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Spirito di adorazione

Nel mese di ottobre, per desiderio del Santo Padre, ha avuto inizio in tutta la Chiesa un anno eucaristico. Dobbiamo chiederci quali obiettivi persegue il Papa con questa decisio-ne pastorale. Che cosa ci sta proponendo? Solo due anni fa Giovanni Paolo II ha rivolto a tutti i cattolici una enciclica proprio sulla Eucaristia: se ne potrebbe dedurre che forse l’Eucaristia non è un tema che in questo momento corra il rischio di cadere nell’oblio... In-vece la realtà è diversa: è sempre urgente, o almeno è sempre necessario, mettere e mantene-re il mistero eucaristico al primo posto nella mente e nel cuore di ogni cristiano.

Nella lettera apostolica Mane nobiscum Domine, Giovanni Paolo II afferma che l’anno eucaristico è un nuovo invito alla Chiesa perché rifletta sull’Eucaristia[1]. Ma l’Eucaristia, segno e realtà, sacrificio e alimento, candida sostanza che contiene il me-moriale e la presenza, che mostra la trasparenza e il velo del mistero irraggiungibile, non si lascia irretire facilmente nelle maglie di una fredda riflessione: invitare a riflettere sull’Eucaristia significa, inevitabilmente, invitare ad arrendersi a Gesù Sacramentato, invita-re a partecipare alla liturgia celeste, ad adorare. «L’Eucaristia è davvero uno squarcio di cie-lo che si apre sulla terra - aveva scritto il Papa nella sua enciclica sull’Eucaristia -. È un rag-gio di gloria della Gerusalemme celeste, che penetra le nubi della nostra storia e getta luce sul nostro cammino»[2]. Si tratta, in realtà, di un mistero di fede e di amore davanti al quale, in modo naturale, «cadiamo in adorazione; è inevitabile, perché solo così manife-stiamo adeguatamente di credere che l’Eucaristia è Cristo veramente, realmente e sostan-zialmente presente con il suo Corpo, il suo Sangue, la sua Anima e la sua Divinità»[3].

Siamo coscienti che «l’adorazione è la disposizione fondamentale dell’uomo che si riconosce creatura davanti al suo Creatore»[4]. Ne siamo coscienti, ma l’esperienza — la nostra esperienza personale e l’esperienza di vita cristiana accumulata e trasmessa nel cor-so dei secoli — ci insegna che dobbiamo esserlo sempre di più, come l’edificio in costruzione che, man mano che cresce, ha più bisogno di fondamenta sempre più profonde, o come il sa-piente che, quanto più aumenta le proprie conoscenze, tanto più si convince di sapere assai poco. «Adorare Dio è riconoscere, nel rispetto e nella sottomissione assoluta, il “nulla della creatura”, la quale non esiste che per Dio. Adorare Dio è, come Maria nel Magnificat, lodarlo, esaltarlo e umiliare se stessi, confessando con gratitudine che egli ha fatto grandi cose e che santo è il suo nome (cfr. Lc 1, 46-49). L’adorazione del Dio Unico libera l’uomo dal ripiegamento su se stesso, dalla schiavitù del peccato e dall’idolatria del mondo»[5].

Di conseguenza, adorare è anche chiedere a Dio ogni bene e rendergli grazie, per-ché sia la petizione che il ringraziamento manifestano il riconoscimento della condizione personale di assoluta dipendenza da Dio. Nello stesso modo, adoriamo Dio col nostro lavoro quando cerchiamo di farne una realtà santa e santificante, cooperando al compito della Crea-zione[6], quando lo offriamo in unione al sacrificio di Cristo sulla Croce, rinnovando ogni giorno il sublime momento, centro e radice della nostra vita interiore e di tutta la nostra vita, che è la Santa Messa.

Adoriamo palesemente Dio, infine, quando la nostra intelligenza, sottomessa ed e-levata dalla fede[7], riconosce nelle specie sacramentali la presenza reale di Cristo, fattosi per noi pane di vita e bevanda di salvezza. «È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto (cfr. Gv 13, 25), essere toccati dall’amore infinito del suo cuore. Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l’«arte del-la preghiera» (Lettera Ap. Novo millennio ineunte, 32), come non sentire un rinno-vato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento? Quante volte, miei cari fratelli e sorelle, ho fatto questa esperienza, e ne ho tratto forza, consolazione, so-stegno!»[8].

Della frequentazione intensa e fiduciosa con Cristo nell’Eucaristia ha necessità cia-scuno di noi personalmente e ne ha bisogno il mondo. Gli uomini di oggi hanno più che mai bisogno di solide basi sulle quali poggiare la propria vita e di un Dio che diventa pane e si manifesta a noi, sia pure nella sua debole apparenza, come l’appoggio più sicuro. Sarebbe penoso se, a causa della nostra insufficiente testimonianza dell’amore a Dio, di adorazione, di correttezza della pietà[9], coloro che ci stanno vicino non scoprissero la meraviglia del Dio realmente presente fra noi. Quante volte un’azione liturgica fatta con de-vozione e dignità, o anche un semplice gesto di adorazione, sobrio ma sinceramente devoto, si sono dimostrati più efficaci di tutte le prediche e le esortazioni nel suscitare la fede nell’incredulo!

«La nostra vita varrà tanto quanto l’intensità della nostra pietà eucaristica»[10]: molto dipende, infatti, da che «in questo anno di grazia, sostenuta da Maria, la Chiesa trovi nuovo slancio per la sua missione e riconosca sempre di più nell’Eucaristia la fonte e il vertice di tutta la sua vita»[11].

[1] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Ap. Mane nobiscum Domine, n. 3.

[2] GIOVANNI PAOLO II, Lettera enc. Ecclesia de Eucharistia, 19.

[3] JAVIER ECHEVARRÍA, Lettera Pastorale, 6-X-2004, 6.

[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2628.

[5] Ibidem, 2097.

[6] Cfr. SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Amici di Dio, 81.

[7] Cfr. JAVIER ECHEVARRÍA, Lettera Pastorale, 6-X-2004, 15.

[8] GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enc. Ecclesia de Eucharistia, 25.

[9] Cfr. SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Cammino, 541.

[10] JAVIER ECHEVARRÍA, Lettera Pastorale, 6-X-2004, 15.

[11] GIOVANNI PAOLO II, Lettera Ap. Mane nobiscum Domine, 31.

Romana, n. 39, Luglio-Dicembre 2004, p. 0.

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