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Intervista di Federico Mandillo per l’Agenzia MISNA 3-X-2002

L’Africa è nota oggi soprattutto per le sue grandi tragedie umane, dai milioni di profughi all’AIDS molto diffuso, alle guerre senza fine, specie nella sua fascia tropicale. Quali iniziative l’Opus Dei, che festeggia tra poco la canonizzazione del suo Fondatore, ha in campo per la gioventù e per la promozione di nuove speranze nei Paesi africani più travagliati? Quali su impulso diretto del suo Fondatore, Josemaría Escrivá, specie per la crescita d’un laicato responsabile? Quali solidarietà vengono stimolate, tra Nord e Sud del pianeta?

L’attività più importante della Prelatura è quella che svolge personalmente ognuno dei suoi fedeli, liberamente e responsabilmente, nel proprio ambiente, a seconda delle proprie possibilità. I fedeli africani dell’Opus Dei, che grazie a Dio sono già diverse migliaia, innanzitutto si sforzano, come gli asiatici, gli americani, gli europei e quelli dell’Oceania, di vivere la fede con coerenza. L’impegno personale, d’altra parte, li stimola a promuovere, a gomito a gomito con colleghi e amici, progetti destinati a risolvere le necessità materiali e spirituali delle popolazioni a cui appartengono. Soffrono per i problemi legati all’Aids, alla povertà, alle rivalità tribali e cercano di fare tutto il possibile per eliminarli. Come cristiani, infatti, si sentono chiamati a santificarsi in mezzo al mondo: quel mondo specifico che è l’Africa, con le sue luci e le sue ombre.

Oltre all’impegno di ciascuno, la Prelatura dell’Opus Dei promuove in Africa numerose iniziative, principalmente in ambito educativo e sanitario: ospedali, università, scuole, centri di formazione professionale per la donna.

Dal 1957 un buon numero di fedeli dell’Opus Dei, originari di vari Paesi — racconta il Prelato —, hanno deciso di trasferirsi in Africa: per svolgervi la propria attività professionale e servire gli abitanti come medici, veterinari, infermiere, maestri di scuola, agronomi. Tutti, uomini e donne, hanno diffuso lo spirito che anima l’Opus Dei, la santificazione del lavoro professionale. Oggi sono molti gli africani che servono in questo modo i loro concittadini. Poiché, a mio modo di vedere, sono il lavoro professionale e l’attività apostolica degli africani stessi, non di quelli che vengono da fuori, la misura autentica delle speranze di un continente che ha davanti prospettive tanto ampie e promettenti, se si lavora con forte impegno.

Vorrei aggiungere che l’Africa può apportare molto all’Europa con la sua apertura alla trascendenza, con l’allegria che gli africani manifestano nella vita quotidiana, anche nelle difficoltà, con la loro comunicativa e la stima per i valori buoni della famiglia e dell’amicizia, con la signorilità che sanno dimostrare come riflesso della dignità umana, con il loro modo di vivere il tempo.

A Lei che, come Prelato dell’Opus Dei, lavora sulle linee tracciate dal Fondatore e dal suo primo successore: quali principali iniziative può indicarci, assunte soprattutto nei Paesi missionari e in particolare nel Sud del mondo, che abbiano aperto vie nuove negli ultimi decenni? Quali criteri ispiratori le guidano? Si può tracciare un primo bilancio delle più affermate?

Come soleva dire monsignor Josemaría Escrivá, tutto il mondo è terra di missione. Pertanto, ovunque la Chiesa è chiamata a una intensa attività apostolica. In Africa, tra le iniziative avviate in questi 45 anni di presenza nel continente dai fedeli dell’Opus Dei, assieme a molte altre persone anche non cristiane, menzionerei il Centro medico Monkole, a Kinshasa, in Congo: è un ospedale che svolge una vasta attività sanitaria a favore di persone che mancano persino dell’essenziale, e che ha già diverse altre sedi nel Congo. Vorrei anche citare la Lagos Business School, in Nigeria, che si dedica alla formazione di imprenditori africani, offrendo loro una buona preparazione nella gestione d’impresa e, al tempo stesso, sviluppando la loro sollecitudine per le necessità della intera comunità sociale. Infatti, per promuovere lo sviluppo e combattere la povertà e la corruzione, c’è bisogno di una buona formazione morale, anche nella dottrina sociale della Chiesa, assieme a una solida formazione imprenditoriale.

Ora, alla vigilia della canonizzazione di monsignor Escrivá, non posso dimenticare il progetto ‘Harambee 2002’, un fondo destinato a sostenere programmi educativi in Africa, creato con i donativi dei fedeli che partecipano alla proclamazione della santità del nostro fondatore, e di tutte le persone e gli enti che vorranno collaborare. ‘Harambee 2002’ è una sintesi delle idee fondamentali che prima ricordavo: quel che importa sono le persone e, in questo caso, gli africani, che devono essere gli artefici del progresso in Africa. Per questo motivo, l’educazione diventa un elemento imprescindibile dello sviluppo, giacché apre le porte al lavoro e al progresso, sia materiale che spirituale. L’educazione è un modo, se così posso esprimermi, di seminare speranza. Il progetto ‘Harambee 2002’ vuole apportare un granello di sabbia a questo impegno collettivo.

E in questo contesto mi pare giusto che ricordiamo tutti con gratitudine le migliaia di missionari e missionarie che da secoli si sono dedicati generosamente ad attività educative, spendendo tutta la loro vita al servizio degli altri. Quanto amano l’Africa e come li amano gli africani!

Quale può prevedersi la presenza, dal Sud del mondo, alla canonizzazione del 6 ottobre? Con quali caratteristiche?

Mi rallegra poter dire che la presenza del Sud del mondo sarà numerosa e significativa. Verranno a Roma persone da 84 Paesi. Molti anche dall’Africa, dopo grandi sforzi e sacrifici. So di persone che stanno facendo risparmi da molto tempo per potersi pagare il viaggio. E il 6 ottobre, in Piazza San Pietro, ci saranno anche diversi cori africani.

In realtà, però, la maggior parte delle persone del Sud del mondo che vorrebbero venire non potranno farlo. Perciò il Comitato organizzatore della canonizzazione sta lavorando con particolare impegno per quelli che non saranno a Roma. Grazie all’inestimabile aiuto del Vaticano, delle istituzioni italiane e di tutti i mezzi di comunicazione, in molti Paesi del mondo milioni di persone potranno seguire la cerimonia per televisione, per radio o Internet. Approfitto di questa occasione per ringraziare, di tutto cuore, per l’aiuto generoso di tante persone, anche da parte di chi sarà lontano e non potrà esprimere la sua gratitudine. È impossibile citare tutti perché l’elenco sarebbe troppo lungo. Posso però assicurare che prego per ciascuno di loro.

Romana, n. 35, Luglio-Dicembre 2002, p. 323-325.

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