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“Una semina di santità”, articolo pubblicato sul giornale “La Razón” il giorno della canonizzazione di san Josemaría Spagna 6-X-2002

Ho conosciuto Josemaría Escrivá il 2 novembre 1948 a Madrid. Era circondato da studenti universitari, con i quali stava chiacchierando con semplicità. Io pure ero uno studente giovane e rimasi sorpreso dalla sua allegria, dal suo entusiasmo e dal suo buon umore. Parlò di diversi temi della vita quotidiana e della necessità che ha un cristiano di pregare e di essere un figlio fedele di Dio, e ci incoraggiò a trasformare la nostra giornata in una semina di santità e di apostolato.

Domandò a tre dei presenti, fra i quali io, se volevamo accompagnarlo in auto fino a Molinoviejo, una casa di ritiri nei pressi di Segovia. Durante il tragitto, dopo aver parlato di varie questioni, cominciò a cantare con la naturalezza con cui lo si fa in famiglia. Devo riconoscere che ne fui vivamente sorpreso. Erano canti popolari d’amore, che tutti noi avevamo ascoltato alla radio. Uno — non lo dimenticherò mai — diceva: Ho un amore che mi riempie di gioia... Tra una canzone e l’altra faceva domande e commenti, facendoci notare che dovevamo sforzarci di essere sempre contenti, molto contenti perché siamo figli di Dio. E ci incoraggiò a utilizzare per il dialogo con Dio le canzoni dell’amore umano, indirizzandole al Signore e alla Vergine Maria.

Due anni dopo, a Roma, in un incontro casuale in casa, mi fece una richiesta che mi stupì molto, anche perché avevo sotto gli occhi il suo impegno costante per avere presenza di Dio, il suo desiderio di essere unito al Cuore di Cristo mentre lavorava, riposava o parlava con noi. Tuttavia, per un’anima innamorata come la sua — come succede con ogni amore umano puro —, tutto ciò gli sembrava insufficiente. Voleva amare Dio con tutte le forze della sua anima. «Oggi mi addolora la mia scarsa devozione — confidò con semplicità a me, che non avevo ancora compiuto vent’anni —; aiutami a chiedere perdono!».

La nostra orazione, la nostra lode a Dio — insegnava —, deve innalzarsi al Cielo costantemente, come il battito del cuore. Ci suggeriva di trattare il Signore nello stesso modo in cui tanti nostri compagni — lo vedevamo nei nostri amici — pensano continuamente alla persona amata e si struggono per lei. Perciò, affermava, «non ci deve importare, se bisogna esserlo, fare come il figlio prodigo: cominciare, chiedere perdono con dolore sincero e ricominciare; questo fa piacere a Nostro Padre Dio, perché sa di che pasta siamo fatti: pertanto, ricominciate sempre, e ricominciate con amore, perché Dio ci aspetta».

A volte mi domandano come sia stato possibile che questo santo sacerdote abbia potuto portare a termine l’ingente lavoro che Dio gli ha chiesto e come abbia potuto diffondere nei quattro punti cardinali il messaggio della chiamata universale alla santità. È infatti evidente che Dio ha benedetto la sua fedeltà con frutti abbondanti. Migliaia di anime dei cinque continenti, degli ambienti sociali e delle professioni più svariate, sani e malati, giovani e anziani, hanno intrapreso con rinnovato vigore la vita cristiana e hanno ricominciato a partecipare più assiduamente ai sacramenti grazie alla sua predicazione. I suoi insegnamenti hanno contribuito a rimuovere le coscienze in numerosi ambienti culturali, artistici, educativi, sociali di molti Paesi del mondo. Il suo messaggio sulla santificazione del lavoro ha aperto vasti orizzonti a tanta gente. Il suo zelo sacerdotale ha spinto innumerevoli sacerdoti, religiosi e secolari, a rispondere più generosamente al Signore: a collaborare attivamente alle necessità parrocchiali, ad assecondare gli insegnamenti del Papa e dei Vescovi, a difendere la cultura della vita e a promuovere, secondo le proprie forze, la giustizia e la carità verso le persone più bisognose. Ha insegnato a lavorare bene, con responsabilità, con la chiara idea che questo lavoro può e deve essere orazione, conversazione con la Trinità e servizio agli uomini.

Come gli è stato possibile? Grazie al suo abbandono in Dio Padre, alla sua fiducia nella grazia e al suo continuo ricorso al dialogo con il Signore e all’intercessione della Madre di Dio, onnipotenza supplicante; alla sua unione alla Croce e anche alla lotta continua nelle cose piccole, che lo portava a cominciare e ricominciare, un giorno dopo l’altro: un sorriso, un atto di amore, un particolare di servizio, una porta chiusa con delicatezza, non facendo mai caso ai disagi della vita quotidiana.

Insieme a questo, l’accettazione gioiosa della malattia — per anni ebbe una gravissima forma di diabete —, delle sofferenze e delle incomprensioni. Non idealizzò la sua vita, perché l’ho visto lottare, stancarsi, avere difficoltà, reagire con un primo movimento di stizza..., ma proprio allora si sforzava di trasformare ogni problema causato dalla normale convivenza in un poema eroico, in endecasillabi da rivolgere a Dio.

Una sua frase, riletta ora sotto una nuova luce, mi consola in modo particolare: «Pregherò sempre per voi»; e continuava: «Cerchiamo di servire il Signore, che ha pochi servitori. Cerchiamo di servirlo nel bel mezzo della strada, ognuno nel posto in cui si trova, volendo bene a tutti, dando dottrina e sapendo perdonare, perché Dio perdona continuamente ognuno di noi. Per imparare a perdonare servitevi della Confessione, con affetto e devozione, e lì troverete la pace, la forza per vincere e amare».

Pregherò sempre per voi. In questi giorni continuo a ringraziare Dio e a invocare lo Spirito Santo affinché la sua canonizzazione smuova il cuore di migliaia di persone, cristiane e non cristiane, credenti e non credenti, e faccia loro sentire la voglia di una conversione interiore che si traduca in una semina rinnovata di giustizia e di pace.

Sì, questo è il miracolo che gli chiedo: il miracolo della pace; pace nelle nazioni, nelle relazioni sociali, nelle famiglie, in ogni anima; pace con Dio, perché altrimenti il bene della convivenza umana non mette radici.

Prego colui che da ora in poi chiameremo san Josemaría che ci aiuti anche a fare, a gomito a gomito con tante persone di buona volontà, una semina gioiosa di santità e di apostolato, come ci suggerì, sorridendo e incoraggiandoci in quel lontano giorno del 1948 — così vivo nella mia mente — nel quale lo conobbi.

Romana, n. 35, Luglio-Dicembre 2002, p. 332-334.

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