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Un’esistenza libera

Per quattro giorni, da giovedì 16 a domenica 19 settembre, Benedetto XVI ha compiuto un viaggio storico nel Regno Unito, un viaggio ricco di contenuto e di significato. Il Papa ha ricordato alcuni aspetti della vita di Cristo e della vita umana degni di una serena riflessione perché riguardano il significato profondo dell’esistenza. Durante la veglia di preghiera per la beatificazione del Card. Newman, per esempio, il Santo Padre ha ricordato che «ciascuno di noi ha una missione, ciascuno di noi è chiamato a cambiare il mondo, a operare per una cultura della vita, una cultura forgiata dall’amore e dal rispetto per la dignità di ogni persona umana»[1].

Queste parole del Romano Pontefice danno, per così dire, una credibile interpretazione di una vigorosa frase di San Josemaría contenuta in Amici di Dio: “Vi voglio ribelli, liberi da ogni legame, perché vi voglio — Cristo ci vuole! — figli di Dio”[2].

Delle due frasi appena citate — una di un Papa, l’altra di un Santo — è possibile indicare un punto in comune di grande importanza: ogni uomo e ogni donna devono far crescere giorno dopo giorno ciò che costituisce il nucleo della propria dignità e il fondamento della propria missione: la libertà dei figli di Dio.

San Josemaría esortava quelli che lo frequentavano ad avere il coraggio di essere liberi, con il rischio e la responsabilità che questo comporta, e a difendere o conquistare — senza aspettare che venga concessa da altri — quella libertà che Cristo ha guadagnato a tutti gli uomini, consapevoli che, «quali uomini e donne creati a immagine e somiglianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la verità, per trovare in essa la nostra definitiva libertà e l’adempimento delle più profonde aspirazioni umane»[3].

Nel corso della sua vita, San Josemaría ha potuto osservare con dolore parecchi fenomeni culturali e sociali che hanno causato una forte spersonalizzazione: massificazione, alienazioni di diverso tipo, totalitarismi e dittature, deformazioni dovute al clericalismo... Anche ora «una dittatura del relativismo minaccia di oscurare l’immutabile verità sulla natura dell’uomo, il suo destino e il suo bene ultimo»[4]. Davanti a questi attacchi alla persona e alla sua libertà, la risposta cristiana è volta a difendere la dignità di ogni essere umano.

Da diversi decenni si sente la necessità di garantire la libertà; eppure certe volte una errata concezione del suo significato la fa ritenere causa di danni, più che sorgente di opportunità. Se è considerata come una semplice capacità di scelta, o come un motivo per liberarsi dal compito di costruire la società, rinunciando o cedendo i propri diritti, o come pretesto per non riflettere su quelle che sono le decisioni fondamentali della vita, o come opportunità per l’anonimato, allora bisogna chiedersi che senso ha garantire una libertà del genere. Secondo il Fondatore dell’Opus Dei, la libertà, nel suo significato principale e radicale, è una libertà davanti a Dio e per Dio, e pertanto è strettamente legata alla sua azione creatrice, che deve svilupparsi e crescere con l’agire dell’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza: l’autentica libertà comporta un impegno col mondo, con Dio e con noi stessi.

La libertà, si può concludere, è inseparabilmente unita alla responsabilità: ogni esercizio di libertà è necessariamente accompagnato da una serie di conseguenze — con ripercussioni diverse e di diversa grandezza —, delle quali una persona non può evitare di rispondere. Conoscendo profondamente queste verità, San Josemaría si sforzava di tirar fuori le persone dalla massificazione che porta all’anonimato, alla perdita della responsabilità e alla privazione di una relazione autenticamente umana con Dio e con gli altri.

La libertà e la responsabilità si stimolano a vicenda con la crescita personale, mentre la mancanza dell’una o dell’altra costituisce una profonda perdita antropologica. Per questo, parlando di libertà personale, San Josemaría indicava come manifestazione di libertà responsabile la partecipazione attiva dei cristiani, insieme agli altri cittadini, ai più diversi tipi di associazione — sindacato, partito politico, ecc. — per intervenire ed essere presenti nelle decisioni umane dalle quali dipendono il presente e il futuro della società: «Con libertà, e secondo le tue inclinazioni o qualità, prendi parte attiva ed efficace alle associazioni oneste, pubbliche o private, del tuo Paese, con una partecipazione piena di senso cristiano: queste organizzazioni non sono mai indifferenti per il bene temporale ed eterno degli uomini»[5]. Ma soprattutto il cristiano influirà nella società con la sua presenza, il suo esempio e il suo apostolato, compiendo con unità di vita i propri doveri familiari e professionali: essendo un cristiano formato, contemplativo in mezzo al mondo[6].

È chiaro che «dobbiamo sostenere la sfida di proclamare con rinnovata convinzione la realtà della nostra riconciliazione e liberazione in Cristo e proporre la verità del Vangelo come la chiave di uno sviluppo umano autentico e integrale»[7]; le grandi sfide della storia devono trovare i cristiani preparati, col senso di responsabilità di coloro che si sanno identificati con Cristo sulla Croce, che salva e libera dalle schiavitù. Perciò «noi figli di Dio, cittadini della stessa specie degli altri, dobbiamo prendere parte “senza paura” a tutte le attività e organizzazioni oneste degli uomini, perché Cristo vi si renda presente. Se, per trascuratezza o comodità, ciascuno di noi, liberamente, non fa in modo di intervenire nelle opere e nelle decisioni umane, da cui dipendono il presente e il futuro della società, nostro Signore ce ne chiederà strettamente conto»[8].

Rendere presente Cristo nelle questioni temporali non significa però imporre un’unica prospettiva o pretendere di uniformare le idee, come se esistesse un’unica soluzione, che si dovrebbe chiamare “cattolica”[9], per risolvere i diversi problemi umani. Significa, al contrario, difendere la libertà in tutto l’immenso campo dell’opinabile, qualunque sia il terreno professionale: siano idee politiche, sociali, economiche, culturali, teologiche, filosofiche, scientifiche o artistiche.

Il Fondatore dell’Opus Dei contrappose il riconoscimento di questo sano e legittimo pluralismo, caratteristico della mentalità laicale — vale a dire, del modo di pensare che ha nella libertà e nell’assunzione della responsabilità personale uno dei suoi elementi fondamentali —, a una concezione di libertà, tipica del clericalismo e del laicismo secolarizzante, che non rispetta né la giusta autonomia delle realtà temporali, né la natura e le leggi poste da Dio nelle sue creature. «Quando si capisce fino in fondo il valore della libertà, quando si ama appassionatamente questo dono divino, si ama il pluralismo che la libertà necessariamente comporta»[10].

Nel difendere la libertà come una caratteristica essenziale della secolarità dei fedeli laici, San Josemaría non voleva dire che tra i chierici o i religiosi la libertà fosse assente. Cercava, invece, di sottolineare che l’attività dei laici nel mondo, in quanto cristiani, dev’essere marcata dalla libertà — «non ci sono dogmi nelle cose temporali»[11], diceva —, ossia guidata dalle verità della fede e soprattutto dalla Verità che è Cristo.

Non si tratta di sostenere una sorta di «libertinismo cristiano» che separi le attività secolari dalla fede — del tutto contrario al suo pensiero —; ma piuttosto che la fede illumini tutti i problemi temporali perché non è possibile per un cristiano non esserlo più — come se la fede fosse qualcosa di posticcio, che si mette e si leva a volontà — quando si è un parlamentare, un medico, un architetto o una padrona di casa, perché ognuno, in base alla propria situazione, è chiamato a santificare la famiglia, il lavoro e il mondo per portarli a Cristo.

L’attualità di queste idee è stata avallata anche da Benedetto XVI, che non ha esitato a sottolineare che per noi cristiani «non vi può essere separazione tra ciò che crediamo e il modo in cui viviamo»[12] e ha incitato, esplicitamente, a esercitare la libertà in modo responsabile anche in ambito pubblico: «Faccio appello in particolare a voi, fedeli laici, affinché, in conformità con la vostra vocazione e missione battesimale, non solo possiate essere esempio pubblico di fede, ma sappiate anche farvi avvocati nella sfera pubblica della promozione della sapienza e della visione del mondo che derivano dalla fede. La società odierna necessita di voci chiare, che propongano il nostro diritto a vivere non in una giungla di libertà auto-distruttive e arbitrarie, ma in una società che lavora per il vero benessere dei suoi cittadini, offrendo loro guida e protezione di fronte alle loro debolezze e fragilità. Non abbiate paura di dedicarvi a questo servizio in favore dei vostri fratelli e sorelle, e del futuro della vostra amata nazione»[13].

Pertanto, le iniziative del cristiano, come si è detto, non possono proporsi in chiave fondamentalista. Non debbono compromettere o vincolare la Chiesa con opzioni personali, per quanto molto opportune e buone possano essere. Perciò il Romano Pontefice ha affermato che «il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti — ancor meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione —, bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi»[14].

Se ne deduce quel sano pluralismo al quale facevamo cenno prima. Pretendere di vincolare la fede cristiana a una posizione concreta sul piano temporale, sia pure con le migliori intenzioni, sarebbe una forma di clericalismo — “di tirannia”, diceva San Josemaría —, perché si rischierebbe di annullare la libertà personale degli altri, adottando in tal modo un atteggiamento incompatibile con la secolarità cristiana che è inseparabile dalla libertà. Così San Josemaría poteva affermare: «Non si accorda con la dignità degli uomini il tentativo di stabilire alcune verità assolute in questioni dove per forza ognuno deve contemplare le cose dal proprio punto di vista, in base ai propri interessi particolari, le proprie preferenze culturali e la propria esperienza specifica»[15]. Infatti, è proprio del riconoscimento della dignità delle persone non soltanto tollerare, ma anche considerare i punti di vista degli altri come una ricchezza; ragione per cui, la pretesa di stabilire «verità assolute» in tali questioni implica un impoverimento, una mancanza di fiducia nel contributo che l’altro possa dare nell’avvicinamento alla verità.

San Josemaría faceva in modo di considerare la libertà nel suo significato più profondo attraverso la luce con la quale lo Spirito Santo gli aveva fatto sentire, e in qualche modo comprendere, la filiazione divina: la libertà dei figli di Dio è il più grande tesoro trasmessoci dal Creatore e che Gesù Cristo ci ha guadagnato con la sua morte redentrice. Sulla Croce, in modo sublime e con assoluta libertà, Cristo esprime il suo amore infinito alla volontà del Padre e il suo desiderio di liberare tutti gli uomini, ed è anche attraverso la Croce che otterrà la vittoria sulla morte con la Risurrezione.

Il cristiano assorbe da tutta questa corrente trinitaria di amore che arriva al culmine nella Passione — massimo esercizio della libertà e della dignità di voler servire tutta l’umanità —, ed è con questo amore che si deve identificare. Così Cristo ci ha conquistato la libertà. A Glasgow il Santo Padre invitava a considerare l’amore personale di Gesù per ognuno di noi come l’unica cosa che rimane: «Cercatelo, conoscetelo e amatelo — diceva —, ed Egli vi renderà liberi dalla schiavitù dell’esistenza seducente ma superficiale frequentemente proposta dalla società di oggi. Lasciate da parte ciò che non è degno di valore e prendete consapevolezza della vostra dignità di figli di Dio»[16].

[1] BENEDETTO XVI, Saluto durante la veglia di preghiera per la beatificazione del Cardinale John Henry Newman, 18-IX-2010.

[2] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 38.

[3] BENEDETTO XVI, Saluto durante la veglia..., cit.

[4] BENEDETTO XVI, Omelia a Bellahouston Park, Glasgow, 16-IX-2010.

[5] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 717.

[6] Cfr., p. es., SAN JOSEMARÍA, Solco n. 497, Forgia n. 740, ecc.

[7] BENEDETTO XVI, Saluti alla fine dei vespri nell’Abbazia di Westminster, 17-IX-2010.

[8] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 715.

[9] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 117

[10] Ibidem, n. 98.

[11] SAN JOSEMARÍA, “Las riquezas de la fe”. Articolo pubblicato sul quotidiano spagnolo ABC (Madrid), 2-XI-1969.

[12] BENEDETTO XVI, Saluto durante la veglia..., cit.

[13] BENEDETTO XVI, Omelia a Bellahouston Park..., cit.

[14] BENEDETTO XVI, Discorso pronunciato durante l’incontro con i rappresentanti della società britannica a Westminster Hall, 17-IX-2010.

[15] SAN JOSEMARÍA, “Las riquezas de la fe”, cit.

[16] BENEDETTO XVI, Omelia a Bellahouston Park..., cit.

Romana, n. 51, Luglio-Dicembre 2010, p. 232-236.

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