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Editoriale

In occasione del 25° anniversario del Pontificato di Giovanni Paolo II, il Prelato dell’Opus Dei ha pubblicato un articolo su L’Osservatore Romano. Eccezionalmente, l’articolo viene riprodotto in questo numero di Romana come editoriale: sicuramente tutti i fedeli della Prelatura riconosceranno in esso l’espressione più autorevole dei loro sentimenti di gratitudine nei confronti del Vicario di Cristo in questo straordinario momento di rievocazione ecclesiale.

Grazie, Santo Padre

L’immagine del Papa che i mezzi di comunicazione ci offrono in questi ultimi anni mostra, a mio giudizio, un aspetto mutevole e un altro sempre uguale. Da una parte, si nota il corpo di un uomo inesorabilmente consumato dallo scorrere del tempo; dall’altra, si coglie, con la stessa chiarezza ma con forza maggiore, un fenomeno immutabile e senza soluzione di continuità: ovunque, in tutto il mondo, le folle si stringono attorno alla sua persona con identico fervore.

Molti se ne sono domandati il perché. Alcuni hanno cercato di spiegare l’attrazione magnetica di Giovanni Paolo II chiedendosi quali sono le aspettative di tutte le persone che guardano a lui. Forse il diffuso desiderio di pace? Giovanni Paolo II si erge su tutti i conflitti che insanguinano il mondo, con una perseveranza più forte delle divisioni, invocando sempre il perdono come via necessaria per una pace autentica. Altri sostengono che i nostri sguardi si rivolgono al Papa perché siamo assetati di verità, una sete assai viva in una società stanca di menzogne e di mode effimere: la voce del Papa proclama senza paura una verità perenne, una morale incorruttibile, che si alza a difesa della dignità dell’uomo.

Penso che per comprendere la straordinaria forza di attrazione di Giovanni Paolo II sia necessario andare più in profondità. Bisogna scrutare ciò che la teologia chiama sensus fidei: una specie di istinto della fede che palpita nella mente e nel cuore dei cristiani.

Da questo punto di vista, la Chiesa appare stretta attorno al Papa, una Chiesa che non può allontanarsi dal suo supremo Pastore perché sa bene di essere incapace di concepirsi senza di lui. E si vede anche un Papa che esiste per la Chiesa e nel quale la Chiesa cerca il volto di Cristo.

Chi lo ascolta sente che egli parla con un’autorità che viene dall’alto: dal Vangelo che non passerà “finché non siano passati il cielo e la terra” (Mt 5, 18). Accanto al Successore di Pietro si sente la presenza di un vincolo di comunione più forte di qualsiasi altro fondato su motivi di storia o di cultura. Si tocca così il mistero che fa della Chiesa la famiglia di Dio e di ogni uomo un figlio di Dio.

Nella misura in cui l’età e la sofferenza fisica debilitano le sue forze, la volontà del Papa si rafforza nell’unione con la Croce di Cristo, che egli, lo si vede chiaramente, ama con generosità esemplare.

Contemplare il volto di Cristo: è questo l’obiettivo che Giovanni Paolo II ha indicato alla Chiesa affinché essa possa “assumere con nuovo slancio la sua missione evangelizzatrice” (Lettera apost. Novo millennio ineunte, 2) all’inizio del terzo millennio. E ci viene in mente proprio il Papa, nella sua missione di Pastore della Chiesa universale, quando leggiamo queste sue altre parole: “Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in certo senso di farlo loro “vedere”. E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?” (ibidem, 16).

Questo “contatto” con il Signore avviene anche e soprattutto nel dolore: "La Chiesa è continuamente invitata da Cristo a toccare le sue piaghe, a riconoscerne cioè la piena umanità assunta da Maria, consegnata alla morte, trasfigurata dalla risurrezione: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato” (Gv 20,27). Come Tommaso, la Chiesa si prostra adorante davanti al Risorto, nella pienezza del suo splendore divino, e perennemente esclama: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28)” (ibidem, 21).

Nell’unione del Successore di Pietro con Gesù Cristo, che ciascuno coglie con maggiore o minore profondità, si ritrova, a mio modo di vedere, la spiegazione ultima della misteriosa sintonia che esiste tra il Papa e la gente. Il naturale sentimento di affetto e gratitudine, che tutti noi cristiani manifestiamo a Giovanni Paolo II in questi momenti, altro non è, a ben vedere, che la constatazione che il Papa ci ha fatto riscoprire il meglio di noi stessi: la nostra personale relazione con il Dio che ci ha creato e salvato nel suo Amore.

Già nella sua prima enciclica leggiamo che l’uomo “è il primo cammino che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione”. La ragione ultima della sua immediata sintonia con il cuore dei credenti si ritrova nel fatto che la passione del Papa per l’uomo affonda le radici nel Dio fatto Uomo. Giovanni Paolo II ci appare vicino perché ci ricorda che Cristo è molto vicino a noi, vive con noi e dà senso alla nostra vita. Una certezza così solida che non abbisogna di altre prove che la Croce: la stessa Croce su cui noi stessi vediamo confitto il Papa.

È dunque del tutto logico che in questo anniversario di Giovanni Paolo II consideriamo l’importanza della sua figura, la profondità dei suoi insegnamenti, le conseguenze delle sue decisioni. E appare pure del tutto naturale sentire la necessità di esprimere la nostra riconoscenza, di tutto cuore. Assecondando ciò che ci ha appena chiesto a Pompei, il giorno della Madonna del Rosario, vogliamo pregare sempre per lui, come manifestazione di affetto filiale e di gratitudine profonda.

Romana, n. 37, Luglio-Dicembre 2003, p. 198-199.

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