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Oviedo (Spagna) 5-VII-2008 Nell’Anno Santo della Croce, Messa vespertina della Domenica XIV del Tempo Ordinario, in Cattedrale.

Carissimi fratelli e sorelle,

ringrazio il Signor Arcivescovo, don Carlos Osoro, per avermi invitato a celebrare il Santo Sacrificio in questa Cattedrale durante l’Anno della Croce, con il quale nelle Asturie si commemorano anniversari molto significativi: la consegna della Croce degli Angeli e della Croce della Vittoria, custodite da secoli nella Cámara Santa della Capitale del Principato.

A tal proposito, conservo un ricordo molto profondo di come San Josemaría Escrivá amava e adorava la Santa Croce e di come predicava, fra molti altri temi, che dobbiamo venerare la Croce del Signore e farne un tutt’uno con la nostra vita, anche per far conoscere al mondo l’amore infinito di Dio per ogni donna, per ogni uomo; su questo Legno, infatti, Cristo ha dato la sua Vita per noi.

“Ripensiamo, o Dio, ai doni del tuo amore nell’interno del tuo tempio. Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode si estenda fino ai confini della terra; di giustizia è piena la tua destra”[1]. È l’invito dell’antifona d’ingresso della Messa di oggi: ringraziamo Dio dei doni ricevuti, facendo in modo, allo stesso tempo, che altre persone li riconoscano e gli diano gloria. Quale dono è più grande di quello della Redenzione operata da Cristo sul Calvario? La Chiesa lo proclama ogni anno, all’inizio del Triduo Pasquale, quando ci ricorda: “Non ci sia altro vanto che nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo, perché essa è nostra gloria, salvezza e risurrezione”[2].

La Santa Croce è segno e garanzia di vittoria nella lotta per la santità. A nord di Roma c’è il luogo che rievoca l’apparizione del segno della Croce nell’anno 313 dell’Era Cristiana. Un’antica tradizione ricorda che Costantino, alla vigilia di una importante battaglia, ebbe una visione della Croce con la seguente iscrizione: In hoc signo vinces, con questo segno vincerai! Quella vittoria comportò la fine delle sanguinose persecuzioni contro i cristiani dei primi tre secoli.

Anche le croci custodite nella Cámara Santa di Oviedo trasmettono un ricordo analogo. Nell’indire questo Anno Santo, il Signor Arcivescovo vi invitava: «Addentriamoci riconoscenti nelle radici del nostro passato e riflettiamo sul significato delle Croci degli Angeli e della Vittoria per gli uomini e le donne che in quei secoli vivevano in queste terre»[3]. Il consiglio è molto attuale, anche se le circostanze storiche sono molto diverse. Però tra quegli avvenimenti di oltre mille anni fa e i nostri giorni c’è qualcosa in comune: il dovere di difendere la fede cristiana.

Fin dagli inizi del suo pontificato, Benedetto XVI ha denunciato la tentazione del relativismo, che induce a considerare il Vangelo come una dottrina fra le tante e Gesù Cristo come uno dei tanti personaggi della complessa storia degli uomini. Ma Gesù di Nazaret non è semplicemente un grande sapiente e un grande maestro; e non è neppure un grande rivoluzionario che con i suoi insegnamenti ha cambiato il corso dell’umanità. Il Papa afferma che «il cristianesimo non aveva portato un messaggio sociale rivoluzionario [...], Gesù [...] non era un combattente per una liberazione politica [...]. Ciò che Gesù, Egli stesso morto in croce, aveva portato era qualcosa di totalmente diverso: l’incontro col Signore di tutti i signori, l’incontro con il Dio vivente e così l’incontro con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo trasformava dal di dentro la vita e il mondo»[4].

Noi cristiani siamo i grandi difensori della libertà, contro ogni genere di schiavitù e di totalitarismi, antichi e moderni. La forza per conservare viva questa santa ribellione la troviamo, non nella violenza fisica o morale — che respingiamo, seguendo l’insegnamento del Vangelo —, ma nella fede, nella speranza e nell’amore: le tre virtù teologali, infuse da Dio nelle nostre anime; autentiche forze che operano nella storia, anche se assai spesso gli uomini non le riconoscono.

Sul legno della Croce, Cristo ottiene per noi la vittoria definitiva. Il Signore annullò “il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli [...] inchiodandolo alla croce — leggiamo nella lettera ai Colossesi —. Avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà, ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo”[5]. Noi dobbiamo unirci a questo suo trionfo, con una fede viva, con una speranza sicura, con una carità ardente.

Applichiamo questa dottrina perenne alla situazione in cui ciascuno di noi si trova: nella nostra famiglia, nella città in cui risiediamo, nella nazione di cui facciamo parte. Non perdiamo mai la speranza, anche quando la situazione personale o sociale appaia difficile. Alimentiamola nell’orazione e nei sacramenti. Quale magnifica occasione ci viene offerta in questo Anno Santo della Croce di ricevere con più frutto il sacramento della Penitenza, col quale il Signore perdona i nostri peccati, e di avvicinarci con maggiore devozione alla Santa Eucaristia, in cui Egli stesso si dà a noi come alimento dell’anima!

È logico che ognuno coltivi progetti concreti nell’ambito della famiglia, della professione, degli interessi che lo muovono, sempre pronto a soddisfare le necessità altrui, perché lo spirito di solidarietà — la preoccupazione per gli altri — fa parte della natura umana e, inoltre, costituisce una componente essenziale del messaggio cristiano. «Ancora — afferma Benedetto XVI —: noi abbiamo bisogno delle speranze — più piccole o più grandi — che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere»[6].

Con la fede e la speranza dei figli di Dio, potremo combattere le battaglie del Signore. Prima di tutto nella nostra stessa anima, permettendo che Cristo regni in noi; e poi nella grande battaglia di amore e di pace, che tutti dobbiamo sostenere — ognuno a suo modo, secondo le proprie possibilità — in modo tale che la società civile riscopra le radici cristiane che hanno forgiato la storia della Spagna, dell’Europa e di molte altre nazioni. Desideriamo parlare con quelli che conosciamo, affinché parlino a loro volta con altri: pensiamo all’apostolato esemplare dei primi cristiani che, un po’ alla volta, con perseveranza, ottennero la conversione del mondo pagano.

Abbiamo appena iniziato un Anno Paolino, in occasione del bimillenario della nascita di San Paolo. La predicazione dell’Apostolo s’incentrava in Cristo crocifisso, “scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini”[7].

Cristo ci viene incontro anche in occasione delle difficoltà, grandi e piccole, che tutti noi dobbiamo affrontare nella vita. Chiediamo la grazia di saper trovare proprio lì una partecipazione alla Croce di Gesù. È un dono di Dio, che dobbiamo supplicare con umiltà, come oggi ci ricorda il Vangelo della Messa: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”[8].

Se riceviamo la Croce con amore, se sappiamo scoprire in essa una occasione per unirci strettamente al Signore, nella Croce troveremo lo splendore della verità, il riposo dalla fatica, la gioia nel nostro andare. E non solo dopo, nella beatitudine eterna, ma già ora, nel momento presente. Come affermava San Josemaría, “lungi dallo scoraggiarci, le contrarietà devono essere uno stimolo per crescere come cristiani: in questa lotta ci santifichiamo, e il nostro lavoro apostolico acquista maggiore efficacia”[9]. Non abbiamo dubbi: vita cristiana equivale a vita apostolica piena di gioia.

Ricorriamo alla Madonna, nelle Asturie venerata dal popolo col nome di Santina. So — perché gliel’ho sentito dire — che San Josemaría ha pregato non poche volte a Covadonga. I miei ricordi vanno inoltre a S. E. Mons. Álvaro del Portillo, che è venuto, anche lui, varie volte in questo luogo. In una di queste visite rivolgeva a nostra Madre, con filiale fiducia, alcune parole che — prima di concludere — vi invito a fare vostre: «Ti preghiamo per la Santa Chiesa, per il Papa, per i pastori, per il popolo fedele; ti preghiamo anche per i diversi Paesi del mondo — e in particolare per la Spagna —, perché vi sia la pace e il male non entri nei cuori della gente»[10].

Che Dio Onnipotente ci ascolti per intercessione di Nostra Signora di Covadonga. Così sia.

[1] Messale Romano, Domenica XIV del Tempo Ordinario, Antifona d’ingresso (Sal 47,10-11).

[2] Messale Romano, Giovedì Santo, Missa in Coena Domini, antifona d’inizio (cfr. Gal 6,14).

[3] MONS. CARLOS OSORO, Convocatoria del Año Santo de la Cruz.

[4] BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Spe salvi, 30-XI-2007, n. 4.

[5] Col 2,14-15.

[6] BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Spe salvi, 30-XI-2007, n. 31.

[7] 1 Cor 1,23-25.

[8] Messale Romano, Domenica XIV del Tempo Ordinario (A), Mt 11,28-30.

[9] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 216.

[10] MONS. ÁLVARO DEL PORTILLO, Preghiera personale davanti alla Madonna di Covadonga, 17-VIII-1977.

Romana, n. 47, Luglio-Dicembre 2008, p. 273-276.

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