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Omelia pronunciata il 9 giugno 1996 nella chiesa del Beato Josemaría Escrivá in Roma in occasione dell'ordinazione presbiterale di quindici diaconi della Prelatura

1. Nella solennità del Santissimo Corpo di Cristo, la Chiesa innalza fino al Cielo l’espressione della propria gratitudine per il dono ineffabile dell’Eucaristia. Oggi la nostra azione di grazie acquista toni di particolare intensità: un clima se possibile ancor più festoso circonda questa celebrazione liturgica, nel corso della quale conferiremo l’ordinazione sacerdotale a questi quindici diaconi.

La santissima Eucaristia è davvero il dono più grande elargito da Gesù alla Chiesa. In essa, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, «è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè, lo stesso Cristo, nostra pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini»[1]. Essa è «sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura»[2].

Gesù, Signore nostro, offrendo agli uomini il cibo eucaristico, ci introduce nel flusso di conoscenza e di amore infinito in cui consiste la vita della Trinità Santissima. Un dono che dischiude dinanzi a noi la possibilità di raggiungere un’unione così intima e vitale con Lui che supera i sogni anche più ambiziosi: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me[3].

Come dunque potremo ricambiare, seppure entro i limiti della nostra insufficienza, un dono così splendido? Ecco la risposta del Beato Josemaría: «Per corrispondere a tanto amore ci si richiede una totale donazione, del corpo e dell’anima»[4]. Il Fondatore dell’Opus Dei, nella sua eroica docilità alla grazia, seppe donare interamente se stesso al Signore: tutti i progetti che la sua privilegiata intelligenza fu capace di elaborare, gli affetti che il suo grande cuore albergava, le decisioni plasmate dalla sua volontà ferrea. La pala d’altare di questa chiesa lo raffigura nella gloria celeste immerso nell’adorazione della Trinità. È vero: ora, in Cielo, egli attua in modo definitivo quell’adorazione, quella gratitudine e quella supplica a Dio che sono finalità proprie del sacrificio eucaristico. In qualche modo, possiamo dire che la sua è ormai una Messa che non avrà mai più fine. Permettetemi di ricordarvi il fine espiatorio della Santa Messa: quando vi accosterete all’altare, figli miei, sappiate unirvi a Gesù che torna ad offrire il proprio Corpo ed il proprio Sangue al Padre, implorando il perdono dei peccati di tutti gli uomini.

Proprio per celebrare il sacrificio della Messa, voi, che state per ricevere l’Ordine sacerdotale, sarete segnati dallo Spirito Santo e configurati così a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo capo[5]. Infatti, come il Santo Padre ha scritto ai Vescovi della Chiesa e a tutti i sacerdoti, l’Eucaristia «è la principale e centrale ragion d’essere del sacramento del sacerdozio, nato effettivamente nel momento dell’istituzione dell’Eucaristia e insieme con essa (...).Mediante la nostra ordinazione (...) noi siamo uniti in modo singolare ed eccezionale all’Eucaristia. Siamo, in certo modo, “da essa” e “per essa”. Siamo anche, e in modo particolare, responsabili “di essa”»[6].

È principalmente dall’Eucaristia che il ministero sacerdotale trae il proprio senso. Nella celebrazione, infatti, i presbiteri «esercitano massimamente la loro funzione sacra»[7]. Non dimenticatelo mai. Il Beato Josemaría ci ha dato un esempio assai eloquente di amore al Santissimo Sacramento.

Anche il ricordo di Mons. Álvaro del Portillo, figlio fedelissimo e primo successore del Beato Josemaría, vi aiuterà a fare dell’Eucaristia il vero centro di tutto il vostro ministero sacerdotale. Egli esortava i sacerdoti dell’Opus Dei a fondare l’efficacia dell’impegno pastorale sulla cura attenta e delicata della liturgia eucaristica: «La devozione nel ministero eucaristico —diceva— sarà il vostro miglior apostolato, il migliore servizio che potete rendere come strumenti di unità»[8]. Strumenti di unità: queste parole illuminano il vostro compito di sacerdoti incardinati nella Prelatura e, pertanto, tenuti ad adoperarvi senza posa nel sostenere la santità dei fedeli di questa porzione della Chiesa e, con loro, di tutte le anime che il Signore porrà lungo il cammino della vostra vita. E poiché l’unità nella Chiesa è garanzia di unione con Dio, fra i primi aneliti del sacerdote si trova proprio la promozione dell’unità: unità fra tutti i fedeli e unità di ciascuno con il Santo Padre e con i legittimi Pastori.

Siate consapevoli del fatto che il sacerdote non deve porre limiti alla propria dedizione al ministero. Come Cristo, che ha dato la vita per noi, anche il sacerdote è chiamato a donare con totale generosità sé stesso. E ciò, oltre che, primariamente nella celebrazione dell’Eucaristia, anche nell’amministrazione degli altri sacramenti e nella predicazione della Parola di Dio. Lo esprime mirabilmente la liturgia nel prefazio della Messa crismale: «Tu vuoi che nel suo nome —nel nome di Cristo— rinnovino il sacrificio redentore, preparino ai tuoi figli la mensa pasquale, e, servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la tua parola e lo santifichino con i sacramenti»[9].

2. Nella prima lettura abbiamo visto come il Signore, rivolgendosi al popolo d’Israele che peregrinava nel deserto in cerca della terra promessa, paragoni la Parola rivelata al cibo corporale, sottolineandone così l’assoluta necessità: ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore[10]. La predicazione dei sacerdoti deve costituire un vero nutrimento spirituale per i fedeli. Il Concilio ammonisce: «Il loro compito non è di insegnare una propria sapienza, bensì di insegnare la parola di Dio e di invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità»[11]. Meditate su quest’ultimo richiamo: «Invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità». Dovremmo soffermarci su ogni parola di questo brevissimo testo, perché nel loro insieme ritraggono un aspetto caratteristico del ministero sacerdotale: la forza con cui il sacerdote fa echeggiare nelle anime la chiamata amorosa di Dio alla santità; la fede che deve informare la sua predicazione e la fa echeggiare in appelli pressanti alla conversione; l’ambizione santa —speranza e umiltà, insieme— che sa destare nelle creature, fino ad aprirle all’ideale della comunione piena di vita con Dio. Non possiamo ridurre la portata di simili traguardi, perché da essi dipende l’autenticità della vita cristiana. Essere cristiano esige la santità. La pienezza della carità[12] non è un di più facoltativo, bensì l’unica risposta adeguata alla precisa chiamata divina che ci viene rivolta col Battesimo: questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione[13].

Pensate, figli miei che vi apprestate a ricevere l’ordinazione sacerdotale, quanto è esigente e, al contempo, esaltante il ministero della parola, che già come diaconi state esercitando da alcuni mesi. E fate vostra la riflessione di san Gregorio Magno: «Si insegna con autorità, quando prima si fa e poi si dice»[14]. Per essere in grado di invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità, occorre che la vostra parola sia sempre preceduta dalla continua conversione a Dio, da una ricerca personale ed appassionata della santità.

Il traguardo assegnatoci dalla Parola di Dio è, dunque, altissimo. Ma il Signore stesso ci fornisce i mezzi che consentono di soddisfare le sue stesse richieste: la santità è mèta ed è dono. Nutrire i fedeli con la Parola e santificarli con i sacramenti. È soprattutto quest’aspetto del ministero che illumina l’identità del sacerdote. Il Beato Josemaría lo definisce come lo «strumento immediato e quotidiano della grazia salvifica che Cristo ha meritato per noi»[15]. Con quanta immediatezza questa verità rifulge nel ministero della Penitenza! Qui il sacerdote non solo serve Cristo, ma deve offrire un’immagine fedele del Buon Pastore attraverso la carità con cui sa accogliere il penitente e muoverlo ad aprirsi alla grazia del perdono. Il Santo Padre Giovanni Paolo II lo insegna in modo chiaro e profondo: «Il Cristo, che da lui [dal sacerdote, ministro della Penitenza] è reso presente e che per suo mezzo attua il mistero della remissione dei peccati, è colui che appare come fratello dell’uomo, pontefice misericordioso, fedele e compassionevole, pastore deciso a cercare la pecora smarrita, medico che guarisce e conforta, maestro unico che insegna la verità e indica le vie di Dio, giudice dei vivi e dei morti, che giudica secondo la verità e non secondo le apparenze»[16].

Ogni aspetto del ministero sacerdotale ci pone di fronte all’esigenza fondamentale di riprodurre integramente nella nostra vita l’identità teologica del sacerdozio ministeriale che ci viene conferita. Infatti, come il Santo Padre ci ricorda, «i presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore»[17], «sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore, attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza in mezzo al gregge loro affidato»[18].

Ciò vuol dire che il sacerdote non deve attrarre l’attenzione dei fedeli su di sé, ma cercare di divenire “trasparenza di Cristo”. L’esempio del Beato Josemaría vi aiuterà a mettere in pratica questo proposito che —ne sono sicuro— avete già formulato nel vostro cuore. Sin dai primi passi nel sacerdozio, egli si impegnò per sospingere le anime fino a Dio. Le immagini visive dell’estenuante predicazione, condotta nei suoi ultimi anni di vita in diversi Paesi d’Europa e del Continente americano, ci mostrano come, anche dinanzi a folle immense che pendevano dalle sue labbra, egli non parlasse altro che di Dio, in tono volutamente semplice e sempre autenticamente soprannaturale.

3. Un distacco così completo da se stessi ed una dedizione così totale al servizio di Cristo è possibile se il sacerdote si sforza positivamente per nascondersi, per mettere da parte la propria personalità, i gusti e le preferenze personali, e lasciarsi guidare solo dallo Spirito Santo. Perciò la Chiesa, allorché gli eletti al presbiterato stanno prostrati al suolo e l’assemblea ha cantato le Litanie dei Santi, per mezzo del Vescovo rivolge questa supplica a Dio Padre: «Effondi la benedizione dello Spirito Santo e la potenza della grazia sacerdotale su questi tuoi figli». E, anche nel momento culminante della Preghiera di Ordinazione, invoca: «Rinnova in loro l’effusione del tuo Spirito di santità»[19].

Siate, dunque, frequentatori docili ed assidui dello Spirito Paraclito. In virtù della sua unzione sarete segnati da uno speciale carattere che vi configurerà a Cristo Sacerdote[20]. E sarà opera dello Spirito Santo la vostra progressiva conformazione a Cristo, attraverso la crescita nella carità pastorale, «quella virtù —scrive il Papa— con la quale noi imitiamo Cristo nella sua donazione di sé e nel suo servizio»[21].

Consentitemi di citare un’altra volta il Beato Josemaría, il quale ci rammenta con queste parole la prima e più fondamentale disposizione che deve informare la nostra devozione al Paraclito: «La tradizione cristiana ha (...) riassunto in una sola idea l’atteggiamento che dobbiamo avere nei confronti dello Spirito Santo: docilità»[22]. «Se siamo docili allo Spirito Santo, l’immagine di Cristo verrà a formarsi sempre più nitidamente in noi, e in questo modo saremo sempre più vicini a Dio Padre»[23]. Colui che sa rispondere senza tentennamenti alle ispirazioni dello Spirito Santo progredisce celermente nel cammino verso la santità, verso l’intima comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Si avverano allora nel cristiano, assetato di identificarsi nei fatti con Cristo, le parole del Salmista: esulta come prode che percorre la via[24].

La meta è alta, ma —lo ripeto— altrettanto entusiasmante: è infatti Gesù stesso che ci chiama, ci sostiene e ci guida nel suo raggiungimento. Lo dico a voi, figli miei, che fra pochi istanti sarete sacerdoti, lo dico a me stesso e a tutti i presenti: rispondiamo fedelmente ogni giorno, ogni momento all’azione in noi dello Spirito santificatore, donatoci dal Padre e dal Figlio; non lasciamo cadere a vuoto i suoi doni.

Vorrei ora rivolgere alcune parole ai genitori e ai fratelli degli ordinandi. La chiamata al sacerdozio ministeriale è un dono che Dio fa a tutta la Chiesa, ma è anche espressione particolare del suo amore verso le vostre famiglie: da adesso in poi, ogni giorno della sua vita, quando questo vostro figlio, questo vostro fratello sacerdote, offrirà il sacrificio della Santa Messa, presenterà alla Trinità Beatissima i vostri desideri e le vostre necessità. Ringraziate il Signore per questa grazia e pregate, anche voi tutti i giorni, per la fedeltà dei nuovi sacerdoti.

Invochiamo la Madonna, Figlia di Dio Padre, Madre di Dio Figlio, Sposa di Dio Spirito Santo. La sua intercessione ci otterrà il dono di una pronta docilità al divino Paraclito. Invochiamola anche perché stia sempre vicina, con materna sollecitudine, ai nuovi presbiteri. Noi vi auguriamo che, in tutta la vostra vita sacerdotale, si compia l’auspicio di sant’Ambrogio: «Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio»[25]. Così sia.

[1] Concilio Vaticano II, Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 5.

[2] Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 47.

[3] Gv 6, 56-57.

[4] È Gesù che passa, n. 87.

[5] Cfr. Concilio Vaticano II, Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 2.

[6] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Dominicæ cenæ, 24-II-1980, n. 2.

[7] Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 28.

[8] Omelia, 13-VI-1993, in “Romana” 16 (1993), 38.

[9] Messa crismale del Giovedì Santo, Prefazio.

[10] L. I (Dt 8, 3).

[11] Concilio Vaticano II, Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 4.

[12] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 40.

[13] 1 Ts 4, 2.

[14] San Gregorio Magno, Moralia in Iob, 23, 24: PL 76, 266.

[15] Beato Josemaría Escrivá, Omelia Sacerdote per l’eternità, 13-IV-1973.

[16] Esort. ap. post-sinodale Reconciliatio et pænitentia, 2-XII-1984, n. 29.

[17] Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 25-III-1992, n. 15.

[18] Ibid.

[19] Ordinazione dei presbiteri, Preghiera di consacrazione.

[20] Cfr. Concilio Vaticano II, Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 2.

[21] Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 25-III-1992, n. 23.

[22] Beato Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, n. 130.

[23] Ibid., n. 135.

[24] Sal 19 (18), 6.

[25] Sant'Ambrogio, Expositio Evangelii secundum Lucam, 19, 26: CCL 14, 42.

Romana, n. 22, Gennaio-Giugno 1996, p. 44-48.

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