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Articolo del Prelato dell'Opus Dei pubblicato nel quotidiano italiano " La Stampa "

Il 13 novembre 1996 è stato pubblicato nel quotidiano italiano “La Stampa” un articolo del Prelato dell’Opus Dei in occasione del giubileo sacerdotale del Santo Padre Giovanni Paolo II. L’intervento di Mons. Echevarría è giunto anche in altri Paesi. Fra gli altri, è stato pubblicato, integralmente o parzialmente, dai seguenti quotidiani: “Le Figaro” (Parigi, Francia); “Diario de Avisos” (Santa Cruz de Tenerife, Spagna); “Gacete Regional” (Salamanca, Spagna); “Diario de Burgos” (Burgos, Spagna); “Diario de Navarra” (Pamplona, Spagna); “Correo Gallego” (Santiago de Compostela, Spagna), “O Estado de São Paulo” (Brasile).

Fedeltà e felicità

(Riflessioni intorno al 50º anniversario del sacerdozio di Giovanni Paolo II)

Cinquant’anni di sacerdozio. Associando alla celebrazione tutti i sacerdoti che festeggiano la stessa ricorrenza, il Santo Padre le ha dato un significato più ampio: l’anniversario della sua ordinazione è così divenuto occasione per una riflessione sul sacerdozio. Una riflessione che spontaneamente, forse perché legata alla figura del Padre comune, acquista subito un profilo che tocca da vicino ciascuno di noi: quasi per istinto, infatti, ci sentiamo portati a leggere quest’evento come un messaggio sul valore ed i frutti della fedeltà.

Lo stesso Giovanni Paolo II ha detto: «L’identità sacerdotale è questione di fedeltà a Cristo» (Discorso, 27.X.1995). Parole che scavalcano gli approcci psicologici al problema della vocazione, le considerazioni sociologiche e i prospetti statistici, per collocarsi al livello decisivo: quello dell’esperienza personale, della verità che nella vita della persona trova la propria conferma più eloquente.

E qui, nella vita del Papa e delle altre migliaia di sacerdoti che festeggiano con lui il cinquantesimo anno di ordinazione, tutti noi riscopriamo una verità di cui siamo sempre stati certi, anche se i costumi talvolta sembrano ignorarla: il nesso vitale che lega inseparabilmente fedeltà e felicità. E risuona con maggiore forza nella nostra memoria la promessa di Gesù: «Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25, 21). Mi sei stato fedele; io ti farò felice.

Questo nesso appare addirittura trasparente nella persona del Papa. La fedeltà è la chiave della felicità e la felicità è intessuta di fedeltà quotidiana, “nel poco”. Termini inseparabili, perché legati da una radice comune che affonda non nel terreno delle etimologie, ma della vita: l’amore. Solo se si ama si può avere la forza di essere sempre fedeli; e solo chi ama è anche felice. Riprendendo la promessa di Gesù, da cui siamo partiti, possiamo aggiungere che solo Cristo è la fonte genuina di quest’amore. Gli esempi vivi che quest’anniversario ci propone mostrano infatti come l’amore che genera fedeltà è dono di sé fino al sacrificio, dedizione che, solo quando si consuma senza ripensamenti, conosce il premio della gioia.

Esempi vivi, dicevo, che sembrano incarnare le parole di San Paolo: «Mi prodigherò volentieri, anzi consumerò me stesso per le vostre anime» (2 Cor 12, 15). Solo l’esempio di Cristo e la forza che ci viene da lui possono suscitare in noi la decisione di una dedizione di fedeltà senza riserve alla missione che abbiamo liberamente assunto nella vita. Un piccolo episodio, fra i tanti, nella biografia del Papa basta ad illustrare questa realtà, un episodio che certamente ha riscontri del tutto paralleli nella storia di tanti sacerdoti e di innumerevoli cristiani. Un giorno, spinto dall’affetto, un noto studioso ebbe a suggerirgli: «Santità, cerchi di risparmiarsi un po’: tanto lavoro la consuma». Ed il Papa, con altrettanto affetto ma non minore fermezza, rispose: «La prego, non mi dia più consigli come questo. Io sono qui per servire e quello di cui la Chiesa ha bisogno è un Papa che lotti ogni giorno per essere santo. E poi, dopo un Papa ne viene un altro».

Ecco il messaggio di fedeltà di cui parlavo. La fedeltà del cristiano non è semplice permanenza, mantenere la parola data. Essa è dono di sé rinnovato ogni giorno, impegno di servizio capace di vincere qualsiasi inerzia e di riconfermarsi momento per momento. L’uomo fedele, la donna fedele, non ha lo sguardo rivolto al passato, ma ad un futuro che si fa attuale oggi, ora. Non si accontenta di ciò che ha dato già; non tiene il conto dei sacrifici fatti. Non dimentica la lezione di Sant’Agostino: «Se dici, basta!, sei perduto. Cresci sempre, progredisci, avanza sempre» (Sermo 169, 18). Chi è fedele ripete sempre a se stesso: «Io sono qui per amare e per servire». E si domanda: che cosa possa fare ancora, che cosa mi resta da dare? L’uomo, la donna fedele a Dio resta perennemente giovane, perché il suo amore ha più futuro che passato.

«Dalla mia ordinazione sacerdotale mi sono lasciato condurre dal Signore sulle strade che Egli mi ha aperto dinanzi giorno dopo giorno» (30-X-1996): così, alla vigilia di quest’anniversario, il Papa ha esplicitato la semplicità assolutamente lineare della fedeltà cristiana. Abbandonarsi a Dio, lasciarsi guidare da Lui; ma non in modo rassegnato o passivo, anzi, collaborando con tutte le energie della nostra libertà nell’esecuzione dei suoi disegni, compiendo con impegno ciò che il Signore ogni giorno ci chiede attraverso gli accadimenti più banali. Essere fedeli significa corrispondere alla grazia divina. La santità cristiana altro non è che questo. A questo non sono chiamati solo il Papa ed i sacerdoti che celebrano con lui il cinquatesimo anniversario della propria ordinazione, ma tutti i battezzati. Una sequenza di sì detti a Cristo nelle cose, per lo più minute, della vita quotidiana.

Fedeltà nell’amore, abbiamo detto. Ma occorre completare la formula: fedeltà alla verità. «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato» (Gv 7, 16): Gesù è il primo modello di tale fedeltà. Annuncia ciò che il Padre lo ha mandato ad insegnare agli uomini. La fermezza con cui il Santo Padre proclama nella sua integrità la verità rivelata ci svela un’altra valenza importante della fedeltà: essa è libertà. Libertà dai condizionamenti culturali, dalle pressioni, dai miraggi del facile successo, dai conformismi, dalla ricerca ad ogni costo di quel consenso che è spesso tradimento della propria più profonda identità.

Si dirà che il prezzo da pagare è duro. La fedeltà, sin dai primi anni del sacerdozio, ha comportato per il Papa l’esperienza della Croce. Seguire Cristo è sempre incontrare la Croce. Lo è per il sacerdote e lo è per un genitore che affronta tanti sacrifici per il bene dei figli, lo è per il lavoratore che conosce il sudore della fatica, per il disoccupato provato da costanti insicurezze e ripetute delusioni... Ma anche qui la fedeltà genera libertà. Perché il dolore non incatena il cristiano all’amarezza, ma lo redime. Qui il segreto della felicità sta nell’unire la propria sofferenza al Sacrificio di Cristo: «Mai nel corso di questi anni ho lasciato la celebrazione del Santissimo Sacrificio (...). La Santa Messa è in modo assoluto il centro della mia vita e di ogni mia giornata» (Discorso, 27.X.1995).

Il Santo Padre ci ha mostrato come il dolore, in questi ultimi anni il dolore fisico, può diventare una forza, una forza nuova da gettare nell’impegno di servire fedelmente la Chiesa: «In questi giorni di malattia ho modo di comprendere ancor meglio il valore del servizio che il Signore mi ha chiamato a rendere alla Chiesa come sacerdote, come vescovo, come successore di Pietro: esso passa anche attraverso il dono della sofferenza, mediante la quale è possibile completare nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1, 24)» (13.X.1996). Un cuore che ama non rifugge dalla Croce, perché in essa abbraccia Cristo. È la risposta più convincente alla domanda di San Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia...?» (Rm 8, 35). Questa ricorrenza ci ricorda che fedeltà e felicità fanno tutt’uno. La consapevolezza che il dolore è la forgia dell’amore toglie ogni sapore fiabesco alla speranza del cristiano.

+ Mons. Javier Echevarría

Vescovo Prelato dell'Opus Dei

Romana, n. 23, Luglio-Dicembre 1996, p. 197-199.

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