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Durante l’ordinazione sacerdotale di fedeli della Prelatura, Santuario di Torreciudad, Spagna (2-IX-2012)

Carissimi fratelli e sorelle,

carissimi ordinandi,

pochi giorni fa ho riletto un brano di San Josemaría; parlava della missione dell’Opera di Dio nel mondo e ci diceva: “Stiamo percorrendo un cammino divino, nel quale dobbiamo seguire le orme di Gesù Cristo, portando la nostra croce personale, la Santa Croce! Dio Nostro Signore si aspetta che noi ci impegniamo con generosità, che ci sentiamo felicissimi, cooperando con sacrificio perché l’Opera si realizzi”[1]. Queste considerazioni sono molto appropriate per chi tra pochi minuti riceverà il sacramento del Sacerdozio, e penso che lo siano anche per tutti i cattolici per ciò che riguarda il nostro comune servizio alla Santa Chiesa. Come affermava il Fondatore dell’Opus Dei, la Prelatura è una particella della Chiesa, e se non è in grado di servirla — aggiungeva perentoriamente —, sia distrutta!

In questa domenica, giorno del Signore, sapendo di essere, ognuno di noi, membra del Corpo Mistico di Cristo, rendiamo grazie a Dio per l’ordinazione presbiterale di questi tre nostri fratelli e, contemporaneamente, preghiamo con fervore la Trinità Santissima perché risvegli in ognuno di noi che ci troviamo qui, in questo Santuario della Madonna, un profondo ed efficace senso di anima sacerdotale, che a tutti noi è stato infuso attraverso il sacramento del Battesimo.

Rifletteremo sul fatto che siamo portatori di Cristo; e questa responsabilità santa, perché Dio ha voluto contare su di noi, ci deve spingere a coltivare un rapporto più da vicino con Cristo, a conoscerlo più intimamente e a farlo conoscere. Nulla è più lontano da tale fiducia che il Cielo ci dimostra, di un atteggiamento passivo o di disinteresse. Dobbiamo impegnarci ogni giorno a lasciare più spazio a Dio nelle nostre anime — direi che questo spazio dev’essere totale —, per metterci nelle condizioni di trasmettere al mondo, e più esattamente ai nostri familiari, ai nostri colleghi di lavoro, ai nostri amici, l’incomparabile gioia della nostra condizione di figli di Dio; e anche affinché, per Lui — per Cristo —, con Lui e in Lui — come recitiamo nella dossologia finale della Preghiera eucaristica — ci adoperiamo per trasformare in un lavoro divino le varie attività nelle quali siamo occupati.

Gesù ha ordinato ai dodici Apostoli: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura”[2]. È una esortazione che rivolge anche a noi, nessuno escluso; un compito che possiamo portare a buon fine — non è difficile, ma richiede lotta — mediante una condotta coerente con la grazia che Dio infonde in noi continuamente. Non dobbiamo dubitare: se ci comportiamo così, se diamo testimonianza della nostra fede, senza rispetti umani, non poche persone ci interrogheranno sul motivo del nostro atteggiamento o si sentiranno coinvolte, e avremo tante opportunità di dare ragione della nostra speranza, di trasmettere il tesoro della fede. Come sappiamo, il Papa Benedetto XVI ha indetto l’Anno della fede con la Lettera apostolica Porta fidei, non soltanto a nostro beneficio personale, ma perché scopriamo o ricordiamo alle persone la felicità di essere, tutti quanti, figli di Dio, che tutti chiama alla sua amicizia. Così si esprimeva in questo documento, riprendendo un passo dell’omelia pronunciata all’inizio del suo Pontificato: «La Chiesa nel suo insieme, e i Pastori in essa, come Cristo, devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza»[3].

Viene a proposito il testo del Vangelo di San Giovanni appena proclamato. Gesù Cristo ci dice che Egli è il buon Pastore e ha dato la vita per le sue pecore. San Josemaría, assai spesso, commentava queste parole che il Maestro ha dedicato al buon Pastore. Si rivolgeva ai fedeli dell’Opus Dei, senza escludere, però, gli altri cattolici, cittadini uguali ai membri della Prelatura. Precisava che tutti, nella Chiesa, siamo pecore e pastori, e con questa affermazione voleva indicare che, essendo ogni battezzato il continuatore nel tempo della missione di Cristo, tutti noi — in accordo col sacerdozio ministeriale o col sacerdozio comune dei fedeli — dobbiamo essere servitori degli altri, dando l’esempio col nostro comportamento e con la nostra formazione dottrinale. Infatti, se leggiamo abitualmente e con pietà i Vangeli, se li facciamo diventare vita della nostra stessa vita, saremo in grado di prestare con generosità l’aiuto spirituale, e anche quello umano alla nostra portata, a coloro che vivono con noi; ben sapendo nello stesso tempo che — per la comunione dei Santi —, dal posto in cui ci troviamo, possiamo inviare sangue arterioso — un aiuto spirituale proveniente dal Sangue vivificatore di Cristo — a tutta l’umanità.

Quello che ho appena detto non deve rimanere una pia illusione, un fuoco di bengala che splende per un momento e scompare senza lasciare traccia. Il Papa Benedetto XVI ripete instancabilmente che Dio vuole servirsi dei Santi per propagare la forza salvifica che Gesù Cristo, inviato dal Padre, ha portato all’umanità di tutti i tempi, la Buona Novella che sarà sempre attuale ed efficace. Pertanto, se ognuno di noi si sforza di camminare lealmente col Maestro, saremo buoni pastori e andremo, con continua e piena disponibilità, in cerca delle anime, persuasi della trascendenza della nostra vita cristiana, perché, come non finiva mai di ripetere San Josemaría, “quando la semina è di santità, non va perduta”[4].

Ora desidero rivolgermi a voi tre, carissimi figli, scelti da Gesù Cristo per essere i continuatori nel tempo del suo unico Sacerdozio. Avete risposto liberamente alla chiamata e, affinché discopriate ogni giorno l’urgenza di un tale impegno, diventa assolutamente necessaria la vostra costanza per essere molto umili, chiedendo questa virtù anche per tutti i sacerdoti e i seminaristi del mondo e tenendo sempre presente che il Sommo Sacerdote, Gesù Cristo, è venuto su questa nostra terra per servire e non per essere servito. Ricordate il suo invito chiaro, categorico: “Discite a me..., imparate da me, che sono mite e umile di cuore”[5]. Vi suggerisco di guardare ogni giorno, ripetutamente e con devozione, il Crocifisso — il libro che contiene ogni scienza, affermava San Tommaso d’Aquino —, perché dobbiamo andare avanti per lo stesso sentiero di totale abnegazione percorso da Cristo. Quando vi consegnerò l’ostia sulla patena e il calice, ascolterete: “Ricevi l’offerta del popolo santo per presentarla a Dio. Rifletti su ciò che stai per compiere e imita ciò che commemori, e configura la tua vita col mistero della croce del Signore”. Dobbiamo essere sempre pronti a dare compimento a questo invito.

Il Santo Padre Benedetto XVI, nella sua lettera in occasione dell’apertura di un Anno sacerdotale, ci ha scritto: “‘Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù’, soleva dire il Santo Curato d’Ars. Questa toccante espressione ci permette anzitutto di evocare con tenerezza e riconoscenza l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma anche per la stessa umanità. Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti...”. Più avanti il Papa osservava: “Tutti noi sacerdoti dovremmo capire che ci riguardano personalmente quelle parole che egli — San Giovanni Maria Vianney — metteva in bocca a Cristo: ‘Incaricherò i miei ministri di annunciare ai peccatori che sono sempre pronto a riceverli, che la mia misericordia è infinita’”[6]. Vi chiedo di meditare questi concetti e di rileggere questa lettera, che tanto bene farà alla vostra anima e vi aiuterà a esercitare con molta rettitudine il vostro ministero, a servire col sacramento della Penitenza tutti coloro che si avvicineranno al vostro confessionale.

Nell’imporvi le mani per trasmettervi il dono del sacerdozio di Cristo, il coro e il popolo intoneranno l’inno Veni Creator. Rivolgetevi al Paraclito con profonda pietà, affinché s’imprima nella vostra anima che con questo sacramento diventate, in un modo speciale, un altro Cristo e, come aggiungeva San Josemaría, lo stesso Cristo. Questa affermazione non è un’audacia temeraria, perché leggiamo nei Vangeli, non poche volte e in forme differenti, le precisazioni del Maestro: “chi ascolta voi, ascolta me”, “fate questo in memoria di me”, “andate in mio nome”. Voglio aggiungere che, nella Santa Messa, sarete lo stesso Cristo, e che sarete ministri per distribuire al Popolo di Dio il Corpo e il Sangue dell’Unigenito, a parte il fatto che nel sacramento della Penitenza il Signore si servirà di voi, essendo Egli stesso Colui che perdona, per lavare le anime dai loro peccati.

Vi prego anche di tenere ben presente che “non c’è Chiesa senza Eucaristia e non c’è Eucaristia senza Chiesa”. Voi, a partire da oggi, diventate prima di tutto i guardiani fedeli di questo dono ineffabile, nel quale lo stesso Cristo fa sacramentalmente presente il Sacrificio della Croce, e rimane nascosto nei tabernacoli del mondo, aspettando sicuramente di essere accompagnato da tutti, e soprattutto dai suoi sacerdoti. Curate gelosamente la liturgia, rifuggendo dall’assuefazione nel celebrare le funzioni dell’altare, e in modo specialissimo la Santa Messa. Celebratela con pietà e raccoglimento: non si tratta di fare spettacolo, ma non dimentichiamo che il popolo guarda e impara dal culto che noi ministri di Dio tributiamo al Signore. Chiedetelo espressamente a nostro Padre, che sino all’ultimo giorno della sua vita si è sforzato nel crescere in pietà dal momento in cui cominciava il Santo Sacrificio fino all’ite, Missa est. Riflettete spesso su quel grido di un Santo Vescovo, del quale nostro Padre si è fatto eco in Cammino: “Trattatemelo bene!”[7].

Non dimenticate, carissimi figli, che ricevete l’ordinazione sacerdotale per servire la Chiesa, tutte le anime, e più direttamente le donne e gli uomini della Prelatura, nella quale i sacerdoti e i laici componiamo una unità organica che non può venir meno, perché si distruggerebbe il cammino di santità personale che Dio ci chiede, e anche l’efficacia apostolica dell’Opus Dei, nel mondo intero, al servizio della Santa Chiesa.

Siate sempre molto leali verso il Romano Pontefice, chiunque esso sia; amate tutti i Vescovi, successori degli Apostoli, e il vostro Ordinario, il Vescovo e Prelato dell’Opus Dei; amate i sacerdoti di ogni diocesi e pregate con costanza il Signore affinché invii molti operai all’Opera e a tutte le sue messi: numerosi seminaristi decisi a cercare la santità, e anche vocazioni alla vita consacrata.

Pensando a come San Josemaría amò — e ora dal Cielo ama — i genitori e i fratelli delle sue figlie e dei suoi figli, mi congratulo di tutto cuore con voi che componete le famiglie di ognuno dei tre nuovi sacerdoti. Ringraziate la Trinità Santissima, sostenuti dall’intercessione della Madonna, nostra Signora degli Angeli, perché protegga questi figli nella loro nuova tappa di servizio alla Chiesa e alle anime.

In questo tempio tutto ci parla dell’amore di Dio e di sua Madre verso ognuna e ognuno di noi: il Tabernacolo con Gesù Sacramentato che contempliamo al centro della pala d’altare, le scene della vita del Signore e di Santa Maria, l’immagine della Madonna di Torreciudad, il degno e ampio presbiterio con la statua adorante del Fondatore dell’Opus Dei, e persino le stesse pareti di mattoni. Ogni elemento è un invito a farci riflettere che tutti noi siamo tempio di Dio e, riprendendo l’idea di San Josemaría che troviamo in Cammino, che come i grandi edifici — compreso questo Santuario — sono stati innalzati mattone dopo mattone, così anche ogni dettaglio della nostra vita può e deve essere una continua adorazione di Dio Nostro Signore.

Non posso concludere senza chiedere a tutti voi che ogni giorno salga dalle nostre anime una fervida preghiera, accompagnata da generose mortificazioni, per la persona e le intenzioni del Papa, per i Vescovi — per mio fratello, il Vescovo di Barbastro —, per i sacerdoti e per l’umanità di cui facciamo parte.

Sia lodato Gesù Cristo.

[1] SAN JOSEMARÍA, Lettera 11-III-1940.

[2] Mc 16,15.

[3] BENEDETTO XVI, Omelia durante la Messa di inizio del Pontificato, 24-IV-2005.

[4] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 651.

[5] Mt 11,29.

[6] BENEDETTO XVI, Lettera in occasione dell’apertura di un Anno sacerdotale, 16-VI-2009.

[7] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 531.

Romana, n. 55, Luglio-Dicembre 2012, p. 280-284.

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