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LA MEDIAZIONE MATERNA (Riflessione teologica sull'Enc. Redemptoris Mater)

E' in pieno svolgimento l'Anno Mariano indetto dal Romano Pontefice, ed è logico, anzi in un certo senso doveroso —un dovere filiale molto gradito—, dedicare questa breve lezione inaugurale alla riflessione teologica su alcuni aspetti della mariologia, rispondendo così ad un espresso invito del nostro Gran Cancelliere, Mons. Alvaro del Portillo[1]. La presente riflessione, senza essere un commento né un'esegesi dell'Enciclica Redemptoris Mater, da essa prenderà lo spunto e l'ispirazione di fondo.

Come è noto, Giovanni Paolo II considera il mistero di Colei che è Madre di Dio, Madre della Chiesa e Madre di ogni cristiano, in una prospettiva eminentemente biblica. In tale prospettiva viene messa in particolare rilievo l'interdipendenza che, nel disegno di Dio, hanno la pienezza di grazia, la maternità divina e la maternità spirituale di Maria, ed anche l'intimo e costitutivo rapporto tra il mistero della Madre e il mistero supremo della Santissima Trinità.

Alla luce di quell'interdipendenza e di questo rapporto, ci soffermeremo sulla mediazione materna di Maria, che è uno degli aspetti del mistero della Madre ai quali Giovanni Paolo II ha dedicato particolare attenzione.

1. Maternità spirituale e mediazione

"Nell'espressione -Beata colei che ha creduto- —scrive il Papa— possiamo trovare quasi una chiave che ci schiude l'intima realtà di Maria: di colei che l'angelo ha salutato come -piena di grazia-. Se come -piena di grazia- ella è stata eternamente presente nel mistero di Cristo, mediante la fede ne diviene partecipe in tutta l'estensione del suo itinerario terreno: -avanzò nella peregrinazione della fede-, ed al tempo stesso, in modo discreto ma diretto ed efficace, rendeva presente agli uomini il mistero di Cristo. E ancora continua a farlo. E mediante il mistero di Cristo anch'ella è presente tra gli uomini. Così mediante il mistero del Figlio si chiarisce anche il mistero della Madre"[2].

La presenza —partecipazione— di Maria nel mistero di Cristo è quindi intimamente vincolata con la pienezza di grazia nella quale è radicata quella fede mediante la quale fu partecipe, in tutta la sua estensione, dell'itinerario terreno di suo Figlio[3]. La partecipazione di Maria all'"itinerario terreno" di Cristo raggiunge il culmine nella sua tappa conclusiva: vale a dire, sulla cima del Golgota, dove la Madre fu associata in modo speciale, mediante la fede e l'amore, al Sacrificio del Figlio, attraverso il "sacrificio del suo cuore di madre"[4]. Maria "continua a fare presente agli uomini il mistero di Cristo", perché rimane associata al Figlio suo nella Gloria e coopera con amore materno alla generazione ed alla crescita spirituale dei fratelli e delle sorelle di suo Figlio Gesù Cristo[5].

Come spiega Giovanni Paolo II, in Maria, "questa maternità nell'ordine della grazia è emersa dalla stessa sua maternità divina"[6]; ma non soltanto in quanto Ella concepì la carne assunta dal Verbo in unità personale, ma anche in quanto la maternità divina fu realizzata, per disegno divino, nella "piena di grazia"[7], il cui amore materno "maturò definitivamente ai piedi della Croce, mediante la sua partecipazione all'amore redentivo del Figlio"[8]. Con parole del Card. Ratzinger, possiamo dire che "sotto la croce Maria diventa di nuovo madre, nel dolore della compassione comincia la nuova maternità, diventa vera la parola: -Allarga lo spazio della tua tenda... poiché ti allargherai a destra e a sinistra e la tua discendenza entrerà in possesso delle nazioni- (Is 54, 2s.). La maternità di Maria dura così sino alla fine del mondo"[9].

La maternità spirituale di Maria è un aspetto della sua mediazione di grazia: in un certo senso, il "primo aspetto" rispetto a ciascuno dei fedeli; questi, infatti, "nascono da Maria" perché Ella è mediatrice della prima grazia della rigenerazione soprannaturale. Secondo le note parole di Sant'Agostino, Maria è "veramente madre delle membra (di Cristo)... perché... ha cooperato con la sua carità alla nascita dei fedeli nella Chiesa, i quali sono le membra di quel Capo"[10]. E tutta la sua successiva mediazione riguardo alle altre grazie è una "mediazione materna"[11]. "Effettivamente —scrive il Romano Pontefice—, la mediazione di Maria è strettamente legata alla sua maternità, possiede un carattere specificamente materno, che la distingue da quello delle altre creature che, in vario modo sempre subordinato, partecipano all'unica mediazione di Cristo, rimanendo anche la sua una mediazione partecipata"[12].

Per approfondire la natura ed il "contenuto" della mediazione materna di Maria, è quindi opportuno riflettere sul suo carattere partecipato e, poi, sul suo rapporto con la pienezza di grazia.

2. Mediazione partecipata "in Cristo"

Infatti, l'Enciclica Redemptoris Mater, riprendendo e spiegando la corrispondente dottrina del Concilio Vaticano II, insiste specialmente sul carattere "subordinato" e "partecipato" della mediazione di Maria rispetto a quella di Cristo[13].

E' chiaro che i concetti di partecipazione e di subordinazione non sono equivalenti: infatti, non ogni subordinazione implica una partecipazione; invece, ogni partecipazione implica subordinazione del partecipante rispetto alla totalità alla quale partecipa (nel caso in cui si tratta di partecipazione trascendentale e non semplicemente predicamentale, vale a dire quando ciò che viene partecipato esiste e rimane nella sua pienezza al di fuori dei partecipanti). Di qui che, per approfondire la nostra conoscenza della mediazione di Maria, più che analizzare direttamente la sua "subordinazione" a quella di Cristo, sia opportuno considerarla nel suo carattere di "partecipazione".

Certo, vi è un tratto molto importante della mediazione di Santa Maria che si spiega sufficientemente, dal punto di vista formale, mediante la nozione di subordinazione: mi riferisco all'intercessione della Madre davanti a suo Figlio in favore degli uomini. A questo aspetto della mediazione si applica adeguatamente la famosa espressione di San Bernardo, secondo la quale Maria è mediatrice ad Mediatorem[14]. Non ci soffermiamo sull'argomento, che non presenta particolare difficoltà di comprensione[15].

Ricordiamo, invece, il fatto che ci sono molti autori (Lépicier, Hugon, Lavaud, Garrigou-Lagrange, Roschini, Sauras, ecc.), che hanno affermato che la mediazione materna di Maria Santissima non si limita all'intercessione, ma si estende anche alla donazione stessa della vita soprannaturale, vale a dire alla donazione della grazia agli uomini. Questa posizione teologica è stata illustrata principalmente mediante il concetto di causalità efficiente strumentale: Maria, nella donazione della grazia, sarebbe strumento di Cristo, in modo analogo a come l'Umanità di Gesù è strumento della divinità[16].

Molti altri autori hanno respinto tale interpretazione (Lennerz, Merkelbach, Heris, Terrien, Bittremieux, De la Taille, ecc.), soprattutto perché hanno ritenuto che una causalità strumentale di Maria nella donazione effettiva della grazia oscurerebbe —a differenza della causalità strumentale dei sacramenti— il carattere immediato ed unico della mediazione di Cristo tra Dio e gli uomini: sarebbe —quella di Cristo— una mediazione tra Dio e Maria e, soltanto attraverso di Lei, tra Dio e gli uomini. Di fatto, oggi è molto diffusa l'opinione secondo cui la mediazione mariana si limiterebbe alla sola intercessione[17].

Tuttavia, non mi sembra necessario adottare la "chiave" della causalità strumentale —che, certamente, presenta delle difficoltà— per affermare che la mediazione di Maria non si limita alla sola intercessione, ma che si riferisce in qualche modo anche all'effettiva donazione della grazia.

Per approfondire tale aspetto del mistero della Madre, occorre, come ho detto poc'anzi, tener conto della nozione di partecipazione. Infatti, oltre ad usare frequentemente questo termine, per esprimere il rapporto della mediazione di Maria con quella di Cristo, Giovanni Paolo II scrive che la mediazione di Maria "è mediazione in Cristo"[18].

Come è noto, l'essere in Cristo, nella sua ricchezza e pluriformità sia entitativa che operativa, esprime, soprattutto nelle Lettere paoline, l'essenza stessa del cristianesimo[19]; e include, come suo aspetto più radicale, la partecipazione alla Filiazione del Verbo eterno; partecipazione questa che è costitutiva della filiazione divina adottiva[20], mediante la quale gli uomini diventano figli del Padre nel Figlio, secondo l'espressione tradizionale adoperata tante volte da Giovanni Paolo II[21].

E' importante osservare che il nostro essere figli del Padre in Cristo, mediante la partecipazione alla sua Filiazione divina, non sminuisce né moltiplica la Filiazione del Verbo. Infatti, Cristo continua ad essere l'Unigenito del Padre anche se è Primogenito tra molti fratelli, perché, con parole di Scheeben —della cui morte ricorre tra qualche mese il centenario—, "noi non siamo semplicemente figli adottivi, ma membra del Figlio naturale, perciò, come tali, entriamo altresì realmente in quella relazione personale in cui sta il Figlio di Dio col Padre suo. E' secondo la verità, e non solo per analogia o somiglianza, che noi chiamiamo Padre nostro il Padre del Verbo; ed effettivamente non è tale per un semplice rapporto analogo, bensì per quell'unico e medesimo rapporto per il quale egli è il Padre di Cristo. Lo è in un modo simile a quello per cui egli, che è il Padre del Verbo eterno, per la stessa relazione è anche Padre dell'Uomo-Dio nella sua umanità (...); siamo in certo modo —conclude Scheeben— un sol Figlio del Padre con lui e in lui"[22].

Anche a tutti gli altri aspetti dell'essere in Cristo per partecipazione, si deve applicare la stessa dialettica tra l'Uno e i molti. Perciò, per quanto riguarda una mediazione in Cristo per partecipazione alla mediazione unica di Lui, è indubbio che una tale mediazione partecipata non sminuisce né moltiplica l'unica mediazione tra Dio e gli uomini, propria di Gesù Cristo. Si tratta quindi della partecipazione espressa dalla lingua greca, sia classica che neotestamentaria, con il termine koinonía: comunione per partecipazione, oppure partecipazione in quanto comunione spirituale di molti a qualcosa o qualcuno che rimane unico ed indiviso[23]. Ciò, in realtà, è applicabile non soltanto alla mediazione materna di Maria, ma anche a tutte le altre mediazioni subordinate, partecipate, della mediazione di Cristo.

Ma affermare che una di tali mediazioni partecipate —quella di Maria— è mediazione anche nella donazione effettiva della grazia, significa affermare, in radice, che Maria partecipa in qualche modo alla capitalità di Cristo, e ciò ci conduce a considerare ancora la connessione della "mediazione materna" con la "pienezza di grazia" alla quale abbiamo fatto riferimento all'inizio. Soffermiamoci prima brevemente sulla pienezza di grazia di Maria in se stessa considerata.

3. Il mistero della "piena di grazia"

Maria è, già da prima dell'Incarnazione, la kecharitoméne (Lc 1, 28): la gratificata, secondo la versione latina del Codex Palatinus (e) della tradizione africana; la gratia plena della Vulgata. Non è possibile, né necessario, soffermarci qui sulle diverse interpretazioni, antiche e recenti, della parola kecharitoméne[24]. Comunque, anche se la sola esegesi di Lc 1, 28 non sembra condurre all'idea di "pienezza" di grazia santificante, ma piuttosto ad affermare che Maria è chiamata dall'Angelo "trasformata dalla grazia" come preparazione alla divina maternità verginale[25], è indubbio che vi sono sicuri motivi, anche cristologici ed ecclesiologici, per affermare in Maria una peculiare "pienezza di grazia", come è stato insegnato molte volte dal Magistero della Chiesa[26].

E' tradizionale considerare tre aspetti della pienezza di grazia di Maria: innanzitutto, la totale immunità dal peccato e la perfezione delle virtù; in secondo luogo, quello che San Tommaso chiama la refluentia o redundantia della divinizzazione dell'anima di Maria sulla sua carne; e, infine, come conseguenza di ciò, la pienezza di grazia comporta che Ella sia, in un certo senso, fonte di grazia per gli uomini[27].

E' interessante notare che San Tommaso considera la "pienezza di grazia" non solo come moralmente conveniente alla dignità di Colei che era stata predestinata alla maternità divina, ma anche in una speciale "continuità ontologica" con questa maternità. Infatti, egli arriva ad affermare che quell'aspetto della pienezza di grazia che chiama redundantia della grazia sulla carne di Maria fu una specifica predisposizione, certo non assolutamente necessaria, ma voluta da Dio, affinché Ella concepisse un uomo che fosse il Figlio di Dio[28].

In realtà, siccome spirito e materia costituiscono nell'uomo un'unità sostanziale, anche in noi —con parole di Mons. Josemaría Escrivá— "la divinizzazione trasforma tutto l'uomo, come un anticipo della risurrezione gloriosa"[29]. Si pone allora immediata la domanda: quale può essere la peculiarità della redundantia della grazia sulla carne, nel caso di Maria?; vale a dire, rimane qualche "spazio metafisico" per concepire una piena ridondanza della grazia sulla carne, che sia conseguenza della pienezza di grazia e sia indirizzata, come afferma San Tommaso, alla maternità divina? Una tale pienezza di ridondanza non sembra poter essere altro che la totale santificazione o deificazione della carne nella sua stessa materialità, ancora più difficile da capire per noi di quanto non sia la deificazione dello spirito, ma niente affatto impossibile. La deificazione della carne è infatti lo stato escatologico definitivo della materia umana, già realizzatosi in Cristo e in sua Madre nella Gloria[30].

Perciò, nella prospettiva di San Tommaso, si potrebbe forse pensare che la pienezza di grazia comporterebbe una certa "deificazione escatologica anticipata" della carne di Maria, analoga a quella del Cristo pre-pasquale, la cui carne, secondo San Tommaso, era una carne deificata non soltanto nel senso che apparteneva a una Persona divina, ma anche in quanto in se stessa partecipava dei doni della divinità nel modo più abbondante, vale a dire in pienezza[31].

Comunque, la speciale santificazione di Maria, anche se ci fosse stata una sua "anticipata pienezza escatologica", rimase sulla terra in uno stato di kénosi, analogo a quello dell'Umanità di suo Figlio. Infatti, "se Dio ha voluto innalzare in tal modo sua Madre —sono anche queste parole del Fondatore dell'Opus Dei—, non le ha risparmiato, durante la sua vita terrena, né l'esperienza del dolore, né la stanchezza del lavoro, né il chiaroscuro della fede"[32]. Un "chiaroscuro" che, specialmente sotto la Croce del Figlio, possiamo considerare, con Giovanni Paolo II, come "la più profonda -kénosi- della fede nella storia dell'umanità"[33]. Una kénosi della fede che si manifesta specialmente —con parole di Mons. del Portillo— nel fatto che, "quando la missione di Cristo pare chiudersi nel fallimento più assoluto, e i discepoli lasciano solo il Maestro, la Madonna avanza con passo deciso nella peregrinazione della fede e crede, contro ogni speranza, che si realizzerà quanto Dio ha detto a proposito di suo Figlio"[34].

4. Pienezza di grazia e mediazione materna

Riprendiamo ora l'argomento della mediazione materna di Maria nell'effettiva donazione della grazia, alla luce della pienezza di grazia, già certamente consumata nella gloria: con l'Assunzione, infatti, Maria è stata santificata "interamente e totalmente nel compimento escatologico"[35]. Innanzitutto, è opportuno ricordare che la grazia soprannaturale, che gli uomini ricevono da Cristo con la mediazione di Maria, non è un "oggetto" che possa passare di mano in mano: la grazia è un modo di essere soprannaturale, prodotto da Dio nel più intimo dello spirito creato, che divinizza o deifica la persona ed è inseparabile dalle missioni invisibili del Figlio e dello Spirito Santo, mediante le quali lo spirito finito, come dice San Tommaso, "fit particeps divini Verbi et procedentis Amoris"[36].

Com'è noto, tra queste due missioni, che sono inseparabili, vi è un ordine inverso a quello delle corrispondenti processioni eterne. Cioè, il termine dell'azione divina ad extra —azione comune alle tre Persone divine— è "l'introduzione" della creatura nella vita intratrinitaria che le missioni comportano: una "introduzione" che "comincia" (non in senso temporale) attraverso l'unione, per partecipazione, con la Persona dello Spirito Santo; unione che "plasma" nello spirito finito la partecipazione (somiglianza ed unione) al Figlio, per la quale nel Figlio si è figli del Padre[37]. Vale a dire, come scrive Giovanni Paolo II, "Egli stesso (lo Spirito Santo), come amore, è l'eterno dono increato. In lui è la fonte e l'inizio di ogni elargizione alle creature"[38].

Alla luce di queste riflessioni, sorge la domanda: come è possibile una mediazione umana —quella di Maria— nella donazione della vita soprannaturale, non soltanto per intercessione, ma anche per effettiva donazione o "distribuzione" della grazia, se questa sempre "comincia" con la missione dello Spirito Santo? Ancora una volta, il mistero della Madre s'illumina mediante il mistero del Figlio. E' infatti indubbio che Gesù Cristo è, nella sua Umanità, mediatore della vita soprannaturale per gli uomini, non solo per via di merito e d'intercessione ma anche per via di efficienza, in quanto la sua Umanità è "strumento della divinità": l'órganon tes theiótetos, secondo la famosa espressione di San Giovanni Damasceno[39]. Per questo, Cristo può e deve essere chiamato fonte o principio della grazia[40]. Il che significa, tra l'altro, che Dio ha voluto che, nell'attuale economia, lo Spirito Santo sia "inviato" agli uomini dal Padre per il Figlio attraverso l'Umanità del Figlio, pienamente e definitivamente glorificata ed elevata ad dexteram Patris[41], con la quale Santa Maria, dopo l'Assunzione, è unita in una koinonía (comunione-partecipazione) della più grande intimità ed intensità compatibile con la distinzione personale.

Non sembra dunque infondato attribuire un significato più profondo di quello d'una semplice "appropriazione", a espressioni tradizionali come quella di Sant'Andrea di Creta, secondo cui Maria è "la madre dalla quale proviene su tutti lo Spirito"[42]. Ed è proprio la nozione di partecipazione—koinonía a permettere di affermare la partecipazione di Maria alla capitalità di Cristo e, perciò, la sua mediazione nell'effettiva donazione della grazia, senza che ciò comporti affatto una duplicità di fonti o di capi, il che sarebbe senz'altro da escludere, sia per ragioni dogmatiche sia per la dialettica della partecipazione metafisica a struttura trascendentale.

In questa prospettiva, le affermazioni che ci presentano la Madonna come il "collo" o "l'acquedotto" attraverso il quale ci arriva la grazia dal Capo o dalla Sorgente, anche se conservano un certo valore metaforico, si manifestano come di gran lunga insufficienti. Piuttosto dovremmo dire che gli uomini ricevono la grazia di Dio attraverso Cristo e Maria perché, in un senso molto più reale e profondo —e, perciò, anche più misterioso— di quello proprio delle parole di San Luca riferite ai primi cristiani (cfr. Act 4, 32), Maria è cor unum et anima una con Cristo. Perciò, come diceva Mons. Escrivá, il cristiano trova in Maria "tutto l'amore di Cristo" e, in Cristo, si vede "inserito nella vita ineffabile di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo"[43].

5. Mediazione materna e "Ricapitolazione in Cristo"

Dopo l'Assunzione, la pienezza di grazia di Maria ha raggiunto certamente lo stato escatologico; stato che, riferito all'intera creazione, è descritto da San Paolo come risultato della "ricapitolazione" (anakefalaíosis) di tutte le cose in Cristo (cfr. Ef 1, 10). Questa realtà è avvolta da una luce a noi inaccessibile: infatti, "quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d'uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano" (1 Cor 2, 9).

Non è il caso di soffermarci ora sull'esegesi letterale né sull'interpretazione teologica della "ricapitolazione" escatologica di tutto in Cristo[44]. Tuttavia, non c'è dubbio che essa è, tra l'altro, il vero e soprannaturale senso —estraneo a qualsiasi monismo panteistico—, di quel ritorno finale dei molti all'Uno, che non poche filosofie hanno intravvisto in forme necessariamente inadeguate e, in vario modo, sbagliate. Un'unità con Dio in Cristo che, conservando l'insopprimibile distinzione tra creatura e Creatore e quella tra le diverse creature, ha come paradigma —nel caso delle persone umane— l'unità stessa della Trinità divina. Infatti il Signore, già in riferimento alla vita terrena degli Apostoli, vita nella quale la grazia è incoazione della gloria, così si espresse: "come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una sola cosa (...). Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità" (Gv 17, 21.23).

Questo mistero d'unità —di comunione— con Dio in Cristo è il mistero della Chiesa, Corpo di Cristo (cfr. Col 1, 18) e —secondo le famose parole di San Cipriano— "de unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti plebs adunata"[45]. Una Chiesa che, nel suo stato escatologico, sarà appunto "la pienezza (pléroma) di colui (Cristo) che si realizza interamente in tutte le cose" (Ef 1, 23), perché Cristo glorioso riempirà (hína plerósei) tutte le cose (cfr. Ef 4, 10), e queste parteciperanno "in Lui alla sua pienezza (en autõ pepleroménoi)" (Col 2, 10).

Nei santi, la realtà della gloria escatologica sarà il compimento finale, nello spirito e nella carne, dell'essere in Cristo specifico della vita soprannaturale. Tale compimento già si è realizzato in Maria nel grado corrispondente alla sua pienezza di grazia, che include in sé la pienezza dell'unione (koinonía) con Cristo, a tutti i livelli dell'essere e dell'operare. Ed è questa pienezza d'unione escatologica, esclusiva della piena di grazia, la radice della distinzione tra la mediazione materna e la mediazione dei santi nella gloria e dei giusti nella Chiesa terrestre, ed insieme la radice della distinzione tra la partecipazione di Maria alla capitalità di Cristo e quel mistico rapporto di comunione spirituale fra tutti che è la comunione dei santi.

Per l'eccezionale unione della Madre con il Figlio, culminata nella sua glorificazione definitiva dopo l'Assunzione, "Maria —scrive Giovanni Paolo II— è come avvolta da tutta la realtà della comunione dei santi, e la stessa sua unione col Figlio nella gloria è tutta protesa verso la definitiva pienezza del Regno, quando -Dio sarà tutto in tutti-"[46].

E' quindi l'unione di Maria con Cristo la radice più profonda dell'intimo vincolo della Vergine Santissima con la Chiesa e della di Lei mediazione materna con la maternità della Chiesa. Non possiamo qui soffermarci su questo importante aspetto del mistero della Madre[47], ma, da quanto è stato ricordato, emerge chiaramente il superamento della contrapposizione tra le cosiddette prospettive "cristocentrica" ed "ecclesiotipica" nella considerazione teologica della cooperazione di Maria alla salvezza degli uomini; superamento al quale porta già di fatto l'impostazione mariologica del capitolo VIII della Costituzione dogmatica Lumen gentium[48].

Conclusione

Arrivati a questo punto, è chiaro che si potrebbero considerare altri aspetti del mistero della mediazione materna, ed approfondire ancor più le riflessioni esposte. Comunque, vorrei finire sottolineando che davanti al mistero della Madre di Dio, come davanti al mistero di Dio in se stesso, arriva sempre necessariamente un momento in cui l'atteggiamento teologicamente più ragionevole è, secondo le note parole dello Pseudo-Dionigi, quello di una silenziosa venerazione: "indicibilia (Deitatis) casto silentio venerantes"[49], senza pretendere di limitare il mistero a ciò che è alla portata della nostra comprensione. Un "casto silenzio", nel quale tuttavia risuona l'eco sempre presente del saluto angelico a Colei che piena di grazia è Madre di Dio e Madre nostra.

FERNANDO OCARIZ

Ordinario di Teologia Fondamentale e Dogmatica

nel Centro Accademico Romano

della Santa Croce

[1] Cfr. A. Del Portillo, Lettera pastorale, 31-V-1987, n. 25, in "Romana" 4 (1987) p. 77.

[2] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, 25-III-1987, n. 19/b.

[3] Cfr. Ibid., n. 12/c.

[4] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dives in misericordia, 30-XI-1980, n. 9/b. Cfr. Lett. enc. Dominum et vivificantem, 18-V-1986, n. 16/f; Lett. enc. Redemptoris Mater, nn. 19. 23. 24.

[5] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, n. 6/b.

[6] Ibid., n. 22/b.

[7] Cfr. Ibid., n. 39/c-d.

[8] Ibid., n. 23/c.

[9] J. Ratzinger, Omelia nel Seminario Internazionale della Prelatura Opus Dei, 14-IV-1987, in "Romana" 4 (1987) pp. 116-117.

[10] Sant'Agostino, De sancta virginitate, 6: PL 40, 399.

[11] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 62.

[12] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, n. 38/c.

[13] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 62; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, nn. 38/b-c, 40/a.

[14] San Bernardo, In Dominica infra oct. Assumptionis Sermo, 2: cit. da Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, nota (96).

[15] Sulla mediazione come intercessione materna, cfr. specialmente Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, nn. 21/c, 40.

[16] Cfr., ad esempio, G.M. Roschini, La Madre de Dios según la fe y la teología, Ed. Apostolado de la Prensa, Madrid 1962, vol. I, pp. 647-650.

[17] Cfr., ad esempio, J.—H. Nicolas, Synthèse dogmatique. De la Trinité à la Trinité, Ed. Universitaires, Fribourg — Beauchesne, Paris, 1985, pp. 553-555.

[18] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, n. 38/a.

[19] Cfr., ad esempio, M. Meinertz, Teología del Nuevo Testamento, Ed. Fax, Madrid, 2ª ed. 1966, p. 414; A. Wikenhauser, Die Christusmystik des Apostels Paulus, 2ª ed., Freiburg 1956.

[20] "Deus autem ab aeterno praedestinavit quos debet adducere in gloriam. Et isti sunt omnes illi, qui sunt participes filiationis Filii eius" (San Tommaso d'Aquino, In Epist. ad Hebraeos, c. II, lec. 3); cfr. anche In Epist. ad Romanos, c. I, lec. 3.

[21] Cfr., ad esempio, Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, n. 8/d; Lett. enc. Redemptor hominis, 4-III-1979, n. 18/b-c.

[22] M.J. Scheeben, I misteri del cristianesimo, Morcelliana, Brescia, 3ª ed. 1960, p. 378. Sull'argomento, cfr. anche: F. Ocáriz, Hijos de Dios en Cristo. Introducción a una teología de la participación sobrenatural, Eunsa, Pamplona 1972; Idem, La Santísima Trinidad y el misterio de nuestra deificación, in "Scripta Theologica" 6 (1974) pp. 363-390; Idem, La elevación sobrenatural como re-creación en Cristo, in "Atti dell'VIII Congresso Tomistico Internazionale", Lib. Edit. Vaticana 1981, vol. IV, pp. 281-292; Idem, Partecipazione dell'essere e soprannaturale, in AA. VV., "Essere e libertà. Studi in onore di Cornelio Fabro", Univ. di Perugia, 1984, pp. 141-153; Idem, Il Mistero della grazia in Scheeben, in "Divinitas" 32 (1988) (in corso di stampa).

[23] Cfr., ad esempio, S. Muñoz Iglesias, Concepto bíblico de Koinonía, in "XIII Semana Bíblica Española (1952)", C.S.I.C., Madrid 1953, p. 223.

[24] Sulle varie interpretazioni offerte dalla patristica, cfr. i riferimenti indicati da Giovanni Paolo II nella nota (21) dell'enciclica Redemptoris Mater. Per uno studio filologico e teologico, cfr. i recenti ed importanti articoli di I. de la Potterie, Kecharitoméne en Lc 1,28. Etude philologique, in "Biblica" 68 (1987) pp. 357-382, e Kecharitoméne en Lc 1,28. Etude exégétique et théologique, in "Biblica" 68 (1987) pp. 480-508.

[25] Cfr. I. de la Potterie, art. cit., specialmente, pp. 382, 506-507.

[26] Cfr., ad esempio, Pio IX, Ep. Ap. Ineffabilis Deus, 8-XII-1854: DS 2800-2801; Leone XIII, Lett. enc. Magnae Dei Matris, 8-IX-1892: AL 12, p. 224; Pio XI, Lett. enc. Lux veritatis, 25-XII-1931: AAS 23 (1931) p. 521; Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 53; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, nn. 8-11.

[27] Cfr. San Tommaso d'Aquino, Expositio salutationis angelicae; Summa Theologiae, III, q. 27, a. 5 ad 1. Su questo argomento cfr. C. Fabro, La partecipazione di Maria alla grazia di Cristo secondo San Tommaso, in "Ephemerides Mariologicae" 24 (1974) pp. 389-406.

[28] Cfr. San Tommaso d'Aquino, Expositio salutationis angelicae; In Evang. Ioan., c. I, lec. X.

[29] J. Escrivá, E' Gesù che passa, Ares, Milano 1973, n. 103. L'originale rende ancor meglio l'idea: "la divinización redunda en todo el hombre como un anticipo de la resurrección gloriosa" (Es Cristo que pasa, Rialp, Madrid 1973, n. 103).

[30] Sulla spiritualizzazione e deificazione del corpo nello stato escatologico, cfr. Giovanni Paolo II, Allocuzione, 9-XII-1981: "Insegnamenti di Giovanni Paolo II" IV-2 (1981) pp. 880-883. Cfr. anche F. Ocáriz, La Resurrección de Jesucristo, in "Cristo, Hijo de Dios y Redentor del hombre. Actas del III Simposio Internacional de Teología de la Universidad de Navarra", Eunsa, Pamplona 1982, pp. 756-761.

[31] Cfr. San Tommaso d'Aquino, In III Sent., d. 5, q. 1, a. 2 ad 6.

[32] J. Escrivá, E' Gesù che passa, cit., n. 172.

[33] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, n. 18/c. San Basilio Magno arriva ad affermare che la fede di Maria soffrì nel Calvario l'assalto del dubbio (cfr. San Basilio Magno, Epistula 260, 9: PG 32, 965): questa opinione, anche se non è molto comune, non è necessariamente da escludere, poiché —per la stessa natura della fede— la tentazione del dubbio è possibile senza la più lieve colpa ed è compatibile con i più alti gradi di fede.

[34] A. Del Portillo, Lettera pastorale, 31-V-1987, n. 19, cit. p. 74.

[35] J. Ratzinger, La Figlia di Sion, Jaca Book, Milano 1979, p. 71.

[36] San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, q. 38, a. 1 c. Cfr. anche M.J. Scheeben, I misteri del cristianesimo, cit., p. 179: "La missione di una persona divina consiste nel fatto che la creatura partecipa di essa (presso i Padri greci, metoché, koinonía)".

[37] Cfr. M.J. Scheeben, I misteri del cristianesimo, cit., p. 182; E. Hugon, Le Mystère de la Très Sainte Trinité, Téqui, Paris 1921, pp. 245-246; J.—H. Nicolas, Les profondeurs de la grâce, Beauchesne, Paris 1968, p. 551.

[38] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem, n. 34. Sulla grazia dell'adozione filiale e la missione dello Spirito Santo, cfr. anche il n. 52 della stessa enciclica.

[39] San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, III, c. 19: PG 94, 1080.

[40] "Christus autem est principium gratiae, secundum divinitatem quidem auctoritative, secundum humanitatem vero instrumentaliter" (San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, III, q. 27, a. 5).

[41] Cfr. F. Ocáriz, La Resurrección de Jesucristo, cit., pp. 766-770.

[42] Sant'Andrea di Creta, Omelie mariane, Città Nuova, Roma 1987, omelia II, p. 57.

[43] J. Escrivá, Amici di Dio, Ares, Milano 1978, n. 293.

[44] Sul significato della anakefalaíosis, nella storia dell'esegesi di Ef 1, 10, cfr. J. M. Casciaro, Estudios sobre Cristología del Nuevo Testamento, Eunsa, Pamplona 1982, pp. 308-324.

[45] San Cipriano, De Oratione Dominica, 23: PL 4, 553. Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 2-4.

[46] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, n. 41/d.

[47] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, nn. 42-47. Cfr. anche H. de Lubac, Méditation sur l'Eglise, Aubier, Paris 1953, cap. IX: "L'Eglise et la Vierge Marie". Per una visione d'insieme dei rapporti tra Maria e la Chiesa nella patristica, cfr. Y. Congar, Marie et l'église dans la pensée patristique, in "Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques" 38 (1954) pp. 3-38.

[48] Cfr. E. Llamas, La cooperación de María a la salvación. Nueva perspectiva después del Vaticano II, in "Scripta de Maria" 2 (1979) pp. 423-447.

[49] Pseudo-Dionigi, De divinis nominibus, c. I, n. 11, secondo la traduzione latina adoperata in San Tommaso d'Aquino, "In librum Beati Dionysii De Divinis Nominibus expositio", Marietti, Torino-Roma 1950, p. 13 (§ 3, 11), diversa dalla traduzione della Patrologia del Migne (cfr. PG 3, 590).

Romana, n. 5, Luglio-Dicembre 1987, p. 311-319.

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