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Discorso pronunziato nel Simposio in memoria del Card. Höffner, organizzato dal Pontificio Ateneo della Santa Croce.

Eminenze Reverendissime, Eccellentissimi Signori, Signore e Signori,

sono ben note le parole di San Tommaso d’Aquino sulla virtù dell’amicizia: «Non un amore qualsiasi, ma solo quello accompagnato dalla benevolenza ha natura di amicizia: quando cioè amiamo qualcuno così da volere del bene per lui»[1]. Il bene che condivisero il Cardinal Joseph Höffner e il Beato Josemaría Escrivá, che rese possibile lo stabilirsi d’una forte amicizia, fu l’amore appassionato per Cristo e per il suo Corpo Mistico e, pertanto, l’amore e la difesa della fede cattolica ricevuta e trasmessa nella Chiesa senza soluzione di continuità, sin dai tempi apostolici, sotto la guida del Magistero ecclesiastico.

Con grande gioia prendo la parola in questo atto commemorativo di colui che fu arcivescovo di Colonia, promosso dal Pontificio Ateneo della Santa Croce in occasione del 10º anniversario della sua morte. Mi muovono, innanzitutto, sentimenti di riconoscenza verso la persona di tale degnissimo Cardinale della Chiesa Romana, eminente professore e studioso di Teologia e di Scienze sociali e, soprattutto, pastore di anime.

Inoltre, in quanto Prelato di questa porzione del Popolo di Dio che è l’Opus Dei, sento il dovere d’una particolare gratitudine verso il Cardinal Höffner perché sempre benedisse e appoggiò — con vero spirito cattolico — il lavoro apostolico dei fedeli della Prelatura nella sua diocesi. In questo seguì le orme del suo predecessore, l’indimenticabile Cardinal Frings, che concesse la venia per l’erezione dei primi Centri dell’Opus Dei a Colonia, nei lontani anni ‘50.

Questi sentimenti furono sempre vivi nel mio predecessore alla guida dell’Opus Dei, che — come il Beato Josemaría Escrivá — seppe essere un uomo grato. Ricordo il dolore che provò quando venne a sapere della morte del Cardinal Höffner al quale era legato da vincoli d’amicizia e affetto reciproco, e la sua decisione immediata di partecipare ai solenni funerali che furono celebrati nella cattedrale di Colonia il 24 ottobre 1987, sebbene in quei giorni fosse impegnato nei lavori della VII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, come membro di nomina pontificia.

Il tema che mi hanno suggerito per questo simposio è assai significativo: far vedere come l’amicizia che unì il Cardinal Joseph Höffner al Beato Josemaría Escrivá si tradusse in frutti di servizio alla Chiesa. Io aggiungerei qualcosa in più: direi che quest’amicizia nacque come conseguenza del grande amore di entrambi per la Sposa di Cristo. In effetti, l’autentica amicizia, della quale i Libri Sacri tessono tante lodi[2], si sviluppa solo fra chi condivide gli stessi beni. «Fra gli uomini — spiega San Leone Magno — si dà una forte amicizia quando li ha uniti una somiglianza nei costumi»[3].

Sin dal primo incontro fra l’Arcivescovo di Colonia e il Fondatore dell’Opus Dei, nel 1971, circostanze storiche particolari favorirono l’instaurarsi d’una reciproca simpatia e stima, che divenne subito sincera amicizia. Erano gli anni immediatamente successivi alla conclusione del Concilio Vaticano II: tempi di grandi speranze nel rinnovamento della vita ecclesiale, dal quale si aspettavano tanti frutti, che però ebbe al contempo il rischio che l’ondata secolarista — già da allora attiva nella società civile — toccasse la Chiesa, se tali riforme non fossero state condotte con rettitudine e prudenza soprannaturali, in filiale unione con il Romano Pontefice. Le ventate rinnovatrici, suscitate dallo Spirito Santo, correvano il pericolo di trasformarsi in una tempesta, capace di intorpidire la grande opera intrapresa dal Papa Paolo VI, in continuità viva con la Tradizione della Chiesa, per l’applicazione del Concilio Vaticano II.

In quegli anni, era facile lasciarsi prendere da un sentimento di euforia che, sulle ali d’una forte campagna d’opinione pubblica, reclamava una rottura radicale col passato. Il Romano Pontefice denunciò tale pericolo in molte occasioni pubbliche, ma non sempre venne ascoltato. Solo le menti più lucide, messe in guardia dal loro amore per la Chiesa, seppero discernere i sintomi della crisi che si abbattè sulla Chiesa — con speciale forza negli anni ‘70 — e seppero farvi fronte. Fra queste figure si trovano il Cardinal Joseph Höffner e il Beato Josemaría Escrivá; e questa sintonia di spirito favorì l’amicizia.

Il menzionato incontro fra il Cardinal Arcivescovo di Colonia e il Fondatore dell’Opus Dei avvenne nell’ottobre 1971. Si svolgeva a Roma la III Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, nella cui agenda apparivano questi due temi: “Il sacerdozio ministeriale” e “La giustizia nel mondo”. Temi scottanti, abbondantemente discussi in quel momento, quando forti pressioni secolariste cercavano di distorcere l’immagine del sacerdote e della sua missione nel mondo. In special modo erano messi in discussione il carattere soprannaturale del sacerdozio e il celibato sacerdotale. Non erano molti quelli che si rendevano conto del grande pericolo che portava con sé un cedimento su punti così cruciali per la vita e il ministero dei presbiteri.

In queste circostanze, la comune fedeltà alla dottrina cattolica, la stretta unione alla Sede di Pietro, la chiara consapevolezza che nella dottrina della Chiesa si trovassero le soluzioni più degne e umane ai problemi sociali, senza concessioni alle ideologie materialiste, costituirono sicuri punti di contatto fra il Cardinal Höffner e il Beato Josemaría. Avvenne quello che dice meravigliosamente San Giovanni Crisostomo: «L’amore che ha come motivo Cristo è forte, infrangibile ed indistruttibile»[4].

Nel 1971, profittando del suo soggiorno a Roma, il Cardinal Höffner fu invitato a tenere una conferenza nell’Aula Magna della Residenza Universitaria Internazionale, attività apostolica promossa da alcuni fedeli dell’Opus Dei. Tale conferenza si inseriva nel corso d’una delle giornate organizzate dal Centro Romano di Incontri Sacerdotali (CRIS) dal titolo “La crisi della società permissiva”. A queste giornate parteciparono come relatori, oltre all’Arcivescovo di Colonia, il professor Jerôme Lejeune, docente di Genetica Fondamentale presso l’Università di Parigi e il professor Augusto del Noce, docente di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università di Roma. Il Cardinal Höffner parlò de “Il sacerdote nella società permissiva”. Uno di quei giorni, Mons. Escrivá lo invitò a colazione nella sede centrale dell’Opus Dei, dove intavolarono un lungo colloquio nel quale verificarono la coincidenza dei loro punti di vista sui grandi temi della realtà ecclesiale.

Permettetemi di aggiungere un ricordo personale di quel primo incontro. Al termine della colazione, il Beato Josemaría andò con il suo illustre ospite a fare una visita al Santissimo nell’oratorio del Consiglio Generale dell’Opus Dei. Alla fine di questo momento di adorazione eucaristica, dopo avergli fatto vedere le vetrate che rappresentano varie scene del Nuovo Testamento e alcuni bassorilievi di angeli, lo invitò a soffermarsi sull’iscrizione scolpita sull’architrave d’una delle porte; una frase tratta dagli Atti degli Apostoli: omnes perseverantes unanimiter in oratione (cfr. At 1,14) e gli disse: «Signor Cardinale, questo è il segreto e la forza dell’Opus Dei: la preghiera di tutti». Il Cardinal Höffner assentì convinto.

Anni dopo, il Cardinale di Colonia ricordò in modo chiaro questo primo incontro; ne fece memoria nella lettera che inviò al Vicario Regionale dell’Opus Dei in Germania, in occasione della morte del Fondatore: «Ho conosciuto personalmente quest’uomo che se n’è andato accanto al Signore — scriveva il 3 luglio 1975 —, e sin dal primo momento ammirai il suo modo di essere affettuoso, naturale, umanamente vicino e allegro, fondato sull’amore per Cristo. Nelle conversazioni con lui, ebbi la certezza di trovarmi di fronte a un uomo che vive di fede e che ama di cuore Cristo e la sua Chiesa. La nostra conversazione ebbe solo un tema: Cristo e il compito di diffondere la Buona Novella e di radunare sempre più le anime nella Chiesa di Cristo. Proprio negli ultimi anni, quando si diffondeva l’incertezza religiosa, il suo Fondatore ha dato fermezza nella fede ad innumerevoli persone. Il suo amore filiale per la Chiesa e per il Santo Padre si comunicava agli altri».

Mi viene alla memoria anche la prima volta che, dopo il transito al Cielo di Monsignor Escrivá, il Cardinal Höffner tornò sul posto di quella conversazione. Ci commentò che aveva ringraziato molto il Signore ricordando l’amicizia col Fondatore dell’Opus Dei, e che avvertiva un grande dolore. Erano rimasti d’accordo che, ogni volta che si fossero visti, avrebbero continuato a parlare delle loro preoccupazioni e dei modi per cercare altre soluzioni ai problemi della vita della Chiesa. Aggiunse che gli constava che Monsignor Escrivá desiderava parlagli di tanti temi che portava nel cuore, e ci disse di aver sempre sentito il desiderio di riallacciare quelle conversazioni col Fondatore, perché l’incontrarsi con lui e la sua dottrina facevano molto bene alla sua anima di Pastore. Concludeva il Cardinal Höffner dicendo che gli chiedeva di continuare ad aiutarlo dal Cielo con la sua amicizia.

Da parte sua, anche il Beato Josemaría scoprì nel Cardinale di Colonia un’anima fortemente cristiana, fermamente innamorata di Cristo e della Chiesa. Posso affermare, perché glielo sentii dire in più d’un’occasione, che l’incontrarsi e l’amicizia col Cardinal Höffner, la sua unione col Romano Pontefice e la sua fortezza nella fede, erano state per lui come un’iniezione di ottimismo soprannaturale, in mezzo a quelle tempeste nella vita ecclesiale degli anni ‘70. A questo proposito, mi piace leggere alcuni passi della lettera che il Beato Josemaría, in quanto Gran Cancelliere dell’Università di Navarra, indirizzò il 4 marzo 1974 al Cardinal Höffner, in qualità di Presidente della Conferenza Episcopale tedesca, per comunicargli che era stato deciso di conferire il dottorato honoris causa a Mons. Hengsbach, allora Vescovo di Essen e successivamente nominato Cardinale.

Dopo aver sottolineato «i molteplici meriti personali di Mons. Hengsbach nella promozione e difesa dei diritti e valori della vita della Chiesa», il Gran Cancelliere dell’Università di Navarra accennò ad un motivo di fondo della concessione di questo riconoscimento: «onorare, nei suoi pastori, il Cattolicesimo tedesco per l’aiuto ampio e generoso che, in modi diversi, presta alla Chiesa universale in molte parti del mondo». E aggiunse: «Sappia, Eminenza Reverendissima, che in mezzo a questa dolorosa notte di prova che la Chiesa sta attraversando, è per me molto confortante vedere Pastori d’anime, come Vostra Eminenza e Mons. Hengsbach, impegnati con tanta fermezza e coraggio a sostenere la fede e la morale dei fedeli cattolici, e a spingerli ad abbracciare con amore le loro responsabilità di cristiani in mezzo al mondo. Anche per questo ricordo Vostra Eminenza tutti i giorni con molto affetto nella Santa Messa e nelle mie preghiere».

Sarebbero sufficienti questi testi per illustrare, come affermavo all’inizio, che l’amicizia che unì questi due grandi uomini si basò sin dal primo momento sul comune amore per Cristo e la Chiesa e che fu sempre orientata al servizio incondizionato della Sposa di Cristo, raggiungendo in questo modo la stabilità e fermezza propria di chi è unito in radice caritatis, dalla radice d’una stessa carità soprannaturale. Perché, con parole di Sant’Agostino, «non c’è vera amicizia se non fra coloro che Tu, Signore, unisci fra loro con la carità, effusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo»[5].

Dalla compenetrazione e stima fra gli autentici “viri ecclesiastici” nasce un arricchimento personale reciproco, che necessariamente si ripercuote a beneficio della Chiesa e delle anime. Mons. Escrivá apprezzò, come abbiamo visto, la fedeltà nella dottrina e l’unione col Papa che caratterizzò l’Arcivescovo di Colonia e l’esempio di questo insigne Pastore di anime — come di tanti altri Prelati che ebbe modo di conoscere e stimare — lo aiutò indubbiamente ad essere a sua volta fermo nella fede e completamente dedicato al bonum animarum del pusillus grex che il Signore gli aveva affidato.

Da parte sua, il Cardinal Höffner trasse beneficio da alcuni punti essenziali dello spirito dell’Opus Dei, trasmessi dal Fondatore con le sue conversazioni e i suoi scritti. Lo colpì specialmente la profondità ed efficacia dell’insegnamento del Beato Josemaría sulla grazia divina che non distrugge ciò che è umano ma lo rinvigorisce. Così disse pubblicamente il Cardinale di Colonia, durante l’omelia che pronunciò il 19 settembre 1984 nella cerimonia della dedicazione dell’altare della Residenza universitaria Maarhof, promossa nella sua diocesi da fedeli della Prelatura dell’Opus Dei.

Nella stessa occasione, sottolineò l’ottimismo del Beato Josemaría di fronte a tutto ciò che proveniva dalle mani di Dio e, specificamente, il rispetto con cui parlava del corpo umano che porta in sé — insieme all’anima — l’immagine di Dio. Allo stesso tempo, il Cardinal Höffner indicò la necessità di dominare il corpo mediante un prudente spirito di mortificazione. Questo lo affermò pubblicamente in momenti nei quali nel suo Paese c’erano persone che si scandalizzavano farisaicamente dei cristiani che — seguendo la tradizione di molti secoli della Chiesa — cercano di attenersi al consiglio di San Paolo in tale materia[6]. «Oggigiorno — affermava il Cardinal Höffner — quando vediamo tanti uomini e donne che maltrattano e profanano il corpo abbandonandosi all’alcool e alla droga, questa dottrina mi sembra più importante che mai»[7].

Altro punto di singolare coincidenza è la collaborazione fra i sacerdoti e i laici nell’unica missione della Chiesa. Mentre in vari luoghi si levavano voci che, da una parte, rivendicavano per i laici funzioni proprie del ministro ordinato, e dall’altra spingevano il sacerdote a tralasciare il ministero sacramentale per dedicarsi a compiti secolari, tanto il Fondatore dell’Opus Dei quanto l’Arcivescovo di Colonia esposero con chiarezza la dottrina della Chiesa. «I credenti — diceva il Cardinal Höffner — non desiderano un prete “moderno” che si occupi dei loro stessi interessi e che si immischi continuamente nella condotta e nell’orientamento della loro vita, un prete che si adatti incessantemente al mondo, ma un servo di Cristo, un “testimone e un donatore di una vita diversa da quella terrena” (Presb. ord. 3). Il servizio sacerdotale — continuava — non può essere considerato come un’attività puramente umanitaria e sociale, come se la Chiesa fosse una specie di Croce Rossa cristiana. Alla missione del sacerdote o del ministero sacerdotale non appartiene di agire direttamente sulle strutture sociali né di modificare le strutture e i rapporti di questo mondo»[8].

Il Beato Josemaría scrisse, quello stesso anno, a un gruppo di fedeli dell’Opus Dei prossimi a ricevere l’ordinazione sacerdotale: «Arrivate al presbiterato dopo aver lavorato e vissuto da laici ciascuno nella sua nazione d’origine (...). Ora dovrete essere sacerdoti, totalmente sacerdoti e dedicarvi con tutte le forze al vostro ministero». E aggiunse: «Noi sacerdoti dobbiamo solamente parlare di Dio. Non parleremo di politica, né di sociologia, né di problemi che siano alieni al compito sacerdotale. E così faremo amare la Santa Chiesa e il Romano Pontefice»[9].

Nella conferenza a Roma alla quale mi riferivo prima, il Cardinal Höffner considerava che in altri momenti della storia della Chiesa (facendo cenno esplicitamente alla crisi del secolo XVI, soprattutto in Europa centrale), fu possibile superare quei momenti duri grazie anche a gruppi di fedeli nei quali «laici e sacerdoti lavoravano insieme, appoggiandosi, incoraggiandosi, rafforzandosi a vicenda», in modo tale che «pregavano insieme e operavano con senso missionario nel loro ambiente». Si augurava che avvenisse lo stesso nella situazione attuale: «la formazione di cellule di persone con gli stessi intenti, che vogliano dar nuova vita alla Chiesa e non lacerarla in critiche distruttive, è più che mai necessario oggi»[10].

È ben noto come il Fondatore dell’Opus Dei, ispirato da Dio, dedicò tutta la vita a promuovere fra i comuni cristiani di tutte le condizioni sociali la coscienza della chiamata universale alla santità nel lavoro professionale e nelle circostanze ordinarie della vita. Grazie a Dio, questi suoi aneliti sono da vari anni diventati una feconda realtà al servizio della Chiesa. La Prelatura della Santa Croce e Opus Dei, in effetti, fa crescere nei sacerdoti e nei laici l’urgenza di rispondere con pienezza alle esigenze della vocazione battesimale e offre loro la formazione dottrinale, ascetica e apostolica necessaria perché, cooperando organicamente fra di loro e in comunione col Papa e il Collegio Episcopale, siano fermento di vita cristiana in tutti gli ambiti della società.

Il Cardinal Joseph Höffner seppe apprezzare questo spirito e benedisse per questo dono Dio, dal quale discendono tutte le grazie[11]. «L’Opera — diceva con gioia nella lettera che scrisse nel 1975, dopo il transito al Cielo di Monsignor Escrivá — si è estesa in tutto il mondo (...). Durante una mia visita in Giappone pochi anni fa, potei vedere un po’ dell’apostolato universale dell’Opus Dei. Nel Fondatore ardeva quel fuoco, che il Signore ha portato sulla Terra perché ardesse (cfr. Lc 12, 49). Monsignor Escrivá sapeva riconoscere dove cominciava qualcosa di nuovo e dove agiva lo spirito di Dio. Il Signore lo premierà per tutto quello che ha fatto per la Chiesa sin dal 1928».

Questo stesso augurio esprimo io, nel commemorare il 10º anniversario della morte del Cardinal Joseph Höffner. Che il Signore lo premi con abbondanza per tutto il bene che portò a compimento per la Chiesa e per le anime, nella sua vita lunga e feconda.

[1] SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., II-II, q.23, a.1.

[2] Cfr. Sir cap.6.

[3] SAN LEONE MAGNO, Omelia 12, 1.

[4] SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matthæum homiliæ, 60, 3.

[5] SANT’AGOSTINO, Confessioni 4, 4, 7.

[6] «Castigo corpus meum et in servitutem redigo, ne forte, cum aliis prædicaverim, ipse reprobus efficiar» (1 Cor 9, 27). «Semper mortificationem Iesu in corpore circumferentes, ut et vita Iesu in corpore nostro manifestetur» (2 Cor 4, 10).

[7] Il Cardinal Höffner sviluppò estesamente questi stessi concetti in un’intervista concessa all’agenzia giornalistica tedesca KNA il 23 agosto 1984.

[8] CARD. J. HÖFFNER, Il sacerdote nella società permissiva, conferenza al simposio organizzato dal CRIS, Roma, 24 ottobre 1971, in “Documenti CRIS”, n.3, novembre 1971.

[9] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Lettera ai nuovi sacerdoti, 10-VII-1971.

[10] CARD. JOSEPH HÖFFNER, cit.

[11] Cfr. Gc 1, 17.

Romana, n. 25, Luglio-Dicembre 1997, p. 291-297.

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