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Intervista pubblicata sul quotidiano “El País”, la vigilia del centenario della nascita del Fondatore dell’Opus Dei. Madrid, Spagna, 8-I-2002

Qual è l’attuale situazione dell’Opera?

In questo momento fanno parte dell’Opus Dei 85.000 fedeli di 60 Paesi diversi. Ognuno di loro cerca di diffondere intorno a sé il messaggio di Cristo attraverso l’amicizia, senza considerarsi per nulla migliore degli altri, dai quali cerca di imparare. L’autentico criterio per valutare la situazione dell’Opus Dei è la fedeltà personale di ciascuno a Gesù Cristo: su questo noi fedeli della prelatura ci esaminiamo alla fine di ogni giornata.

L’Opera ha organizzato diverse celebrazioni, ma la più importante sarà la canonizzazione del beato. Ricordando le polemiche suscitate dalla beatificazione nel 1992, non teme che le critiche si riproducano?

Non si conosce la data della canonizzazione del beato Josemaría; dipende dal Santo Padre, che di solito rende pubblica la data delle canonizzazioni durante i Concistori. Siamo felici per la progressiva diffusione della devozione al beato Josemaría in tanti paesi del mondo, a partire dal 1975. Non temo un ambiente polemico e non si tratta solo di una previsione ottimistica: articoli e lettere che ho letto in questi mesi lo confermano.

L’Opus Dei gode di grande considerazione nell’attuale Papa, che nel 1982 le concesse la qualifica giuridica di prelatura personale. Fino a che punto è stato importante per l’Opera poter contare sulle simpatie del Pontefice?

Credo che un cattolico debba amare il Papa — tutti i papi — con identici sentimenti di affetto e di venerazione. L’amore al Romano Pontefice nasce dalla fede, non dalle preferenze, perché in lui vediamo il Vicario di Cristo tra gli uomini. Mi permetto di affermare che il Papa non fa distinzioni: è padre di tutti i cattolici e tratta tutti con la medesima carità. Fatta questa premessa, poter contare sulla sua simpatia è uno stimolo, un invito all’unità, un motivo di gratitudine e di responsabilità. La decisione di erigere l’Opus Dei in prelatura si basò su seri studi teologici e giuridici; il Concilio Vaticano II, con l’approvazione di Paolo VI, ne stabilì le basi. E’ vero che Giovanni Paolo II mise il suo sigillo nel documento finale, ma alla decisione si arrivò con un’ampia convergenza, e, su richiesta del Papa, tutti i vescovi delle nazioni dove l’Opus Dei svolgeva l’apostolato diedero il loro parere.

L’Opus Dei e la Compagnia di Gesù sono iniziative religiose spagnole con personalità propria all’interno della Chiesa. I gesuiti hanno un pedigree progressista, l’Opera conservatore. Quali sono i vostri rapporti?

Se mi permette un chiarimento preliminare, le dirò che io conobbi l’Opus Dei nel 1948 e da quell’anno sono stato uno dei suoi tanti fedeli; però non l’ho mai considerato una cosa spagnola, ma una istituzione universale. Era nata in Spagna, ma era stata progettata da Dio per tutto il mondo. D’altra parte, alcune parole che aiutano a semplificare le cose — per esempio, conservatore o progressista — devono essere usate con attenzione, perché fanno sì che molte persone, per paura di essere etichettate e classificate, non dicono la verità su ciò che pensano. Che cosa ne penso io? Penso che la Compagnia di Gesù ha avuto e ha una grande missione nella Chiesa e nel mondo. La Compagnia e la Prelatura sono di natura diversa e nascono da carismi diversi; io non li interpreterei in una chiave estranea alla loro più profonda realtà ecclesiale, né mi permetterei di paragonarli. Josemaría Escrivá aveva una grande devozione per sant’Ignazio di Loyola. Con quale gioia si saranno abbracciati in Cielo!

In Vaticano si valuta positivamente la capacità dell’Opera di convocare grandi masse in occasione delle cerimonie pubbliche del Papa; ma qual è stato ed è il principale contributo dell’Opera alla Chiesa cattolica?

Non mi sento a mio agio quando si parla di contributo dell’Opus Dei alla Chiesa, perché tutta la ricchezza dello spirito dell’Opus Dei è della Chiesa. Il beato Josemaría diceva: “È di Cristo che dobbiamo parlare, non di noi stessi”. Se mi domanda qual è il nucleo del messaggio e la missione dell’Opera, lo riassumerei nella chiamata universale alla santità, nella possibilità di trasformare la vita ordinaria dei fedeli in un cammino di santità mediante la santificazione del lavoro e dei doveri familiari e sociali.

Lei, così come monsignor Álvaro del Portillo, suo predecessore a capo della prelatura, è stato diretto collaboratore del beato Escrivá. Lei ne è stato per 25 anni il segretario particolare. Non si può considerare eccessivamente endogamica la successione ai vertici della prelatura dell’Opus Dei?

Considero i 25 anni trascorsi accanto al fondatore dell’Opus Dei come un privilegio immeritato e un richiamo costante alla responsabilità. Non ringrazierò mai abbastanza Dio per questo dono. E lo stesso debbo dire degli anni in cui ho collaborato con monsignor Del Portillo. Endogamia? È normale che la designazione dei prelati che stanno a capo delle strutture gerarchiche della Chiesa ricada su quelli che già vi lavoravano.

Josemaría Escrivá stette a Roma per quasi tutta la sua vita adulta. Per quale ragione? Era prioritario per il beato ottenere uno status giuridico per l’Opera?

Roma è la sede di Pietro, capitale della Chiesa, simbolo della sua universalità. L’Opus Dei nacque a Madrid, ma con una essenziale dimensione universale e pertanto Roma era la sua sede naturale. Lo statuto giuridico dell’Opus Dei riflette questa caratteristica originale. Il beato Josemaría aveva un profondo senso del diritto, che serve per dare forma al carisma e garantirne il futuro nella Chiesa. Per questo mise in atto tutti i mezzi per trovare una configurazione giuridica che riflettesse i caratteri essenziali dell’Opus Dei.

Nel 1994 lei disse che le critiche all’Opera provengono da una minoranza spagnola. Tuttavia in Italia negli anni ottanta fu tentato un processo parlamentare contro l’Opera, per stabilire se si trattava di una setta. Che cosa dà fastidio dell’Opus Dei?

Anzitutto, l’Opus Dei è apprezzato da moltissime persone. Di fatto le accuse da lei menzionate furono studiate e si dimostrarono prive di fondamento. In quanto alla sua domanda, penso che l’Opus Dei possa dare fastidio soprattutto a chi non lo conosce e a chi dà fastidio la Chiesa cattolica. Si sono formati degli stereotipi che poco hanno a vedere con la realtà della vita dei fedeli della prelatura e che ne danno un’immagine sgradevole e falsa. Può anche accadere che qualcuno si senta infastidito dai difetti o dagli errori che ha notato in alcuni fedeli dell’Opus Dei; ma mi pare una generalizzazione indebita proiettare queste manchevolezze personali sulla prelatura. Ci sono anche persone cui danno fastidio gli intellettuali, i politici, gli imprenditori, gli operai o i padri e le madri di famiglia che vivono la propria fede con coerenza ed esprimono talvolta un’opinione contro corrente: per esempio, l’intenzione di far progredire la cultura della la vita o della famiglia.

L’Opera è stata accusata di segretezza e di esercitare la sua enorme influenza in maniera un po’ occulta. Perché tanta riservatezza da parte dei suoi membri nell’ammettere di appartenervi?

Mi perdoni se le dico che non sono d’accordo. I fedeli dell’Opus Dei sono ben conosciuti come tali dalle proprie famiglie, dai colleghi, dagli amici. Non fanno difficoltà, anzi, il contrario, a che si sappia che fanno parte della Prelatura. Altrimenti come potrebbero parlare di ciò che vivono, dell’Opus Dei, del desiderio di cercare la santità nel lavoro professionale? Ho l’impressione che siano cose del passato, frutto di una manipolazione della realtà compiuta da gruppuscoli gelosi del proprio esclusivismo. Mi sembra che siano poche le istituzioni delle quali si sappia di più che dell’Opus Dei: si pubblica un bollettino ufficiale della Prelatura, si può ritrovare l’Opus Dei nelle guide telefoniche e in Internet.

Come giudica la situazione internazionale dopo gli attentati dell’11 settembre?

Come tutti, ho sofferto molto per gli attentati. Mi hanno impressionato profondamente le parole del Papa — cito a memoria — sulle speranze di pace per lungo tempo accarezzate e improvvisamente ferite da questo tremendo episodio. Ho pensato alle tragedie dei nostri tempi, come quelle dell’Africa, che avvengono lontane dalle telecamere, ma gridano anch’esse al cielo. Queste profonde crisi dimostrano che sono necessarie soluzioni radicali, forse nuove forme di relazioni tra i popoli, nelle quali non prevalga la logica della forza, del potere o del denaro, ma quella del dialogo. Sembra indispensabile trovare modi più concreti di promuovere la giustizia.

C’è chi ha sostenuto che si tratta di un’autentica contrapposizione di culture. Come vede l’Opera le relazioni con l’islam?

Preferisco non interpretare la situazione come una contrapposizione planetaria. Una terribile azione terroristica, perpetrata da un gruppo di fanatici, non può screditare d’un tratto la storia e la cultura di decine di Paesi, anche se questo è certamente, per tutto il mondo, un campanello d’allarme.

Quale crede che sarebbe la reazione del beato Escrivá, se oggi potesse vedere la situazione in cui si trova il mondo, nella quale ormai s’intravede anche la possibilità di clonare gli esseri umani?

L’umanità è sempre stata solerte nel tormentare se stessa. La clonazione è come un incubo: l’uomo si ubriaca del potere che gli dà la tecnica e ne fa un uso smodato, seminando intorno a sé paura e sfiducia perché, con la mancanza di etica, di morale, trovano giustificazione persino le peggiori forme di barbarie del secolo XX che tanto danno hanno provocato. Non ho dubbi che nel beato Josemaría produrrebbero un gran pena; però nel mondo di oggi molte sono le cose che susciterebbero in lui ammirazione e gioia.

Crede che sarebbe soddisfatto della sviluppo della sua Opera?

Penso di sì. Mi sembra che uno dei suoi grandi contributi sia stato proprio quello di stimolare i cristiani a sentirsi “seminatori di pace e di gioia”. Josemaría Escrivá aveva una grande simpatia per i santi che, secondo i loro contemporanei, erano persone dotate di buon umore, come Tommaso Moro, Filippo Neri, santa Teresa o don Bosco. Per questo andò sempre d’accordo con la gioventù.

Romana, n. 34, Gennaio-Giugno 2002, p. 93-96.

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