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San Josemaría, maestro del perdono (2ª parte)

Jaime Cárdenas del Carre

Dottore in Diritto Canonico (Università della Santa Croce, Roma)

Master in Polemologia (Universitat Oberta de Catalunya)

Nella prima parte di questo studio è stato analizzato l’insegnamento di San Josemaría sul perdono, il posto che esso occupa nel messaggio dell’Opus Dei e il modo in cui il Fondatore dell’Opera lo visse personalmente. Si è insistito in modo particolare sulla novità liberatrice del perdono e sul suo legame diretto con la carità che è, prima di ogni altra cosa, amore di Dio. La risposta del cristiano — si affermava con San Josemaría — è “annegare il male nell’abbondanza del bene” e aprire le braccia all’umanità, come Cristo sacerdote. In questa seconda parte si espongono alcune delle idee centrali dell’omelia Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà. Più avanti si descrive in che modo San Josemaría reagiva alle offese. Infine, lo studio si chiude con un riferimento alla pratica del perdono nella società contemporanea a favore di una cultura della pace.

1. L’omelia Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà

Impostazione e linee di forza

L’omelia “Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà”, datata 15 marzo 1961, si trova in È Gesù che passa, l’ultimo libro pubblicato in vita da San Josemaría, nel 1973.

È una meditazione sulla carità cristiana, la comprensione e il perdono, e contiene anche una riflessione su determinati fatti che, nel suo intimo, avevano lasciato una traccia maturata attraverso la carità e il senso che egli aveva della libertà e della giustizia. Si tratta di un testo sapienziale.

Il tema centrale non è tanto l’analisi delle esigenze pratiche della carità verso gli altri, quanto una meditazione sul duplice precetto della carità. La frase “amerai Dio” appare in maniera implicita come il filo conduttore del discorso. La sua conseguenza, “amerai il prossimo”, si sviluppa esplicitamente, mentre si scoprono alcune conseguenze dovute all’assenza di questa virtù nelle relazioni personali e sociali.

Il filo conduttore è l’identificazione del cristiano con Cristo nell’esercizio della carità. Come conseguenza, “la carità di Cristo non è soltanto un buon sentimento verso il prossimo [...]. La carità infusa da Dio nell’anima trasforma dal di dentro l’intelligenza e la volontà, fonda soprannaturalmente l’amicizia e la gioia di compiere il bene”[1]. San Josemaría chiamava questa trasformazione progressiva la “deificazione buona”[2]. L’essenza della trasformazione consiste nel diventare capaci di vincere il male col bene.

L’origine dell’omelia sembra poggiare sulle incomprensioni subite, che derivano dalla “falsa persuasione che il pubblico, il popolo, o comunque lo si voglia chiamare, abbia il diritto di conoscere e interpretare i particolari più intimi della vita degli altri”[3]. Dalla mancata soddisfazione di questo desiderio insano e morboso, o dall’interpretazione distorta dell’operato altrui, nascono gli attacchi alle vittime, “che sono state oggetto — spesso e per lunghi anni — di esercitazioni di tiro al bersaglio con mormorazioni, diffamazioni e calunnie”[4].

In tale contesto, San Josemaría, nel diffondere il messaggio dell’Opus Dei, si riferirà alla propria esperienza. La grande maggioranza della gente lo capiva e altri, pur non condividendo i suoi metodi apostolici, rispettavano il Fondatore e i suoi apostolati. “Ma non manca mai una minoranza settaria che, non comprendendo ciò che io e molti altri amiamo, vorrebbe che glielo spiegassimo d’accordo con la loro mentalità, che è esclusivamente politica, estranea a ogni dimensione soprannaturale, attenta unicamente a equilibri di interessi e di pressioni di gruppi. Se non ricevono una spiegazione così, falsa e accomodata ai loro gusti, continuano a pensare che ci siano menzogna, occultamento e piani sinistri”[5].

Le calunnie provenivano soprattutto da due focolai. Il primo, la mancanza di comprensione della novità del messaggio della chiamata universale alla santità in mezzo al mondo[6] e una certa gelosia nei confronti dell’attività apostolica svolta dal Fondatore. Dalla gelosia e dalla mancanza di comprensione del fenomeno apostolico, alcuni passavano agli attacchi all’Opera o alla persona del Fondatore, pensando che insidiando la sua reputazione anche la fondazione ne avrebbe sofferto[7]. Il secondo, confondere l’Opus Dei con un nuovo gruppo politico o di pressione, attribuendo erroneamente all’Opera i liberi comportamenti individuali dei suoi membri nella loro attività professionale, politica, ecc.[8].

Su questi temi modellerà la sua idea della libertà cristiana, del diritto alla propria intimità e degli attacchi che possono subire. La calunnia implica la negazione della libertà e spesso lede il diritto all’intimità.

Verso la fine del testo riprenderà il filo conduttore, la carità. Se c’è amore a Dio, vi sarà anche amore al prossimo, rispetto per la persona. La trasformazione dell’intelligenza e della volontà apre gli occhi per vedere che “la carità cristiana non si limita a dare un soccorso economico ai bisognosi, ma si impegna anzitutto a rispettare e a comprendere ogni persona come tale, nella sua intrinseca dignità di uomo e di figlio del Creatore”[9].

La libertà, il diritto all’intimità e all’essere sé stessi

Uno dei grandi messaggi di San Josemaría è la chiamata alla libertà[10]: la rivendicazione della libertà dei figli di Dio. Questo Santo ripete che Dio ha creato l’essere umano degno, libero e responsabile. Nella società la libertà si muta in pluralismo. Così concepito, il pluralismo è una fonte di ricchezza[11]; però può diventare una fonte di conflitti, se vi sono attacchi alla libertà o se vengono a mancare la giustizia e la carità. Queste devono essere presenti nella formazione della pluralità, come uno stimolo da dentro, da ogni persona. San Josemaría, più che andare d’accordo col pluralismo, o semplicemente tollerarlo, guarda più a fondo, sottolineando che il rispetto è dovuto originariamente alla persona per la sua dignità. Si deve rispettare la persona, che è degna e libera, e di conseguenza il pluralismo e le differenze dovute a questa condizione.

Il diritto all’intimità, che evita di dover mettere in piazza la propria vita, è indispensabile per salvaguardare la libertà di agire. San Josemaría parla della violazione di questo diritto, della sofferenza delle vittime e della necessità di difenderlo: “Di fronte ai negoziatori del sospetto, che danno l’impressione di organizzare una tratta dell’intimità, è doveroso difendere la dignità di ogni persona, il suo diritto al silenzio, a non replicare”[12].

Nel rivendicare il diritto all’intimità e alla fama, invocherà il bene comune della dignità umana, dove tutte le persone si ritrovano indipendentemente dalla loro fede. “In questa difesa sono d’accordo tutte le persone oneste, cristiane o non cristiane, perché è in gioco un valore comune: la sacrosanta libertà di essere sé stessi, di non esibirsi, di conservare un giusto e delicato riserbo circa le proprie gioie, i propri dolori e le pene di famiglia; e soprattutto la libertà di fare il bene senza ostentazione, di aiutare i bisognosi per puro amore, senza vedersi obbligati a pubblicizzare queste opere di servizio agli altri”[13].

Mette in guardia da una eventuale mancanza di coerenza, di unità di vita, dal pericolo di snaturare la carità fino ad arrivare all’ingiustizia. Chiamarsi cristiano non è garanzia di voler bene alla gente. E allora dice che “non dobbiamo sorprenderci se molti, anche fra quelli che si considerano cristiani, si comportano in modo analogo: la prima cosa che pensano è il male. Senza averne le prove, lo presuppongono. E non solo lo pensano, ma si permettono anche di esprimerlo in pubblico con giudizi avventati”[14].

Il messaggio dell’Opus Dei ha bisogno della libertà come si ha bisogno dell’ossigeno per vivere. Dato che l’annuncio è una chiamata alla santità di tutte le persone mediante la santificazione del lavoro, della famiglia e delle relazioni sociali, la libertà appare come qualcosa di preliminare, come l’unico brodo di cultura adatto alla propagazione del messaggio.

Ma non tutti capirono questa radicale libertà del cristiano. La mancanza di comprensione è presente anche all’origine delle calunnie. Al livello più visibile, la buona fama fu la prima vittima. A un livello più profondo, che San Josemaría percepì immediatamente, la vera vittima era la libertà e il rispetto che si deve a ogni persona.

Per questo San Josemaría è stato un instancabile difensore della libertà: “Quanti di voi mi conoscono da più anni possono essermi testimoni che ho sempre predicato il criterio della libertà personale e della corrispondente responsabilità. Ho cercato e cerco la libertà, per tutta la terra, come Diogene cercava l’uomo. L’amo ogni giorno di più, l’amo al di sopra di tutte le cose terrene: è un tesoro che non apprezzeremo mai abbastanza”[15].

Snocciolerà poi la trama della calunnia; indicherà i metodi e le argomentazioni utilizzati per calunniare e come, seguendo un itinerario perverso, questi metodi si sono trasformati in usi accettati dalla società, primeggiando tra essi la presunzione di colpevolezza dell’altro, adottando il sospetto come norma. All’accettazione generalizzata di questi metodi e di queste argomentazioni ha contribuito il cattivo uso che, certe volte, si è fatto dei progressi tecnici nei mezzi di comunicazione, che spesso sono serviti da veicolo di ingiustizie.

La fine del percorso è la banalizzazione della calunnia, che calpesta la dignità della persona e il rispetto dovutole. La legge del sospetto sembra essersi imposta nelle relazioni individuali, sociali, economiche, ecc., e la fiducia è un valore in ribasso.

Continuando con le conseguenze della presunzione di colpevolezza e del sospetto, nasce il meaculpismo, anch’esso descritto da San Josemaría: “Per esempio, si parte spesso dal presupposto che tutti si comportino male, e allora, grazie a questo ragionamento assurdo, sembra inevitabile il ‘meaculpismo’, l’autocritica. Se uno non si butta addosso una tonnellata di fango, pensano che non solo è un perfetto mascalzone, ma anche un ipocrita e un presuntuoso”[16].

Le parole di San Josemaría risuonano oggi con la stessa forza e attualità di allora[17] e alludono all’importanza che le relazioni interpersonali poggino sulla verità e sulla carità, unico modo di generare fiducia nel corpo sociale.

La carità: dall’oscurità alla luce

San Josemaría analizzerà poi lo stupore dell’offeso, le sue reazioni, la sua situazione di vulnerabilità e il modo di affrontare con spirito cristiano le calunnie, con una disposizione di perdono. Alla fine descriverà come, nel conoscere Cristo, ha inizio nella persona un processo di trasformazione che la porterà a percepire la dignità di ogni persona e, di conseguenza, a un cambiamento nel suo sguardo e nelle sue relazioni. Il processo va dal pensare male come norma, alla giustizia e alla carità che inducono a rispettare e amare tutti, con conseguenze molto precise.

San Josemaría paragona l’esercizio e l’effetto della carità al passaggio dalla cecità alla luce. “Tra quelli che non conoscono Cristo ci sono molti galantuomini che, per un elementare riguardo, sanno comportarsi con delicatezza e sono sinceri, cordiali, educati. Se loro e noi lasciamo che Cristo guarisca quel resto di cecità che ancora ci offusca gli occhi [...], allora noi potremo vedere le realtà terrene e intravedere le realtà eterne con una luce nuova, con la luce della fede: avremo acquistato uno sguardo puro”[18]. Tutto ciò è conforme alla nostra dignità personale.

Proprio per questo, partendo dalla scena della guarigione del cieco nato raccontata da San Giovanni[19], egli si concentra non tanto nella guarigione del cieco, nel miracolo, ma negli atteggiamenti dei personaggi che intervengono: Gesù, i discepoli e i farisei. “Adesso vorrei soffermarmi su altri aspetti, e cioè sul fatto che, quando c’è amor di Dio, anche il cristiano non si sente indifferente alla sorte degli altri e sa trattare tutti con rispetto; viceversa, quando questo amore viene meno, c’è il pericolo di un’invasione fanatica e spietata della coscienza altrui”[20].

I personaggi del Vangelo guardano il cieco ognuno attraverso il proprio cuore: Gesù lo vede con gli occhi della misericordia e pensa di guarirlo; i discepoli domandano a Gesù quali sono i peccati che causano la cecità, se quelli del cieco o quelli dei suoi genitori, dando per scontato (come era abituale nel contesto religioso-culturale dell’epoca) che se qualcuno subisce una sventura è perché ha fatto qualcosa di male. I farisei, da parte loro, non vogliono credere a ciò che sta davanti ai loro occhi e tentano di forzare la realtà sino a farla coincidere con i loro pregiudizi.

San Josemaría descrive la graduale trasformazione dei discepoli nel loro contatto con Cristo e l’ostinata chiusura a Dio dei farisei. Nei primi vedremo come l’amore di Dio trasforma profondamente le persone, cambiando il paradigma dei loro rapporti con gli altri. I secondi, chiudendosi in sé stessi, si rifiuteranno di vedere il loro fratello, il cieco, e lo espelleranno dalla sinagoga, perché “questa cecità ha un’influenza immediata nei rapporti con i nostri simili”[21].

Grazie al contatto con Cristo, il cieco recupera la vista e i discepoli passano dall’oscurità alla luce: “Si regolavano su quel disgraziato proverbio: a pensar male non si sbaglia mai. Dopo, quando conoscono meglio il Maestro, quando si rendono conto di ciò che significa essere cristiani, le loro opinioni si ispirano alla comprensione”[22]. Da parte loro, i farisei si ostinano nella loro cecità convinti, come tanti, che chi sospetta sta nel vero ed è superiore agli altri. Cristo restituisce la luce al cieco e trasforma i suoi discepoli, però non riesce a restituire la luce ai farisei e rispetta anche la loro libertà.

Verso la fine dell’omelia San Josemaría invita il lettore ad affrontare le offese con le disposizioni di un cristiano trasformato: fare il proposito “di non giudicare gli altri, di non offendere nemmeno con il dubbio, di annegare il male nella sovrabbondanza del bene [...], di non rattristarci mai se la nostra condotta retta è capita male da altri [...], se il bene che cerchiamo di realizzare [...] è interpretato in modo distorto [...]. Perdoniamo sempre, col sorriso sulle labbra. Parliamo chiaramente e senza rancore, se in coscienza riteniamo di dover parlare. E lasciamo tutto nelle mani di Dio nostro Padre, con un silenzio divino [...], se si tratta di offese personali”[23].

2. L’atteggiamento nel caso di calunnie

Giustificazione

Fin qui abbiamo esaminato le fonti che determinano l’atteggiamento di San Josemaría verso il perdono. Ora è il momento di soffermarsi su come egli lo visse effettivamente e come reagiva alle offese, perdonando gli aggressori.

Le calunnie presero l’avvio quando l’Opera, fondata nel 1928, comincia a essere conosciuta a Madrid all’inizio degli anni Trenta[24]. Dopo l’intervallo della guerra civile spagnola, negli anni Quaranta e Cinquanta gli attacchi divennero particolarmente aspri[25]. Per esempio, fra gli altri, Mons. Pedro Cantero dava questa testimonianza: “Fu tale la violenza di quelle calunnie e di quegli attacchi che, se l’Opera fosse stata un fatto meramente umano, sarebbe stata distrutta o ne sarebbe uscita molto malconcia”[26]. Gli attacchi continuarono negli anni Sessanta e poi sino alla fine della sua vita nel 1975[27].

Per varie ragioni vogliamo concentrare la nostra attenzione su questi fatti.

La prima, il fatto che la calunnia e ogni nuova aggressione si protraevano nel tempo e richiedevano a San Josemaría di vivere in maniera eroica la carità e la fortezza. Si constata, nelle testimonianze di quelli che lo conobbero e nei suoi scritti, che il suo atteggiamento davanti alle offese rimase lo stesso sino alla fine della sua vita. Si nota una linea costante di perseveranza e di crescita nella carità. Come ricordava il Cardinale Bueno Monreal, “è forse in questo ambito che Josemaría ebbe modo di maturare, crescendo nella pratica eroica della carità”[28].

La seconda è che tutti quegli anni sono vincolati al lavoro fondazionale di San Josemaría: diffondere l’Opus Dei, spiegare il suo spirito, proteggere il carisma e fissare la sua natura giuridica all’interno della Chiesa. Le calunnie apparivano come un ostacolo all’espansione dell’Opera, ma nello stesso tempo erano dirette contro quella prima espansione e contro la persona del Fondatore[29].

La terza ragione è che le offese spesso provenivano da altri cattolici, ecclesiastici inclusi, che — pur dissentendo dai suoi punti di vista, dalle sue modalità apostoliche o dalla sua spiritualità — avrebbero dovuto trattarlo con carità. Il fatto che le offese venissero da cattolici o da ecclesiastici ne aumentava la gravità e il dolore provocato. Queste aggressioni si distinguevano da quelle ricevute durante la guerra civile, durante la quale egli venne perseguitato in quanto sacerdote.

In quarto luogo, il grado particolarmente offensivo dell’aggressione era dovuto alla calunnia. La calunnia lede la giustizia perché attacca l’onore e la fama. Lede anche la carità. È un tipo di danno i cui effetti, una volta attivati da chi offende, rimangono al di fuori della sua volontà, acquistano vita propria e si propagano come una metastasi che invade un corpo sano. La calunnia si ripete, e spesso viene accolta senza verificarne la verità o la falsità. La ripetizione genera stereotipi, sotto forma di cliché, poi molto difficili da cancellare. Ancora oggi sono in circolazione residui di calunnie lanciate in quegli anni, come del resto il Fondatore aveva previsto che sarebbe successo[30].

Una caratteristica della calunnia è anche il suo potenziale di violenza psicologica. A differenza di altre aggressioni, che durano un tempo determinato e poi cessano, la calunnia opera con continuità nel tempo e la sua durata è indeterminata, perpetuando il dolore. Questo può produrre nell’offeso, che viene così sottoposto a una tensione permanente, un’autentica tortura psicologica.

Infine, si deve precisare, in un altro ordine di cose, che, attenendoci ai fatti, rispecchiati nella rapida espansione dell’Opus Dei nel mondo, la grandissima maggioranza delle persone comprendeva la novità del messaggio dell’Opus Dei: “Molte migliaia di persone — milioni — hanno capito questo in tutto il mondo”[31].

Umiltà

Il primo atteggiamento che riscontriamo in San Josemaría, più che un atteggiamento è un punto di arrivo che condizionerà la risposta alle calunnie nel loro insieme. Gli attacchi alla sua fama propiziarono il progressivo distacco da sé stesso, già iniziato negli anni precedenti. Dio si servì delle campagne diffamatorie per condurlo per mano verso l’umiltà, la purificazione e la identificazione con Cristo nella sua Passione. Lo raccontava egli stesso, ricordando un momento preciso nel periodo più difficile, all’inizio degli anni Quaranta: “Arrivò un momento in cui una notte dovetti andare davanti al Tabernacolo [...] e dire: ‘Signore — e mi costava, mi costava perché sono molto superbo, e mi cadevano giù certe lacrime... —, se Tu non hai bisogno del mio onore, io perché lo voglio?’. Da allora non me ne importa un fico secco di niente”[32].

La frase “arrivò un momento” è rivelatrice del processo interiore di San Josemaría nel tempo, delle sue probabili angosce e resistenze interiori nell’ammettere che la sua fama venisse demolita, come qualcosa che Dio permetteva. La frase “se Tu non hai bisogno del mio onore, io perché lo voglio?” è il punto di arrivo a un grado di umiltà a partire dal quale non si preoccuperà più, fra gli altri aspetti, neppure della sua fama.

Quale fu, allora, l’atteggiamento di San Josemaría riguardo alle calunnie? Sul duplice fondamento della carità e dell’umiltà, sintetizzò la sua posizione nei confronti dell’offesa in un programma collaudato: “perdonare, tacere, pregare, lavorare, sorridere”[33].

Perdonare e pregare

L’atteggiamento di San Josemaría davanti alle calunnie fu quello di perdonare sempre e fin dal primo istante[34], e di pregare per le persone che lo avevano offeso. Era cosciente della propria debolezza come uomo e diceva che era capace di “tutti gli orrori e di tutti gli errori”[35]. Pensava che Dio lo perdonava sempre, che è il Dio della mano tesa. Se Egli ci perdona così, un cristiano dovrebbe fare lo stesso, sempre, anche lui.

“Potei vedere che la sua reazione di fronte agli attacchi — alcuni dei quali furono tremendi — era sempre soprannaturale e piena di carità. Ma vorrei chiarire che questo non implicava in lui un atteggiamento stoico, passivo o apatico. La sua reazione era dinamica, di moltissima orazione e mortificazione [...] e di totale fiducia in Dio”[36].

Il cumulo di calunnie avrebbe potuto lasciare in lui un fondo di amarezza, di diffidenza o di cinismo; ma, grazie al perdono concesso sempre e dal primo istante, egli divenne una persona profondamente umana e comprensiva. “In queste e in altre analoghe circostanze non notai mai in lui una reazione carica di rancore. Non era uomo da simili reazioni, ma abituato a comprendere, perdonare e dimenticare”[37].

Ricorriamo anche alla testimonianza su San Josemaría di Mons. Juan Hervás, fondatore dei Cursillos de Cristiandad. Questo prelato, negli anni Cinquanta del secolo scorso, subì una serie di calunnie a causa dei Cursillos. Nel pieno di queste contrarietà dovette andare a Roma, perché era stato accusato davanti al Sant’Uffizio. Essendo amico di San Josemaría, ne approfittò per incontrarsi con lui.

Alcuni anni dopo, nel 1976, ricordava quello che gli aveva detto, dopo che egli gli ebbe raccontato le pene che lo affliggevano in quel momento: “‘Non preoccuparti, sono benefattori, perché ci aiutano a purificarci. Li si deve amare e pregare per loro’, e calcava sulle parole quando insisteva sulla necessità di voler bene a coloro che non ci comprendono, di pregare per coloro che giudicano senza conoscere e insisteva sul dovere di prestare la nostra attenzione solo alla voce della Chiesa e non ai rumori della strada, e mantenere, con l’aiuto di Dio, il cuore pulito da amarezze e risentimenti. Che bene mi fecero le sue parole! Era la comunicazione di un’esperienza personale [...]. Quei consigli avevano una forza di convinzione enorme per l’autenticità con cui egli stesso li aveva vissuti e continuava a viverli anche allora”[38].

Come abbiamo visto, la decisione di perdonare richiede che l’offeso si liberi dal peso della serie di aggressioni. Questa liberazione, dal punto di vista psicologico, viene rafforzata dal fatto di pregare per l’aggressore: spostiamo il centro di attenzione da noi stessi all’altro, otteniamo una diversa percezione che possiamo avere dell’aggressore[39], allontaniamo da noi il vittimismo, ci mettiamo in qualche modo al loro posto e magari ci rendiamo conto che certe volte avremo contribuito a guastare la relazione. Pregare per chi ci ha aggredito ci conferma anche nella decisione di perdonare e bloccare ogni sfogo alla vendetta.

Tempo di tacere

“E lasciamo tutto nelle mani di Dio nostro Padre, con un silenzio divino — Iesus autem tacebat (Mt 26,63) —, se si tratta di offese personali, per brutali e indecorose che siano”[40].

San Josemaría distingueva, tra le calunnie, quelle che erano dirette contro la sua persona da quelle lanciate contro la Chiesa o l’Opus Dei.

Se erano dirette contro la sua persona, aveva preso la decisione di non difendersi. Scelse l’atteggiamento del silenzio, imitando Cristo nella sua Passione: “Personalmente non si difese mai, imitando in modo esimio l’esempio del Divino Maestro: Iesus autem tacebat[41].

Nel silenzio di Gesù scopriamo il suo desiderio di accogliere tutte le forme possibili di sofferenza dell’umanità, dandole un senso di redenzione. Qui sembra farsi carico delle sofferenze di quelli che non possono difendersi dalle offese, dalle ingiustizie, dalle violenze, ecc.; spesso si tratta di persone innocenti, come i bambini. Il silenzio di Cristo è un silenzio che dà voce a quelli che non hanno voce, che grida. San Josemaría volle identificarsi con Gesù anche in questo aspetto quando, potendo difendersi e avendone il diritto, non lo fece.

San Josemaría aveva meditato sul silenzio di Gesù, come si dimostra in Cammino: “Gesù..., in silenzio. ‘Iesus autem tacebat’. — Tu perché parli? Per trovare consolazione o per giustificarti? Taci. — Cerca la gioia nel disprezzo: ne riceverai in ogni caso meno di quanto ne meriti. — Puoi tu, forse, domandare: ‘Quid enim male feci?’ — che ho fatto di male?”[42].

Il silenzio del quale stiamo parlando è un silenzio esteriore. Nel suo intimo, invece, si può supporre un intenso dialogo con Dio, di progressiva identificazione, prima di tutto adottando la decisione di rinunciare a difendersi e, in secondo luogo, accettando e amando ogni situazione calunniosa concreta che si presentava. Si trattava di un silenzio volontario, cosciente, che non ha nulla a che vedere con la rassegnazione.

Il silenzio si muoveva secondo due direttrici. Da un lato, rinunciando a difendersi nel caso di attacchi personali; dall’altro, adottando la decisione di non parlare delle calunnie, personali o meno che fossero, né tra i suoi, se non in caso di necessità, né con gli estranei che non avessero un motivo per conoscerle, evitando alla radice qualunque possibile mancanza di carità.

Sulla stessa linea, anche per lunghi periodi, e con lo stesso fine di praticare la carità, San Josemaría osservò il silenzio sulle campagne diffamatorie scatenate su di lui. Molti episodi precisi, con nomi, date e circostanze, se li è portati nella tomba.

Volle inculcare nei suoi figli la stessa linea di condotta e chiese ai fedeli dell’Opera che avessero subito calunnie durante gli anni dell’espansione apostolica di non parlare fra loro di queste vicende per evitare la tentazione di mancare di carità verso le persone coinvolte[43].

Tempo di parlare

“Parliamo chiaramente e senza rancore, se in coscienza riteniamo di dover parlare”[44]. La sua costanza nel perdonare senza eccezioni era ben lontana da un semplice atteggiamento teso a evitare conflitti, a omettere obblighi con una carità sentimentale o a non indicare l’errore.

Perciò, quando le offese non erano rivolte a lui, ma alla Chiesa o all’Opus Dei, allora il suo senso di giustizia lo faceva intervenire, agire e parlare nei confronti dei responsabili. Nell’assetto della sua vita interiore, la carità modulava l’applicazione della giustizia e della fortezza evitando, da una parte, un falso perdono, che equivarrebbe a una omissione nell’esercizio della fortezza e una ingiustizia, e, dall’altra, una giustizia o una fortezza applicate con una freddezza e un rigorismo tali da non rispettare la dignità dell’offensore, e quindi da non essere virtù.

San Josemaría aveva una chiarissima coscienza di essere responsabile davanti a Dio che il carisma fondazionale restasse nitido e non perdesse d’integrità durante la sua trasmissione. Le calunnie contro l’Opera s’interponevano in questo processo e mettevano in pericolo sia lo spirito sia l’esistenza stessa dell’istituzione, soprattutto nei suoi primi momenti di vita.

Per questo, come fondatore, difendere l’Opera o i suoi figli spirituali era un dovere di giustizia. In questi casi entravano in gioco alcuni elementi distinti da sé stesso: il carisma dell’Opus Dei, le persone che s’incorporavano nella nuova fondazione e le altre che partecipavano agli apostolati. “Ci furono momenti in cui, incomprensibilmente, alcuni cercarono di distruggere la sua Opera o di impedirne lo sviluppo. Josemaría metteva in atto tutti i mezzi per chiarire la verità, perché lo esigeva la carità: non si doveva lasciare nessuno nell’errore. Ma poi, con le persone, la comprensione: non l’ho mai sentito parlar male di qualcuno”[45].

Faceva distinzione tra il perdono, la giustizia e la proclamazione della verità. Perdonare non significa rinunciare alla verità. Perdonava quelli che lo calunniavano, ma non rinunciava al diritto di difendere e spiegare lo spirito dell’Opera. Scriveva nel 1961: “Ho sempre cercato di rispondere con la verità, senza iattanza e senza orgoglio, anche quando i calunniatori erano maleducati, arroganti, prevenuti e privi del più piccolo segno di umanità”[46].

Anche alcuni anni più tardi, a partire dal 1970, in momenti di grave crisi in seno alla Chiesa, San Josemaría diede dimostrazioni di coraggio, fortezza e amore alla verità nel difendere pubblicamente, davanti a migliaia di persone, la Chiesa e il Papa[47].

Lavorare e sorridere

Uno degli effetti della calunnia è una sorta di potere paralizzante. Si comporta come un veleno sul sistema nervoso centrale dell’anima. La vittima, vedendosi danneggiata nella propria reputazione, sente la terra aprirsi sotto i piedi e non desidera altro che passare inosservata. Quelli che subiscono le calunnie “non sanno dove volgere gli occhi: rimangono sgomenti, non le credono possibili, e magari pensano che si tratti di un incubo”[48].

Per questo, nel momento di conseguire un bene, la calunnia rappresenta un ostacolo formidabile, perché si ha la tentazione di desistere. Insieme a un abbattimento naturale, nasce il timore di continuare a operare e cedere alla paura appare un modo per evitare nuove offese. Anche la persistenza delle calunnie e la loro diffusione possono far nascere dubbi sul proprio progetto e sulla certezza di operare a fin di bene: “Se in tanti sono contrari, comprese alcune personalità della Chiesa, non sarà che mi sto sbagliando?”. Sembra ragionevole che una domanda del genere si faccia strada nel suo intimo. È realmente difficile mettersi al posto di una persona calunniata, dati i timori, le pene, le angosce e i dubbi che si possono generare.

La disposizione a lavorare evita il pericolo della paralisi alla quale la calunnia invita. Lavorare significava tenersi lontano dalle lamentele sterili, non perdere tempo a criticare l’avversario, non rimanere ossessionato dalla calunnia. Non si trattava di una risposta formulata sulla base della passività, ma, come dicevamo prima, di una risposta dinamica, dovuta a una decisione che, partendo da una “totale fiducia in Dio”[49], imponeva di pregare e continuare a lavorare. Lavorare voleva dire anche difendere la verità quando e prima che fosse necessario, trasmettere fede e certezza ai suoi figli e continuare con lo sviluppo degli apostolati.

In questo senso, Mons. Santos Moro ha lasciato scritto: “Ho molto ammirato il suo atteggiamento di pazienza e, allo stesso tempo, di fortezza nel continuare con passo sicuro, saldo e senza cedimenti, portando a compimento quello che Dio gli chiedeva, con assoluta fiducia in Lui”[50].

Questo atteggiamento lascia trasparire una fede gigantesca in Dio e nel carisma che aveva ricevuto, molta carità nel perdonare, la speranza che Dio avrebbe appianato le difficoltà e, come frutto delle tre virtù, anche fortezza, equilibrio, sicurezza, serenità, pace interiore e gioia.

Soffermiamoci sulla gioia, l’ultimo atteggiamento che esaminiamo, alla quale si riferiva col termine sorridere. Sorridere è conseguenza dell’amare la volontà di Dio che permette un’accusa tanto ingiusta.

La tristezza, la preoccupazione, la mancanza di serenità, e magari la diminuzione della fiducia in Dio e il pessimismo, sono frutti naturali della calunnia per la posizione in cui colloca la sua vittima. San Josemaría descriveva l’angoscia caratteristica del calunniato ricordando “il racconto di Susanna, la donna casta che venne ingiustamente accusata di disonestà da due anziani corrotti [...]. Quante volte l’insidia degli invidiosi e degli intriganti mette persone oneste in questa stessa situazione! Le si pone di fronte a questa alternativa: offendere Dio oppure vedersi rovinata la reputazione. L’unica soluzione nobile e degna è, allo stesso tempo, estremamente dolorosa, dovendo prendere questa decisione: ‘Meglio per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore’ (Dn 13,23)”[51].

Per questo sono di grande interesse le testimonianze di quanti lo frequentarono in quell’epoca, perché in esse si riscontra una stabilità d’animo costante, nel clima calunnioso nel quale visse per tanto tempo: “Io stesso mi meraviglio ora di poter affermare di non averlo mai visto preoccupato; intendo dire che non ho mai notato che potesse attraversare un momento difficile. Non c’è dubbio che la sua fede in Dio, la sua speranza nell’aiuto di Dio suo Padre e, di conseguenza, la sua serenità e il suo senso umoristico gli consentivano non solo di non perdere la pace, ma altresì di comunicare agli altri una enorme fiducia che si sarebbe compiuto quello che Dio voleva”[52].

Nella testimonianza di Mons. Pedro Cantero, che riproduciamo qui sotto, appare di nuovo il carattere sacerdotale dell’identificazione con Cristo, adesso come sorgente della gioia. San Josemaría concepì questa virtù come una ricompensa all’adesione amorevole alla volontà di Dio Padre.

“Mi sconvolge ora ricordare che mai — qualunque cosa accadesse — perse il suo caratteristico sorriso. Non era il sorriso facile di un uomo bonaccione al quale tutto andava bene o di chi non si rende conto di ciò che accade; era la manifestazione esterna della sua pace interiore: quella pace che proveniva dall’abbracciare con tutto il suo cuore una croce le cui dimensioni nessuno di noi conosceva con esattezza. Era la gioia e la pace che provengono dal nascondersi nelle piaghe del Signore: dall’accettare, quando le situazioni sono dure, la volontà di Dio che ci vuole identificare con suo Figlio in Croce”[53].

3. Il perdono come stile di convivenza e la cultura della pace

I parametri culturali e il perdono

Il messaggio del perdono, la sua adozione pratica tra i cristiani e la sua assimilazione nella cultura e nella legislazione sono stati fattori che hanno civilizzato la cultura occidentale. Eppure oggi il perdono lo troviamo in alcune correnti culturali predominanti che lo snaturano, rendono difficile intenderlo e ancor più praticarlo.

Il regresso del perdono può essere individuato nel deterioramento delle relazioni personali, nella crescente incapacità di ripristinare i rapporti personali interrotti, nelle relazioni familiari portate nelle aule giudiziarie, o nella preoccupazione e nel timore di vivere in una società satura di polemiche, di conflitti e, certe volte, di violenze[54].

Ricorderemo tre di queste correnti, limitandoci alla loro ripercussione sul perdono.

Secondo il relativismo, è la decisione della persona che determina la bontà o la cattiveria dei suoi atti, senza che siano necessari riferimenti oggettivi. Questa prospettiva soggettivista tende anche a scusare i comportamenti personali, e di conseguenza ad attenuare e cancellare la colpa. Senza una coscienza dell’offesa non c’è colpa, e senza colpa non c’è la necessità di chiedere perdono[55]. Il relativismo conduce anche alla banalizzazione del male, che rafforza l’assenza di colpa, stempera le frontiere dell’offesa e rende inutile il perdono. Il relativismo elimina ugualmente la possibilità di condividere una serie di principi nei quali sia dato riconoscere l’altro, anche quando ci offende.

L’individualismo, da parte sua, sostiene l’autonomia radicale della persona, che non concepisce la necessità di essere salvata da qualcosa o da qualcuno estraneo a sé stesso, né che il proprio comportamento influisca sugli altri[56]. La presenza del perdono nelle relazioni interpersonali significa che si accetta l’esistenza di una fraternità universale e la fragilità dell’essere umano, che completa la verità sulla persona nella società. Non possiamo, senza il pericolo di arrecarci danno, eliminare artificiosamente quelle realtà che ci ricordano che dipendiamo gli uni dagli altri[57].

L’individualismo ostacola l’atteggiamento di mettersi nei panni dell’altro. “Alla comprensione del grande mistero dell’espiazione è poi di ostacolo, però, anche la nostra concezione individualistica dell’uomo: non riusciamo più a capire il significato della vicarietà, perché secondo noi ogni uomo vive isolato in sé stesso; non siamo più in grado di capire il profondo intreccio di tutte le nostre esistenze e il loro essere abbracciate dall’esistenza dell’Uno, del Figlio fattosi uomo”[58].

Per chi deve perdonare, l’individualismo può condurre a forme distorte di perdono; un esempio fra i tanti: concederlo mediante la volontà di potere, non mediante la gratuità, come se il destino dell’offensore stesse nelle nostre mani e la sua liberazione dalla colpa dipendesse esclusivamente da noi[59].

La terza corrente è l’edonismo, che induce a evitare la sofferenza, presente in tutti i conflitti, perché “la colpa è una realtà, una forza oggettiva; essa ha causato una distruzione che deve essere superata”[60].

Nel perdono è sempre presente il dolore. “La colpa deve essere smaltita, sanata e così superata. Il perdono ha il suo prezzo — innanzitutto per colui che perdona: egli deve superare in sé il male subito, deve come bruciarlo dentro di sé e con ciò rinnovare sé stesso, così da coinvolgere poi in questo processo di trasformazione, di purificazioni interiori anche l’altro, il colpevole, e ambedue, soffrendo fino in fondo il male e superandolo, diventare nuovi”[61].

Anche chiedere perdono ha un suo prezzo: l’espiazione[62], la riparazione dell’ordine spezzato dall’offesa e il ritrovare la verità su sé stesso, tradita dall’offesa commessa. È il processo del riconoscimento della verità, del pentimento, della richiesta di perdono, della riparazione e dell’impegno di evitare nuove offese[63].

Non esistono scorciatoie al perdono. Tentare di arrivare a esso e alla liberazione dalla colpa senza accettare il dolore, rende difficile il perdono e promuove anche la proliferazione di falsi perdoni[64], che non faranno altro che perpetuare le ferite e impedire la chiusura del ciclo di offese[65].

L’influenza generale di queste correnti culturali sulla società ha come risultato la creazione di una rete di relazioni fondate sull’interesse. Quando queste relazioni saranno quelle dominanti, avremo costruito una società che, culturalmente, non capirà bene la necessità degli atti gratuiti, e quindi del perdono, l’atto gratuito per eccellenza.

Per questo Benedetto XVI, avendo individuato questi sintomi nelle nostre società, ha scritto che “la ‘città dell’uomo’ non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio”[66]. L’esistenza di atti gratuiti garantisce la consistenza dell’amore nella vita di ciascuno di noi e nella società. La carità non può far parte solo della periferia delle relazioni sociali, ma deve starne al centro[67].

Un effetto globale: “seminatori di pace e di gioia”

L’essere umano è relazionale, e aver cura delle piccole relazioni ha un effetto capillare e moltiplicatore. La carità opera in circoli concentrici, da dentro verso fuori, al contrario di ciò che accade con il ciclo offesa-vendetta che si rappresenta come una spirale che assorbe verso il suo centro distruttivo ciò che trova al passaggio.

Su questo punto, Benedetto XVI avverte che la carità “dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici”[68].

Il perdono dev’essere una risorsa vissuta sul campo, interiorizzato attraverso la carità e praticato nel matrimonio, nella famiglia[69], nella scuola, nell’amicizia, nel lavoro, in tutte le situazioni. Il perdono non dev’essere più un fatto predicato e poco praticato, ma deve trasformarsi in una esperienza quotidiana dello “stile di vita”[70] del cristiano rinnovato. Il perdono non è una formula da usare eccezionalmente.

L’unità di vita predicata da San Josemaría, che è una chiamata alla coerenza di vita cristiana, richiede che il perdono sia vissuto sempre e sin dal primo momento. Per questo sarà abituale la pratica del perdono nella vita normale. Altrimenti, dalla propria natura aggressiva, dalla piccola offesa, si passerà ai sentimenti negativi e alla incomunicabilità[71].

Si dice che bisogna imparare a perdonare[72]. Forse, se si pensa alla carità come sorgente del perdono, sarebbe più esatto dire che occorre imparare a voler bene, ad amare: amare Dio e, grazie a Lui, amare il prossimo, anche nel caso in cui offenda[73]. Se non si perdona, non si ama. Il problema del perdono può consistere in questo: come praticarlo quando l’offesa è stata commessa e l’emotività si scatena; o quando la vergogna della colpa si presenta come un sentimento insuperabile e la verità dell’offesa appare troppo cruda per essere affrontata. In tal senso, può sicuramente essere necessario un apprendimento: come si perdona? Quali passi bisogna fare? Con che cosa ci si deve confrontare?

Molti autori — quale che sia la prospettiva: religiosa, psicologica, politica, sociale, ecc. — sono praticamente d’accordo sugli stessi punti[74]: verità (riconoscimento), pentimento (dispiacere per il danno causato), pubblicità (chiedere perdono all’offeso); come conseguenze: l’impegno di non offendere di nuovo e la riparazione (ristabilimento della situazione precedente)[75].

Per sapere che cos’è il perdono, è necessario aver fatto l’esperienza di concederlo e di riceverlo; e così scoprire come ben si attagli alla dignità dell’uomo e vi si compenetri, come si adegui alla nostra psicologia, alla nostra affettività e alla bellezza dei suoi effetti. Come scrive Alejandro Llano, il termine “perdono” “è l’unico che semina pace e che, se si ripete sinceramente e si procede di conseguenza, finisce con l’avere un effetto performativo, vale a dire, produce ciò che significa”[76].

Il risentimento e la vendetta guardano al passato e là si fermano, facendo nascere sentimenti aggressivi. Ugualmente, il rifiuto del perdono concesso imprigiona nel passato e ostacola i rapporti nel presente e nel futuro. Viceversa, il perdono supera il passato grazie all’amore, alla verità, alla giustizia e alla sofferenza, aprendo nuove opportunità di futuro, rinnovando i rapporti a partire dall’intimità dell’uomo. A che cosa paragoneremo il perdono? È come un “battesimo antropologico” che ci rigenera a una nuova vita di relazione. Vedremo allora che il perdono, personalmente sperimentato, dato e ricevuto, “sta a testimoniare che [...] l’amore è più forte del peccato”[77].

“È grande la nostra responsabilità, perché essere testimoni di Cristo presuppone innanzitutto un comportamento degno della sua dottrina e quindi anche la lotta necessaria affinché la nostra condotta ricordi Gesù, evocando la sua figura amabilissima. La nostra condotta deve essere tale che gli altri possano dire, vedendoci: ecco un cristiano, perché non odia, perché sa comprendere, perché non è animato da zelo fanatico, perché domina i suoi istinti, perché si sacrifica, perché manifesta sentimenti di pace, perché ama”[78].

[1] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 71.

[2] SAN JOSEMARÍA, Camino, Edición histórico-crítica preparata da P. RODRÍGUEZ, Hinstituto Histórico Josemaría Escrivá, Rialp, Madrid 2002, punto 283: “e vivrai l’intimità con Dio..., conoscerai la tua miseria..., e ti deificherai... con una deificazione che, nell’avvicinarti a tuo Padre, ti renderà più fratello dei tuoi fratelli, gli uomini”. Vedi anche commento, p. 457.

[3] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 70.

[4] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 68.

[5] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 70.

[6] Cfr. Á. DEL PORTILLO, Intervista sul Fondatore dell’Opus Dei, a cura di C. CAVALLERI, Ares, Milano 1992, p. 109.

[7] Scrive Peter Berglar: “Benché costi crederlo, nella campagna contro l’Opera, organizzata in Spagna negli anni Quaranta da pochi e decisi avversari, giocava un ruolo importante anche la gelosia suscitata dalla grande attrattiva che l’apostolato della giovane famiglia spirituale esercitava su tutto il Paese. Dalla gelosia all’invidia il passo è breve, quanto basta per cadere, se si perde l’equilibrio, dalla fragilità nella malizia”, P. BERGLAR, Opus Dei. La vita e l’opera del fondatore Josemaría Escrivá, Rusconi, Milano 1987, p. 219.

[8] Proprio in quegli anni alcuni membri dell’Opus Dei cominciarono ad avere una certa rilevanza pubblica nella vita sociale o politica. I calunniatori sostenevano che l’Opus Dei operava attraverso queste persone, secondo una precisa strategia politica. San Josemaría interviene nella polemica, a difesa di un aspetto essenziale dello spirito dell’Opus Dei: “Da oltre trent’anni ho detto e scritto in mille modi che l’Opus Dei non ha nessun fine temporale, politico, ma cerca soltanto ed esclusivamente di diffondere tra le genti di ogni razza, di ogni condizione sociale e di ogni Paese la conoscenza e la pratica della dottrina di salvezza portata da Cristo”, È Gesù che passa, n. 70. Sugli insegnamenti di San Josemaría intorno alla formazione cristiana e alla libertà nelle materie sociali e politiche, cfr. Á. RODRÍGUEZ LUÑO, Conciencia cristiana y cultura política en las enseñanzas de San Josemaría Escrivá de Balaguer, Conferenza pronunciata durante le XLVI Giornate di Questioni Pastorali, Secularismo y cultura de la fe, Castelldaura, 25 e 26-I-2011; disponibile in http://jornadacastelldaura2011.wordpress.com.

[9] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 72.

[10] Per maggiori approfondimenti intorno alla relazione tra libertà e missione apostolica cfr. M. RHONHEIMER, Transformacíon del mundo. La actualidad del Opus Dei, Rialp, Madrid 2006, cap. IV, pp. 91-116.

[11] La libertà è uno dei temi centrali del messaggio di San Josemaría. In tal senso, il filosofo Cornelio Fabro scriveva: “In piena sintonia col Concilio Vaticano II — e si potrebbe anche dire, superandolo in audacia —, Monsignor Escrivá de Balaguer propone come primo bene per rispettare e stimolare l’impegno temporale del cristiano, proprio la libertà personale. Solo se si difende la libertà individuale degli altri, con la conseguente personale responsabilità, si potrà, con onestà umana e cristiana, difendere allo stesso modo la propria”, C. FABRO, “Un maestro della libertà cristiana”, in L’Osservatore Romano, 2-VII-1977.

[12] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 69.

[13] Ibid.

[14] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 67.

[15] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 184.

[16] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 69.

[17] Oggi più che mai, a causa dei mezzi tecnici di divulgazione (principalmente Tv e Internet), crescono contemporaneamente la gravità della calunnia, dato che arriva a più persone, e la sua banalizzazione, a causa della frequenza e dell’accettazione.

[18] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 71.

[19] Cfr. Gv 9,1-41.

[20] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 67.

[21] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 71.

[22] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 72.

[23] Ibid.

[24] Cfr. Á. DEL PORTILLO, Intervista, cit., p. 109.

[25] Cfr. A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, Leonardo International, Milano 2003, vol. II, dove si tratta ampiamente il tema, specialmente nelle pp. 475-570.

[26] AA. VV., Un Santo per amico. Testimonianze sul Beato Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, Ares, Milano 2001, p. 74, testimonianza di Mons. Pedro Cantero. In questo libro sono raccolte le testimonianze di persone che ebbero rapporti personali col Fondatore. Esse confermano la gravità delle calunnie e tracciano una panoramica circa gli atteggiamenti adottati da San Josemaría nel riceverle.

[27] Cfr. Á. DEL PORTILLO, Intervista, cit., pp. 115-116.

[28] AA. VV., Un Santo per amico, cit., p. 27, testimonianza del Cardinale José María Bueno Monreal.

[29] Le calunnie sono legate alla prima espansione perché ebbero l’effetto indiretto che il messaggio dell’Opus Dei arrivasse a persone e in luoghi non previsti.

[30] “Il peggio è che, probabilmente, queste deformazioni e questo modo falso di ritenere cattive le cose più sante rimarranno radicati, incrostati, nello spirito di molta gente e forse di una generazione intera. E potranno essere la causa di una terribile ostinazione a non riconoscere la verità”, Lettera 29-XII-1947/14-II-1966, n. 67, citata da A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, vol. II, cit., p. 589.

[31] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 70.

[32] Postulazione della causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, Sacerdote, Fondatore dell’Opus Dei, Articoli del Postulatore, Roma 1979, n. 1034, p. 348.

[33] Á. DEL PORTILLO, Intervista, cit., p. 116.

[34] “Sfòrzati, se è necessario, di perdonare sempre coloro che ti offendono, fin dal primo istante, perché, per quanto grande sia il danno o l’offesa che ti fanno, molto di più ti ha perdonato Iddio”, SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 452. Vedi il commento a questo punto in Camino, Edición histórico-critica, cit., pp. 596-597.

[35] SAN JOSEMARÍA, Camino, Edición histórico-critica, cit., commento al punto 45, p. 257.

[36] AA. VV., Un Santo per amico, cit., p. 196, testimonianza di Mons. José López Ortiz.

[37] AA. VV., Un Santo per amico, cit., p. 338, testimonianza del P. Silvestre Sancho Morales, O.P. Circa il perdono e la dimenticanza, la questione non consiste tanto nel dimenticare o non dimenticare, perché alcuni fatti non si possono cancellare dalla memoria. “Non si tratta di dimenticare quanto è avvenuto, ma di rileggerlo con sentimenti nuovi, imparando proprio dalle esperienze sofferte che solo l’amore costruisce, mentre l’odio produce devastazione e rovina. Alla ripetitività mortificante della vendetta occorre sostituire la novità liberante del perdono”, BEATO GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1-I-1997. Nella stessa direzione di distinguere la decisione di perdonare dall’aspetto emotivo e psicologico, il Compendio del CCC, al n. 595, dice: “La misericordia penetra nel nostro cuore solo se noi pure sappiamo perdonare, perfino ai nostri nemici. Ora, anche se per l’uomo sembra impossibile soddisfare questa esigenza, il cuore che si offre allo Spirito Santo può, come Cristo, amare fino all’estremo della carità, tramutare la ferita in compassione, trasformare l’offesa in intercessione”.

[38] AA. VV., Un Santo per amico, cit., p. 175, testimonianza di Mons. Juan Hervás Benet.

[39] Vedi il punto 802 di Forgia, alla fine, dove, dopo aver chiamato “benefattori” quelli che cercavano di danneggiarlo, diceva: “E finirà che, a forza di raccomandarli a Dio, ti diventeranno simpatici”.

[40] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 72.

[41] AA. VV., Un Santo per amico, cit., p. 95, testimonianza di Mons. Laureano Castán Lacoma.

[42] SAN JOSEMARÍA, Camino, Edición histórico-crítica, cit., n. 671. Vedi anche il commento, p. 773.

[43] Nel 1941 la persecuzione e le calunnie si scatenarono con estrema virulenza a Barcellona. Nel maggio del 1942 San Josemaría scriveva al direttore dell’unico centro dell’Opus Dei esistente in quella città: “+ Gesù benedica i miei figli e me li protegga. Carissimi, dobbiamo rallegrarci perché il Signore ci tratta alla maniera divina. Che cosa posso dirvi? Di essere felici, spe gaudentes!; di soffrire pieni di carità, senza che dalle vostre labbra esca neppure una sola parola sgradevole per chicchessia, in tribulatione patientes!; di riempirvi di spirito di orazione, orationi instantes! Figli: già si intravede l’aurora; e quanto sarà abbondante il raccolto, nella vostra benedetta Barcellona, nel nuovo giorno! Siate fedeli. Vi benedico. Un abbraccio da vostro Padre, Mariano”, Lettera a Rafael Termes Carreró, da Madrid, 2-V-1942, citata da A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, vol. II, cit., p. 500; per i fatti di Barcellona vedi pp. 496-516.

[44] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 72.

[45] AA. VV., Un Santo per amico, cit., p. 54, testimonianza di Mons. Abilio del Campo y de la Bárcena. Nello stesso senso, Mons. Laureano Castán Lacoma, pp. 89-100.

[46] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 70.

[47] A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, Leonardo International, Milano 2004, vol. III, dove si raccontano i viaggi apostolici nella Penisola iberica nel 1972, pp. 610-623, e in Sud- e Centro-America nel 1974 e 1975, pp. 660-694.

[48] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 68.

[49] AA. VV., Un Santo per amico, cit., p. 196, testimonianza di Mons. José López Ortiz.

[50] AA. VV., Un Santo per amico, cit., p. 217, testimonianza di Mons. Santos Moro Briz.

[51] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 68.

[52] AA. VV., Un Santo per amico, cit., pp. 26-27, testimonianza del Cardinale José María Bueno Monreal.

[53] AA. VV., Un Santo per amico, cit., p. 74, testimonianza di Mons. Pedro Cantero.

[54] Cfr. Z. BAUMAN, Miedo liquido. La sociedad contemporánea y sus temores, Paidós, Barcellona 2007.

[55] “Credo che il nucleo della crisi spirituale del nostro tempo abbia le sue radici nell’oscurarsi della grazia del perdono [...]. L’uomo non può sopportare la pura e semplice morale, non può vivere di essa; essa diviene per lui una ‘legge’, che provoca il desiderio di contraddirla e genera il peccato. Perciò là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto e non vi si crede, la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai propriamente verificarsi. A grandi linee si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità”, J. RATZINGER, La Chiesa. Una comunità sempre in cammino, V, 4, III ed., San Paolo, 2008, p. 131.

[56] Hannah Arendt considera il perdono come una interdipendenza tra le persone quando dice che “il perdono [...] attuato in solitudine e in isolamento manca di realtà e non ha altro significato che quello di un ruolo svolto per sé stesso”, H. ARENDT, La condición humana, cit., p. 257.

[57] L’interdipendenza di tutte le persone si può cogliere sul piano naturale, per esempio, in base ai Crimini contro l’Umanità, dove si capisce che chi li commette attenta non solo a un essere umano singolo, o a un determinato ordine giuridico, ma offende tutta l’umanità. Il concetto della fraternità universale lo troviamo anche nel Ubuntu, uno squarcio della visione africana del mondo, oggi più conosciuto per la sua influenza nell’evoluzione del Sud-Africa. Cfr. D. TUTU, No future, cit., pp. 34-36. Sulla “dipendenza” come concetto antropologico rilevante, cfr. A. MACINTYRE, Animales racionales y dependientes, Paidós, Barcellona 2001.

[58] BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret (I), Bur Rizzoli, Milano 2011, p. 191.

[59] Cfr. J. BURGGRAF, “Aprender a perdonar”, articolo pubblicato in Diálogos Almudí, 6-VI-2004.

[60] BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret (I), cit., p. 190.

[61] Ibid.

[62] Per una concezione antropologica dell’espiazione, cfr. R. GIRARD, Veo a Satán caer como un rayo, Anagrama, Barcellona 2002.

[63] Il fatto che il perdono abbia come presupposti la verità e la giustizia non mitiga l’incondizionalità del perdono, né la sua essenziale gratuità. Dal punto di vista dell’offeso, il perdono si deve concedere in maniera incondizionata. È l’offensore che non otterrà il perdono concesso (la liberazione dalla colpa) se non riscatta il prezzo dell’offesa mediante la verità e la riparazione. Quando tutti gli elementi si completano, si può dare adito alla riconciliazione. Il perdono favorisce così la via della giustizia. Cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, III ed., 2004, n. 518.

[64] Cfr. M. LÓPEZ GUZMÁN, Desafíos del perdón después de Auschwitz. Reflexiones de Jankélévitch desde la Shoa, San Paolo, 2010, pp. 63-121, dove si fa un’analisi dei falsi perdoni, basati su cause diverse.

[65] “Colpa chiama ritorsione; si forma così una catena di indebitamenti, in cui il male della colpa cresce di continuo e diventa sempre più difficile sfuggirvi. [...]: la colpa può essere superata solo attraverso il perdono, non attraverso la ritorsione”, BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret (I), cit., p. 189.

[66] BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, n. 6.

[67] Con “periferia” ci riferiamo all’attività assistenziale, ONG e altre. Si potrebbe pensare, o agire nella pratica, come se questo àmbito fosse quello caratteristico degli atti gratuiti, mentre quello del mondo delle relazioni di lavoro, giuridiche, economiche, ecc., fosse l’àmbito degli atti dovuti, utili, ecc., senza che la carità dovesse informarli. Inversamente, nell’àmbito assistenziale, occorre attenersi anzitutto alla giustizia, perché “la giustizia è la prima via della carità o, com’ebbe a dire Paolo VI, ‘la misura minima’ di essa”, BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, n. 6.

[68] BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, n. 2.

[69] La famiglia è il luogo paradigmatico degli atti gratuiti. È in questo ambito di micro-perdono che i minorenni possono sperimentare il perdono e imparare a sanare le situazioni che potrebbero generare aggressività, a evitare le offese. Si impara a chiedere perdono, a concederlo, a superare il rancore e la vendetta, ad amare gratuitamente, a essere comprensivo, ad acquisire il senso della giustizia, a rispettare gli altri. Occorre fare riferimento anche alla solidità della famiglia, che è per sé stessa una base di apprendimento di amore e perdono. Nei casi di separazione, la prole perde spesso il riferimento dell’amore e degli affetti. D’altra parte, la famiglia svolge un ruolo unico, perché ha il potere di interrompere la corrente degli odi che si trasmettono di generazione in generazione, di padre in figlio. Accade con frequenza che il rancore ereditato conviva con la pratica religiosa, di modo che si educano i figli in una religione degenerata. È necessario purificare la memoria familiare.

[70] BEATO GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1-I-1997.

[71] “E la stessa cosa avviene nei rapporti con gli altri: si comincia con un piccolo sgarbo, e si finisce per voltare le spalle al prossimo, nella più gelida indifferenza”, SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 15.

[72] Cfr. J. STERNBERG e K. STERNBERG, La naturaleza del odio, Paidós, Madrid 2010, p. 258.

[73] Il perdono, così come lo si intende nel cristianesimo, non è sicuramente una tecnica, una terapia o una esperienza salutare, anche se può avere questi effetti. Il CCC, nel contesto del perdono, commentando il “come io vi ho amato” (Gv 13,34), dice: “È impossibile osservare il comandamento del Signore, se si tratta di imitare il modello divino dall’esterno. Si tratta invece di una partecipazione vitale, che scaturisce ‘dalla profondità del cuore’, alla Santità, alla Misericordia, all’Amore del nostro Dio”, CCC, n. 2842.

[74] Cfr., per esempio, D. TUTU, No future, cit., pp. 218-219; J. STERNBERG e K. STERNBERG, La naturaleza, cit., pp. 258-259.

[75] Il parallelismo con gli atti del Sacramento della Riconciliazione suggerisce che questo può essere considerato come un modello del perdono, non solo rispetto a Dio, ma anche tra persone, istituzioni e anche società.

[76] A. LLANO, Segunda navegación, Memorias 2, Encuentro, Madrid 2010, p. 294.

[77] CCC, n. 2844.

[78] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 122.

Romana, n. 53, Luglio-Dicembre 2011, p. 348-366.

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