della sua preghiera incessante, della sua continua penitenza, di quello zelo di Pastore che gli consumava il cuore e gli faceva rivolgere ad ogni paese, persino prima che la Prelatura potesse estendervi la propria attività, quello «sguardo incendiario» di cui parla in uno dei suoi libri[6], espressione del desiderio ardente di infiammare le anime con il fuoco dell’amore di Dio portato da Cristo sulla terra[7].

E tutto ciò egli lo portò a compimento in un nascondimento che, per lungo tempo, fu quasi totale. Erano gli anni in cui, proprio per la sua novità pastorale, l’Opus Dei stentava ancora ad aprirsi un varco nella Chiesa: contava sull’affetto di molti, ma non mancavano neppure le incomprensioni da parte di alcuni e gli ostacoli posti da altri. Così le cose, un’alta personalità della Curia romana suggerì al Fondatore la convenienza di ridurre al minimo indispensabile la propria attività esteriore, proprio allo scopo di sottrarre ogni possibile pretesto ai sospetti. Forzando il proprio carattere, per natura espansivo e portato al dialogo, il Beato Josemaría seguì il consiglio. E si astenne da qualsiasi intervento pubblico. Per un sacerdote innamorato, e proteso con tutte le forze ad attirare le anime al Signore, fu una rinuncia non facile, che egli offrì di tutto cuore al Signore, prodigandosi ancor più generosamente nella preghiera e nel lavoro, in silentio et in spe[8].

Quel nascondimento volontario non significava assolutamente inerzia o indifferenza per la Chiesa e per le anime. Anzi, oltre a sollevarsi ai vertici massimi della vita contemplativa nel lavoro quotidiano, proprio in quegli anni egli stimolò la prima ampissima espansione del’Opus Dei in tanti Paesi del mondo. Dalla stanzetta in cui lavorava nella Sede centrale della Prelatura, e nei suoi frequenti ed estenuanti viaggi sulle strade dell’Europa, il Beato Josemaría fu davvero il chicco di grano, che si sotterra e muore, perpetuandosi in una mietitura sconfinata[9]: dalla sua intimità con Dio tutti abbiamo tratto beneficio, anche ora.

Ricordando la traiettoria terrena del Beato Josemaría, possiamo ricavarne oggi un insegnamento importantissimo. Se veramente desideriamo servire la Chiesa e le anime —e questa deve essere la nostra unica ambizione—, oltre a permanere strettamente uniti al Santo Padre ed ai Vescovi diocesani, dobbiamo operare con umiltà, senza cercare mai la lode o il consenso degli uomini: Deo omnis gloria! Per Dio, e solo per Lui, deve essere tutta la gloria. In questo modo, lasciando agire Cristo in noi, non disturberemo la sua presenza e la sua azione nel mondo. E, attraverso di noi, come, sulle acque del lago di Genezaret, attraverso gli Apostoli, si opereranno grandi miracoli. Il lavoro professionale, i rapporti familiari e sociali, l’amicizia, tutte le nostre attività umane si colmeranno di frutto e, come le reti di Simone, poseranno ai piedi del Maestro piscium multitudinem copiosam[10], una gran quantità di anime.

Domandiamoci sinceramente: alimentiamo costantemente in noi stessi lo zelo per le anime, che è segno di riconoscimento caratteristico dei cristiani? Confidiamo nella forza della preghiera e nell’efficacia del buon esempio per attrarre altra gente a Cristo? Che cosa stiamo facendo per portare a Dio coloro con cui siamo abitualmente in contatto: familiari, amici, colleghi di lavoro? Non potremmo fare di più? Sentiamo la responsabilità di aiutare altre persone a incontrarsi con Gesù nel sacramento della Penitenza?

Affinché queste domande si traducano in efficaci propositi operativi, ricorriamo all’intercessione del Beato Josemaría che, attraverso la mediazione di Maria Santissima, otterrà per noi dal Signore la grazia di «servire con gioia e semplicità la Chiesa, il Romano Pontefice e tutte le anime». Così sia.

[1] Cfr. Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione biblica nella Chiesa, 15-IV-1993, II, B, 2 (EV 13, 3002-ss.).

[2] Amici di Dio, 261.

[3] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22; decr. Christus Dominus, n. 4.

[4] Beato Josemaría, appunti da una conversazione familiare, 11-V-1965.

[5] Beato Josemaría Escrivá, Lettera, 25-I-1961, n. 19.

[6] Solco, n. 297.

[7] Cfr. Lc 12, 49.

[8] Cfr. Is 30, 15.

[9] Cfr. Gv 12, 24.

[10] Lc 5, 6.

Romana, n. 22, Gennaio-Giugno 1996, p. 48-51.

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