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Nell’inaugurazione dell’anno accademico, Pontificia Università della Santa Croce, Roma (4-X-2010)

Cari fratelli e sorelle,

ringrazio Dio perché mi ha permesso ancora una volta di trovarmi accanto a voi, per celebrare questa solenne Eucaristia. Com’è tradizionale e logico, la Messa per l’inaugurazione dell’anno accademico della nostra Università è quella votiva dello Spirito Santo. È molto necessario rivolgersi alla Terza Persona della Santissima Trinità all’inizio di un nuovo anno accademico, perché vogliamo ringraziare il Santificatore per l’immenso dono della fede con cui Egli illumina le nostre intelligenze, rendendole attente alle sue ispirazioni e docili ai suoi mandati.

La prima lettura ci ha fatto rivivere il giorno della Pentecoste: “Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At 2,3-4). Le coscienze degli Apostoli che, fino a quel momento, erano state a volte oscurate da passioni, pregiudizi e paura, si aprirono definitivamente ai raggi della Verità divina.

Come allora, anche oggi abbiamo bisogno di liberarci da tutto ciò che ci impedisce di ascoltare la voce dello Spirito. La recente beatificazione del Cardinale John Henry Newman, celebrata personalmente dal Santo Padre durante il suo viaggio nel Regno Unito, mostra come la Pentecoste continua a essere attuale e sempre lo sarà. La vita e l’opera del nuovo Beato sono l’eco di una voce interiore che molto spesso non coincide con quella dei propri desideri, con quanto può rivelarsi più vantaggioso o attirare consensi, ma piuttosto con la voce della coscienza attraverso la quale Dio si fa sentire nell’intimo dell’anima. Infatti, la coscienza umana, lungi dal rinchiudere le persone nella propria soggettività, le apre alla Trascendenza, rendendole così docili al volere di Dio.

«Newman — affermava il Santo Padre nella Messa per la beatificazione — ci aiuta a comprendere che cosa significhi questo nella nostra vita quotidiana: ci dice che il nostro divino Maestro ha assegnato un compito specifico a ciascuno di noi, un “servizio ben definito”, affidato unicamente a ogni singolo: “Io ho la mia missione — scrisse —, sono un anello in una catena, un vincolo di connessione fra persone” (Meditations and devotions, 301-2)»[1].

Possiamo chiederci: come è possibile ciò? Mi pare che una risposta molto opportuna ci possa venire da una considerazione di San Josemaría, che con la sua vita pose le fondamenta di questa Università. Diceva: “La discesa solenne dello Spirito il giorno di Pentecoste non fu un evento isolato. Quasi non c’è pagina degli Atti degli Apostoli in cui non si parli di Lui e dell’azione con cui Egli informa, dirige e vivifica la vita e le opere della comunità cristiana primitiva. È Lui che ispira la predicazione di San Pietro (cfr. At 4,8), che conferma nella fede tutti i discepoli (cfr. At 4,31), che sigilla con la sua presenza la vocazione dei gentili (cfr. At 10,44-47), e che manda Saulo e Barnaba in terre lontane per aprire strade nuove all’insegnamento di Gesù (cfr. At 13,2-4). La sua presenza e il suo intervento, insomma, presiedono ogni cosa”[2].

La Pentecoste crea anche un legame inscindibile tra la capacità di entrare in rapporto con Dio e il dono delle lingue, che permette l’evangelizzazione delle diverse culture e società: “Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio” (At 2,11). La ricerca della verità su Dio e sulla persona umana non può, perciò, limitarsi all’ascolto delle lezioni e allo studio dei trattati di teologia, filosofia e scienze umane; essa è dialogo aperto e umile con tutti quelli che vivono e lavorano accanto a noi e, soprattutto, con la Trinità Santissima, che presiede il tempio della nostra anima in grazia. Solo così, nella docilità all’azione del Paraclito, è possibile ottenere la vera sapienza e trovare la risposta alle sfide che in ogni tempo e luogo si presentano agli uomini. “Se — infatti — lo Spirito Santo non arriva ai cuori, invano la voce dei maestri risuona nelle orecchie”[3].

Mi rivolgo in modo particolare a voi, cari studenti. Durante il vostro soggiorno nella Città Eterna avrete occasione di conoscere persone dei cinque Continenti, delle più svariate provenienze, culture e mentalità. Imparate a dialogare con esse, ad ascoltare e apprezzare tutto ciò che di positivo c’è nelle loro culture, tradizioni e punti di vista. Sarà per voi un’opportunità di vivere in modo specialmente visibile la cattolicità, l’universalità della Chiesa. Così diventerete esperti in umanità e — ciò che è più importante — riconoscerete nelle piccole cose di ogni giorno il soffio dolce dello Spirito Santo.

L’ascolto della voce dello Spirito, che comporta tante conseguenze pratiche nella vita di preghiera, nella scienza, nel lavoro professionale e nei rapporti interpersonali, ci spingerà a proclamare i magnalia Dei di cui siamo stati testimoni. “Agendo in questo modo — scrisse San Josemaría —, porteremo a termine le nostre occupazioni con perfezione, riempiendo il tempo, come strumenti innamorati di Dio, consci della grande responsabilità che il Signore ha messo sulle nostre spalle e della fiducia che ripone in noi, nonostante la nostra debolezza personale”[4].

La Madonna, Tempio dello Spirito Santo, interceda per ognuno di noi affinché i nostri desideri di docilità al Paraclito diventino operativi. A Lei — vita, dulcedo, spes nostra, come canteremo, alla fine della Santa Messa, nella Salve Regina — chiediamo di far risplendere sempre nelle nostre vite l’immagine di suo Figlio, Gesù. Così sia.

[1] BENEDETTO XVI, Omelia pronunciata durante la Santa Messa di beatificazione, Birmingham, 19-IX-2010.

[2] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 127.

[3] SAN GREGORIO MAGNO, In Evangelia homiliae II, 10, 3.

[4] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 71.

Romana, n. 51, Luglio-Dicembre 2010, p. 344-345.

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