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La Santa Messa, centro e radice della vita del cristiano

Ángel García Ibáñez

Pontificia Università della Santa Croce

«Vi ho sempre insegnato, figlie e figli amatissimi, che la radice e il centro della vostra vita spirituale è il Santo Sacrificio dell’Altare»[1]. Molte volte, a parole o per iscritto, il Beato Josemaría Escrivá ha insegnato che l’Eucaristia è il centro e la radice della vita del cristiano.

Era solito trattare questo tema nella sua predicazione soprattutto quando esponeva la dottrina cattolica sul Sacrificio Eucaristico e quando presentava la vocazione cristiana come un vivere in Cristo, con anima sacerdotale. «Se il Figlio di Dio — scriveva nel 1940 — si è fatto uomo ed è morto in Croce, è stato perché fossimo una sola cosa con Lui e con il Padre (cfr. Gv 17, 22). Tutti, pertanto, siamo chiamati a far parte di questa divina unità. Con anima sacerdotale, facendo della Santa Messa il centro della nostra vita interiore, cerchiamo di stare con Gesù tra Dio e gli uomini»[2]. Esortava tutti a comportarsi in modo consapevole della centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa e di ogni cristiano, unendo ogni giorno la propria esistenza al Sacrificio Eucaristico: «Lotta per far sì che il Santo Sacrificio dell’Altare sia il centro e la radice della tua vita interiore, in modo che tutta la giornata si trasformi in un atto di culto — prolungamento della Messa che hai ascoltato e preparazione alla successiva —, che trabocca in giaculatorie, nelle visite al Santissimo, nell’offerta del tuo lavoro professionale e della tua vita famigliare...»[3]. E accompagnava la predicazione con l’esempio. In questo senso, afferma Mons. Álvaro del Portillo: «Per quarant’anni, giorno dopo giorno, sono stato testimone del suo impegno per trasformare ogni giornata in olocausto, in un prolungamento del Sacrificio dell’Altare. La Santa Messa era il centro della sua eroica dedicazione al lavoro e la radice che vivificava la sua lotta interiore, la sua vita di orazione e di penitenza. Grazie a questa unione con il Sacrificio di Cristo, la sua attività pastorale acquistò un impressionante valore santificatore: veramente, in ciascuna delle sue giornate, tutto era operatio Dei, Opus Dei, un autentico cammino di orazione, di intimità con Dio, di identificazione con Cristo nella sua donazione totale per la salvezza del mondo»[4].

Nel presente studio mi propongo di considerare dapprima il fondamento dogmatico e il contenuto teologico dell’espressione la Santa Messa è il centro e la radice della vita del cristiano, tanto spesso usata dal Beato Josemaría Escrivá; e poi cercherò di dimostrare, utilizzando sempre i suoi insegnamenti, ciò che tale espressione implica nell’esistenza quotidiana del cristiano.

1. L’Eucaristia perpetua nel tempo della Chiesa il flusso dell’amore trinitario per gli uomini.

Chi si avvicina ai testi del Beato Josemaría subito constata il profondo senso di filiazione divina che vi si riflette e la prospettiva trinitaria presente in tutti i suoi scritti[5]. Per ciò che riguarda l’Eucaristia, nell’omelia L’Eucaristia, Mistero di fede e di amore, pronunziata il Giovedì Santo del 1960, ci introduce alla considerazione del Mistero Eucaristico, con questi termini:

«Il Dio della nostra fede non è un essere lontano, che contempla impassibile la sorte degli uomini: le loro fatiche, le loro lotte, le loro angosce. È un Padre che ama i suoi figli fino al punto di inviare il Verbo, Seconda Persona della Santissima Trinità, affinché si incarni, muoia per noi e ci redima. È lo stesso Padre affettuoso che adesso ci attrae dolcemente a sé con l’azione dello Spirito Santo che abita nei nostri cuori.

«La gioia del Giovedì Santo procede da questo: dal comprendere che il Creatore si è prodigato nell’amore per le sue creature. Nostro Signore Gesù Cristo, come se non bastassero tutte le altre prove della sua misericordia, istituisce l’Eucaristia perché possiamo averlo sempre vicino dal momento che Egli — per quanto ci è dato di capire — pur non abbisognando di nulla, mosso dal suo amore, non vuole fare a meno di noi. La Trinità si è innamorata dell’uomo elevato all’ordine della grazia e fatto a sua immagine e somiglianza ( Gn 1, 26); lo ha redento dal peccato — dal peccato di Adamo, che ricadde su tutta la sua discendenza e dai peccati personali di ciascuno — e desidera ardentemente dimorare nella nostra anima... Questo flusso trinitario di amore per gli uomini, si perpetua in maniera sublime nell’Eucaristia»[6].

La presenza e l’azione della Trinità nel Sacrificio Eucaristico costituiscono il nucleo centrale delle sue riflessioni. «La Santa Messa... è il dono che la Trinità fa di se stessa alla Chiesa. Si comprende allora come la Messa sia il centro e la radice della vita spirituale del cristiano»[7]. Per il Beato Josemaría la centralità dell’Eucaristia e il suo valore originario nella vita cristiana si basa, dunque, in ciò che contiene e di cui ci fa partecipi. L’Eucaristia ci manifesta l’amore del Padre che nel suo piano salvifico ha inviato il proprio Figlio unigenito al mondo per redimerci e darci la vita eterna (cfr. Gv 3, 16-17). Ci mostra e ci offre l’amore del Figlio, il Pane sceso dal Cielo che, obbediente alla volontà del Padre, ha dato la sua vita per noi (cfr. Gv 6, 32-38; Mt 26, 28). Ci rivela e ci comunica l’amore dello Spirito Santo, per opera del quale il Verbo si è fatto carne (cfr. Mt 1, 20; Lc 1, 35), e continua a farsi presente tra di noi in ogni celebrazione dell’Eucaristia, offrendoci la sua carne vivificata dallo Spirito (cfr. Gn 6, 51-57; 63).

«Tutta la Trinità è presente nel Sacrificio dell’Altare. Per volontà del Padre, con la cooperazione dello Spirito Santo, il Figlio si offre in oblazione redentrice»[8]. Ogni volta che la Chiesa celebra l’Eucaristia, Cristo si fa presente nei segni sacramentali del pane e del vino, nell’atto di offrire la propria vita al Padre per liberare l’umanità intera dalla schiavitù del peccato. In Cristo e con Cristo si fa presente la sua azione salvifica, il Sacrificio della nostra redenzione nella pienezza del Mistero Pasquale, cioè della sua Passione, Morte e Risurrezione. Non si tratta di una presenza statica, puramente passiva, del Signore, dato che si rende presente nel dinamismo salvifico della sua Morte e Resurrezione gloriosa; si rende presente come persona che viene incontro a noi per redimerci, per manifestarci il suo amore, per darci la sua stessa vita con il Pane della vita eterna e il Calice dell’eterna salvezza, per unirci a Sé e per potere in Lui — in Cristo e sotto l’azione dello Spirito Santo — restituire al Padre, in rendimento di grazie, tutto ciò che proviene dal Padre.

«L’amore della Trinità per gli uomini fa sì che dalla presenza di Cristo nell’Eucaristia derivino tutte le grazie per la Chiesa e per l’umanità»[9]. Da questo flusso trinitario d’amore che ci offre il Santissimo Sacramento, proviene la forza che permette ai cristiani di vivere in Cristo, animati da un solo Spirito, come figli dell’unico Padre, amando sino al dono totale di se stessi, pienamente impegnati nell’edificazione della Chiesa e nella trasformazione del mondo secondo il progetto divino. L’Eucaristia non è perciò solo un mistero da contemplare alla luce della fede, ma molto di più; in questo sacramento, infatti, Gesù Cristo ci invita ad accogliere la salvezza che ci offre, a ricevere i doni sacrificali del suo Corpo e del suo Sangue come cibo di vita eterna, permettendoci di entrare in comunione con Lui, con la sua Persona e il suo Sacrificio e in comunione con tutti i membri del suo Corpo Mistico, la Chiesa.

Nelle pagine seguenti si considererà questa presenza del Sacrificio Redentore nell’Eucaristia e in che cosa consiste la nostra partecipazione ad esso. In primo luogo ricorderemo, in modo sintetico, la dottrina elaborata dalla tradizione teologico-dogmatica e dal Magistero recente; si esporrà poi l’insegnamento che, in questo contesto storico-teologico, ci offre il Beato Josemaría sulla partecipazione del cristiano al Sacrificio Eucaristico.

2. L’Eucaristia, Sacrificio di Cristo e della Chiesa: via di accesso al Padre, nel Figlio, per lo Spirito Santo

2. 1. La dottrina formulata dalla tradizione teologica e dal Magistero contemporaneo

«Il nostro Salvatore, nell’ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio Eucaristico del suo corpo e del suo sangue per perpetuare nei secoli, sino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce e affidare così alla sua amata sposa, la Chiesa, il memoriale della sua Morte e Risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di amore, banchetto pasquale in cui si riceve Cristo, l’anima si riempie di grazia e ci si dà un pegno della gloria futura»[10]. Questo testo del Concilio Vaticano II ci offre una sintesi dei diversi aspetti del Mistero Eucaristico: l’Eucaristia è insieme sacrificio (in relazione all’identità sacramentale col Sacrificio della Croce), memoriale della Morte e Risurrezione del Signore, sacramento della sua presenza personale, banchetto pasquale (della nuova Pasqua della Chiesa peregrinante), segno e causa dell’unità della Chiesa, pegno della pienezza escatologica. Troviamo qui chiaramente indicato il contenuto essenziale dell’Eucaristia e il fine che ha spinto il Signore ad istituirlo: perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce e affidare così alla sua Sposa amata, la Chiesa, il memoriale della sua Morte e della sua Risurrezione.

2.1.1. L’Eucaristia, presenza sacramentale del Sacrificio redentore di Gesù Cristo

L’Eucaristia è sacrificio in senso “nuovo” rispetto ai sacrifici delle religioni naturali e ai sacrifici rituali dell’Antico Testamento: è sacrificio in quanto il sacramento-memoriale istituito da Cristo nell’ultima Cena rende presente, nell’oggi della celebrazione liturgica della Chiesa, l’unico sacrificio della nostra redenzione[11]. Vale a dire: è sacrificio in relazione diretta — di identità sacramentale, come abbiamo detto — col Sacrificio unico, perfetto e definitivo della Croce. Questa relazione è stata istituita da Cristo nell’ultima Cena, quando consegnò agli Apostoli, sotto le specie del pane e del vino, il suo corpo offerto in sacrificio e il suo sangue sparso in remissione dei peccati, anticipando nel rito memoriale ciò che avvenne storicamente, poco tempo dopo, sul Golgota. Da allora la Chiesa, sotto la guida e la virtù dello Spirito Santo, non cessa di compiere il comando dato da Cristo ai suoi discepoli: «fate questo in memoria di me» ( Lc 22, 19; 1 Cor 11, 24-25). In questo modo annunzia — fa presente con la parola e con il sacramento — «la Morte del Signore [il suo Sacrificio: cfr. Ef 5, 2; Eb 9, 26], finché Egli venga» (1 Cor 11, 26).

Questo annunzio, questa proclamazione sacramentale del Mistero Pasquale del Signore, è di particolare efficacia perché non solo si rappresenta in signo o in figura, il Sacrificio redentore di Cristo, ma si rende veramente presente la sua persona e l’evento salvifico commemorato. Il Catechismo della Chiesa Cattolica si esprime così: “L’Eucaristia è il memoriale della Pasqua di Cristo, l’attualizzazione e l’offerta sacramentale del suo unico Sacrificio, nella liturgia della Chiesa che è il suo Corpo”[12].

Il fondamento di questa perenne attualità del Sacrificio redentore del Signore sta nella stessa Persona di Cristo — il Figlio incarnato e glorificato dal Padre — e nell’efficacia dei sacramenti affidati alla sua Chiesa: «Durante la sua vita terrena, Gesù annunziava con il suo insegnamento e anticipava con le sue azioni il suo Mistero Pasquale. Venuta la sua ora (cfr. Gv 13, 1; 17, 1), egli vive l’unico avvenimento della storia che non passa: Gesù muore, è sepolto, risuscita dai morti e siede alla destra del Padre “una volta per tutte” ( Rm 6, 10; Eb 7, 27; 9, 12). È un evento reale, accaduto nella nostra storia, ma è assolutamente unico: tutti gli altri eventi della storia accadono una volta, poi passano, inghiottiti nel passato. Il Mistero Pasquale di Cristo, invece, non può rimanere soltanto nel passato, dal momento che con la sua Morte egli ha distrutto la morte e tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente. L’evento della Croce e della Risurrezione rimane e attira tutto verso la Vita»[13].

Tutto ciò si può spiegare considerando il Mistero di Gesù Cristo, l’Uomo-Dio, i cui atti redentori compiuti nella storia sono veramente atti del Figlio di Dio Padre. Egli, seconda Persona della Santissima Trinità, ha compiuto il Sacrificio della nostra Redenzione nella sua natura umana con la forza del suo essere divino[14], dando a tale evento una radice e una dimensione eterna. Pertanto, il suo atto di offerta sacrificale, compiuto in un momento specifico della storia, non è rimasto limitato o circoscritto a quel momento storico, ma ha raggiunto l’eternità divina[15]. È perennemente attuale nell’ «oggi eterno» del suo essere divino e della sua eterna visione e amore beatifici, senza interruzione né ripetizione; è inseparabilmente unito alla Persona del Figlio di Dio fatto uomo. Per questo, quando si parla di una oblazione del Signore nella Messa, questa non deve intendersi come un nuovo atto oblativo di Cristo, ma come la perennità dell’azione sacrificale compiuta «una volta per sempre» (cfr. Eb 7, 25-27)[16].

Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia si attualizza sacramentalmente il Sacrificio redentore della Croce nella pienezza del Mistero Pasquale di Gesù Cristo; si ripresenta in modo misterioso ma reale, la Persona di Cristo, dell’unico Cristo esistente, risuscitato e glorioso. Pertanto si rende presente la stessa Vittima del Golgota, ora gloriosa; lo stesso Sacerdote, Gesù Cristo; lo stesso atto di offerta sacrificale (l’offerta primordiale della Croce) inseparabilmente unito alla presenza sacramentale di Cristo; offerta sempre attuale in Cristo risuscitato e glorioso. Cambia solo la manifestazione esterna di questa donazione: nel Calvario, mediante la Passione e la Morte di Croce; nella Messa, attraverso il segno memoriale: la doppia consacrazione del pane e del vino nel contesto della Preghiera Eucaristica (immagine sacramentale dell’immolazione della Croce)[17]. Per volere dello stesso Cristo questo atto salvifico eterno è rimasto vincolato alla storia e si rende presente nel tempo e nello spazio dove si celebra il memoriale da lui istituito nell’ultima Cena. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, fa memoria della Pasqua di Cristo e questa diviene presente: il Sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla Croce rimane sempre attuale (cfr. Eb 7, 25-27)»[18].

Abbiamo fin qui trattato dell’Eucaristia come presenza del Sacrificio redentore di Cristo nella pienezza del suo Mistero Pasquale. Ma possiamo dire che l’Eucaristia è anche Sacrificio della Chiesa?

2.1.2. L’Eucaristia, Sacrificio di Cristo e della Chiesa

L’Eucaristia è il Sacrificio della Chiesa non solo perché ad essa fu consegnato il memoriale sacramentale del Sacrificio redentore di Cristo, ma anche perché ogni volta che si celebra il Mistero Eucaristico, essa partecipa al Sacrificio del suo Signore, entrando in comunione con Lui — con la sua offerta sacrificale al Padre — e con i beni della Redenzione che Egli ci ha ottenuto. Tutta la Chiesa offre ed è offerta in Cristo al Padre per lo Spirito Santo. Così afferma la tradizione viva della Chiesa tanto nei testi liturgici quanto negli insegnamenti dei Padri e del Magistero. Il fondamento di questa dottrina sta nel principio di unione e cooperazione tra Cristo e i membri del suo Corpo, chiaramente esposto dal Concilio Vaticano II: «In questa opera così grande, per la quale Dio è perfettamente glorificato e gli uomini santificati, Cristo associa sempre a Sé la sua amatissima Sposa, la Chiesa»[19].

La Chiesa offre con Cristo

La partecipazione della Chiesa — il Popolo sacerdotale gerarchicamente strutturato — all’offerta del Sacrificio Eucaristico, è fondata sul comando di Gesù: «fate questo in memoria di me», e si riflette nella formula liturgica «memores... offerimus... gratias agentes» frequentemente utilizzata nelle Preghiere Eucaristiche della Chiesa Antica[20], e ancora presente nelle attuali Preghiere Eucaristiche[21].

Come testimoniano i testi della liturgia eucaristica, i fedeli non sono semplici spettatori di un atto di culto compiuto dal sacerdote celebrante. Tutti i presenti possono e devono partecipare all’offerta del Sacrificio Eucaristico, perché in virtù del Battesimo sono stati incorporati a Cristo e fanno parte della «stirpe eletta, del regale sacerdozio, della nazione santa, del Popolo che Dio si è acquistato» ( 1 Pt 2, 9); cioè del nuovo Popolo di Dio in Cristo, che Egli stesso continua a riunire intorno a Sé perché da un confine all’altro della terra offra a suo nome un sacrificio perfetto (cfr. Mal 1, 10-11). Offrono non solo il culto spirituale del sacrificio delle loro azioni e della loro vita, ma anche — in Cristo e con Cristo — la Vittima pura, santa e immacolata. L’esercizio del sacerdozio comune dei fedeli nell’Eucaristia comporta tutto questo.

Su quest’ultimo punto conviene ricordare che questa offerta si compie per mezzo del sacerdote celebrante nel momento stesso della Consacrazione, quando, impersonando Cristo, rende presente il suo Corpo e il suo Sangue e l’atto di offerta sacrificale del Signore e, in Lui e con Lui, di tutta la Chiesa, rappresentata visibilmente dall’assemblea dei fedeli[22]. Infine, per quel che riguarda il senso delle preghiere dell’ anamnesis, in cui si sottolinea il “servizio sacerdotale” realizzato dalla Chiesa (o la sua azione oblativa), occorre precisare che non si deve intendere che la Chiesa vuole offrire — da sola o assieme a Cristo glorificato — un nuovo sacrificio, diverso o giustapposto a quello della Croce del Signore. La formula memores... offerimus... gratias agentes, non è altro che la spiegazione, mediante un testo liturgico, della volontà della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, di offrire e di offrirsi col suo Capo (non pretende di sostituire il Signore nell’offerta del suo Sacrificio o di agire come mediatrice tra Cristo e il Padre). Il soggetto del mistero del culto, parlando in assoluto, è Cristo. Ma assieme a Cristo interviene sempre la Chiesa, non perché sia capace da sé di partecipare all’opera salvifica, ma in quanto è Corpo e Sposa del suo Signore[23].

L’azione della Chiesa da un lato è ricettiva (da Cristo riceve la salvezza e la vita stessa del suo Signore, quando nella rappresentazione sacramentale dei suoi atti salvifici la fa accedere al suo mistero). Ma a questa passività nella ricezione si unisce il suo ruolo attivo nella collaborazione, cosa possibile perché, grazie al Battesimo, i fedeli sono incorporati a Cristo e resi capaci di cooperare con Lui. Questa collaborazione della Chiesa tocca l’apice nella partecipazione al Sacrificio del suo Signore. Quando la Chiesa (gerarchicamente ordinata, il sacerdote celebrante e gli altri fedeli) offre esternamente il Sacrificio Eucaristico e si unisce interiormente all’atto sacrificale della Croce, il Sacrificio di Cristo si trasforma in Sacrificio della Chiesa. «È lo stesso Sacrificio della Croce; è diverso il modo di offrirlo, come dice il Concilio di Trento: sola offerendi ratione diversa. Questo Sacrificio [la Santa Messa] è pertanto il vero Sacrificio della Chiesa, perché la Chiesa compie ora per sua iniziativa il Sacrificio che il Signore le ha trasmesso. In qualità di Corpo e Sposa, cioè grazie al suo atto di offerta libero e spontaneo, anche se compiuto per il comando e il potere del Capo e dello Sposo, fa proprio l’atto sacrificale del suo Capo. In questo modo il Sacrificio di Cristo, senza che gli si aggiunga niente, si trasforma totalmente in Sacrificio della Chiesa; così si trasforma in qualcosa di nuovo e diverso, senza che gli si aggiunga niente di speciale, né abbia necessità di essere completato»[24].

La Chiesa, nel suo rendimento di grazie, presenta al Padre ciò che da Lui ha ricevuto, chiedendogli l’applicazione dei beni salvifici della Croce e la grazia di formare in Cristo un solo corpo e un solo spirito. In definitiva tra l’offerta della Chiesa e quella di Cristo non c’è giustapposizione ma identificazione. I fedeli non offrono un sacrificio diverso da quello di Cristo ma, unendosi a Lui, rendono possibile che l’oblazione della Chiesa si incorpori alla sua «in modo tale che l’offerta della Chiesa diventa la stessa offerta di Cristo»[25]. Ed è Lui, Gesù Cristo, che offre il sacrificio dei fedeli incorporato al proprio[26]. La relazione tra questi due aspetti «non può caratterizzarsi come giustapposizione o successione, ma come presenza dell’uno nell’altro»[27].

La Chiesa è offerta con Cristo

La Chiesa, in unione con Cristo, non solo offre il Sacrificio eucaristico, ma è anche offerta in Lui, perché come Corpo e Sposa è inseparabilmente unita al suo Capo e al suo Sposo.

L’insegnamento dei Padri a questo riguardo è molto chiaro. Per S. Cipriano la Chiesa offerta (l’oblazione invisibile dei fedeli) è simbolizzata nell’offerta liturgica dei doni del pane e del vino mescolato ad alcune gocce di acqua, come materia del Sacrificio dell’Altare[28]. Per Sant’Agostino è chiaro che nel Sacrificio dell’Altare tutta la Chiesa è offerta con il suo Signore e che questo si manifesta nella stessa celebrazione sacramentale: «Tutta la città redenta, cioè l’assemblea comunitaria dei santi, viene offerta a Dio come sacrificio universale per la mediazione del sacerdote grande che nella passione offrí anche se stesso per noi nella forma di servo perché fossimo il corpo di un capo cosí grande... Questo è il sacrificio dei cristiani: “Molti e un solo corpo in Cristo” ( Rm 12, 5). La Chiesa celebra questo mistero col sacramento dell’altare, noto ai fedeli, perché in esso le si rivela che nella cosa che offre essa stessa è offerta»[29]. Per S. Gregorio Magno la celebrazione dell’Eucaristia è uno stimolo ad imitare l’esempio del Signore, offrendo la nostra vita al Padre come lo fece Gesù: così giungerà a noi la salvezza proveniente dalla Croce del Signore[30].

La stessa liturgia eucaristica non cessa di esprimere la partecipazione della Chiesa, sotto l’influsso dello Spirito Santo, al Sacrificio di Cristo: «Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del Corpo e del Sangue di tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne...»[31]. In modo simile ci si esprime nella Preghiera Eucaristica IV: «Guarda con amore, o Dio, la vittima che tu stesso hai preparato per la tua Chiesa; e a tutti coloro che mangeranno di quest’unico pane e berranno di quest’unico calice, concedi che, riuniti in un solo corpo dallo Spirito Santo, diventino offerta viva in Cristo, a lode della tua gloria».

Per quel che riguarda il Magistero contemporaneo, basti citare ora questo testo del Catechismo della Chiesa cattolica: «La Chiesa, che è il Corpo di Cristo, partecipa all’offerta del suo Capo. Con Lui, essa stessa viene offerta tutta intera. Essa si unisce alla sua intercessione presso il Padre a favore di tutti gli uomini. Nell’Eucaristia il Sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo Corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo. Il Sacrificio di Cristo presente sull’Altare offre a tutte le generazioni di cristiani la possibilità di essere uniti alla sua offerta»[32].

La dottrina appena enunciata ha fondamentale importanza per la vita cristiana. Tutti i fedeli sono chiamati a partecipare alla Santa Messa con questa intenzione: offrire la propria vita senza macchia di peccato al Padre, con Cristo, Vittima immolata, in sacrificio spirituale-esistenziale, restituendogli con amore filiale e con rendimento di grazie tutto ciò che hanno da Lui ricevuto. Così la carità divina — “il flusso di amore trinitario” — trasformerà la loro intera esistenza.

2.2. La partecipazione al Sacrificio Eucaristico negli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá

Negli scritti del Beato Josemaría si manifesta una visione profondamente unitaria dei diversi aspetti del Mistero Eucaristico. In modo particolare egli sottolinea la dimensione sacrificale della liturgia eucaristica, considerandola nella giusta prospettiva, cioè nell’ordine della sacramentalità della Chiesa: la Santa Messa è «il Sacrificio sacramentale del Corpo e del Sangue del Signore»[33]. Con la Tradizione della Chiesa, egli identifica tale sacrificio sacramentale con l’unico Sacrificio del nostro Redentore: «È il sacrificio di Cristo, offerto al Padre con la cooperazione dello Spirito Santo: oblazione di valore infinito che rende eterna in noi la Redenzione»[34]. E nel contemplare con gli occhi della fede e dell’amore questa realtà, scopre che «in questo Sacrificio è contenuto tutto ciò che il Signore vuole da noi»[35]: ciò che Egli desidera, quando partecipiamo alla liturgia eucaristica e in ogni momento della nostra esistenza.

In effetti, nostro Padre Dio vuole che viviamo secondo quello che siamo, figli nel Figlio, identificati con Cristo nell’amore e nell’obbedienza filiale. Tale identificazione si realizza soprattutto nell’Eucaristia. In Cristo Gesù, in comunione con il suo essere teandrico, possiamo vivere in costante relazione di amore filiale con il Padre (cfr. Gv 6, 57); e il Padre riversa su di noi la sua paternità colma di amore. Inoltre, mediante la comunione con il Corpo di Cristo, con la sua umanità vivificata dallo Spirito e vivificante, entriamo in comunione anche con la terza Persona della Trinità, ricevendo la forza dell’amore dello Spirito Santo che tutto crea, rinnova, accende e santifica. Lui ci cristifica e ci fa sentire la nostra filiazione divina in Cristo. A questo riguardo, scriveva il Beato Josemaría: «La vita della grazia, generata in noi dal Battesimo, fortificata e accresciuta dalla Confermazione, si avvia nella Messa verso la sua pienezza. Quando partecipiamo dell’Eucaristia, scrive San Cirillo di Gerusalemme, sperimentiamo la spiritualizzazione deificante dello Spirito Santo che non solo ci configura con Cristo, come avviene nel Battesimo, ma ci cristifica per intero, associandoci alla pienezza di Gesù Cristo ( Catecheses, 22, 3). L’effusione dello Spirito Santo, facendoci divenire simili a Cristo, ci porta a riconoscerci come figli di Dio. Il Paraclito, che è carità, ci insegna a impregnare di questa virtù tutta la nostra vita; e, consummati in unum ( Gv 17, 23), fatti una cosa sola con Cristo, possiamo diventare tra gli uomini quel che Sant’Agostino afferma dell’Eucaristia: segno di unità, vincolo dell’Amore ( In Ioannis Evangelium tractatus, 26, 13: PL 35, 1613)»[36].

La contemplazione dell’amore che Cristo ci manifesta nell’Eucaristia e soprattutto l’identificazione con Lui — per la fede, la grazia cristificante del sacramento e l’azione del Paraclito nell’anima — non può lasciare indifferente né passivo un cristiano che partecipa al Sacrificio Eucaristico. «Corrispondere a tanto amore — afferma il Beato Josemaría — richiede una totale donazione del corpo e dell’anima»[37]. Esige che ci doniamo come Lui: per amare, con una donazione totale, incondizionata, umile, nascosta, perseverante.

Dio attende da noi in ogni celebrazione eucaristica di aderire pienamente alle parole di Gesù Cristo: prendete e mangiate... questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi; prendete e bevete... questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Il comando del Signore, fate questo (quello che io ho fatto) in memoria di me, richiede non solo che il sacerdote celebrante ripeta le sue parole e i suoi gesti; Egli desidera che tutti accogliamo con fede e amore il dono che ci offre e, uniti a Lui, sappiamo darci al Padre, nello Spirito, per la salvezza del mondo.

Tutti i fedeli — tutto il Popolo di Dio sacerdotale e non solo il sacerdote celebrante — sono chiamati a vivere l’Eucaristia in questo modo, ad attualizzare la loro donazione al Signore al momento della consacrazione dei doni, in cui con la Presenza della Persona di Cristo si rende attuale il suo atto di offerta sacrificale e nel momento della comunione, quando diventiamo una cosa sola con la Vittima divina[38]. In effetti, anche se solo il ministro sacramentalmente ordinato — vescovo o presbitero — può attuare il Sacrificio Eucaristico in persona Christi, la celebrazione eucaristica riguarda e impegna ciascuno dei fedeli presenti che, in virtù del loro sacerdozio comune (cioè della loro partecipazione al sacerdozio di Cristo, ricevuta nel battesimo) sono chiamati ad offrire al Padre un culto spirituale ( Rm 12, 1), il sacrificio della loro vita, unita al Sacrificio di Cristo. I fedeli non possono stare presenti come semplici spettatori di un atto di culto compiuto dal sacerdote celebrante. Tutti possono e devono partecipare all’offerta del Sacrificio.

Il Beato Josemaría ha insistito con forza su questa dottrina della Chiesa, insegnando a rinnovare nella Santa Messa l’offerta della propria vita e delle azioni di ogni giorno, tutto ciò che siamo e possediamo: intelligenza, volontà, memoria, lavoro, gioie e contrarietà. Voleva che tutto fosse offerto sull’Altare affinché il Signore lo assumesse, dandogli valore salvifico «in questo istante supremo — in cui il tempo si unisce all’eternità — del Santo sacrificio della Messa»[39]. Voleva orientare l’intera esistenza, giorno dopo giorno, al Sacrificio Eucaristico, insegnando a vivere con anima sacerdotale. Anticipava così ciò che il Concilio Vaticano II avrebbe affermato dei fedeli cristiani: «Tutte le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo (cfr. 1 Pt 2, 5), i quali, nella celebrazione dell’Eucaristia, sono piissimamente offerti al Padre insieme con l’oblazione del Corpo del Signore»[40].

Ciò che abbiamo detto sino ad ora dei fedeli si applica in modo speciale al sacerdote celebrante: poiché nella celebrazione eucaristica agisce in persona Christi, è chiamato ad identificarsi in modo particolare a Cristo, Vittima e Sacerdote. L’offerta della propria vita al Padre, per Cristo e in Cristo, deve essere per lui una realtà in ogni celebrazione dell’Eucaristia. In questo senso si afferma nel Decr. Presbyterorum ordinis che i presbiteri «unendosi con l’atto di Cristo sacerdote si offrono ogni giorno totalmente a Dio»[41]. Ciò che compiono sacramentalmente sull’Altare coinvolge la vita intera: sono chiamati a darsi pienamente, in Cristo e con Cristo, al Padre, permettendo così che il Signore assuma la loro intera esistenza per darle pienezza di senso e valore redentore.

Il Beato Josemaría Escrivá era pienamente cosciente di questa verità, la ricordava frequentemente ai sacerdoti, la viveva ogni giorno nel sacrificio dell’Altare.

«Per mezzo del sacramento dell’Ordine, il sacerdote è reso effettivamente idoneo a prestare a Gesù nostro Signore la sua voce, le mani e tutto il suo essere; è Gesù che nella santa Messa, con le parole della Consacrazione, cambia la sostanza del pane e del vino nel suo Corpo, nella sua Anima, nel suo Sangue, nella sua Divinità.

«È questo il fondamento dell’incomparabile dignità del sacerdote. È una grandezza ricevuta in prestito, compatibile con la mia pochezza. Prego Dio nostro Signore che conceda a tutti noi sacerdoti la grazia di compiere santamente le cose sante, di rispecchiare con la nostra stessa vita lo splendore delle grandezze del Signore. Noi che celebriamo i misteri della Passione del Signore, dobbiamo imitare quello che facciamo. E allora l’Ostia occuperà il nostro posto al cospetto di Dio, perché noi stessi ci facciamo ostia (S. Gregorio Magno, Dialog. 4, 59)»[42].

Mons. Álvaro del Portillo, testimone privilegiato della fede e dell’amore con cui il Beato Josemaría celebrava ogni giorno la Santa Messa, ci dice:

«Nell’elevare prima il Pane Eucaristico e poi il Sangue di nostro Signore, ripeté sempre — non a parole perché le rubriche non lo permettevano, ma con la mente e con il cuore — alcune preghiere, con una perseveranza eroica che durò decine di anni.

«Mentre aveva l’Ostia consacrata tra le mani, diceva infatti: Signore mio e Dio mio, l’atto di fede di S. Tommaso Apostolo. Poi, sempre ispirandosi ad una invocazione evangelica, ripeteva adagio: Adauge nobis fidem, spem et charitatem; in questo modo egli chiedeva al Signore per tutta l’Opera la grazia di crescere nella fede, nella speranza e nella carità. Subito dopo ripeteva una preghiera rivolta all’Amore misericordioso, che aveva imparato e meditato fin da giovane, ma che non utilizzò mai nella predicazione e, per diversi anni, solo raramente ci confidò che la recitava: Padre Santo, attraverso il Cuore Immacolato di Maria, vi offro Gesù, il Vostro Figlio tanto amato, e offro me stesso, in Lui, per Lui e con Lui, per tutte le sue intenzioni e in nome di tutte le creature. Poi aggiungeva l’invocazione: Signore, concedi la purezza e il gaudium cum pace a me e a tutti, pensando ovviamente ai suoi figli dell’Opus Dei. Infine, mentre si inginocchiava dopo avere elevato l’Ostia o il Sangue, recitava la prima strofa dell’inno eucaristico: Adoro te devote, latens deitas, e diceva al Signore: Benvenuto sull’Altare!

Tutto ciò, ripeto, non lo diceva solo ogni tanto, ma tutti i giorni e mai meccanicamente, ma con tutto l’amore e la vibrazione interiore»[43].

È facile comprendere la gioia del Beato Josemaría nel leggere nel Decreto Presbyterorum ordinis ciò che egli stesso predicava da molti anni: che la celebrazione del Sacrificio Eucaristico «è il centro e la radice di tutta la vita del presbitero cosicché l’anima sacerdotale si studia di rispecchiare ciò che viene realizzato sull’Altare»[44].

Il Beato Josemaría ha vissuto ed insegnato a vivere questa donazione della propria vita al Signore nella Santa Messa («la nostra Messa, Gesù», scriverà in Cammino[45]), con una radicalità assoluta, non limitata ad un proposito interiore, formulato nel momento della celebrazione liturgica. «Dobbiamo amare la Santa Messa che deve essere il centro della nostra giornata. Se si vive bene la Messa, come è possibile poi, per tutto il resto del giorno, non avere il pensiero posto nel Signore, non avere la voglia di restare alla sua presenza per lavorare come egli lavorava ed amare come Egli amava?»[46]. Da parte sua, cercava di fare di tutta la giornata una Messa continua, vivendo quotidianamente una esistenza «totalmente eucaristica»[47]. Nel 1945 egli affermava: «Così molto uniti a Gesù nell’Eucaristia, otterremo una continua presenza di Dio, in mezzo alle occupazioni ordinarie proprie della condizione di ciascuno in questo peregrinare terreno, cercando il Signore sempre e in tutto. Avendo nelle nostre anime gli stessi sentimenti di Cristo sulla Croce, otterremo che la vita intera sia una riparazione incessante, un’assidua richiesta e un permanente sacrificio per tutta l’umanità: il Signore vi darà un istinto soprannaturale per purificare tutte le azioni, elevarle all’ordine della grazia e trasformarle in strumento di apostolato. Solo così saremo anime contemplative in mezzo al mondo, come richiede la nostra vocazione e saremo anime veramente sacerdotali, facendo sì che tutto sia una lode continua a Dio»[48].

Egli insegnò in particolare a mettere la santa Messa al centro della vita quotidiana: divideva la giornata in due parti: «Fino a mezzogiorno viveva la presenza di Dio concentrandosi sul ringraziamento per la Messa che aveva celebrato; dopo la recita dell’ Angelus incominciava a prepararsi per la Messa dell’indomani»[49]. In questo tempo di preparazione moltiplicava atti di fede, di speranza e di amore per il Signore; gli chiedeva perdono per i propri peccati e per quelli di tutti gli uomini; chiedeva insistentemente «anime di apostoli» e rinnovava l’intenzione di posare sulla patena preghiere, lavoro, pensieri e affetti, gioie e sofferenze, affinché il Signore tutto assumesse e a tutto desse valore redentore. Il Beato Josemaría considerava l’insegnamento sulla partecipazione dei fedeli al Sacrificio eucaristico parte essenziale del ministero sacerdotale. «Tutti gli affetti e i bisogni di un cuore cristiano trovano nella Santa Messa il loro vero alveo: quello che per mezzo di Cristo, conduce al Padre, nello Spirito Santo. Il sacerdote deve porre ogni cura perché tutti lo sappiano e lo vivano. Non c’è ordinariamente nessuna attività che possa essere anteposta a quella di far conoscere, amare e venerare la Sacra Eucaristia”[50]. E più avanti, sottolineando l’unità della consacrazione e missione del sacerdote, dirà: “Quando un sacerdote vive la santa Messa come si deve — adorando, espiando, impetrando, rendendo grazie, identificandosi con Cristo — e insegna agli altri a fare del Sacrificio dell’Altare il centro e la radice della vita cristiana, dimostra realmente la grandezza incomparabile della sua vocazione»[51].

Secondo gli insegnamenti del Beato Josemaría, la centralità dell’Eucaristia nell’esistenza quotidiana del cristiano deve manifestarsi, in modo speciale, nella cura della liturgia eucaristica, nella fede e nell’amore con cui trattiamo Dio e le cose di Dio.

«Chiedo a tutti i fedeli che preghino molto per noi sacerdoti perché sappiamo compiere santamente il santo Sacrificio. Chiedo loro di dimostrare un amore così delicato per la santa Messa da spingerci a celebrarla con dignità — con eleganza — umana e soprannaturale; con decoro nei paramenti e negli oggetti destinati al culto, con devozione, senza fretta.

«Perché questa fretta? Gli innamorati hanno forse fretta di salutarsi dopo un incontro? Sembra che si lascino, ma non se ne vanno; ritornano una volta e un’altra, e si dicono parole comuni come se le scoprissero solo allora... Non abbiate timore di riferire alle cose di Dio gli esempi suggeriti dall’amore nobile e puro degli uomini. Se amiamo il Signore con il nostro cuore di carne — non abbiamo che questo — non avremo fretta di terminare questo incontro, questo appuntamento d’amore con Lui»[52].

Il suo esempio è rimasto impresso nella vita delle sue figlie e dei suoi figli dell’Opus Dei. «Fin dall’inizio del suo ministero sacerdotale si sforzò di non dare spazio né alla routine, né alla precipitazione nel celebrare il Santo sacrificio, nonostante l’abituale scarsità di tempo per le sue molteplici attività pastorali. Al contrario tendeva spontaneamente a celebrare la Messa con calma, approfondendo ogni testo e il senso di ogni gesto liturgico, fino al punto che, per molti anni, dovette positivamente sforzarsi — in accordo con quanto gli veniva confermato nella direzione spirituale — di andare più in fretta per non attirare l’attenzione e sapendosi al servizio dei fedeli che disponevano, per la Messa, di molto meno tempo. In questo contesto si capisce quello che scrisse nel 1932, come un sospiro sfuggito dalla sua anima: “durante la Santa Messa, gli orologi dovrebbero fermarsi”»[53].

Coloro che furono testimoni di come il Beato Josemaría Escrivá celebrava la Santa Messa, concordano nell’affermare che non c’era niente di straordinario o di singolare all’esterno, ma che non era possibile non notare la sua profonda devozione[54]. La sua pietà si alimentava dei testi liturgici e si manifestava nei gesti — indicati dalla stessa liturgia eucaristica — come il bacio dell’Altare, simbolo di Cristo, il chinare il capo, le genuflessioni lente con cui adorava il Santo dei Santi[55]. Viveva la Santa Messa e insegnò a viverla come un incontro personalissimo con Cristo, Amor nostro e con tutto il suo Corpo mistico, la Chiesa: «Vivere la Santa Messa significa rimanere in preghiera continua, con la convinzione che per ciascuno di noi si tratta di un incontro personale con Dio: lo adoriamo, lo lodiamo, gli chiediamo tante cose, lo ringraziamo, facciamo atti di riparazione per i nostri peccati, ci purifichiamo, ci sentiamo una cosa sola, in Cristo, con tutti i cristiani»[56].

«Questa intensità — ha scritto Mons. Álvaro del Portillo — con cui si univa personalmente al Sacrificio del Signore nell’Eucaristia, culminò con qualcosa che non esito a considerare come un particolare dono mistico e che lo stesso Padre raccontò con grande semplicità il 24 ottobre 1966: “Sono arrivato a 65 anni per fare una scoperta meravigliosa. Mi affascina celebrare la Santa Messa, ma ieri mi è costata una fatica tremenda. Un duro sforzo! Ho visto che la Messa è veramente Opus Dei, lavoro, come lavoro è stata per Cristo la sua prima Messa: la Croce. Ho visto che il compito del sacerdote, la celebrazione della Santa Messa è un lavoro per confezionare l’Eucaristia; vi si sperimentano dolore, gioia, stanchezza. Ho sentito nelle mia carne la spossatezza di un lavoro divino”»[57].

3. Eucaristia e vita in Cristo

Nell’Eucaristia Gesù non ci ha lasciato solo un segno-ricordo della sua presenza storica tra gli uomini e del Sacrificio con cui ha portato a termine la nostra redenzione. Il suo amore onnipotente ha reso possibile che, dopo la sua ascensione gloriosa alla destra del Padre, potesse rimanere per sempre nella Chiesa, nel Santissimo Sacramento dell’Altare.

«Pensate all’esperienza così umana del commiato di due persone che si vogliono bene. Vorrebbero stare sempre insieme, però il dovere — un qualunque dovere — li costringe a dividersi. Sognerebbero di restare uniti, ma non possono. E così l’amore umano, che per quanto grande è sempre limitato, ricorre ad un simbolo: le due persone, prima di lasciarsi si scambiano un ricordo, forse una fotografia (...).

«Ma ciò che noi non possiamo fare, lo può fare il Signore. Gesù Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo, non ci lascia un simbolo, ma la realtà: ci lascia se stesso. Ritornerà al Padre e allo stesso tempo rimarrà con gli uomini. Non ci lascerà solamente un regalo, che ci richiami alla mente il ricordo di Lui, un’immagine destinata a svanire col tempo (...). Sotto le specie del pane e del vino c’è Lui, realmente presente: con il suo Corpo, il suo Sangue, la sua Anima e la sua Divinità»[58].

La presenza personale di Gesù Cristo — del Figlio incarnato e glorificato del Padre — vera, reale e sostanziale, è ricca di conseguenze per la vita della Chiesa e del cristiano. Essendo Cristo il Verbo del Padre (cfr. Gv 1, 1; 1, 14; 14, 9-10), Colui in cui «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9), nostro Redentore e Salvatore (cfr. Mt 26, 28; Atti 4, 10-12; Rm 3, 23-24; 1 Tm 2, 5-6; 1 Gv 2, 2), si comprende la straordinaria potenza santificante dell’Eucaristia: entrando in comunione con Cristo, perfetto Dio e perfetto Uomo, riceviamo la stessa Vita divina (cfr. Gv 1, 4), la Luce che illumina ogni uomo (cfr. Gv 1, 9), la Verità che ci libera (cfr. Gv 8, 31-32), l’Amore che ci trasforma (1 Gv 4, 16) e tutti i beni salvifici che lui ci ha meritato con la sua Morte e con la sua Risurrezione.

Mediante l’Eucaristia, la nuova vita in Cristo, iniziata nel credente col Battesimo (cfr. Rm 6, 3-4; Gal 3, 27-28) può consolidarsi e svilupparsi sino a raggiungere la sua pienezza (cfr. Ef 4, 13), e il cristiano può portare a termine l’ideale enunciato da S. Paolo: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me» ( Gal 2, 20). È quanto si deduce dalle parole di Gesù: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (...). Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre che ha la vita ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me» ( Gv 6, 51-57). Il Pane eucaristico offre ai fedeli la vita del Signore, concedendo loro una singolare partecipazione, in Cristo e con Cristo, alla comunione di vita e di amore del Dio Uno e Trino.

La considerazione di queste verità era per il Beato Josemaría Escrivá un potente stimolo perché vivessimo secondo la nostra condizione di figli di Dio in Cristo. «La Sacra Eucaristia comunica ai figli di Dio la novità divina; e a noi tocca corrispondere in novitate sensus ( Rm 12, 2), rinnovando tutto il nostro sentire e il nostro operare. Ci è stata data una radice potente innestata nel Signore. E noi che possediamo il Pane di oggi e di sempre, non possiamo tornare al lievito di una volta»[59].

L’Eucaristia ci configura a Cristo, ci fa partecipi dell’essere e della missione del Figlio, ci identifica con le sue intenzioni e i suoi sentimenti, ci dà forza per amare come Lui vuole (cfr. Gv 13, 34-35), per infiammare tutti gli uomini e le donne del nostro tempo con il fuoco dell’amore divino che Lui è venuto a portare sulla terra (cfr. Lc 12, 49), per aver compassione delle moltitudini che ora, come venti secoli fa, vanno come «pecore senza pastore», stanche e sfinite (cfr. Mt 9, 36). Tutto questo deve veramente manifestarsi nella nostra vita: «Il rinnovamento che si opera in noi, nel ricevere il Corpo del Signore, deve essere manifestato nelle opere. Rendiamo le nostre parole vere, chiare, opportune: che sappiano consolare e aiutare, che sappiano soprattutto portare agli altri la luce di Dio. Rendiamo le nostre azioni coerenti, efficaci, appropriate: abbiano il bonus odor Christi (2 Cor 2, 15), il profumo di Cristo che ce ne richiama il comportamento e la vita»[60].

Grazie all’Eucaristia il cristiano può essere veramente cristoforo, portatore di Cristo, Cristo che passa tra gli uomini. Così diceva il Beato Josemaría nell’omelia pronunziata il 28 aprile del 1964, festa del Corpus Domini:

«La processione del Corpus Domini manifesta la presenza di Dio per città e villaggi. Ma questa presenza, ripeto, non può essere cosa di un giorno, un vociare confuso, udito e subito dimenticato. Il passaggio di Gesù ci ricorda che dobbiamo scoprirlo anche nelle nostre attività quotidiane. Accanto alla processione solenne di questo Giovedì, ci deve essere la processione silenziosa e umile della vita ordinaria di ogni cristiano, uomo tra gli uomini, ma con il privilegio di avere ricevuto la fede e la missione divina di comportarsi in tal modo da rinnovare sulla terra il messaggio del Signore. Non siamo immuni da errori, da miserie, da peccati. Ma Dio è con gli uomini, e dobbiamo far sì che si serva di noi perché il suo passaggio tra le creature sia ininterrotto.

«Chiediamo allora al Signore che ci conceda di essere anime di Eucaristia e che il nostro rapporto intimo con Lui si esprima in gioia, serenità, in desiderio di giustizia. È così che agevoleremo agli altri il compito di riconoscere Cristo e che daremo il nostro contributo per collocarlo al vertice di tutte le attività umane. Avrà compimento la promessa di Gesù: “Ed io, quando sarò innalzato da terra, attirerò a me tutte le cose” ( Gv 12, 32)»[61].

Nell’Eucaristia troviamo il principio che spinge ad evangelizzare il mondo, il fondamento dell’efficacia dell’apostolato realizzato dai discepoli di Cristo[62]. Inseriti nel flusso di amore del Dio Uno e Trino, cercano di compiere, nel Figlio e per lo Spirito Santo, la volontà del Padre che vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1 Tm 2, 4).

L’Eucaristia, unendoci a Cristo, unico Pane di cui partecipano tutti i cristiani (cfr. 1 Cor 10, 17), ci unisce tra noi e con Lui, edificando la Chiesa come un solo Corpo (cfr. 1 Cor 12, 27). Per questo, partecipando alla celebrazione eucaristica «ci sentiamo una cosa sola, in Cristo, con tutti i cristiani»[63]. L’Eucaristia ci fa essere più uniti a tutta la famiglia di Dio che è la Chiesa (cfr. Ef 2, 19).

L’Eucaristia, poiché contiene il Verbo incarnato, il crocifisso risorto e glorioso che sta alla destra del Padre, possiede un’efficacia salvifica che trascende il tempo e penetra nella realtà escatologica. «Il cristiano, confortato dalla nuova e definitiva manna dell’Eucaristia, pregusta già ora la felicità eterna. Le cose vecchie sono passate: e per noi, abbandonato tutto ciò che è caduco, tutto sia nuovo: il cuore, le parole, le opere (Inno Sacris sollemnis)... È buona novella, perché in modo ineffabile ci preannuncia l’eternità»[64].

«Nell’Eucaristia Gesù ci dà la garanzia fedele della sua presenza nelle nostre anime, della sua potenza che sostiene il mondo, delle sue promesse di salvezza, grazie alle quali la famiglia umana, quando giunga la fine dei tempi, abiterà per sempre nella dimora del Cielo, in seno a Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo: Trinità Santissima e Dio Unico»[65]. Nell’Eucaristia è presente in nuce, in modo iniziale, la realizzazione del piano salvifico universale di Dio: con Cristo risuscitato si rende anche presente la nuova creazione, «i nuovi cieli e la nuova terra», la nuova umanità (cfr. Ap 21, 1-7; 2 Pt 3, 13; Rm 8, 19-22). In effetti, nella Trasfigurazione gloriosa di Cristo si è già inaugurata la rinnovazione escatologica del mondo: nel Signore risuscitato, l’ eschaton — Colui che rappresenta le realtà ultime — è già presente l’ottavo giorno, l’eternità che erompe nel presente, facendoci pregustare quanto troveremo nella vita eterna[66].

In questo senso possiamo dire che ogni celebrazione eucaristica è Pasqua, passaggio della Chiesa e dell’intera creazione verso il suo fine. In ogni Eucaristia «Gesù con gesto di Sacerdote eterno attrae a sé tutte le cose, per porle, divino afflante Spiritu, con il soffio dello Spirito Santo, alla presenza di Dio Padre»[67].

[1] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Lettera 2-II-1945, n. 11. A partire da ora tutte le citazioni in cui non si nomina l’autore sono del Beato Josemaría Escrivá.

[2] Lettera 11-III-1940, n. 11.

[3] Forgia, Milano 1996, n. 69.

[4] ÁLVARO DEL PORTILLO, Sacerdotes para una nueva evangelización, in La formación de los sacerdotes en las circustancias actuales, (Atti dell’XI Simposio Internazionale di Teologia dell’Università di Navarra), Pamplona 1990, p. 995. Pubblicato in “Studi Cattolici”, n. 352, giugno 1990, pp. 388-397 e successivamente in Consacrazione e missione del sacerdote, Milano 1990.

[5] Cfr. F. OCÁRIZ, La filiación divina, realidad central en la vida y en la enseñanza de Mons. Escrivá de Balaguer, in Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer y el Opus Dei, 2ª ed. Pamplona 1985, pp. 175-214; C. FABRO, La tempra di un Padre della Chiesa, in Santi nel mondo. Studi sugli scritti del Beato Josemaría Escrivá, Milano 1992, pp. 106-110.

[6] È Gesù che passa, Milano 1985, nn. 84-85.

[7] Ibid., n. 87.

[8] Ibid., n. 86.

[9] Ibid.

[10] CONCILIO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 4-XII-1963, n. 47.

[11] Cfr. PAOLO VI, Sollemnis professio fidei, 30-VI-1968, n. 24.

[12] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1362.

[13] Ibid., n. 1085.

[14] Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th. III, q. 17, a. 2, c.

[15] Si tratta di un atto meta-storico; non può misurarsi con parametri spazio-temporali del momento presente, come i nostri atti umani, ma secondo l’eternità compartecipata dell’uomo-Dio; cfr. T. FILTHAUT, Kontroverse über di Mysterienlehre, Warendorf 1947, p. 17.

[16] Cfr. R. GARRIGOU-LAGRANGE, An Christus non solum virtualiter sed etiam actualiter offerat Missas quæ quotidie celebrantur, in “Angelicum” 19 (1942) 105-118.

[17] L’Eucaristia rende solo presente una realtà preesistente: la Persona di Cristo e, in Lui, l’atto sacrificale della nostra Redenzione. Il segno offre un nuovo modo di presenza, sacramentale, permettendo, come vedremo in seguito, la partecipazione della Chiesa al Sacrificio del Signore.

[18] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1364.

[19] CONCILIO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 7.

[20] Cfr. Preghiera Eucaristica della Tradizione Apostolica di Sant’Ippolito; Anafora di Addai e Mari; Anafora di S. Marco, in A. HÄNGGI-I. PAHL, Prex Eucharistica. Textus a variis liturgiis antiquioribus selecti, Fribourg 1968, pp. 80-81; pp. 375-380; pp. 101-115, spec. pp. 112-114.

[21] Cfr. Messale Romano, Preghiera Eucaristica I (Unde et memores e Supra quæ); Preghiera Eucaristica III (Memores igitur, Respice, quæsumus e Ipse nos tibi), espressioni simili si trovano nelle Preghiere II e IV.

[22] Sulla partecipazione dei fedeli all’offerta del Sacrificio Eucaristico cfr. PIO XII, Lett. enc. Mediator Dei: AAS 39 (1947) 555-556; 559-560; CONCILIO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 48; Cost. dogm. Lumen gentium, 21-XI-1964, nn. 10-11; PAOLO VI, Lett. enc. Misterium fidei: AAS 57 (1965) 761; Ibid., Sollemnis professio fidei, n. 24; GIOVANNI PAOLO II, Lettera Dominicæ Cenæ, 24-II-1980, n. 9.

[23] O. CASEL, Die Kirche als Braut Christi nach Schrift, Väterlehre und Liturgie, in Id., Mysterium der Ekklesia. Von der Gemeinschaft aller Erlösten in Christus Jesus (Aus Schriften und Vorträgen), Mainz 1961, pp. 59-87.

[24] Ibid., Glauben, Gnosis und Mysterium, in “Jahrbuch für Liturgiewisenschaft” 15 (1941) 299.

[25] M. LEPIN, L’idée du sacrifice de la Messe d’aprés les théologiens depuis l’origine jusqu’à nos jours, Parigi 19262, p. 755.

[26] Cfr. J. A. JUNGMANN, Oblatio und sacrificium in der Geschichte der Eucharistieverständnisses, in “Zeitschrift für katholische Theologie” 92 (1970) 343.

[27] J. BETZ, L’Eucaristia come mistero centrale, in Misterium salutis, VIII, Brescia 1982, p. 341.

[28] Cfr. S. CIPRIANO, Ep. 63, 13: CSEL 3, 71.

[29] S. AGOSTINO, De civitate Dei, 10, 6: CCL 47, 279.

[30] Cfr. S. GREGORIO MAGNO, Dialog., 4, 61, 1: SChr 265, 202.

[31] Messale Romano, Preghiera Eucaristica III: Respice quæsumus e Ipse nos tibi.

[32] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1368.

[33] Colloqui con Mons. Escrivá, Milano 19875, n. 113.

[34] È Gesù che passa, cit., n. 86.

[35] Ibid., n. 88.

[36] Ibid., n. 87.

[37] Ibid.

[38] Riguardo al desiderio della Chiesa che tutti i fedeli partecipino coscientemente, devotamente e attivamente al Sacrificio Eucaristico, offrendosi con Cristo e offrendo l’Ostia immacolata non solo per mano del sacerdote, ma assieme a lui, cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 48; Cost. dogm. Lumen Gentium, n. 11; Decr. Presbyterorum ordinis, 7-XII-1965, nn. 2 e 5; PIO XII, Lett. Enc. Mediator Dei: AAS 39 (1947) 555-556; PAOLO VI, Enc. Misterium fidei: AAS 57 (1965) 761; SCR, Istr. Eucharisticum Misterium, 25-V-1967, nn. 3b e 3e; GIOVANNI PAOLO II, Lettera Dominicæ Cenæ, n. 9.

[39] È Gesù che passa, cit., n. 94.

[40] CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 34.

[41] CONCILIO VATICANO II, Decr. Presbyterorum ordinis, n. 13.

[42] Omelia, Sacerdote per l’eternità, 13-IV-1973, in La Chiesa, nostra Madre, Milano 1993, n. 39, p. 73-74.

[43] ÁLVARO DEL PORTILLO, Intervista sul Fondatore dell’Opus Dei, a cura di C. Cavalleri, Milano 1992, pp. 130-131.

[44] CONCILIO VATICANO II, Decr. Presbyterorum ordinis, n. 14. Sul rapporto di questo testo con la predicazione del Beato Josemaría Escrivá, cfr. ÁLVARO DEL PORTILLO, Consacrazione e missione del sacerdote, Milano 1992.

[45] Cammino, Milano 1996, n. 533.

[46] È Gesù che passa, cit., n. 154.

[47] Forgia, cit., n. 826. Il tema della Messa che si prolunga per tutta la giornata è stato formulato in diversi modi lungo la storia. Su questo punto si può notare un’evidente sintonia tra gli insegnamenti del Beato Josemaría e la dottrina esposta nella scuola francese di spiritualità; per esempio, F. Mugnier, seguendo autori come J. Bossuet, P. de Bérulle e Ch. de Condren, si esprimeva così: «Faire ainsi de ma journée comme une messe en action, continuant, s’il se peut, la sainte messe quotidiennement entendue et pratiquée, ce devrait être la vie normale de tout chrétien» (F. MUGNIER, Roi, Prophéte, Prêtre avec le Christ, Parigi 1937, p. 215).

[48] Lettera 2-II-1945, n. 11.

[49] ÁLVARO DEL PORTILLO, Intervista sul Fondatore dell’Opus Dei, cit., p. 129.

[50] Omelia, Sacerdote per l’eternità, cit., pp. 79-80.

[51] Ibid., p. 82.

[52] Ibid., p. 79

[53] ÁLVARO DEL PORTILLO, Consacrazione e missione del sacerdote, cit., pp. 120-121.

[54] Cfr. J. M. CASCIARO, Vale la pena. Tre anni accanto al Fondatore dell’Opus Dei: 1939-1942, Milano 1999, pp. 77-78. Cfr. anche le testimonianze negli Articoli del Postulatore, nn. 379-384.

[55] Cfr. È Gesù che passa, cit., nn. 85-91.

[56] Ibid. n. 88. Anni prima, il Beato Josemaría aveva scritto: “Non abituatevi mai a celebrare o ad assistere al Santo Sacrificio: fatelo invece con tanta devozione come se si trattasse dell’unica Messa della vostra vita, sapendo che lì è presente Cristo, Dio e Uomo, Capo e Corpo e, pertanto, con Nostro Signore, tutta la Chiesa” (Lettera 28-III-1955, n. 5).

[57] ÁLVARO DEL PORTILLO, Consacrazione e missione del sacerdote, cit., p. 121.

[58] È Gesù che passa, cit., n. 83.

[59] Ibid., n. 155. Se gli effetti salvifici dell’Eucaristia non si raggiungono una volta per tutte nella loro pienezza non è per difetto della potenza di Cristo, ma per difetto della devozione dell’uomo (S. TOMMASO D’AQUINO, S.Th., III, q 79, a. 5, ad 3). Riguardo all’applicazione della virtù salvifica del Sacrificio eucaristico e della comunione conviene ricordare che tale applicazione non si compie in modo meccanico (infallibilmente ed estrinsecamente) ma secondo le disposizioni morali degli uomini, cioè secondo la loro libera corrispondenza alla grazia che offre il Signore, secondo la fede, speranza, carità, contrizione, umiltà ecc. con cui vanno all’incontro personale con Cristo. L’unione con Dio in Cristo si realizza per via della libertà e dell’amore; è possibile in virtù dell’amore che ha per noi, ma esige la nostra libera corrispondenza a questo amore (cfr. 1 Gv 4, 16. 19-21).

[60] È Gesù che passa, cit., n. 156.

[61] Ibid.

[62] Il Concilio Vaticano II afferma esplicitamente che l’Eucaristia è fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione: Decr. Presbyterorum ordinis, n. 5; Decr. Ad gentes, 7-XII-1965, n. 36.

[63] È Gesù che passa, cit., n. 88.

[64] Ibid., n. 152.

[65] Ibid., n. 153.

[66] Cfr. S. BASILIO MAGNO, De Spiritu Sancto, 27, 66: SChr 17 bis, 237.

[67] È Gesù che passa, cit., n. 94.

Romana, n. 28, Gennaio-Giugno 1999, p. 148-165.

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