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Roma 9-X-2000

Nella Messa d’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Università della Santa Croce

Emitte Spiritum tuum et creabuntur et renovabis faciem terræ (Sal 103, 30). Le parole del Salmo danno voce alla nostra preghiera, all’intimo anelito di conversione e di salvezza che colma di senso ogni giornata di quest’Anno Giubilare. Alla soglia di un nuovo millennio, uniti al Vicario di Cristo e a tutti i nostri fratelli nella fede, supplichiamo il Signore della storia di rinnovare questo nostro mondo, di concedere a noi tutti maggiore fermezza nella fede e un amore più vivo.

Emitte Spiritum tuum. Queste grazie ci verranno donate dal Paraclito. Non sarà l’opera delle nostre mani a trasformare il mondo; sarà un dono di Dio, la sollecitudine spesso misteriosa ma sempre feconda del suo Amore per l’umanità. Ma è necessaria anche la nostra cooperazione, il nostro sì all’invito divino. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Apc 3, 20). Il nostro compito è di vigilare, di stare sempre pronti ad aprire la porta dell’anima a Cristo che chiama, a lasciarci guidare dallo Spirito che soffia dentro di noi. Il mondo cambierà solo sulla base di questa risposta personale di ognuno di noi alla grazia divina. La condizione affinché il nuovo millennio rechi in sé una profonda impronta cristiana sta nel deciso proposito di conversione da parte di ogni singolo cristiano, di ognuno di noi.

Sin dal primo giorno dell’Anno Santo tutti noi stiamo implorando il Signore di donarci la grazia della conversione, conversione reale, testimoniata dai fatti nel quotidiano. Il traguardo cui aspiriamo, e che raggiungeremo se siamo umili, si esprime nelle parole di san Paolo: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20).

Tralasciando per ora altri aspetti che caratterizzano il processo della conversione, vorrei oggi soffermarmi sulla sua dimensione più specificamente intellettuale. Ogni svolta di salvezza nella vita coinvolge dell’uomo più direttamente la volontà e l’affettività, ma alla sua origine troviamo sempre un atto di fede, una più viva percezione del mistero dell’amore di Dio.

La conversione intellettuale è compito faticoso, più arduo della conversione del cuore. È sete di luce divina, che impegna la persona a rivisitare le proprie idee, i propri giudizi, i criteri di azione e di valutazione. È una ricerca da compiere con umiltà, perché propone molte piccole ma significative correzioni del proprio modo di pensare, difficili perché a nulla siamo tanto attaccati come alle nostre idee.

Emitte Spiritum tuum et creabuntur et renovabis faciem terræ. Lo dobbiamo chiedere spesso, perché solo con l’aiuto dello Spirito di verità la nostra intelligenza potrà configurarsi pienamente a Cristo, le nostre parole lo annunceranno fedelmente e le nostre azioni lo mostreranno visibilmente agli altri.

Mentes tuorum visita, imple superna gratia, quæ tu creasti pectora. Con le parole dell’inno liturgico preghiamo il Paraclito di illuminare la nostra mente e di visitare il nostro cuore, perché solo così riusciremo ad accogliere in noi la luce di Cristo e sapremo aprire la porta alla Verità che Egli ci rivela. Verità su noi stessi, sul senso della vita, sul fine al quale dobbiamo tendere, sulla nostra fragilità. Verità, soprattutto, sul Padre, sul Figlio e sullo Spirito, che da entrambi procede.

Il Paraclito vuole condurci alla pienezza della Verità, alla comprensione profonda di quanto Gesù ha fatto e detto. Tale pienezza si raggiunge attraverso la conoscenza amorevole del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. A questo debbono puntare i nostri sforzi anche intellettuali: dobbiamo di giorno in giorno consolidare un’autentica unità di vita fra la ricerca accademica e la ricerca della santità. La scienza deve porsi al servizio della carità. Se questa unità si indebolisce e si spezza, la scienza finirà per servire l’orgoglio e la vanità, come insegnava San Paolo ai Corinzi (cfr. 1 Cor 8, 2-3).

Ecco, dunque, un aspetto molto preciso della conversione intellettuale: orientare l’attività della mente, ogni suo movimento, alla conoscenza di Dio Uno e Trino, così che si accresca il desiderio di vivere nell’intimità divina e si accenda nell’anima l’amore alle Tre Persone. Usando un’espressione cara a Giovanni Paolo II, potremmo dire che lo studio deve «concentrarsi tematicamente nel mistero di Dio Uno e Trino»[1]. L’Anno Santo ha un’impronta decisamente trinitaria, perché in Cristo è tutta la Trinità che viene incontro all’uomo nella storia.

Vi auguro, in questi mesi che vengono, di fare personalmente la scoperta di cui parla il Beato Josemaría in una delle sue omelie. «Il cuore — scrive — sente il bisogno allora di distinguere le Persone divine e di adorarle a una a una. In un certo senso, questa scoperta che l’anima fa nella vita soprannaturale è simile a quella di un infante che apre gli occhi all’esistenza. L’anima s’intrattiene amorosamente con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo; e si sottomette agevolmente all’attività del Paraclito vivificante»[2]. Dobbiamo approfondire la nostra intimità con le tre Persone divine se vogliamo aiutare gli altri a percorrere l’itinerario verso la santità.

Il Santo Padre ha voluto dedicare l’Anno Giubilare in modo specialissimo all’adorazione di Gesù Eucaristico. Ebbene, proprio questa adorazione ci offre la strada più spedita per accostarci alla Trinità. Ascoltiamo ancora il Beato Josemaría: «Tutta la Trinità — disse in un’omelia del Giovedì Santo — è presente nel sacrificio dell’altare. Per la volontà del Padre e con la cooperazione dello Spirito Santo, il Figlio si offre come vittima redentrice. La Messa è azione divina, trinitaria, non umana. Il sacerdote che celebra, collabora al progetto del Signore, prestando il suo corpo e la sua voce; ma non agisce in nome proprio, bensì in persona et in nomine Christi, nella persona e nel nome di Cristo»[3].

Quanta vigilanza di spirito, quanta fede, speranza e carità ci richiede la partecipazione al Sacrificio eucaristico, per non lasciarci imbrigliare nelle apparenze meramente esteriori e arrivare invece a percepire ogni volta il mistero grande e tremendo che si compie dinanzi ai nostri occhi! «Assistendo alla Santa Messa — diceva il Beato Josemaría — imparerete a trattare ciascuna delle tre Persone divine (...). Fate la comunione con fame, anche se siete freddi e pieni di aridità: fate la comunione con fede, con speranza, con ardente carità». Il mio augurio è che possiate davvero partecipare — o celebrare — quotidianamente la Santa Messa con queste disposizioni.

La Chiesa ci ricorda che, per partecipare alla vita divina del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, nessuna via è migliore di quella che la stessa Trinità ha scelto per venire da noi: Maria, Figlia prediletta del Padre, Madre del Verbo Incarnato, Sposa e Tempio del Paraclito. Attraverso di Lei, Donna del silenzio e dell’ascolto — come la chiama il Santo Padre nella Bolla Incarnationis mysterium (n. 14) —, modello di fede e di pellegrinaggio nella fede, arriveremo più facilmente al Dio Uno e Trino, poiché la Vergine Santa non cessa di aiutare i suoi figli in questo cammino verso la Trinità che è la vita nostra.

[1] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai teologi, Altötting, 18-XI-80.

[2] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Amici di Dio, n. 306.

[3] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, n. 86.

Romana, n. 31, Luglio-Dicembre 2000, p. 235-237.

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