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Il Sole-24 Ore. 24-V-1997

Il 24 maggio 1997, “Il Sole 24 Ore” ha pubblicato, col titolo “Solidarietà e il valore del lavoro”, il seguente articolo di S.E.R. Mons. Javier Echevarría.

SOLIDARIETÀ, IL VALORE DEL LAVORO

Recenti provvedimenti giurisprudenziali in Italia hanno rimesso in discussione il lavoro come diritto primario e quindi hanno riproposto il tema —non solo italiano, ma universale— del valore del lavoro per l’uomo di oggi. La crisi attuale dell’uomo che lavora dipende in non piccola misura da false concezioni del lavoro: quella materialistica, che per oltre un secolo ha polarizzato l’attenzione sul rischio dell’alienazione e ha incitato alla lotta di classe; e poi quella tecnocratica, tipica dell’efficientismo, caratterizzato da una visione puramente strumentale del lavoro. Concezioni, appunto, che portano con sé conseguenze negative, sia dal punto di vista personale (frustrazioni di diverso genere), sia dal punto di vista sociale.

Se un aspetto della vita umana è importante per la coscienza civile, lo è anche per la Chiesa, che fin dai primi secoli ha tenuto in gran considerazione tutto ciò che è realmente importante per l’uomo, sia che si tratti di problemi individuali che di valori sociali. Cristo è Dio che ha assunto la natura umana con tutti i suoi valori e con tutti i suoi problemi. La Chiesa condivide con tutti gli uomini di buona volontà la sollecitudine per i problemi reali, ma c’è anche quella differenza del “supplemento d’anima” che la Chiesa può e deve fornire.

La Chiesa di oggi ha —di fronte alla cultura del lavoro e dei problemi sociali— delle credenziali straordinarie: le opere sociali che essa ha promosso e ha contribuito a promuovere, e la sua dottrina sociale, sviluppata in modo mirabile negli ultimi cento anni. L’inventiva e la sensibilità sociale dei cristiani continua a dar vita a nuove forme di solidarietà con il mondo del lavoro, attraverso scuole professionali di ogni tipo, proprio in rapporto alle reali condizioni della società, dell’istruzione e del mercato del lavoro. Non si dimentichi che l’idea stessa di scuole professionali è nata all’interno della Chiesa, come in altri tempi sono nate nella Chiesa le università, gli ospedali, gli ospizi, gli orfanotrofi.

Nello stesso tempo —come motore di questo impegno—, il cristiano deve aver presente e fare presente a tutti il fine ultimo del lavoro e di tutta la vita su questa terra, elevando il lavoro alla dignità di un mezzo di santificazione personale e altrui.

Il Beato Josemaría Escrivá, Fondatore dell’Opus Dei, era convinto che «queste crisi mondiali sono crisi di santi». A mio avviso, le sue parole si possono applicare alle «crisi dell’uomo che lavora», di cui parlavamo. Se i cristiani si santificano nel lavoro —cercando di imitare Gesù in tutti i lavori, dai più modesti ai più apparentemente rilevanti—, allora si può sperare che la giustizia finalmente trionfi, che la corruzione sia eliminata, che lo sfruttamento cessi, che la prepotenza e l’egoismo individuale o di classe ceda il posto alla solidarietà e alla sollecitudine per il bene comune. Chi conosce le mirabili risorse dello spirito umano, e allo stesso tempo non ignora la causa morale di tutte le ingiustizie che stravolgono il mondo del lavoro, capisce che questo messaggio è una vera soluzione delle “crisi mondiali”. Altre soluzioni, che puntano solo alle riforme o alle rivoluzioni (rimedi esteriori alla coscienza) si sono rivelate illusorie, utopiche: non difendono la libertà totale della persona.

È una grande liberazione, per l’uomo di oggi, recepire il messaggio proveniente dal “Vangelo del lavoro”, secondo l’efficace espressione di Giovanni Paolo II nella sua enciclica Laborem exercens. Il messaggio di un autentico valore divino nascosto nelle più normali condizioni del lavoro quotidiano, purché sia svolto col desiderio di servire, di contribuire allo sviluppo sociale, alla fraternità, al ripristino della giustizia, all’instaurazione —con parole di Paolo VI— della “civiltà dell’amore”.

Romana, n. 24, Gennaio-Giugno 1997, p. 99-101.

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