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La libertà conquistata da Cristo sulla Croce

Approccio teologico ad alcuni insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá sulla libertà

Lluís Clavell

Pontificia Università della Santa Croce

“Il nostro unico fine è spirituale e apostolico e ha un contrassegno divino: l’amore per la libertà, che Gesù Cristo ci ha conquistato morendo sulla Croce (cfr Gal 4, 31)”[1]

1. Introduzione

La libertà è un tema così centrale nella vita e nell’insegnamento del Beato Josemaría Escrivá, che egli era solito ricordare a coloro cui il Signore aveva dato la sua stessa vocazione: “Vi lascio in eredità, umanamente, l’amore per la libertà e il buon umore”[2].

L’amore per la libertà si avverte sin dall’inizio stesso della missione ricevuta da Dio[3] ed è considerato dal Beato Josemaría come un sigillo divino[4]. Domina tutta la sua esistenza senza soluzione di continuità. Nella primavera del 1974, un anno prima che il Signore lo chiamasse a Sé, in un incontro con giovani di molti Paesi esprimeva le medesime convinzioni in modo informale, con vivacità e simpatia: “Nel secolo scorso, i nostri nonni — i miei, diciamo i vostri bisnonni — erano così in gamba che lottavano veramente per la libertà personale [...]. Erano dei grandi romantici, si sacrificavano e lottavano per ottenere quella democrazia che sognavano e una libertà personale con responsabilità personale. Così bisogna amare la libertà: con responsabilità personale. [...] Vado in giro con una lanterna, come Diogene, cercando la libertà e non la trovo da nessuna parte [...]. Penso di essere l’ultimo romantico, perché amo la libertà personale di tutti — anche quella dei non cattolici”[5].

Un elemento centrale del suo pensiero è la convinzione che, umanamente parlando, il maggior dono ricevuto da Dio è la libertà, che è la caratteristica principale della persona. Tuttavia, il Beato Josemaría non fu maestro di libertà soltanto in modo teorico o speculativo, ma in quanto visse intensamente la libertà e la difese con eroica perseveranza. Ne danno testimonianza tante persone che l’hanno conosciuto[6] e, in modo particolare, i suoi successori alla guida dell’Opus Dei, i vescovi Álvaro del Portillo[7] e Javier Echevarría[8]. Anche i diversi profili biografici pubblicati dal 1975 in poi e la biografia scritta da Andrés Vázquez de Prada[9] hanno messo in rilievo questa caratteristica dominante del Beato Josemaría.

I suoi scritti non contengono una pura teoria sulla libertà, ma dimostrano che la comprese a partire dalle sue stesse esperienze di vita[10]. Direi che il suo stile è più esistenziale e autobiografico che speculativo, e rivela una singolare chiaroveggenza, oltre che rapidità e profondità d’intuizione intellettuale. Il filosofo italiano Cornelio Fabro, che lo ha definito “maestro di libertà cristiana”[11], ha intitolato un proprio studio sulle pubblicazioni del Beato Josemaría Con la tempra dei Padri, per indicare la loro somiglianza con le opere dei Padri della Chiesa[12]. Nella patristica si nota una forte unione tra vita e dottrina: incomincia a svilupparsi una certa riflessione, che fa parte della vita cristiana dei Padri, che devono trasmettere fedelmente la Verità rivelata, che è Vita, nelle circostanze specifiche del loro tempo.

Forse proprio per queste caratteristiche, che vanno al di là dell’ambito accademico, il Fondatore dell’Opus Dei ha meritato l’attenzione di studiosi di varie scienze umane: teologi, filosofi, giuristi, pedagogisti, ecc.[13]. Nel campo filosofico-teologico al quale intendo attenermi, devo ricordare vari autori, senza la pretesa di essere esaustivo: C. Fabro, già citato, è ritornato sul tema in El primado existencial de la libertad[14]; Mons Fernando Ocáriz[15], con il suo lavoro sulla filiazione divina; il Prof. Antonio Aranda[16]; Carlos Cardona, sia nei commenti alle opere del Beato Josemaría che nei suoi lavori sulla libertà; Alejandro Llano[17], Leonardo Polo[18], Juan Bautista Torelló[19] e altri[20].

2. Il contesto storico

Per approfondire gli insegnamenti del Beato Josemaría e per darne una corretta valutazione è necessario accennare brevemente allo stato della libertà nella cultura del suo tempo. Molte volte la sua affermazione della libertà nasceva dall’intenzione di prenderne le difese di fronte a particolari vicende della vita di molti Paesi. Poiché era un maestro di vita cristiana, percepiva profondamente i mutamenti culturali della società in cui viveva. Intendo qui offrire soltanto un quadro generale di riferimento.

2.1. Il progressivo apprezzamento della libertà

Una delle realtà più importanti in gioco nei cambiamenti culturali moderni e contemporanei è senza dubbio la libertà, assieme all’autenticità. L’ha messo in risalto Charles Taylor nella sua nota opera Las fuentes del yo, anche se non sembra arrivare a una conclusione nella sua diagnosi della modernità[21].

Negli ultimi secoli si è verificata una progressiva scoperta del valore e della radicalità della libertà. Sul piano esistenziale delle singole persone e della società si è consolidata una forte coscienza della dignità della persona e dei suoi diritti e, al contempo, si è affermata la relativa autonomia delle realtà terrene. Al centro di tutto questo processo c’è l’esperienza vissuta della libertà, sul piano personale e su quello della vita sociale e politica. Questa maggiore coscienza dell’importanza della libertà e del suo valore si riflette nei testi giuridici, nella letteratura e nello sviluppo degli studi speculativi. A mio parere, si tratta di un lungo processo di maturazione di alcune verità cristiane, che ha avuto bisogno di secoli di storia per manifestare sempre più pienamente le sue potenzialità.

Naturalmente, l’approfondimento sulla libertà è stato talvolta inficiato dalle conseguenze del peccato. Sul piano teorico, molti filosofi tendono — a mio giudizio giustamente — a considerare la libertà come centro dell’uomo. Ma a causa di un antropocentrismo chiuso alla trascendenza, spesso la considerano un assoluto, che fonda se stesso o che non ha bisogno di alcun fondamento: si arriva al punto di intendere la libertà come fondante e non come fondata. L’autonomia antropocentrica contiene un rifiuto del realismo metafisico, profondamente umano e rafforzato dal cristianesimo, dell’accettazione dell’esistenza comunicata da Dio alle creature. L’atto di essere è fonte di attività e, quando è di ordine spirituale, è un essere personale che con il libero dinamismo si perfeziona e si dirige alla sua maturità. Per questo capita lo strano paradosso, frequente nella modernità, di una forte percezione della libertà, che poi viene tristemente sprecata in varie maniere. Si comprende allora il perché della perdita della libertà quando se ne rifiuta il fondamento metafisico, come si può osservare nei due orientamenti predominanti in numerosi pensatori moderni e contemporanei.

Infatti, nel razionalismo, che preferisce la soggettiva chiarezza delle semplici essenze all’essere della realtà stessa, la libertà si riduce alla necessità conosciuta del sistema, ossia alla conoscenza della propria necessità (per esempio, in quanto modi dell’unica sostanza, del Deus sive natura di Spinoza). La realtà, come insieme di essenze relazionate come un sistema matematico perfettamente afferrabile dalla ragione umana, non lascia spazio alla libertà, che costituisce uno scandalo irrazionale per il sistema determinista (Leibniz). L’essere, con tutto il dinamismo che da esso emana, è stato respinto quando si sono preferite delle essenze chiare e distinte, più facilmente governabili dall’uomo nel suo dominio del mondo, perché l’essere non è perfettamente disponibile.

Un’altra forma importante ed estrema della dimenticanza e del rifiuto dell’essere si trova nelle concezioni della realtà che, al posto delle essenze, preferiscono l’esistenza come insieme di fatti e azioni senza un soggetto radicato nell’essere. Posizione che potremmo qualificare come fattualità esistenzialista. In questo caso, la realtà si compone di fatti che si succedono senza che sorgano da una fonte nella quale trovino una unità e un significato. La libertà si dissolve nella spontaneità di atti sconnessi e senza senso. Il dover decidere — con la conseguente responsabilità — diventa un peso insopportabile, una condanna (Sartre). La temporalità cessa di essere una eternità partecipata per trasformarsi in un succedersi ludico o estetizzante di atti puntuali e isolati[22]. Anche in questo caso l’esaltazione della libertà conduce paradossalmente alla sua perdita.

2.2. La mentalità da partito unico

Il Beato Josemaría Escrivá, evitando sempre di assumere posizioni politiche specifiche, ha difeso la libertà cristiana di fronte a ciò che chiamava “mentalità da partito unico” tanto nel campo sociale e politico, quanto in quello apostolico.

In campo politico, dopo l’esaltazione di una libertà individualista propria del liberalismo, durante il secolo XX si sono succedute ideologie ed esperienze politiche che avevano in comune la negazione della libertà personale. Totalitarismi in senso stretto, come il comunismo e il nazionalsocialismo, e altre forme politiche con una eccessiva limitazione della libertà, dominate da un partito unico. Con il suo senso cristiano della libertà, il Beato Josemaría respinse con molta energia questo oltraggio alla persona umana e alla sua libertà e responsabilità, facendosi sempre eco delle dichiarazioni del Magistero della Chiesa in questo campo.

Di fronte al fenomeno delle masse spersonalizzate da queste tendenze della vita politica e da diverse cause culturali, egli ha diffuso l’anelito cristiano per estrarre, dalla massa anonima, delle persone che facessero propria la libertà e la responsabilità personali, senza sottostare ai tentativi tirannici di soffocarle.

2.3. Clericalismo e paura della libertà

Anche nell’ambito della vita ecclesiale accadevano fenomeni di scarsa coscienza di ciò che comporta la libertà cristiana: persone e gruppi con mentalità da partito unico nell’ambito dell’apostolato e dell’azione dei cattolici nella vita pubblica; persone convinte di avere la missione di dare un’unica soluzione cattolica ai problemi dell’ambito temporale; la direzione spirituale concepita come una guida sostitutiva della coscienza cristiana di ciascun fedele. Forse la reazione agli eccessi del liberalismo aveva generato in alcuni ambienti questi atteggiamenti di paura della libertà e di mancato richiamo all’assunzione di responsabilità.

Il Fondatore dell’Opus Dei percepiva chiaramente tutto questo come una deformazione cristiana e un offuscamento della libertà. Se il clericalismo consiste, in generale, in una indebita ingerenza dei chierici negli ambiti che sono competenza dei laici, il Beato Josemaría ha saputo cogliere numerose manifestazioni di questo clericalismo e la sua relazione con la mentalità da partito unico, che nasce quando si cerca di dare un’unica soluzione cristiana ai problemi contingenti e opinabili. Il suo modo di concepire la vita cristiana, in difesa della libertà di ogni persona, andava contro corrente rispetto al clericalismo di chi crede o pensa di se stesso di scendere “dal tempio al mondo per rappresentare la Chiesa, e che le sue scelte sono le soluzioni cattoliche di quei problemi. Questo non va, figli miei! Un atteggiamento del genere sarebbe clericalismo, cattolicesimo ufficiale o come volete chiamarlo. In ogni caso, vuol dire violentare la natura delle cose”[23].

Non era un punto marginale. Il Fondatore dell’Opus Dei era fermamente convinto che le persone affette da questa mentalità non potevano capire la missione che egli aveva ricevuto da Dio di manifestare la grandezza della vita ordinaria.

2.4. Approfondimento cattolico della libertà nel XX secolo.

Durante il secolo XX parecchi teologi e filosofi cristiani hanno cercato di approfondire il concetto cristiano di libertà. Questo fatto positivo ha dato i suoi frutti negli sviluppi dottrinali del Concilio Vaticano II, nei quali ha un certo peso l’espressione paolina “la libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8, 21). In seguito non sono mancati gli estremismi tendenti a far proprio un liberalismo forte o quelli, apparentemente opposti, di alcune forme della teologia della liberazione di orientamento marxista. Dico “apparentemente opposti”, perché entrambi hanno una comune matrice di antropocentrismo di chiusa immanenza.

Nell’ambito strettamente accademico si è constatata tra i pensatori cristiani la tendenza a un concetto della libertà più alto di quello usuale nella teologia e filosofia scolastica della prima metà del XX secolo. L’idea di libertà come mera proprietà della facoltà volitiva spirituale generava insoddisfazione e si tendeva a considerarla come una espressione di tutta la persona. Come scrive Alejandro Llano, “la libera decisione coinvolge esistenzialmente l’essere umano in un modo più profondo e globale della conoscenza di sè”[24], o, come nota Paul Ricoeur, nel decidermi io mi decido, mettendo nella mia decisione tutto il peso del mio essere.

Anche la nozione di libertà come pura capacità di scegliere i mezzi si è dimostrata riduttiva e molti autori — per esempio, Joseph de Finance[25] o Karol Wojtyla[26] — sottolinearono l’autodeterminazione o autotrascendenza verso la perfezione e la pienezza, che si manifestano specialmente nella donazione. Punto in cui convergono anche filosofi abbastanza diversi come Leonardo Polo, Carlos Cardona[27] e Robert Spaemann[28].

Si voleva superare una visione unilaterale, puramente estatica, della metafisica e un modo estrinseco di agire rispetto all’essere. Si trattava, in fondo, di trarre le conseguenze del superamento del formalismo e pertanto di vedere tutto dal punto di vista della perfezione per eccellenza che è l’essere, purché questo non sia considerato come semplice esistenza o stato di realtà, come hanno mostrato Cornelio Fabro o Etienne Gilson.

L’attualità, o energia dell’essere partecipato, non resta completamente chiusa nei limiti dell’essenza, ma fa sì che da essa defluiscano le potenze attive, le capacità operative o facoltà, che hanno più ragione di atto che di potenza. L’essere è sempre sorgente di attività, e in Dio è identico alla sua opera immanente di sapienza e amore.

Alla luce di questo sforzo speculativo nella teologia e nella filosofia, la libertà come capacità di scegliere rimanda a qualcosa di più fondamentale che è l’essere libero della persona. Con maggiore o minore precisione questa prospettiva si osserva in non poche opere di antropologia filosofica e teologica e, in generale, nel modo di affrontare riflessivamente numerosi temi della vita cristiana.

Nel contesto dei “maestri di vita cristiana” del secolo XX, l’esempio e gli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá hanno avuto un’influenza che gli storici potranno definire in un prossimo futuro. La sua coscienza esplicita della “libertà personale”, della “libertà dei figli di Dio” e della “libertà responsabile” era costantemente presente nelle sue azioni e nelle sue parole.

Oltre ai fattori della sua educazione familiare, della sua personalità umana e cristiana e probabilmente anche della sua formazione giuridica, penso che la sua comprensione profonda della libertà si debba soprattutto alla luce fondazionale ricevuta da Dio e alla sua esperienza cristiana. D’altra parte, non sembra trarre origine dalla mentalità dominante nell’ambiente ecclesiastico nel quale si formò, perché, come ho già detto, egli dovette lottare molto per difendere la libertà personale. Negli anni successivi al Concilio Vaticano II seppe difendere la libertà personale cristiana dalle deformazioni proprie di una libertà slegata da Cristo e dalla verità: le forme di teologia della liberazione ispirate al marxismo e la riduzione della libertà a libertinaggio.

Cornelio Fabro ne ha parlato in questi termini: “Uomo nuovo per i tempi nuovi della Chiesa del futuro, Josemaría Escrivá ha afferrato per una sorta di connaturalità — e indubbiamente anche per una luce soprannaturale — la nozione originaria di libertà cristiana. Immerso nell’annuncio evangelico della libertà intesa come liberazione dalla schiavitù del peccato, confida in colui che crede in Cristo e dopo secoli di spiritualità cristiane basate sulla priorità dell’obbedienza, capovolge la situazione e fa dell’obbedienza un atteggiamento e una conseguenza della libertà, come un frutto dal suo fiore o, più profondamente, dalla sua radice”[29].

3. La libertà dei figli di Dio e la sua relazione con la Croce

Il pensiero del Beato Josemaría Escrivá si riferisce alla libertà personale e alle sue conseguenze: alla libertà radicale o fondamentale e, per dirla con un’espressione abbastanza comune, alle libertà applicate. Sono due aspetti che s’intrecciano e sono inseparabili. Come ho detto all’inizio, uno dei meriti del Fondatore dell’Opus Dei, in questo tema come in molti altri, consiste proprio nell’aver unito dottrina e vita; e dunque, nell’aver messo in rilievo parecchie implicazioni della libertà in diversi campi, in tempi in cui la tendenza generale della cultura non andava in questa direzione. Nella bibliografia citata in precedenza abbondano le riflessioni su questi punti. Tuttavia nessuno di questi scritti affronta direttamente il rapporto tra la libertà e la Croce, oggetto centrale di questo articolo.

Alcuni testi invitano a farlo. Per esempio, tra gli altri, una dichiarazione dell’autore nella primavera del 1974 in cui affermava che l’elemento più decisivo del suo amore alla libertà è la morte di Cristo sulla Croce: “Amo la libertà degli altri, la vostra, quella di chi sta passando per la strada, perché se non l’amassi, non potrei difendere la mia. Ma non è questa la ragione principale. La ragione principale è un’altra: che Cristo morì sulla Croce per darci la libertà, perché rimanessimo in libertatem gloriae filiorum Dei (Rm 8, 21)”[30].

Il Beato Josemaría utilizzava molto l’espressione la libertà dei figli di Dio. In questo modo metteva l’accento sulla relazione della libertà con la filiazione divina che Dio gli aveva fatto vedere come fondamento della sua vita spirituale. Per questo diceva: “Cresce in me di giorno in giorno l’impulso di proclamare a gran voce l’insondabile ricchezza del cristiano: la libertà della gloria dei figli di Dio! (Rm 8, 21)”[31]. Ma ugualmente caratteristico è il suo modo di vedere la libertà come un dono divino che ci arriva attraverso la Croce. Così scrive su “l’amore per la libertà, che Gesù Cristo ci ha conquistato morendo sulla Croce (cfr Gal 4, 31)”[32].

A volte i due aspetti compaiono insieme: la libertà dei figli di Dio e il riferimento a Cristo redentore sulla Croce, rimandando ai testi paolini già citati di Romani e Galati. “Figli miei, noi siamo una famiglia numerosa e ricca di diversità, che cresce e si sviluppa in libertatem gloriae filiorum Dei (Rm 8, 21), qua libertate Christus nos liberavit (Gal 4, 31), nella libertà gloriosa che Gesù ci ha acquistato redimendoci da ogni schiavitù. Il nostro spirito è di libertà personale”[33].

Nel modo in cui il Beato Josemaría concepisce il nesso tra libertà e Croce confluiscono il suo studio della teologia, la meditazione personale, alcune esperienze personali particolarmente intense e soprattutto il suo senso della filiazione divina. Per questo motivo alcuni dei testi più incisivi si trovano in scritti che manifestano molto direttamente l’incontro personale del Beato Josemaría con Cristo, come i suoi commenti alle stazioni della Via Crucis[34] e ai misteri dolorosi del Santo Rosario[35].

3.1. Stare sulla Croce significa essere Cristo e, dunque, figlio di Dio.

Prima di esaminare questi testi, per dar loro il giusto rilievo vorrei riferirmi a un approfondimento del Beato Josemaría, esposto in una meditazione del 28 aprile 1963. Sono parole che mostrano la densità antropologica e teologica della sua orazione. «Quando il Signore mi dava quei colpi, verso l’anno trentuno, io non lo capivo. All’improvviso, in mezzo a tanta amarezza, quelle parole:”Tu sei mio figlio” (Sal 2, 17), tu sei Cristo. Io riuscivo solo a ripetere.”Abbà, Pater!; Abbà, Pater!; Abbà!, Abbà!, Abbà!”. Ora lo vedo in una luce nuova, come una nuova scoperta: come si vede, col passare degli anni, la mano del Signore, della Sapienza divina, dell’Onnipotente! Tu hai voluto, Signore, che io comprendessi che avere la Croce è trovare la felicità, la gioia. E la ragione — lo vedo più chiaro che mai — è questa: avere la Croce è identificarsi con Cristo, è essere Cristo e, perciò, essere figlio di Dio»[36].

Il Fondatore dell’Opus Dei si riferisce qui a un periodo di grandi tribolazioni interiori ed esteriori in cui non gli mancò la consolazione del Signore. Proprio allora il Signore gli concesse nuove luci sulla missione ricevuta. Una di esse la ricevette il 7 agosto 1931 ed è riferita alla Croce. Durante la Santa Messa, nel momento dell’elevazione della Sacra Ostia, il Signore mise nella sua mente le parole del Vangelo di san Giovanni: “et si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad me ipsum” (Gv 12, 32), con un significato preciso: “E compresi che saranno gli uomini e le donne di Dio ad innalzare la Croce con la dottrina di Cristo sul pinnacolo di tutte le attività umane... E vidi il Signore trionfare e attrarre a sé tutte le cose”[37]. Si tratta di un’illuminazione sul modo di collaborare col nostro lavoro all’azione di Cristo sulla Croce, il quale attrae tutto a Sé e al Padre. Il cristiano, santificando la propria esistenza secolare ordinaria, rende presente l’esaltazione redentrice di Cristo[38].

Poco tempo dopo, il 16 ottobre 1931, avvenne il fatto cui egli si riferì nella meditazione del 28 aprile 1963: “Sentii l’azione del Signore che faceva affiorare nel mio cuore e sulle mie labbra, con la forza imperiosa di un necessità assoluta questa tenera invocazione: Abba! Pater! Mi trovavo per strada, in tram (...). Probabilmente lo invocai ad alta voce.

E vagai per le strade di Madrid, forse un’ora, forse due, non posso dirlo: il tempo passò senza che me ne accorgessi. Dovettero prendermi per pazzo. Stavo contemplando con luci che non erano mie questa stupefacente verità, che restò accesa come una brace nella mia anima per non spegnersi mai più”[39].

Come abbiamo accennato, con il passare degli anni il Beato Josemaría vide questo intervento divino con maggiore profondità. Il testo del 1963 già citato contiene il nucleo del suo approfondimento: “Tu hai voluto, Signore, che io comprendessi che avere la Croce è trovare la felicità, la gioia. E la ragione — lo vedo più chiaro che mai — è questa: avere la Croce è identificarsi con Cristo, è essere Cristo, e, perciò, essere figlio di Dio”. Le luci ricevute da Dio, mescolate con gli avvenimenti della sua vita, lo portarono alla scoperta personale che stare sulla Croce è essere Cristo e, perciò, figlio di Dio.

Questa espressione così concisa è di un notevole spessore teologico. In essa la filiazione divina resta vincolata all’identificazione con Cristo, all’essere ipse Cristus[40]. Questo essere Cristo ha un senso sacramentale. Per il battesimo e per gli altri sacramenti, mediante l’azione dello Spirito Santo, l’uomo diventa Cristo, si fa cristiforme, membro di Cristo. Oltre a ciò, la realtà della nuova creatura[41] si proietta in tutta la vita e tende a crescere e a manifestarsi in tutte le azioni, operando come Cristo, o, in altre parole, lasciando — mediante la nostra libertà — che Cristo agisca in noi insieme alla forza operativa del Paraclito.

Per questo, così come il momento culminante dell’obbedienza di Cristo alla volontà del Padre è il suo sacrificio sulla Croce, anche ogni cristiano si identifica in modo speciale con Cristo quando porta la propria Croce dietro al Maestro. Questa identificazione si attualizza e cresce ogni volta che, mossi dallo Spirito Santo, ci offriamo con Cristo al Padre nella celebrazione del Sacrificio eucaristico, che fa di nuovo presente in un punto dello spazio e del tempo il medesimo sacrificio del Calvario. Lì, in modo sacramentale, il cristiano esercita e rafforza il suo essere figlio di Dio Padre nel Figlio — siamo figli nel Figlio — formando una sola cosa con Cristo.

Non è strano che Dio abbia voluto mostrare al Fondatore dell’Opus Dei la connessione tra la celebrazione della santa Messa e l’identificazione con Cristo, facendogli sentire in qualche modo la stanchezza del Figlio di Dio sulla Croce: “Dopo tanti anni, quel sacerdote fece una meravigliosa scoperta: comprese che la Santa Messa è un vero lavoro: operatio Dei, lavoro di Dio. E quel giorno, nel celebrarla, provò dolore, gioia e stanchezza. Sentì nella sua carne la spossatezza di un lavoro divino. Anche a Cristo richiese sforzo la prima Messa: la Croce”[42].

Su questa intensità e sulla conseguente stanchezza esistono altre testimonianze di diversi periodi della sua vita. Circa l’evento citato, disse, in un’altra circostanza: “La celebrazione del Santo Sacrificio non mi è mai costata tanto come quel giorno, quando ho sentito che anche la Messa è Opus Dei. Mi ha dato molta gioia”[43]. Dio volle fargli capire con maggiore profondità che l’identificazione con Cristo, che esercita la sua libertà compiendo la volontà del Padre fino a farsi inchiodare sulla Croce, avviene radicalmente nella Santa Messa.

Partendo dalla Croce, e dunque dal Santo Sacrificio dell’Eucaristia, la nostra filiazione divina si estende a tutti gli atti dell’esistenza quotidiana, vissuti in obbedienza amorosa alla volontà del Padre. Allora si compie quello che il Beato Josemaría affermava nel testo già citato: “Tu hai voluto, Signore, che io comprendessi che avere la Croce è trovare la felicità, la gioia”. L’uomo sente la gioia di sapersi figlio di Dio in Cristo, assapora — anche in mezzo al dolore — la felicità di amare Dio e gli altri, la gioia di sapere che tutte le azioni, perfino le più materiali, servono a porre in alto la Croce di Cristo che attira tutto verso di Sé.

3.2. La libertà del Figlio Unigenito culminata sulla Croce

Si direbbe che fino ad ora in queste righe la libertà non è ancora comparsa. In maniera esplicita sicuramente no, ma nella felicità e nella gioia, nella condizione di figlio di Dio e non di schiavo, si presagisce il senso più profondo della libertà.

Consideriamo adesso la libertà di Cristo, espressa nel quarto Vangelo: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo”[44]. E il Beato Josemaría afferma: “Non riusciremo mai a capire fino in fondo la libertà di Gesù Cristo, immensa — infinita — come il suo amore”[45]. Queste parole ci invitano a metterci nel chiaroscuro della sapienza e dell’amore della Vita divina.

Al Beato Josemaría piace considerare che in tutti i misteri della Rivelazione “palpita un canto alla libertà”. La creazione è già “una libera profusione d’amore”. E l’amore gratuito e libero di Dio è anche il motivo della Redenzione.

Il suo modo di trattare ciascuna delle Persone divine lo porta a esporre la sua visione dell’economia della salvezza partendo dalla vita intratrinitaria di sapienza e di amore, e terminando nel mistero pasquale della Morte e Risurrezione del Verbo incarnato. “Dio è Amore”[46]. “L’abisso di malizia che il peccato comporta è stato colmato da una carità infinita. Dio non abbandona gli uomini. Secondo i disegni divini, per riparare alle nostre mancanze, per ristabilire l’unità spezzata, non bastavano i sacrifici dell’antica Legge: era necessario il sacrificio di un Uomo che fosse anche Dio. Possiamo immaginare — per avvicinarci in qualche modo a questo insondabile mistero — che la Trinità, nella sua intima e ininterrotta relazione d’amore infinito, decida eternamente che il Figlio Unigenito di Dio Padre assuma la condizione umana, caricandosi delle nostre miserie e dei nostri dolori, per finire inchiodato a un legno”[47].

Il riferimento alla Vita trinitaria — con la sua amorosa libertà — e alle missioni visibili e invisibili del Figlio e dello Spirito Santo è un luce intensa che illumina tutta la sua predicazione: “Il Dio della nostra fede non è un essere lontano, che contempla impassibile la sorte degli uomini: le loro fatiche, le loro lotte, le loro angosce. È un padre che ama i suoi figli fino al punto di inviare il Verbo, Seconda Persona della Santissima Trinità, affinché si incarni, muoia per noi e ci redima. È lo stesso Padre affettuoso che adesso ci attrae dolcemente a sé con l’azione dello Spirito Santo che abita nei nostri cuori”[48].

Per avvicinarsi al mistero eucaristico — facendosi presente continuamente all’unico Sacrificio del Calvario, nel quale Cristo rivela in modo sommo l’amore misericordioso — il Beato Josemaría parte anche dall’amore e dalla libertà che sono peculiari della vita trinitaria: “Questo flusso trinitario di amore per gli uomini si perpetua in maniera sublime nell’Eucarestia. [...] Parlavo di flusso trinitario d’amore per gli uomini. E dove avvertirlo meglio che nella Messa? Tutta la Trinità agisce nel santo Sacrificio dell’altare. [...] Tutta la Trinità è presente nel sacrificio dell’altare. Per la volontà del Padre e con la cooperazione dello Spirito Santo, il Figlio si offre come vittima redentrice”[49].

Nella predicazione del Beato Josemaría Escrivá, la libertà di Cristo si comprende nel contesto dell’amore trinitario. Il Figlio ha lo stesso potere, lo stesso amore e la stessa libertà del Padre, perché è della sua stessa natura. Il suo amore al Padre lo porta a esercitare questo potere e questo dominio compiendo la volontà del Padre; una libertà e un potere che si traducono in servizio e donazione dalla nascita fino alla Croce.

Nella nascita si rivela la logica della libertà divina, che porta alla donazione e alla kénosis, che interpella la libertà di ciascun uomo. “Dio viene nell’umiltà perché ci sia possibile avvicinarlo, perché ci sia possibile corrispondere al suo amore con il nostro amore, perché la nostra libertà si arrenda non più soltanto alla manifestazione della sua potenza, ma anche allo splendore della sua umiltà”[50].

La libertà come donazione da parte di Dio contiene il paradosso fondamentale del cristianesimo: l’annientamento e la kénosis del Verbo; paradosso che arriva alla sua più alta tensione sulla Croce, dove Cristo esercita in modo sublime e con piena libertà il suo amore infinito alla volontà del Padre e alla liberazione di tutti gli uomini mediante la sua Passione e Morte che lo porterà alla vittoria della Risurrezione. Il flusso trinitario di amore arriva al culmine nella Passione. “Quando giunge l’ora segnata da Dio per salvare l’umanità dalla schiavitù del peccato, vediamo Gesù nel Getsemani soffrire fino al sudore di sangue (Cfr Lc 22, 44), e accettare spontaneamente e senza resistenza il sacrificio che il Padre esige”[51]. Questa accettazione spontanea e remissiva è un esercizio altissimo della libertà e della nobiltà di voler servire l’umanità intera.

Perciò nella meditazione personale del Beato Josemaría sulla Passione appaiono i testi forse più sublimi sulla libertà di Cristo come donazione assoluta e come rivelazione dell’amore trinitario che sta al di sopra di ogni male.

Così nel suo commento alla IX stazione della Via Crucis è espresso in modo molto intenso il paradosso della libertà di Cristo sulla Croce: “Quando il Signore giunge al Calvario, gli danno da bere del vino mescolato con fiele, come narcotico, per attutire un po’ il dolore della crocifissione. Ma Gesù, dopo averlo assaggiato per ringraziare del pietoso servizio, non ha voluto berlo (cfr Mt 27, 34). Si consegna alla morte con la piena libertà dell’Amore”.

Nella XII stazione, che contempla la morte dell’Uomo-Dio sulla Croce, il Beato Josemaría Escrivá continua a guardare Cristo nella sua libera donazione: “È stato l’Amore a portare Gesù al Calvario. E, ormai in Croce, tutti i suoi gesti e tutte le sue parole sono d’amore, di amore sereno e forte. Con gesto di Sacerdote eterno, senza padre e senza madre, senza genealogia (cfr Eb 7, 3), apre le sue braccia a tutta l’umanità”. Talvolta diceva che era l’Amore — più che i chiodi — ciò che aveva tenuto Gesù attaccato alla Croce.

Nel commento al 5 mistero doloroso del Santo Rosario la Croce appare come un luogo di trionfo: “Per Gesù Nazareno, Re dei giudei, è pronto il trono del trionfo. Tu e io vediamo che non si contorce quando lo inchiodano: soffrendo quanto si può soffrire, egli stende le braccia con gesto di Sacerdote Eterno”. Il Beato Josemaría sembra seguire in qualche modo la presentazione della Passione di Cristo nel quarto Vangelo, dove san Giovanni vuole mettere in evidenza la libertà, la padronanza di Gesù nel donarsi liberamente, e allo stesso tempo forse si ispira all’illuminazione divina già riferita dell’esaltazione di Cristo sulla Croce per attirare tutti, che rivela un aspetto nuovo di Gv 12, 32. La Croce infamante si trasforma in trono dal quale Cristo regna: “Ma la Croce sarà, per opera dell’amore, il trono della sua regalità” (II stazione della Via Crucis).

Il Beato Josemaría Escrivá invita a scoprire nella libertà dell’amore con cui Gesù porta la Croce sulle spalle un modello per guadagnarci la nostra libertà. “Guarda con quanto amore abbraccia la Croce. — Impara da Lui. — Gesù porta la Croce per te: tu, portala per Gesù.

Però non trascinare la Croce... Portala ben dritta, perché la tua Croce, portata così, non sarà una croce qualsiasi: sarà... la Santa Croce. Non rassegnarti alla Croce. Rassegnazione è parola poco generosa. Ama la Croce. Quando l’amerai davvero, la tua Croce sarà... una Croce senza Croce” (4 mistero doloroso del Santo Rosario). Il cristiano cresce nella libertà nella misura in cui ama la Croce. Allora piano piano avviene in ciascuno la liberazione che Cristo ha conseguito per noi.

In questi testi appare evidente che la libertà di Cristo si esprime nell’amore totale — pazzia d’amore, ripete spesso il fondatore dell’Opus Dei — per la volontà del Padre. È la “piena libertà dell’amore” del Figlio Amato.

Ci sono altri passi in cui questa connessione tra la libertà amorosa di Gesù e la sua filiazione al Padre è ancora più esplicita e fa pensare a una orazione molto intensa e a una realtà vissuta dal Beato Josemaría: “Gesù prega nell’orto: Pater mi (Mt 26, 39), Abba, Pater! (Mc 14, 36). Dio è mio Padre, anche se mi manda sofferenze. Mi ama con tenerezza, anche se mi ferisce. Gesù soffre, per compiere la Volontà del Padre... E io, che a mia volta voglio compiere la santissima Volontà di Dio, seguendo le orme del Maestro, potrò lamentarmi se trovo la sofferenza come compagna di strada?

Sarà un segno certo della mia filiazione, perché Egli mi tratta come il suo divino Figlio. E, allora, come Lui, potrò gemere e piangere da solo nel mio Getsemani, ma, prostrato a terra, riconoscendo il mio nulla, salirà fino al Signore un grido sgorgato dall’intimo della mia anima: Pater mi, Abba, Pater,... fiat!”[52]. L’orazione di Josemaría Escrivá del 16 ottobre 1931 lo aiuta qui a penetrare più profondamente nel doloroso dialogo di Gesù con il Padre nell’Orto degli Ulivi. La tentazione dell’insensatezza del dolore si supera con la libertà dell’amore, con l’abbraccio alla volontà di Dio Padre per servire tutti gli uomini, insegnando loro il senso più profondo dell’essere liberi.

Dopo l’orazione nel Getsemani, Gesù si consegna liberamente: “La cattura:...venit hora: ecce Filius hominis tradetur in manus peccatorum (Mc 14, 41)... Dunque, l’uomo peccatore ha la su ora? Sì, e Dio la su eternità!... Catene di Gesù! Catene, che Egli volontariamente si è lasciato mettere, legatemi, fatemi soffrire col mio Signore, perché questo corpo di morte si umìli... Perché — non c’è via di mezzo — o io lo annichilo o lui mi abbruttisce. Meglio essere schiavo del mio Dio che schiavo della mia carne”[53]. Di nuovo il paradosso tra le catene e la libertà. Senza queste catene, senza un impegno di amore e di servizio, resta solo la schiavitù al proprio io.

Ho indugiato nel momento culminante della Passione e Morte — inseparabile dalla Risurrezione, dall’Ascensione e dal successivo invio dello Spirito Santo la mattina di Pentecoste — ma vale la pena ricordare che tutta la vita di Gesù è impregnata della libertà amorosa del Figlio che non ha altro desiderio che manifestare l’amore misericordioso del Padre.

Cito un solo esempio: la vita nascosta della Sacra Famiglia a Nazaret, molto amata dal Beato Josemaría, perché la luce ricevuta da Dio intorno alla santità della vita ordinaria lo portò a scoprirne il valore redentivo. Quei lunghi anni non si limitano ad essere una preparazione alla missione pubblica, ma sono già in se stessi salvifici. Gesù obbedisce a Maria e a Giuseppe: “erat subditus illis (Lc 2, 31), obbediva. Oggi che il mondo è così pieno di disobbedienza, di mormorazioni, di disunione, tanto di più dobbiamo apprezzare l’obbedienza. Sono un grande amico della libertà, e proprio per questo amo tanto la virtù cristiana dell’obbedienza. Dobbiamo sentirci figli di Dio e vivere il desiderio appassionato di compiere la volontà del Padre”[54]. La contrapposizione tra libertà e obbedienza, quando in questa si manifesta in un modo o nell’altro la volontà di Dio, di solito è segno di una visione ancora povera della libertà, intesa come capacità di scegliere priva del suo significato e del suo fine.

La libertà di Cristo, manifestata nell’obbedienza al Padre durante tutta la sua esistenza, mostra la chiave della sua biografia terrena da Nazaret fino alla Croce e illumina il significato della nostra libertà personale come risposta amorosa alla libertà divina.

3.3. La libertà dei figli di Dio orientata alla donazione di sé

La libertà dell’amore trinitario che si manifesta nella vita di Cristo ha una doppia efficacia per ciò che ci riguarda. Da una parte ci rivela il senso più profondo e radicale del nostro essere persone e della nostra libertà. Il Concilio Vaticano II ha trattato questo punto non solo per quanto si riferisce al nostro essere[55], ma anche alla nostra libertà. «Anzi, il Signore Gesù, quando prega il Padre perché “tutti siano una sola cosa, come io e tu siamo una sola cosa” (Gv 17, 21-22), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nell’amore. Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé»[56].

D’altra parte, Cristo ci ottiene la grazia divina e così l’uomo, che a causa del peccato si trovava con una libertà ridotta in quanto a capacità di amare e di corrispondere alla libertà e all’amore divino, può recuperare questa perdita grazie alla libertà di Cristo, dalla quale nasce l’amore che vince ogni male e ogni schiavitù.

La libertà che Cristo ci ha ottenuto sulla Croce è il grande dono di essere figli del Padre e di poter amare Dio, e per Lui, le altre persone create. Allora si vede che la libertà non si contrappone alla donazione, ma in essa trova la sua ragion d’essere: “Niente di più falso che opporre la libertà al dono di sé, perché tale dono è conseguenza della libertà. Ascoltate bene: una madre che si sacrifica per amore dei suoi figli, ha fatto una scelta; e la misura del suo amore esprimerà quella della sua libertà. Se l’amore è grande, la libertà sarà feconda, e il bene dei figli deriva da questa benedetta libertà, che comporta il dono di sé, e deriva da questo benedetto dono, che è appunto libertà”[57]. Siamo di fronte a un punto di grande importanza. La libertà è orientata alla donazione, in modo tale che la donazione di sé è l’atto più proprio e adeguato della libertà, come manifesta in modo sublime la risposta di Maria quando riceve l’annuncio dell’Angelo: “La Madonna ascolta, fa una domanda per capire meglio che cosa il Signore le chiede; poi, la risposta sicura: fiat! (Lc 1, 38) — avvenga di me quello che hai detto —, frutto della migliore libertà: quella di scegliere Dio”[58]. Ancora una volta il paradosso — questa volta in Maria — tra il dichiararsi schiava del Signore e l’acquistare la più grande padronanza di sé e la più grande libertà.

Questo, logicamente, lo si capisce bene solo grazie alla verità su noi stessi. Saperci figli di Dio ci permette di essere liberi. “Sapere che siamo opera delle mani di Dio, che siamo prediletti dalla Santissima Trinità, che siamo figli di un Padre eccelso. Chiedo al Signore che ci aiuti a renderci conto di tutto questo, ad assaporarlo giorno dopo giorno: in questo modo agiremo da persone libere. Non dimenticatelo: chi non sa di essere figlio di Dio, non conosce la più intima delle verità che lo riguardano, e nel suo comportamento viene a mancare della padronanza e della signorilità che contraddistinguono coloro che amano il Signore al di sopra di tutte le cose”[59].

La filiazione divina permette di capire e di vivere la libertà. Incorporati in Cristo, in qualche modo siamo una sola cosa con Lui, e in Lui partecipiamo come figli adottivi alle processioni eterne intratrinitarie del Figlio e dello Spirito Santo. Noi, “figli nel Figlio”, partecipiamo — in maniera finita — di questa signorilità, abbiamo la libertà dei figli. Non siamo schiavi né servi, ma figli e amici che conoscono i segreti del Padre comunicati dal Figlio — partecipando alla filiazione del Verbo incarnato — e amiamo Dio Padre e tutte le persone per la partecipazione nello Spirito Santo, Amore reciproco tra il Padre e il Figlio.

“La libertà acquista il suo autentico significato quando viene esercitata al servizio della verità che redime, quando è spesa alla ricerca dell’Amore infinito di Dio, che ci scioglie da ogni schiavitù”[60]. La ricerca dell’infinito che in un modo o nell’altro ogni uomo e ogni donna sono impegnati a raggiungere, non è più il “cattivo infinito” hegeliano ma diventa una adesione all’unico Infinito.

L’obiezione che forse oggi più di ieri ogni uomo si pone è: “rispondere affermativamente a un Amore tanto esclusivo, non significa perdere la libertà?”[61]. Questa domanda sorge soprattutto di fronte al dolore e all’impegno che comporta un amore totale e senza condizioni; ma anche di fronte allo svuotamento o alla perdita di se stessi che sembrano così contrari agli ideali di libertà e autenticità.

In certo qual modo la risposta si ottiene in modo convincente solo con l’esperienza di decidersi a cercare questo Amore: “Amare è... non albergare che un solo pensiero, vivere per la persona amata, non appartenersi, essere felicemente e liberamente sottomesso, anima e cuore, a una volontà estranea... e, al tempo stesso, propria”[62].

Solo allora si capisce bene e si assapora la propria libertà. “L’anima innamorata sa anche che il dolore, quando sopraggiunge, non è che un’impressione fugace; si scopre ben presto che il peso è leggero e il giogo soave, perché è Lui a portarlo sulle sue spalle, come ha portato la croce, abbracciandola, quando era in gioco la nostra eterna felicità (cfr Mt 11, 30)”[63].

La libertà manifesta tutto il suo significato e supera i paradossi solo quando si scopre come dono divino, con il quale possiamo collaborare con Dio. È vero che tutti noi possiamo sentire, e di fatto a volte sentiamo, un senso di ribellione, e allora non capiamo “che la Volontà di Dio, anche quando si presenta con sfumature di dolore, di esigenze costose, coincide esattamente con la libertà, che risiede soltanto in Dio e nei suoi progetti”[64]. Comunque, vale la pena ricordare che, in definitiva, l’esigenza di amare in modo totale e pieno è perfettamente conforme alla nostra natura[65].

3.4. La libertà di un figlio di Dio, opera delle tre Persone divine

Per concludere questa parte centrale dello studio dedicato alla libertà nella sua dimensione di dono soprannaturale annesso alla filiazione divina, vorrei presentare alcune espressioni del Beato Josemaría nelle quali si accentua proprio l’aspetto della libertà che ci viene dalla redenzione e dalla elevazione alla condizione di figli di Dio, mediante la grazia guadagnata da Cristo sulla Croce e diffusa in noi dallo Spirito Santo, vale a dire dalla nostra partecipazione alla vita trinitaria.

A questo proposito si può ricordare che nel Nuovo Testamento il termine “libertà” (eleuthería) non significa solo uno stato o situazione opposta alla schiavitù, ma si riferisce alla condizione ontologica dei figli di Dio. Questa condizione è frutto dell’azione della Santissima Trinità, che si manifesta in riferimento all’una o all’altra Persona divina, secondo il contesto di ogni scritto neotestamentario.

Sono già stati citati alcuni dei numerosissimi testi del Beato Josemaría che si riferiscono alla libertà dei figli di Dio e che, pertanto, riguardano in modo particolare Dio Padre, anche se, ovviamente, il richiamo al cap. VIII della Lettera di San Paolo ai Romani (in libertatem filiorum Dei: cfr Rm 8, 21)[66] implica l’azione inseparabile di Cristo e dello Spirito Santo. La libertà che ci concede Dio Padre non è una libertà qualsiasi ma proprio la libertà dei figli di Dio.

In altre occasioni si esprime la dimensione cristologica con il riferimento a Galati 4, 3, come nelle parole già citate: “la libertà che Cristo ci ha conquistato morendo sulla Croce”; oppure appaiono uniti i riferimenti ai testi di Romani e Galati, come nel seguente passo pure citato in precedenza: “Siamo una famiglia numerosa e ricca di diversità, che cresce e si sviluppa in libertatem gloriae filiorum Dei (Rm 8, 21), qua libertate Christus nos liberavit (Gal 4, 31), nella libertà gloriosa che Gesù Cristo ci ha acquistato redimendoci da ogni schiavitù”. Dio Padre è fonte della nostra libertà mediante l’Incarnazione del Figlio unigenito e l’invio dell’Amore consustanziale del Padre e del Figlio.

Sono pure abbondanti i riferimenti diretti allo Spirito Santo, che è sempre lo Spirito di Cristo, specialmente quando il Beato Josemaría vuole alludere agli svariati modi con cui agisce il Paraclito, sempre adeguati a ogni anima: “la nostra diversità non è, per l’Opera, un problema: al contrario, è una manifestazione di buono spirito, di vita corporativa limpida, di rispetto della legittima libertà di ciascuno, perché ubi autem spiritus Domini, ibi libertas (2 Cor 3, 17); dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà”[67].

Tutte queste affermazioni si muovono all’interno del nucleo centrale della Rivelazione divina costituito dallo stesso Dio Tripersonale, dall’Incarnazione del Verbo che ci redime e dall’invio dello Spirito Santo. Secondo i termini della teologia di S. Tommaso d’Aquino, la storia dell’umanità è profondamente segnata dal peccato originale e dai peccati personali, ma con la grazia divina guadagnata da Cristo con la sua morte sulla Croce e con la sua Risurrezione, si passa dalla schiavitù della propria miseria alla libertà dei figli. L’uomo è sanato ed elevato per mezzo della grazia, diventa partecipe del Verbo e dello Spirito Santo, per poter liberamente conoscere Dio con verità e amarlo con rettitudine: “fit particeps divini Verbi et procedentis Amoris, ut possit libere Deum vere cognoscere et recte amare”[68].

L’azione gratuita che Dio compie “verso fuori” divinizzando le persone umane ha un termine ad intra, poiché introduce ogni uomo e ogni donna cristiani nella vita trinitaria come “figli nel Figlio”. Questa azione è una nuova nascita ex Spiritu Sancto che implica una novità di essere, non in quanto atto dell’essenza ma in quanto atto fondante della relazione dell’uomo con Dio, in modo che il cristiano è relativo al Padre nel Figlio e per lo Spirito Santo (esse ad Patrem in Filio per Spiritum Sanctum). Non si tratta di tre relazioni distinte, ma di una triplice relazione, diretta alle tre persone divine[69]. Il cristiano è figlio di Dio Padre in Cristo per lo Spirito Santo.

4. La libertà come dono di Dio nell’ordine della creazione

Volendo in questo articolo commentare “la libertà guadagnata da Cristo sulla Croce”, mi sono soffermato ad esporre la dottrina teologica della libertà secondo gli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá. Tuttavia, è necessario chiarire che in essa è inclusa la dimensione naturale o creaturale della libertà e che nei suoi scritti è sempre presente, in modo più o meno esplicito secondo le circostanze, il duplice ordine di natura e grazia. Egli sottolinea fortemente la loro unione nell’esistenza cristiana, come parte del suo concetto di “unità di vita”.

4.1. L’unione di natura e grazia

La sua visione teologica unitaria, che include in sé l’aspetto naturale, appare in questa bella affermazione: “In tutti i misteri della nostra fede cattolica aleggia il canto alla libertà. La Trinità beatissima trae dal nulla il mondo e l’uomo, in un libero slancio d’amore. Il Verbo scende dal Cielo e assume la nostra carne con lo splendido sigillo della libertà nella sottomissione: Ecco, io vengo — poiché di me sta scritto nel rotolo del libro — per fare, o Dio, la tua volontà”[70].

Questa unione della natura e della grazia nella storia dell’umanità rende evidente il carattere di mistero della libertà. Se da una parte è evidente che la persona è libera, dall’altra la realtà del male morale, e perfino una certa inclinazione verso di esso, pone profondi interrogativi a ciascun uomo e a ciascuna donna nel corso di tutta la storia. Il Beato Josemaría esprime l’intelligibilità propria dei misteri con il termine “chiaroscuro”: “possiamo rendere o negare a Dio la gloria che gli compete in quanto Autore di tutto ciò che esiste. Questa possibilità tratteggia il chiaroscuro della libertà dell’uomo”[71].

Non solo, ma la morte sulla Croce del Figlio di Dio incarnato, la sua donazione assoluta e senza limiti, pur essendo una dimostrazione evidente dell’amore misericordioso del Padre che ci libera e ci dà fiducia e sicurezza, ci induce allo stesso tempo a pensare: “Perché, Signore, mi hai dato questo privilegio che mi rende capace di seguire le tue orme, ma anche di offenderti?”[72]. È una domanda radicale che attraversa tutta l’omelia “La libertà, dono di Dio”.

Questo è forse il punto teologico radicale della riflessione del Beato Josemaría: la libertà è un dono divino e non qualcosa di per sé contrapposta a Dio. Questo spiega il suo atteggiamento di profonda gratitudine a Dio per il privilegio della libertà: “Soltanto noi uomini — sugli angeli va fatto un discorso a parte — ci uniamo al Creatore attraverso l’esercizio della nostra libertà: possiamo rendere o negare a Dio la gloria che gli compete in quanto Autore di tutto ciò che esiste”[73].

Il Signore non ci costringe, perché vuole “correre il rischio della nostra libertà”[74]. Ci invita a dirigerci verso il bene: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva... Scegli dunque la vita perché viva tu e la tua discendenza”[75]. Questo e altri testi della Scrittura erano frequentemente sulle sue labbra, per spiegare con la parola di Dio la realtà gioiosa della libertà.

Una realtà gioiosa che lo portava, come Sant’Agostino, a innalzare il suo “cuore in rendimento di grazie al mio Dio e mio Signore, perché avrebbe potuto benissimo crearci impeccabili, dandoci un impulso irresistibile verso il bene, ma reputò che i suoi servi l’avrebbero meglio servito se fossero stati liberi di farlo”[76]. “Quanto sono grandi l’amore, la misericordia di Dio nostro Padre! Di fronte all’evidenza delle sue divine pazzie per i suoi figli, vorrei avere mille bocche, mille cuori, e più ancora, per poter vivere in continua lode a Dio Padre, a Dio Figlio, a Dio Spirito Santo. Pensate che l’Onnipotente, colui che con la sua Provvidenza regge l’Universo, non vuole dei servizi forzati; preferisce avere dei figli liberi”[77]. Questa è la risposta all’assillante domanda: perché Dio ci ha fatti liberi, con il rischio di una lotta costante fra il bene e il male conseguente?

La libertà — che in non pochi pensatori moderni perde di significato perché è concepita come una libertà che è fondamento e non è fondata, come autonomia antropocentrica, come solitudine individualista e autarchica — negli insegnamenti del Beato Josemaría recupera il suo luogo teologico originario, poiché la nobiltà viene all’uomo dal suo essere a immagine e somiglianza di Dio.

Parlando dell’immagine di Dio nell’uomo, che secondo Pannenberg è uno dei temi importanti che il cristianesimo — nel suo caratteristico “eccesso” — apporta all’umanesimo, Tommaso d’Aquino si riferisce in varie occasioni alla libertà, al “dominium sui actus”, seguendo S. Giovanni Damasceno (per esempio, nel prologo della S.Th. I-II). La creatura umana è certamente immagine di Dio con l’intelligenza, ma questo aspetto sembra essere solo un primo momento ordinato a su volta alla padronanza e all’autodeterminazione propri della trascendenza del dinamismo spirituale. L’immagine di Dio nelle persone create si trova soprattutto nella libertà. Dio crea per amore soggetti simili a Sé: persone angeliche e umane dotate di un autodinamismo limitato, concesso in maniera partecipata da Dio come diffusione di una sua somiglianza che procede dalla Pienezza dell’Essere che Egli è.

Uomini e donne sono dei soggetti con una creatività partecipata — con una dignità e un compito enunciati nella Genesi — che si realizza allo stesso tempo nella cura e nel servizio amoroso riferito al mondo e agli altri mediante il lavoro, e con la missione di riempire la terra mediante l’amore coniugale e la famiglia. Al Beato Josemaría piace rifarsi al pensiero di Tommaso d’Aquino a proposito del dono della libertà: “Il grado supremo della dignità degli uomini consiste in questo: da sé, e non per intervento di altri, possono dirigersi al bene”[78]; “Dio da principio creò l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere (Sir 15, 14). Ciò non sarebbe possibile se non avesse libertà di scelta”[79].

Alejandro Llano osserva giustamente che questa inserzione teologica, radicata nella tradizione agostiniana e tomista, permette al Beato Josemaría di comprendere radicalmente la libertà umana e allo stesso tempo di non retrocedere di fronte alla sfida antropocentrica della modernità, ma piuttosto di denunciare le sue inadeguatezze proprio sviluppando le sue ignorate potenzialità[80].

4.2. La libertà dell’uomo come creatura

All’interno di questo contesto teologico di unità tra il naturale e il soprannaturale, sempre rispettando la loro distinzione, in molti punti il Beato Josemaría mette in rilievo l’aspetto naturale della libertà come il più grande dono di Dio sul piano umano e creaturale: “Non potreste realizzare questo programma di vivere santamente la vita ordinaria, se non fruiste di tutta la libertà che vi viene riconosciuta sia dalla Chiesa che dalla vostra dignità di uomini e di donne creati a immagine di Dio. La libertà personale è essenziale nella vita cristiana”[81].

Questo aspetto umano di amore alla libertà lo induce a sostenere ogni affermazione giusta della libertà, da qualsiasi parte venga, come nel caso riferito in questo testo paradigmatico: “Nel 1939, appena terminata la guerra civile spagnola, ho diretto nei pressi di Valencia un corso di ritiro spirituale, che si tenne in un collegio universitario di una fondazione privata. Durante la guerra era stato utilizzato come caserma comunista. In uno dei corridoi ho trovato una frase, scritta da qualche anticonformista, che diceva: ogni viandante segua la sua strada. Volevano toglierlo, ma io li trattenni: lasciatelo — dissi —, mi piace: dal nemico, un buon consiglio. Da allora, queste parole mi sono servite spesso come spunto per la predicazione. Libertà: ogni viandante segua la sua strada. È assurdo e ingiusto cercare d’imporre a tutti gli uomini un unico criterio, in materie nelle quali la dottrina di Cristo non indica limiti”[82].

Però il Fondatore dell’Opus Dei non concepisce la dimensione antropologica naturale come una semplice capacità di scelta limitata all’immanenza terrena, ma la vede dotata di un essenziale ordinamento a Dio. E così può affermare: “Dio da principio creò l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere (Sir 15, 14). Ciò non sarebbe possibile se non avesse libertà di scelta[83]. Siamo responsabili davanti a Dio di tutte le azioni che compiamo liberamente. Non c’è posto per l’anonimato; l’uomo si trova di fronte al suo Signore, e sta alla sua volontà decidere di vivere da amico o da nemico”[84]. Inoltre, la libertà acquista tutto il suo significato quando è accettata in tutta la sua realtà e in tutta la sua portata come libertà soprattutto davanti a Dio, e poi davanti alle altre persone.

Ecco perché il Beato Josemaría si ribella energicamente a coloro che non sono disposti ad ammettere pienamente la libertà e vogliono privare l’uomo di questo “spazio di servizio” in cui cresce l’essere libero[85]. “Io ho assistito, in più di una occasione, a ciò che potrei chiamare una mobilitazione generale contro chi aveva deciso di dedicare tutta la vita al servizio di Dio e degli uomini. Vi sono delle persone convinte che il Signore non può scegliere chi vuole Lui, secondo il suo beneplacito, senza chiedere il loro permesso; o convinte che l’uomo non è capace di piena libertà per rispondere di sì all’Amore o respingerlo”[86].

Il Beato Josemaría è molto fermo nel difendere la libertà come dono naturale presupposto dall’ordine della grazia: “Dio stesso ha voluto essere amato e servito in libertà, e rispetta sempre le nostre decisioni personali: ‘Dio lasciò l’uomo — ci dice la Scrittura — in balìa del suo proprio volere (Sir 15, 14)”[87].

Anche la libertà delle coscienze sembra trovarsi principalmente sul piano della dignità creaturale, anche se sarà rafforzata dalla grazia come libertà dei figli di Dio: “Ho sempre difeso la libertà delle coscienze. Io non comprendo la violenza: non mi pare il mezzo idoneo né per convincere né per vincere; l’errore si supera con la preghiera, con la grazia di Dio, con lo studio; mai con la forza, sempre con la carità”[88]. Josemaría Escrivá suole scrivere al plurale la libertà delle coscienze[89], per sottolineare che si riferisce alla coscienza di tutte e ciascuna delle persone e non alla coscienza in quanto tale, che ha la sua misura nella sapienza e nell’amore divini.

Mi sono permesso di abbondare nelle citazioni, perché secondo me riflettono una visione specificamente “cattolica” del valore del piano creaturale, come è stato confermato da Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, a proposito della ragione e della giusta autonomia della filosofia.

In alcune di esse si può apprezzare la mentalità giuridica dell’autore, che pensando anche in termini di dignità umana e di giustizia, tende a non dimenticare e a non sottovalutare l’ordine naturale. Basti questo esempio di difesa della libertà di ogni coscienza: “Tanto sul piano apostolico come su quello temporale, le limitazioni alla libertà dei figli di Dio, alla libertà delle coscienze o alle legittime iniziative sono arbitrarie e ingiuste. Sono limitazioni che derivano dall’abuso di autorità, dall’ignoranza o dall’errore di quanti pensano di potersi permettere di fare discriminazioni per nulla ragionevoli”[90].

C’è in gioco il significato della vita umana e della storia, se non si vuole ridurre tutto a una scena teatrale irreale. “Dio, nel crearci, ha corso il rischio e l’avventura della nostra libertà. Ha voluto che la nostra sia una storia vera, fatta di autentiche decisioni, e non una finzione o un gioco. Ogni uomo deve fare l’esperienza della sua personale autonomia, con tutto ciò che questo comporta di pericolo, di tentativi e, talvolta, di incertezza”[91].

La libertà, nella sua dimensione naturale, appare come un dono divino peculiare e inalienabile di ogni persona, intimamente vincolato alla sua dignità. Questa libertà ha un aspetto basilare di capacità di scelta e di iniziativa; ma allo stesso tempo questo potere è orientato a un fine: ci permette di servire Dio e gli altri perché lo vogliamo, senza alcuna coazione. Questi due aspetti sono presenti nei testi analizzati in modo tale che non ne risulta una separazione, ma piuttosto l’unione fra i due. E’ così anche in Sant’Agostino, secondo il quale la libertà raggiunge il suo significato più alto quando è orientata a Dio.

Con uno stile molto esistenziale e vivo il Beato Josemaría dimostra la sterilità e l’irrazionalità del non volersi impegnare: il suo carattere in qualche modo innaturale di questo atteggiamento. La sterilità, perché “queste anime — ne avrete conosciute anche voi — si lasceranno rapidamente trascinare dalla vanità puerile, dalla boria egoista, dalla sensualità. La loro libertà si rivela sterile, o produce frutti irrisori, anche dal punto di vista umano. Chi non sceglie — in piena libertà! — una retta norma di condotta, presto o tardi subirà le manipolazioni altrui, vivrà nell’indolenza — come un parassita —, schiavo delle decisioni degli altri. Sarà esposto ad essere sballottato da qualunque vento, e saranno sempre altri a decidere per lui [...]. «Non mi lascio condizionare da nessuno!», ripetono ostinatamente. Da nessuno? Tutti condizionano e coartano la loro illusoria libertà, che non si arrischia ad accettare responsabilmente le conseguenze di azioni libere, personali. Dove non c’è amore di Dio, si forma un vuoto nell’esercizio individuale e responsabile della libertà: allora — nonostante le apparenze — tutto è coazione. L’indeciso, l’irresoluto, è come materia plasmabile in balìa delle circostanze; chiunque può modellarlo a suo capriccio, e a farlo, innanzitutto, sono le passioni e le tendenze peggiori della natura ferita dal peccato”[92]. Una descrizione di grande attualità nella nostra epoca, nella quale molta gente si lascia trascinare da una libertà che il Beato Josemaría chiama “libertinaggio”.

In questa schiavitù, che ha origine dal dire di no a Dio, si agisce anche contro la ragione. Come afferma S. Tommaso d’Aquino, “l’uomo è razionale per natura. Quando si comporta secondo la ragione, procede secondo la sua inclinazione, secondo quello che è: e questo è caratteristico della libertà. Quando pecca, opera al di fuori della ragione, e allora si lascia condurre dall’impulso altrui, soggetto in confini alieni, e per questo chi accetta il peccato è servo del peccato (Gv 8, 34)”[93].

Chi vuole riservarsi la libertà senza esercitarla nella donazione, è schiavo di se stesso e finisce per essere schiavo degli altri, di molte cose esterne, delle quali dovrebbe essere padrone come figlio di Dio. È la via dell’infelicità prima quaggiù e poi per sempre. Non è libertà, ma libertinaggio.

Nel mondo classico è stata chiamata libertà psicologica la capacità di scegliere e libertà morale l’altra capacità operativa che deriva dal corretto esercizio della libertà con la formazione di abiti, nei quali confluiscono le buone scelte compiute.

Nella filosofia contemporanea si sono avuti altri approcci significativi verso una libertà più profonda della mera capacità di scelta. Così la distinzione di Isaiah Berlin tra una libertà negativa (“libertà da” coazioni, interferenze, imposizioni) e una libertà positiva (“libertà per” fare o essere qualcosa, per progettare e impegnarsi) ha comportato un arricchimento nel dialogo tra i filosofi della politica[94]. La libertà positiva è una concezione più alta che risponde alla creatività propria della persona umana, ma ancora non arriva al punto più alto che Cristo ha portato al mondo ampliando le prospettive umane, con l’ “eccesso” caratteristico del cristianesimo.

Nonostante il suo forte paradosso, la Croce — con le sue dimensioni di donazione, sacrificio, perdono, impegno, apparente insuccesso,... — trova nel cuore umano un’intensa risonanza, perché già sul piano umano il livello più alto di libertà si manifesta nella capacità creativa disinteressata, nell’amare il bene in sé indipendentemente dal fatto che lo sia per me, nell’amicizia e nella benevolenza di amare le persone a motivo della loro bontà e dignità innate.

Ricordando un’opera di Robert Spaemann, possiamo dire che l’uomo raggiunge la sua pienezza e con essa la felicità (Glück ) nella benevolenza (Wohlwollen ) verso gli altri, volendo il loro bene in quanto tale. Anche Carlos Cardona ha fatto della relazione tra essere, libertà e amore di benevolenza, il nucleo della sua opera migliore dal punto di vista propositivo: la Metafisica del bene e del male. In essa sostiene che la libertà è una caratteristica trascendentale dell’essere dell’uomo; è il nucleo di ogni azione realmente umana e ciò che conferisce umanità a tutti i suoi atti. Il primo e fondamentale atto della libertà consiste nel decidersi, con un amore elettivo, per il bene in se stesso, superando l’amore naturale verso il bene per me. Ha, dunque, il significato di un’estasi, con la quale si esce da se stessi.

Alejandro Llano, pur apprezzando i significati di libertà da e libertà per proposti da Isaiah Berlin, pensa che non bastino e che c’è un terzo significato, che chiama libertà da se stesso, che è svuotamento di se stesso, kénosis e apertura amorosa verso gli altri[95].

5. La proiezione della libertà conquistata da Cristo in alcuni campi della vita contemporanea.

Prima abbiamo ricordato l’affermazione secondo cui il Beato Josemaría non retrocede di fronte alla sfida antropocentrica della modernità, ma anzi ne denuncia le insufficienze proprio sviluppando le sue ignorate potenzialità. Quest’ultimo punto può essere commentato mostrando la proiezione della dottrina teologica e filosofica esposta in alcuni campi della vita contemporanea. Lo farò in modo conciso, perché sulle applicazioni della libertà personale secondo Josemaría Escrivá esiste già una discreta bibliografia.

Il Beato Josemaría ha sempre presente il contesto culturale nel quale vivono i suoi lettori e i suoi ascoltatori, le persone a cui si rivolge. Perciò, di fronte a ciò che si può chiamare la scoperta moderna della libertà, ne denuncia le insufficienze non in un modo semplicemente polemico o negativo, ma sviluppando in senso cristiano e umano le potenzialità di questa libertà.

Secondo il Fondatore dell’Opus Dei, la libertà è, nel suo significato principale e radicale, libertà davanti a Dio e per Dio, e dunque è inseparabilmente unita alla responsabilità. Nell’anonimato caratteristico della massificazione si perde la responsabilità personale. Restano solo individui, spogliati del loro fondamentale carattere di persone. Il Beato Josemaría si sforzava di estrarre le persone dalla massa anonima, composta di individui in uno stato di solitudine e privi di una relazione autenticamente umana con Dio e con gli altri. Come maestro di vita cristiana, voleva formare persone libere, figli di Dio che lottassero per stare sempre con Cristo sulla Croce, che cercassero di corrispondere alla libera donazione e all’annichilamento di Dio con la libera donazione di se stessi. Se non si stimola la responsabilità, neppure si formano persone libere.

Tra le applicazioni della libertà all’esistenza umana e cristiana insegnate dal Beato Josemaría Escrivá troviamo la sua eroica difesa del legittimo campo dell’opinabile sul terreno professionale, nel mondo delle idee politiche, sociali, economiche, culturali, artistiche. Esiste un legittimo e sano pluralismo, caratteristico della mentalità laicale — la libertà è uno dei suoi elementi centrali — e contrario al clericalismo, che non rispetta la giusta autonomia delle realtà temporali, la natura e le leggi poste da Dio nelle sue creature. “Quando si capisce fino in fondo il valore della libertà, quando si ama appassionatamente questo dono divino, si ama il pluralismo che la libertà necessariamente comporta”[96].

Si può dire che su questo terreno ha dovuto navigare contro corrente sviluppando le potenzialità della libertà e radicandole nel loro fondamento teologico. Così affermava che all’interno della Rivelazione divina in Cristo, custodita dal Magistero della Chiesa, esiste una pluralità di posizioni che è buona, in quanto manifestazione di libertà e di responsabilità personali[97].

Anche in campo teologico c’è spazio per una legittima varietà di posizioni, pur nella piena fedeltà al Magistero. Perciò nella Prelatura dell’Opus Dei si seguono le indicazioni del Magistero della Chiesa, senza che esista una scuola teologica propria.

Il suo amore alla libertà lo indusse a prodigarsi nel dare una formazione molto accurata — anche sul piano teologico — con la quale ogni fedele potesse poi muoversi con libertà nella santificazione del lavoro e nell’attività apostolica, senza aspettare ordini. Anche in questo punto era un innovatore, senza pretese di originalità.

Nella vita spirituale e apostolica apprezzava molto l’autodeterminazione e la stimolava. La direzione spirituale ha come uno dei suoi fini quello di aiutare le anime ad amare — a esercitare la libertà — assecondando l’azione dello Spirito Santo. Per questo Josemaría Escrivá incitava a fare orazione, un colloquio sincero e autentico di figli con il proprio Padre, a mettersi di fronte a Dio, che è il punto di riferimento fondamentale della libertà umana. Le decisioni nascono allora come risposta alla luce di Dio, con l’aiuto della grazia. In molte occasioni, ad alcune domande che gli facevano rispondeva più o meno in questi termini: perché non lo chiedi al Signore nell’orazione?

Il Beato Josemaría Escrivá difese il dono della libertà per tutte le persone. Come Cristo, che muore sulla Croce per conquistarci la libertà dei figli di Dio, il cristiano deve difendere la libertà degli altri e, dopo, la propria. Amava molto la libertà delle coscienze e soleva dire che, con la grazia di Dio, avrebbe dato la su vita per difendere la libertà di quanti non erano cattolici. Ecco perché le attività apostoliche dell’Opus Dei non fanno mai discriminazioni per motivi religiosi.

In questo contesto l’educazione consiste soprattutto nell’insegnare a essere liberi, formando i giovani — e tutti — in modo tale da potersi muovere liberamente e con buon criterio in tutti gli ambienti: educare nella libertà e per la libertà.

Ma questa insistenza sulla libertà personale non deve essere interpretata in senso individualista. Per questo, come manifestazione della libertà responsabile, spingeva a prendere parte attiva in varie associazioni, cercando di intervenire in quelle decisioni umane dalle quali dipendono il presente e il futuro della società. Ne ha parlato spesso in questi termini: “Con libertà, e secondo le tue inclinazioni o qualità, prendi parte attiva ed efficace alle associazioni oneste, pubbliche o private, del tuo Paese, con una partecipazione piena di senso cristiano: queste organizzazioni non sono mai indifferenti per il bene temporale ed eterno degli uomini”[98].

Le grandi sfide della storia devono trovare i cristiani dotati del senso di responsabilità di quanti sanno di essere identificati con Cristo sulla Croce, che salva e libera dalle schiavitù. “Noi figli di Dio, cittadini della stessa specie degli altri, dobbiamo prendere parte “senza paura” a tutte le attività e organizzazioni oneste degli uomini, perché Cristo vi si renda presente. Se, per trascuratezza o comodità, ciascuno di noi liberamente, non fa in modo di intervenire nelle opere e nelle decisioni umane, da cui dipendono il presente e il futuro della società, nostro Signore ce ne chiederà strettamente conto”[99].

6. Sintesi conclusiva

Tra i molti interrogativi che saranno sorti nella mente del lettore, forse ce n’è uno al quale conviene tentare di dare una risposta, anche se breve e suscettibile di revisione. Si riferisce ai vari significati della libertà, che in questo articolo sono presenti senza una chiara distinzione.

6.1. Le dimensioni della libertà

I filosofi offrono varie classificazioni dei significati e delle dimensioni della libertà. Alcune delle più classiche indicano i seguenti aspetti[100]:

a) essere liberi rispetto a qualsiasi tipo di coazione. È la libertà di fare esternamente ciò che uno vuole. Si tratta di un concetto negativo della libertà. Alcuni filosofi (per es., Hobbes, Locke, Hume, Voltaire) rimangono a questo livello, perché negano o non sono sicuri che le nostre decisioni siano veramente libere, vale a dire che siano dovute a una necessità o a un condizionamento interno, non conosciuto. Spesso quello che fa il diritto è proteggere la persona da qualsiasi coazione esterna, anche se psicologica. È il campo delle libertà politiche, che sono libertà esterne, conseguenti alla libertà morale della persona. Per esempio: la libertà religiosa; il diritto alla vita e alla inviolabilità della persona; il diritto al matrimonio e alla famiglia, all’educazione dei propri figli, ad acquistare il necessario per sostentarsi, alla proprietà, all’asilo politico; il diritto di scegliere la professione, di sviluppare la propria personalità, di esercitare la libera espressione di parola, scritta o artistica; il diritto di associarsi e di partecipare all’ordine della comunità sociale.

b) la libertà di scelta, chiamata anche libertà psicologica o libero arbitrio. È la capacità della persona di autodeterminarsi realmente, senza un occulto obbligo interiore, facendo scelte che di solito si riferiscono a realtà esterne, ma che allo stesso tempo comportano una decisione sul proprio essere (soprattutto nella sua dimensione morale, ma non solo in quella). Con queste scelte ogni persona va costruendo se stessa. Si tratta di una capacità interna e innata. Il diritto suole presupporre questa libertà psicologica, quando per esempio, dichiara la responsabilità di una persona che ha commesso un’ingiustizia. Questa libertà si fonda sull’apertura dell’intelligenza a tutto ciò che è reale e della volontà a tutto ciò che è buono. A loro volta, l’intelligenza e la volontà, come facoltà operative, procedono da un’anima spirituale che ha ricevuto l’esistenza direttamente da Dio per creazione. Così l’agire umano è libero perché procede da un atto di essere che sta al di sopra del mondo materiale e delle catene causali del cosmo.

c) la libertà come mansione etica, chiamata anche libertà morale. È la padronanza e l’autodominio che l’uomo acquista mediante atti liberi che lo portano a possedere le virtù morali. Esercitando bene la libertà psicologica si raggiunge la libertà morale, un capacità di agire che non è impedita dalle passioni o dai vizi. Il contrario è una schiavitù, che, anche quando è frutto della propria libertà psicologica, non è libertà, ma libertinaggio.

6.2. Gli elementi naturali nella libertà secondo il Beato Josemaría

Negli insegnamenti del Beato Josemaría sono presenti queste dimensioni della libertà — insieme ad altre — senza che, come è logico, ci sia una classificazione esplicita. All’interno della sua visione cristiana dell’uomo è contenuta una concezione della persona nella sua dimensione o livello di creatura. In altri termini, ci sono elementi di una antropologia elaborata dalla ragione in unione vitale con la fede:

a) La libertà è considerata dal Beato Josemaría come il più grande dono ricevuto dalla persona “sul piano umano”. Dicendo “sul piano umano” si vuol precisare la portata dell’espressione nell’ambito naturale, lasciando spazio per doni ancora più grandi nell’ordine soprannaturale della grazia.

b) Nello stesso ordine creaturale si tratta già di un “dono di Dio”. Vale la pena di ricordare che negli insegnamenti del Fondatore dell’Opus Dei, l’ultimo punto di riferimento dell’ambito creaturale è Dio. Così, a proposito di varie realtà umane, metterà in evidenza il loro carattere di dono: “il lavoro è un dono di Dio”[101], l’intelligenza “è quasi una scintilla dell’intelletto divino”[102], l’amore coniugale è “un dono divino ordinato schiettamente alla vita, all’amore, alla fecondità”[103].

c) La libertà come capacità di scegliere (la libertà psicologica) è chiaramente presente nel suo pensiero. È, per fare un esempio, il filo conduttore dell’omelia La libertà, dono di Dio. A su volta, la sua insistenza sulla responsabilità ci fa capire che egli considera l’uomo veramente libero e che la storia non è una finzione.

d) Questo potere di scelta si esercita specialmente tra il bene e il male, e in vista di Dio. La realtà naturale della libertà non può essere isolata dal suo soggetto, che è una creatura ordinata a Dio. Ecco perché il livello della libertà non è solo orizzontale o immanente.

e) La dimensione che alcuni chiamano “libertà morale” non solo è presente, ma è ciò che dà un senso alla capacità elettiva. La libertà è per l’amore, per la donazione, per il servizio. Solo così si è veramente liberi e non schiavi delle passioni, o, in fondo, di uno stare ripiegati su se stessi. Forse si può dire che il Beato Josemaría, rispettando la distinzione, sottolinea fortemente l’unità e l’ordinamento della libertà psicologica a quella morale.

f) I suoi insegnamenti sulla libertà confluiscono in una visione ben definita della formazione: si tratta di educare nella libertà (come clima e come ambiente) e alla libertà (come fine: contribuire alla formazione di persone libere e responsabili).

g) Ciò che abbiamo chiamato “libertà rispetto a qualsiasi coazione” trova molte espressioni negli scritti del Beato Josemaría, specialmente nella sua forte difesa della libertà degli altri, della libertà delle coscienze individuali e personali.

6.3. Gli aspetti teologici della libertà

Se passiamo al livello strettamente soprannaturale, quello della salvezza che ci libera dal peccato e ci innalza alla condizione di figli di Dio, nell’insegnamento del Beato Josemaría si possono mettere in evidenza i seguenti punti:

a) La libertà è considerata in relazione alla filiazione divina: è la libertà dei figli di Dio. Se la libertà come persone create si fondava nell’apertura totale dell’intelligenza e della volontà rispettivamente all’essere e al bene, in quanto facoltà spirituali, e alla fin fine in un’anima che esiste grazie all’esistenza che ha ricevuto direttamente da Dio per creazione, ora la libertà dei figli di Dio si basa su una nuova condizione teologale dell’uomo, inserito nella vita trinitaria. Essere figli di Dio equivale a partecipare alla vita divina e a non essere schiavi del peccato, del demonio e della morte. A questo punto la libertà è il dinamismo dei figli di Dio, che si muovono e cooperano con la grazia divina, ma forse significa anche lo stesso stato reale e ontologico di essere liberi e non schiavi.

b) La libertà non è solo dono di Dio in generale, ma più precisamente un dono che Cristo ci ottiene con la su morte sulla Croce e con la sua Risurrezione. Il fondamento non è solo la creazione, ma anche la redenzione dell’uomo che la Trinità compie mediante l’Incarnazione.

c) Nella libertà dei figli di Dio è sempre presente la capacità di scegliere, ma viene potenziata quando si eleva ad autodeterminazione di chi è figlio di Dio Padre in Cristo per lo Spirito Santo. Essendo figli di Dio nel Figlio Unigenito, la responsabilità annessa alla libertà acquista più fortemente il carattere di risposta all’Amore misericordioso del Padre che si è manifestato in maniera sublime sulla Croce. Tutto l’agire del cristiano è frutto della grazia che Dio concede liberamente e della libera corrispondenza umana, aiutata dalla grazia stessa.

d) Tutta l’esistenza di Cristo, ma specialmente il suo sacrificio salvifico sulla Croce, è modello di una libertà che aderisce alla volontà del Padre, dando la sua vita per gli altri. Se sul piano naturale la dimensione psicologica della libertà era ordinata alla dimensione morale, e dunque all’amore e alla donazione, adesso la misura di questa donazione è l’Amore di Cristo, che può farsi presente in noi solo grazie all’invio dello Spirito Santo. Si arriva al paradosso dell’amore senza misura, della pazzia d’amore, del perdono gioioso e totale dei nemici.

e) La dottrina teologica del Beato Josemaría sulla libertà raggiunge una speciale profondità grazie alle luci divine che gli mostrano il nesso tra lo stare sulla Croce, essere alter Christus, o meglio ipse Christus, e l’essere figlio di Dio.

f) Le conseguenze nel campo della formazione si indirizzeranno a un modo di concepire la direzione spirituale, che stimola e favorisce la libertà e la spontaneità apostolica della persona.

g) A quelle che erano le libertà esterne nell’ordine filosofico corrisponderanno qui: la difesa della libertà delle coscienze nell’ambito più propriamente religioso, l’essere disposto a dare la vita per difendere la coscienza religiosa e spirituale degli altri, la distinzione tra ciò che è dottrina di fede e ciò che appartiene al campo del libero confronto tra punti di vista teologici, ecc

[1] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Lettera 9-I-1932. n. 42 (citato in A. FUENMAYOR, V. GÓMEZ-IGLESIAS, J.L. ILLANES, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei, Giuffrè Editore, Milano 1991, p. 46.

[2] Romana Postulazione della causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, sacerdote, Fondatore dell’Opus Dei, Articoli del Postulatore, Roma, 1979, n. 483.

[3] Nel luglio del 1931, in una enumerazione schematica di attività apostoliche, egli annotò: “Non un partito cattolico: diversità di opinioni” (Appunti intimi, n. 206). E alcuni mesi dopo, nel 1932, scrisse: “Siamo cittadini uguali agli altri: stessi doveri, stessi diritti. — Libertà politica dei soci, uomini e donne. Pertanto, in ciò che è umano, diversità di opinioni” (Appunti intimi, n. 158, entrambi i testi citati in A. FUENMAYOR, V. GÓMEZ-IGLESIAS, J.L. ILLANES, op. cit., p. 46).

[4] Il carisma fondazionale è la causa decisiva del suo approfondimento della libertà: “Fin dal 1928 ho predicato incessantemente che la santità non è riservata a pochi privilegiati, che possono essere divini tutti i cammini della terra, perché il perno della spiritualità specifica dell’Opus Dei è la santificazione del lavoro quotidiano. Bisogna respingere il pregiudizio secondo cui i semplici fedeli dovrebbero limitarsi ad aiutare il clero in attività di carattere ecclesiastico. Bisogna pure rendersi conto che gli uomini, per raggiungere il loro fine soprannaturale, hanno bisogno di essere e di sentirsi personalmente liberi, con quella libertà che Gesù Cristo ci ha conquistato” (BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Colloqui, n. 34). “Come conseguenza del fine dell’Opera, che si cura esclusivamente di Dio, il suo spirito è uno spirito di libertà, di amore per la libertà personale di tutti gli uomini” (ibid. n. 67)

[5] Appunti presi durante una tertulia, Pasqua 1974 (citato in A. LLANO, La libertad radical. Acto de Homenaje al Beato Josemaría Escrivá de Balaguer, Fundador de la Universidad de Navarra, Pamplona, 26 giugno 1992).

[6] Cfr. il libro Un santo per amico: testimonianze sul Beato Josemaría Escrivá, Fondatore dell’Opus Dei, Ares, Milano 2001, che contiene un buon numero di testimonianze di persone dell’ambiente ecclesiastico — vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose — che ebbero rapporti con il Beato Josemaría in varie epoche della sua vita. Vedi anche P. URBANO, Josemaría Escrivá, romano, Mondatori, Milano 1996. Il capitolo “La passione per la libertà” (pp. 261-284) raccoglie numerosi racconti di testimoni diretti della vita del Beato Josemaría durante gli anni romani.

[7] Cfr. A. DEL PORTILLO, Intervista sul Fondatore dell’Opus Dei, (a cura di Cesare Cavalleri), Ares, Milano 1992, in cui sono narrati numerosi episodi della vita del Beato Josemaría in cui appare la sua difesa della libertà.

[8] Cfr. J. ECHEVARRÍA, Memoria del Beato Josemaría, (intervista con Salvador Bernal), Leonardo International, Milano 2001, specialmente il capitolo “Un difensore della libertà” (pp. 145-156).

[9] A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei. La biografia del Beato Josemaría Escrivá, Leonardo International, Milano 1999, Vol. I: Signore, che io veda! Questo primo volume comprende il periodo 1902-1936.

[10] Tutti i suoi scritti sono permeati da una profonda concezione della libertà e pieni di abbondanti riferimenti ad essa. Si potrebbe pensare che questo è normale, poiché ogni condotta autentica e pienamente umana è frutto della libertà. Tuttavia, l’insistenza con cui egli ripropone questo tema rivela una coscienza molto acuta e delle convinzioni ben definite ed esplicite sulla libertà. Oltre all’omelia La libertà, dono di Dio, interamente dedicata a questo argomento, il tema è presente in modo particolare in Colloqui con Mons. Escrivá, che contiene interviste concesse fra il 1966 e il 1968. Le domande dei giornalisti sull’Opus Dei e su questioni di attualità offrono all’autore lo spunto per esprimere spesso il suo pensiero su questa dimensione fondamentale della vita umana. Inoltre, alla fine del libro è riportata l’omelia Amare il mondo appassionatamente del 1967, nella quale il Beato Josemaría espone in modo esplicito la sua concezione della mentalità laicale, la cui chiave sono la libertà e la responsabilità. Anche altre omelie affrontano con vigore, seppure meno estesamente, la questione del senso della libertà. Per esempio, quella che pronunciò nella festa di Cristo Re del 1970 — il 22 novembre — pubblicata con il titolo Cristo Re nel libro È Gesù che passa; o quella del 15 marzo 1961, mercoledì della IV settimana di Quaresima, pubblicata nello stesso libro con il titolo Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà. Nell’omelia Verso la santità, del 26 novembre 1967, pubblicata in Amici di Dio, l’orazione è vista come ciò che libera l’anima. Sono soltanto alcuni esempi, perché — ripeto — il tema appare e riappare continuamente in tutte le sue opere.

[11] C. FABRO, Nel secondo anniversario della morte. Un maestro di libertà cristiana: Josemaría Escrivá de Balaguer, in “L’Osservatore Romano”, 2-VII-1977. Questo apprezzamento coincideva col giudizio del giurista belga W. Onclin, già decano della Facoltà di Diritto Canonico dell’Università di Lovanio: “Una delle cose che più mi hanno emozionato parlando con Mons. Escrivá, a parte il suo calore umano, il suo entusiasmo e il suo spirito soprannaturale, è il suo amore per la libertà, parola che non pronunciava mai senza aggiungerne un’altra: responsabilità (W. ONCLIN, in “La libre Belgique”, 2 luglio 1975).

[12] Cfr. C. FABRO — S. GAROFALO — M. A. RASCHINI, Santi nel mondo: studi sugli scritti del beato Josemaría Escrivá, Ares, Milano 1972, p. 222.

[13] In campo giuridico il professor J. L. CHABOT, dell’Università di Grenoble, ha scritto Responsabilità di fronte al mondo e libertà, nell’opera collettiva Santità e mondo (Atti del Convegno Teologico di studio sugli insegnamenti del beato Josemaría Escrivá, Roma 12-14 ottobre 1993), Libreria Editrice Vaticana, 1994; un altro giurista, il professor G. DALLA TORRE ha elaborato la questione della Animazione cristiana del mondo nello stesso volume appena citato. Nell’ambito delle scienze dell’educazione, V. GARCÍA HOZ ha pubblicato Tras las huellas del beato Josemaría Escrivá de Balaguer: ideas para la educación, Rialp, Madrid 1997, con un capitolo intitolato “Conciencia, libertad, responsabilidad”.

[14] AA. VV., Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer y el Opus Dei: en el 50 aniversario de su fundación (opera diretta da Pedro Rodríguez, Pio G. Alves de Sousa, José Manuel Zumaquero), Pamplona 1982. Lo studio di C. Fabro si trova alle pp. 323-337.

[15] Cfr. F. OCÁRIZ, Naturaleza, gracia y gloria, Eunsa, Pamplona 2000.

[16] Cfr. A. ARANDA, “El bullir de la sangre de Cristo”. Estudio sobre el cristocentrismo del beato Josemaría Escrivá, Rialp, Madrid 2000.

[17] Cfr. A. LLANO, La libertad radical, pubblicato in Acto de Homenaje, op. cit., pp. 95-104.

[18] Cfr. L. POLO, El concepto de vida en Mons Escrivá de Balaguer, in “Anuario Filosófico” 18 (1985/2), pp. 9-32. Il medesimo testo anche nelle pagine 165-195 dell’opera collettiva, La personalidad del beato Josemaría Escrivá de Balaguer, Pamplona 1994.

[19] Cfr. J. B. TORELLÓ, Il Beato Josemaría Escrivá, «pazzo d’amore», in “Studi Cattolici” 389-390 (1993), pp. 420-428.

[20] Alcuni docenti dell’Università della Santa Croce — come Ramón García de Haro, Angel Rodríguez Luño o Ignacio Carrasco — si sono occupati pure di questo argomento.

[21] C. TAYLOR, Las fuentes del yo: la construcción de la identidad moderna, Barcellona 1996 (titolo originale: Sources of the self).

[22] Cfr. C. CARDONA, Metafisica del bene e del male, Ares, Milano, 1987, pp. 233.

[23] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Colloqui, n. 117.

[24] A. LLANO, Sueño y vigilia de la razón, Eunsa, Pamplona 2001, p. 363.

[25] Cfr. J. DE FINANCE, Essai sur l’agir humain, Rome 1962.

[26] Cfr. K. WOJTYLA, Person and community: selected essays, (translated by Theresa Sandok), New York 1994.

[27] C. CARDONA, Metafisica del bene e del male, Ares, Milano 1987.

[28] Cfr. R. SPAEMANN, Glück und Wohlwollen: Versuch über Ethik, Stuttgart 1990.

[29] C. FABRO, El primado existencial de la libertad, cit., p. 332.

[30] Appunti presi durante una tertulia, Pasqua del 1974 (citato in A. LLANO, La libertad radical, cit., p. 104).

[31] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Amici di Dio, n. 27. “Vi voglio ribelli, liberi da ogni legame, perché vi voglio — Cristo ci vuole! — figli di Dio” (ibidem, n. 38).

[32] Citato alla nota 1. Le parole introduttive della Via Crucis terminano chiedendo alla Madonna il suo aiuto per “rivivere quelle ore amare che tuo Figlio ha voluto trascorrere sulla terra, affinché noi, fatti con una manciata di fango, vivessimo finalmente in libertatem gloriae filiorum Dei, nella libertà e gloria dei figli di Dio”.

[33] Lettera 31-V-1954, n. 24 (citato in P. RODRÍGUEZ, F.OCÁRIZ, J.L. ILLANES, L’Opus Dei nella Chiesa, Piemme, Casale Monferrato 1993, p 115).

[34] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Via Crucis, Ares, Milano 1981.

[35] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Santo Rosario, Ares, Milano, 1988.

[36] Appunti presi durante una meditazione, 28-IV-1963. Citato in C. CARDONA, Forgia di dolore, “Studi cattolici” (1993), p. 779.

[37] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Appunti intimi, n. 217 e 218. Citato in A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore..., op. cit., p. 402.

[38] Cfr. P. RODRÍGUEZ, Omnia traham ad me ipsum: El sentido de Juan 12, 32 en la experiencia espiritual de Mons. Escrivá de Balaguer, “Romana” 13 (1991/2), pp. 331-352.

[39] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Lettera 9-I-1959, n. 60. Citato in A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore..., cit., pp. 409-410.

[40] Cfr. A. ARANDA, «El bullir de la sangre de Cristo», cit., specialmente il capitolo V “Cristo presente en los cristianos”, paragrafo 2 “«Alter Christus, ipse Christus» en el Beato Josemaría”. Cfr. anche F. OCÁRIZ, Hijos de Dios por el Espíritu Santo, “Scripta Theologica” (1998), pp. 479/503.

[41] Cfr. 2 Cor 5, 17.

[42] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Via Crucis, stazione XI, punto di meditazione n. 4.

[43] Articoli del Postulatore, cit., n. 385, p. 135.

[44] Gv 10, 17-18.

[45] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Amici di Dio, n.26.

[46] 1 Gv 4, 8.

[47] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, n. 95.

[48] Ibidem, n. 84.

[49] Ibidem, nn. 85-86.

[50] Ibidem, n, 18.

[51] Amici di Dio, n. 25.

[52] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Via Crucis, stazione I, punto di meditazione 1.

[53] Ibidem, punto di meditazione n. 2.

[54] È Gesù che passa, n. 17

[55] Cost. past. Gaudium et spes, n. 22..«In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione».

[56] Ibidem, n. 24.

[57] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Amici di Dio, n. 30.

[58] Ibidem, n. 25.

[59] Ibidem, n. 26.

[60] Ibidem, n. 27.

[61] Ibidem, n. 28.

[62] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Solco, n. 797.

[63] Amici di Dio, n. 28.

[64] Ibidem.

[65] Cfr. ibidem, n. 6. Da un punto di vista psicologico, l’antropologia dello psichiatra ebreo Viktor E. Frankl conferma questa aspirazione umana a una piena donazione.

[66] Come si vede, in parecchi casi il Beato Josemaría condensa l’espressione paolina della “libertà della gloria dei figli di Dio” nella “libertà dei figli di Dio”. Non si tratta di una mancanza di visione escatologica, sempre presente nella sua predicazione, ma di un modo di esprimersi adeguato a ciascun contesto.

[67] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Lettera 24-III-1930 n. 2 (citato in AA. VV. La personalidad del beato Josemaría Escrivá de Balaguer, Pamplona 1994, p. 41).

[68] S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th. I, 38, 1 c.

[69] Cfr. F. OCÁRIZ, Hijos de Dios por el Espiritu Santo, “Scripta Theologica” (1998), pp. 479-503.

[70] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Amici di Dio, n. 25; il testo biblico citato è Eb 10, 7.

[71] Amici di Dio, n. 24.

[72] Ibidem, n. 26.

[73] Ibidem, n. 24.

[74] È Gesù che passa, n. 111.

[75] Dt 30, 15-16, 19.

[76] S. AGOSTINO, De vera religione, 14, 27 (PL 34, 134)

[77] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Amici di Dio, n. 33.

[78] S. TOMMASO D’AQUINO, Super Epistolas S. Pauli lectura. Ad Romanos, cap. II, lect. III, n. 217 (ed. Marietti, Torino 1953); citato in Amici di Dio, n. 27.

[79] S. TOMMASO D’AQUINO, Quaestiones disputatae. De Malo. q. VI, a.1.

[80] A. LLANO, La libertad radical, cit., p. 97.

[81] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Colloqui, n.117.

[82] Lettera 9-I-1959, n. 35 (citato da A. SASTRE, Tiempo de caminar, Rialp, Madrid 1989).

[83] S. TOMMASO D’AQUINO, Quaestiones disputatae. De Malo, q. VI, a. 1.

[84] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Amici di Dio, n. 36.

[85] Ringrazio di questa espressione il prof. Paul O’Callaghan, che me l’ha suggerita leggendo queste pagine.

[86] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, n. 33.

[87] Colloqui, n. 104.

[88] Ibidem, n. 44.

[89] Cfr. LEONE XIII, Enc. Libertas praestantissimum, 20-VI-1888, ASS 20 (1888), 606.

[90] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Lettera 11-III-1940, n. 65 (citata in A. RODRÍGUEZ LUÑO, La formazione della coscienza in materia sociale e politica secondo gli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá, “Romana” 24 (1997) 162-181). “Non faccio politica, non voglio né posso farla; ma la mia mentalità di giurista e di teologo — nonché la mia fede cristiana — mi spingono a schierarmi sempre a favore della legittima libertà di tutti gli uomini. Nessuno può pretendere di imporre nelle questioni temporali dogmi che non esistono” (Colloqui, n. 77).

[91] Las riquezas de la fe, articolo pubblicato nel quotidiano ABC (Madrid), 2-XI-1969.

[92] Amici di Dio, n. 29.

[93] S. TOMMASO D’AQUINO, Super evangelium S. Ioannis lectura, cap. VIII, lect. IV, n. 1204 (ed. Marietti, Torino 1952).

[94] Nella sua ben nota lezione inaugurale della cattedra di teoria politica all’Università di Oxford, dedicata al concetto di libertà e pubblicata nel 1958, Isaiah Berlin ravvivò il dibattito su questa realtà fondamentale proponendo la distinzione citata.

[95] Con un’esatta osservazione psicologica, egli avverte che la “chiave dell’autenticità di questo amore personale, sicuramente, non è data soltanto dalla capacità di sentire in modo stabile amore per un’altra persona, ma soprattutto dall’apertura a lasciarsi amare. Chi si lascia amare può capire che cosa comporta liberarsi di se stesso, perché allora sa che ciò che ha non è più suo, ma di chi lo ama” (A. LLANO, Hacia un humanismo de la autenticidad, nel volume Sueño y vigilia de la razón, Eunsa, Pamplona 2001, p. 365). Oltre alla sua presenza in tutta la tradizione cristiana, nel nostro tempo questa idea di libertà da se stesso è dovuta a Schelling ed è stata attualizzata da Fernando Inciarte.

[96] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Colloqui, n. 98.

[97] Allo stesso tempo il Beato Josemaría ricordò molte volte che, in circostanze speciali, la gerarchia ecclesiastica può chiedere ai cattolici una posizione comune unica in terreni opinabili, anche se questa non è una situazione normale.

[98] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Forgia, n. 717.

[99] Ibidem, n. 715.

[100] Ho seguito la classificazione offerta da E. COLOM — A. RODRÍGUEZ LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi. Elementi di Teologia morale Fondamentale, Apollinare Studi, Roma 1999, pp. 207 ss., e A. MILLÁN-PUELLES, El valor de la libertad, Rialp, Madrid 1995.

[101] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, n. 47.

[102] Ibidem, n. 24.

[103] Ibidem.

Romana, n. 33, Luglio-Dicembre 2001, p. 240-269.

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