envelope-oenvelopebookscartsearchmenu

Poznan, Polonia (7-VI-2009) Intervista concessa a “Przewodnik Katolicki”, raccolta da Aurelia Pawlak.

— L’anno scorso l’Opus Dei ha compiuto 80 anni. Fondata da un sacerdote diocesano, oggi l’Opera è diffusa nei cinque continenti e continua ad aprire nuovi Centri in tutti i Paesi. Ciò significa che in questo nostro mondo carico di incertezze, malgrado tutto, la gente ha bisogno di un contatto che l’avvicini a Dio.

Certamente, la gente ha bisogno di un contatto con il Signore, e si può affermare che, quando questo contatto manca, si vive con la nostalgia di Dio, che anzitutto è Padre. E non si deve dimenticare che Dio ha cercato questa relazione, questa vicinanza: nel creare l’uomo, è Lui che ha preso l’iniziativa, che va incontro alla creatura, a ogni uomo e a ogni donna.

Mi sembra evidente che anche questo interesse del Cielo per noi ha motivato la venuta nella Chiesa dell’Opus Dei, una realtà di vita cristiana che è espressione della misericordia di Dio verso il mondo e che si manifesta con l’espansione della Prelatura nei cinque Continenti.

Mi fa piacere dirle che proprio in questi giorni alcuni fedeli dell’Opus Dei hanno cominciato a lavorare in Indonesia. Le persone che hanno intrapreso questa attività sanno molto bene che i semi che stanno piantando in quelle terre, come in altri Paesi, cresceranno soprattutto per l’impulso dato dalla grazia.

— Ogni anniversario è occasione di bilanci. Eccellenza, quali idee le vengono in mente guardando agli anni trascorsi?

Il bilancio di questi 80 anni suscita nei fedeli della Prelatura un primo sentimento di umiltà, perché ciascuno sa con chiarezza che è Dio che fa tutto. Egli si serve di noi, suoi figli, ma è Lui che porta avanti le attività apostoliche che noi, da soli, non saremmo in nessun modo capaci di realizzare.

Allo stesso tempo, sorge naturale una reazione di gratitudine alla Trinità per le meraviglie che compie per mezzo dell’Opus Dei: la diffusione della chiamata alla santità in tutti gli ambienti — nel lavoro, nella famiglia, nelle relazioni sociali —, che si traduce in amore a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.

Personalmente, rendo grazie a Dio anche per i progetti sociali e di evangelizzazione promossi, con molte altre persone, dai fedeli della Prelatura in risposta alle nuove esigenze della nostra epoca, come l’ospedale di Monkole, che assiste annualmente circa 40.000 persone della periferia di Kinshasa. O anche — nello stesso settore — l’Università Campus Biomedico di Roma, la cui sede definitiva è stata inaugurata proprio un anno fa. Si tratta di un Centro al servizio della salute, con una particolare attenzione alla dignità della persona e degli anziani.

— Il mondo è investito da un’ondata di laicismo, molte persone scelgono un modello di vita che ha poco a che vedere con gli insegnamenti di Gesù Cristo. Questo si nota chiaramente, per esempio, in ciò che riguarda la castità prematrimoniale, che è considerata come una cosa anacronistica. La Polonia è un Paese un po’ speciale in Europa, perché le tradizioni cristiane sembrano essere fortemente radicate. Che cosa dovrebbero fare i polacchi per non cedere a uno stile di vita consumista e per difendere con convinzione i valori morali?

Per compiere un lavoro efficace nella società, noi cattolici — polacchi e non polacchi — dovremmo sforzarci di essere testimoni credibili, che mostrino con la loro condotta il modello di Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo. E cioè vivere pienamente le virtù cristiane e le virtù umane.

Ho avuto la fortuna di andare varie volte in Polonia e ho potuto verificare con gioia fino a che punto è radicata la pietà nella maggioranza dei cittadini: vivono con pietà la genuflessione, dimostrazione di fede nell’Eucaristia; curano la dignità della liturgia; accedono al sacramento della confessione, ecc. Sono alcuni degli aspetti che rispecchiano la fede meglio di tante parole. Il Santo Padre Benedetto XVI non cessa di insistere su questi gesti apparentemente piccoli.

Naturalmente, anche la direzione spirituale, la formazione dottrinale e la lettura della Bibbia hanno un’importanza basilare per mantenere e difendere le proprie convinzioni, perché, senza la dottrina, la fede si sgretola. Per esempio, una delle prime cose che si consigliano a quelli che si rivolgono ai Centri dell’Opus Dei è la lettura quotidiana del Nuovo Testamento: anche se dura pochi minuti, questo contatto quotidiano con la Sacra Scrittura mantiene in vita il cristiano, perché lo fa dialogare con Cristo. L’ultimo Sinodo dei Vescovi, sulla Parola di Dio, ha messo in evidenza la necessità che i cristiani riscoprano ogni giorno i tesori racchiusi nelle Scritture.

Dall’altra parte, come dicevo, vi sono le virtù umane. So che gli uomini e le donne di Poznan, per esempio, sono dei gran lavoratori. Purtroppo non conosco la città, anche se spero di visitarla prima o poi. In ogni caso, la laboriosità che si attribuisce ai suoi abitanti è una di quelle qualità umane che contribuiscono a forgiare le persone interiormente coerenti, specialmente se il lavoro è compiuto con senso soprannaturale e con desiderio di servizio alla società.

Su questo fondamento interiore (disposizione interiore e virtù) è certamente possibile apportare alla vita pubblica alcuni valori costruttivi: ognuno dal posto in cui si trova, autonomamente. È ciò che San Josemaría Escrivá, Fondatore dell’Opus Dei, chiamava mentalità laicale, che presuppone l’amore alla libertà e alla responsabilità personale nell’intraprendere le iniziative collegate ad alcuni temi chiave intorno alla dignità umana: promozione della famiglia, difesa della vita, sradicamento della povertà, educazione, ecc., sempre d’accordo con la fede e la morale, con il Magistero della Chiesa.

— È generalizzata l’idea che la santità sia un ideale accessibile solo ad alcuni eletti. Dato che siamo consapevoli delle nostre debolezze e delle nostre limitazioni, in che modo possiamo raggiungere la santità nella nostra vita ordinaria?

San Josemaría Escrivá diceva che “è più accessibile essere santo che sapiente, ma è più facile essere sapiente che santo”. Voleva dire che la lotta per la santità si presenta ardua, ma è alla portata di tutti: non si rimane mai fedeli a un ideale riservato a pochi eletti.

Lottiamo per ottenere la santità quando ci sforziamo di fare orazione e di frequentare i sacramenti, perché Dio, come le persone, lo ameremo se lo frequentiamo assiduamente, tutti i giorni, quando ne abbiamo voglia e quando non ne abbiamo.

Lottiamo per raggiungere questa meta anche quando facciamo in modo che la carità verso il prossimo sia presente nella nostra vita non solo come sentimento generico, ma come una realtà concreta intessuta di mille piccoli dettagli che affiorano nel lavoro, nella casa, nelle relazioni sociali: quando sorridiamo, quando serviamo gli altri senza chiedere nulla in cambio, quando siamo comprensivi con i difetti di quelli che ci stanno accanto, quando perdoniamo, quando pratichiamo la correzione fraterna.

— L’Opus Dei esige molto dai suoi membri. Poco tempo fa ho sentito dire che nell’Opus Dei non c’è posto per i peccatori. Lei che ne pensa?

Grazie a Dio, non è così, perché in quel caso l’Opus Dei sarebbe vuoto, perché tutti siamo peccatori; ricordiamo che, come ha detto Lui stesso, Gesù Cristo è venuto per salvare i peccatori.

Come ho già detto, nell’Opus Dei siamo coscienti dei nostri difetti personali. Inoltre sappiamo molto bene che dobbiamo impegnarci seriamente, lottando per essere ogni giorno migliori e imparando anche, per esempio, dalle virtù di tante persone buone esistenti nel mondo.

— Non violiamo nessun segreto se affermiamo che Giovanni Paolo II stimava molto l’Opus Dei. Quando canonizzò San Josemaría Escrivá lo chiamò il Santo dell’ordinario. Il Papa polacco aveva una conoscenza diretta della Prelatura dell’Opus Dei? Ci può riferire qualche ricordo?

Prima di essere Papa, aveva conosciuto l’Opus Dei per la prima volta tramite il Cardinale Deskur durante i viaggi che faceva a Roma. Il Cardinale Deskur, ammiratore di San Josemaría e grande amico di colui che sarebbe stato il suo successore a capo dell’Opus Dei, Mons. Álvaro del Portillo, parlava al Cardinale di Cracovia, quando questi veniva a Roma, dell’Opus Dei e del suo Fondatore.

Non posso dimenticare che fu proprio Giovanni Paolo II a erigere l’Opus Dei in Prelatura personale, anche se il lavoro che doveva culminare in questa decisione, con la quale l’Opus Dei otteneva la personalità giuridica desiderata dal suo Fondatore, era cominciato alcuni anni prima.

Giovanni Paolo II riponeva una grande fiducia in don Álvaro. Per esempio, se oggi i fedeli dell’Opus Dei lavorano nel Kazakistan lo si deve al fatto che un giorno il Romano Pontefice disse a un Vescovo di quella terra di chiedere da parte sua a don Álvaro di disporre il necessario perché alcuni sacerdoti e laici dell’Opus Dei si trasferissero in quel Paese. Questo successe nel marzo del 1994. Pochi giorni dopo, il 23 marzo, don Álvaro morì: quel pomeriggio il Papa venne a pregare accanto alla sua salma, nella chiesa prelatizia dell’Opus Dei.

— Quali sono le sue intenzioni per l’Anno di San Paolo?

La figura di San Paolo è, fra le altre cose, un punto di riferimento di una vita essenzialmente cristocentrica, oltre che dell’ecumenismo. A me piacerebbe che l’Anno Paolino desse frutti in questa direzione. Per ciò che riguarda la Prelatura dell’Opus Dei, spero che cominci presto — se possibile, questo stesso anno — l’attività apostolica stabile in alcuni Paesi a maggioranza non cattolica, come Romania e Bulgaria.

Penso che nell’ambito dell’ecumenismo la Chiesa polacca possa fare molto: non solo i sacerdoti, ma anche i laici che risiedono in altre nazioni, cercando di adeguarsi alla mentalità del loro nuovo Paese, diffondendo uno stile di vita cristiano, sentendo la necessità di fare apostolato. L’Anno Paolino è una buona occasione affinché ogni cristiano, nell’esercizio della sua professione (medico, giornalista, operaio, ecc.), prenda più coscienza della propria missione apostolica nel mondo: far conoscere agli altri l’amore di Cristo, aiutandoli così a vivere con gioia e ottimismo.

— Lo scorso mese di agosto il Santo Padre Benedetto XVI ha preso alloggio in una casa di ritiri dell’Opus Dei in Australia. Eccellenza, lei come interpreta questo gesto del Santo Padre?

Logicamente mi ha dato molta gioia il fatto che, in Australia, il Papa abbia riposato alcuni giorni in un Centro dell’Opus Dei. Ma, allo stesso tempo, mi sarebbe sembrato ugualmente normale che, invece di andare in quella casa di ritiri, fosse andato in un altro luogo offerto da altri cattolici.

In considerazione della sua situazione geografica e delle sue condizioni, il comitato organizzatore della Giornata Mondiale della Gioventù ha scelto quel luogo.

Sono stato molto contento che alcuni fedeli della Prelatura in Australia abbiano potuto dimostrare materialmente l’affetto che tutti noi cattolici cerchiamo di vivere spiritualmente verso il successore di Pietro.

Romana, n. 48, Gennaio-Giugno 2009, p. 96-100.

Invia ad un amico