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Omelia di Sua Eminenza il Cardinale Joseph Ratzinger nel Seminario Internazionale della Prelatura in Roma

Nel corso della Santa Messa celebrata il giorno 11 aprile 1987 nel Seminario Internazionale della Prelatura, il Card. Joseph Ratzinger ha pronunciato la seguente omelia:

Cari Fratelli,

nella tradizione della pietà mariana il venerdì che precede il Venerdì Santo è dedicato alla memoria della Madre dolorosa. La Madre ci guida ai misteri pasquali. La parte della Madre in questi misteri è la com-passione: questo è anche il nostro posto. Se la passione del Signore è la sorgente della nostra salvezza, la compassione è il modo essenziale di bere a questa fonte. D'altro canto la passione del Salvatore è la compassione di Dio con noi; la compassione diventa così la porta che ci apre il cuore di Dio.

La memoria della Madre di Dio non è una forma di sentimentalismo, aliena dallo spirito della grande liturgia della Settimana Santa. Se l'insensibilità dell'uomo verso l'amore divino, l'incapacità di addolorarsi è il focolaio psicologico del peccato, il mistero della Madre è il vero antidoto contro il male; il mistero della Madre dolorosa fa parte dei misteri pasquali e della liturgia pasquale. "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre Maria di Cleofa e Maria di Magdala" (Gv 19, 25). Non si può stare presso la croce, presso i misteri della nostra salvezza, senza stare anche presso Maria. Qui Maria è divenuta Madre della Chiesa. La Chiesa è nata quando Gesù vedeva "la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava" (Gv 19, 24).

La Prelatura della Santa Croce e Opus Dei invita i suoi membri a stare accanto a Maria presso la croce, perché il Signore ci veda, perché diventiamo anche noi discepolo amato da Gesù, perché sia detta anche a noi questa parola: "Ecco tua madre!". Non per caso l'evangelista scrive: "Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta..." (Gv 19, 28). Ogni cosa era compiuta dal momento nel quale il discepolo prese Maria nella sua proprietà. Questo brano del Vangelo non solo ci prepara al Venerdì Santo; esso ci spiega il cuore del nostro essere cristiani ed è certo particolarmente caro alla Prelatura: è al centro della sua missione, indicando il punto dove si compie l'opera di Dio.

Vediamo ancor più da vicino che cosa ci dice qui "il discepolo che egli amava". Questo testo è come un indicatore stradale: Maria ci guida verso la croce. La presenza eucaristica del Signore scaturisce dalla croce. Non è possibile avvicinarsi a Gesù evitando la croce. Mi impressiona questa parola scritta dall'evangelista: "Stavano presso la croce..." le donne. I discepoli fuggono, corrono, mentre le donne stanno. Stanno nonostante le beffe dei nemici; stanno nonostante le minacce dei soldati; stanno nonostante il dolore, il buio, tutte le domande del loro cuore. Stare è espressione di coraggio, di fermezza, di fedeltà all'amore anche nell'ora in cui si spengono tutte le luci. Stare presso la croce: questa è la prima indicazione dataci da Maria in questo testo.

Nelle nozze di Cana Maria aveva ottenuto dal Figlio tramite la sua intrepida fiducia, la sua pazienza e umiltà, la sua compassione e la sua intercessione, che Gesù anticipasse la sua ora. L'ora non era venuta, ma nel dono sovrabbondante del vino Gesù anticipava il dono della sua ora, il dono del sangue che è vino della vita, il dono del sangue, nel quale egli dona se stesso, il suo amore infinito. Nell'eucaristia il Signore, accettando le preghiere della Chiesa, ripete sempre questo miracolo. L'ora del Regno non è ancora venuta, ma Egli ci dà —anticipando l'ora— il suo sangue, se stesso, egli che è il Regno in persona, l'autobasileía, come dice Origene. Ma ritorniamo a noi. A Cana la Madonna aveva ottenuto con la sua preghiera l'anticipazione dell'ora di Gesù. Adesso, in quest'ora, sotto la croce, ottiene con la sua presenza silenziosa, trafitta dalla spada (Lc 2, 35) della compassione ottiene il testamento di Gesù, il compimento di ogni cosa, il nuovo Testamento. Vediamo la forza della preghiera. Vediamo la forza del silenzio, della compassione silenziosa. "Gesù, vedendo la madre... disse...". La parola di Gesù, il suo testamento, è risposta allo sguardo della madre.

Che cosa dice il Signore? Qual è il contenuto del suo testamento? Gesù identifica il discepolo con se stesso. Il discepolo diventa il figlio, diventa ciò che Gesù è. Questa identificazione meravigliosa è il frutto dell'amore crocefisso. Ma questa identificazione si realizza nell'affidamento del discepolo a Maria. La comunione con la madre è il cammino dell'unione con Gesù, il cammino del sacro commercio. Nell'affidamento del discepolo alla madre dall'alto della croce nasce la Chiesa, e nasce sempre così.

Questo affidamento ha due aspetti. Da un lato il discepolo di Gesù diventa anche discepolo della madre. Alla scuola della madre impara l'esser figlio. Dalla madre impara le parole custodite e meditate nel cuore materno (Lc 2, 19). Dalla madre impara non solo le parole, ma anche il significato del silenzio di Gesù, del silenzio di trent'anni, del silenzio della sua origine eterna nel seno del Padre. Dalla madre, che è Chiesa fatta persona, impara l'essere-Chiesa. La scuola della madre è indispensabile per diventare figlio, per conoscere il Padre. Dall'altro lato Maria è affidata al discepolo: "La prese con sé", dice l'evangelista. Sant'Agostino nota a questo punto che il discepolo, avendo lasciato tutto (Mt 19, 27), non poteva prendere la madre in una sua proprietà materiale, in una "casa sua" — come traduce la Bibbia di Gerusalemme. Il "suo" è adesso egli stesso. La prende realmente "con sé", nel suo essere, nel suo pensare e vivere, o, come dice il Santo Padre nella sua Enciclica, "la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore" (III, 2, 45).

Sotto la croce Maria diventa di nuovo madre, nel dolore della compassione comincia la nuova maternità, diventa vera la parola: "Allarga lo spazio della tua tenda... poiché ti allargherai a destra e a sinistra e la tua discendenza entrerà in possesso delle nazioni" (Is 54, 2 ss). La maternità di Maria dura così sino alla fine del mondo: Maria non è un modello astratto della madre Chiesa, come la Chiesa stessa non è un astratto. La Chiesa è persona in Maria e vuole diventare persona in noi, affidati dal Signore all'amore materno di Maria. Riguardo al discepolo il Signore dice a Pietro dopo la risurrezione: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te?" Secondo la volontà del Signore rimane il discepolo e rimane con lui la madre.

Nella croce sono adempiute le parole pronunciate da Dio dall'inizio della storia umana, sono adempiute le parole della benedizione e viene superata la maledizione. Gesù, nato dalla stirpe della donna, schiaccia la testa del Serpente, il Serpente insidia il suo calcagno (Gn 3, 15). La vittoria apparente del Serpente, la morte del Redentore è la sua vera e definitiva sconfitta: la testa del Serpente, l'arroganza del farsi Dio è schiacciata nell'umiltà e nell'amore del Figlio. La maledizione scompare, viene sostituita dalla nuova parola "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!" (Lc 1, 42). Il luogo definitivo della benedizione è la croce. La liturgia di oggi, la liturgia della Quaresima è l'invito fatto a noi tutti dalla Chiesa a stare presso la croce insieme con Maria. Così ascolteremo anche la sua parola: "Donna, ecco tuo figlio". Prendiamola con noi: così saremo figli della benedizione e il Serpente non ci recherà danno (cfr. Mc 16, 18). Amen.

Romana, n. 4, Gennaio-Giugno 1987, p. 114-117.

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