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Fede e vita in San Josemaría Escrivá de Balaguer

Giulio Maspero

Pontificia Università della Santa Croce, Roma

1. Introduzione: perché l’Anno della fede?

All’inizio della Lettera apostolica in forma di “Motu proprio” Porta fidei si dice: “La porta della fede (cfr. At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi”[1]. Fede e vita sono così immediatamente accostati nell’incipit del documento con il quale il Santo Padre ha indetto l’Anno della fede. La vita di cui si parla è quella di comunione con Dio. La preoccupazione fondamentale del documento, in linea con quanto Benedetto XVI sta insegnando in tutto il suo pontificato, è evitare che il cristianesimo possa essere confuso con una semplice dottrina filosofica o morale: esso è, piuttosto, nella sua essenza incontro vitale con il Cristo Risorto presente nella Sua Chiesa e Signore della storia, incontro “che dà alla vita un nuovo orizzonte”[2].

Questo nuovo orizzonte della vita di comunione con Dio dischiuso dalla fede è all’origine della predicazione e dell’apostolato di Paolo e Barnaba, i quali, una volta tornati ad Antiochia, da dove aveva preso le mosse la loro missione, “riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede” (At 14,27). Quindi, è Dio stesso ad aprire la porta della fede agendo nella vita dei suoi Apostoli e dei suoi Santi.

L’immagine della porta è comune nel linguaggio evangelico: essa è spesso chiusa, come per le vergini stolte (cfr. Mt 25,10) o nel caso dell’uomo già a letto con i suoi figli (cfr. Lc 11,7). La porta in ogni caso è stretta e il padrone di casa può chiuderla (cfr. Lc 13,24-25 e Mt 7,13-14). Ma Dio apre quella porta e la vita e l’esperienza di Paolo ne sono espressione: per questo egli scrive ai Corinzi “mi si è aperta una porta grande” (1 Cor 16,9) e chiede ai Colossesi di pregare che Dio “apra la porta della Parola per annunciare il mistero di Cristo” (Col 4,3).

Il Vangelo di Giovanni aggiunge un elemento essenziale: non solo Dio apre la porta, ma il Buon Pastore, che si distingue per il fatto di passare attraverso di essa, si identifica con la porta stessa (cfr. Gv 10,2-10). Da questa prospettiva Cristo è Porta, che conduce alla vita piena ed eterna donata dal Padre.

Il riferimento scritturistico alla porta della fede rimanda, dunque, a una prospettiva eminentemente teologale: la fede impegna e coinvolge la vita proprio perché dona la vita, e una vita che non avrà mai fine. Per questo, “attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita”[3].

Nelle intenzioni del Santo Padre l’Anno della fede sembra avere come scopo proprio il recupero del rapporto tra fede e vita: la fede non è più vissuta perché essa non è più percepita come essenziale per la vita, non è più colta come significativa per l’esistenza.

Questo punto occupa una posizione centrale nel Magistero di Benedetto XVI: “Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo”[4].

Oggi la religione, e in particolare il cattolicesimo, può essere percepita a livello di cultura diffusa come nemica della gioia. Tutto ciò che attrae sembra venire proibito proprio perché attrae. La fede è presentata come necessariamente opposta ai desideri dell’uomo e alla pienezza di vita. Il riferimento a Nietzsche nella prima citazione della Deus Caritas est è molto esplicito a riguardo[5].

Ma come mai la fede è oggi percepita come nemica della vita? Benedetto XVI risponde indicando la causa in un non sufficiente rilievo assegnato alla dimensione teologale nell’annuncio cristiano. Bisogna far risaltare, invece, il primato del dono e quindi indicare l’elemento essenziale dello sforzo del cristiano nel disporsi a ricevere. Così nella Porta fidei il Papa afferma con forza: “La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia”[6].

Più che il richiamo alla coerenza, è la percezione della bellezza del dono e della gioia per l’incontro che rende in modo naturale la fede guida per l’esistenza: “La ‘fede che si rende operosa per mezzo della carità’ (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr. Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,20-29; 2 Cor 5,17)”[7].

Le virtù teologali sono la vita di Dio che irrompe per grazia nella vita dell’uomo, il quale si apre a esse. San Tommaso, ad esempio, afferma che la fede “è un abito intellettivo con cui inizia in noi la vita eterna, e che fa aderire l’intelletto a realtà che non appaiono”[8].

Il movimento è, dunque, dalla Vita di Dio, che è donata, alla vita dell’uomo, che diventa opus Dei. Benedetto XVI esprime questa dinamica in un modo estremamente illuminante, se ci si approssima all’insegnamento e all’esperienza di San Josemaría Escrivá alla luce di Porta fidei: “L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: ‘Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna’ (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: ‘Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?’ (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: ‘Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato’ (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza”[9].

2. Vita di fede in San Josemaría

Come Paolo, anche San Josemaría ha sperimentato che Dio gli ha aperto la porta della fede, nella scoperta che la Sua volontà è che si aprano “i cammini divini della terra”[10], dischiudendo quel “qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni”[11] e la “vibrazione d’eternità” di cui è impregnato ogni istante[12]. Per questo chiamava Madrid la sua Damasco[13], luogo dove ricevette la luce chiara sulla sua vocazione e sulla missione di fondare l’Opus Dei. La santità alla quale Dio lo ha chiamato passa attraverso la vita quotidiana e l’amore per il mondo. L’opera che Dio compie in lui si realizza nell’esistenza concreta che viene così trasformata in luogo di incontro con Dio. Fare l’opera di Dio è radicalmente fondato, nell’esperienza di San Josemaría, nell’essere opera di Dio.

Il primato della dimensione teologale è assoluto, in quanto il credere stesso, secondo l’insegnamento in Gv 6,29 appena citato, è opera di Dio: condizione necessaria per fare l’opera di Dio è il permettere sempre più che la propria vita sia opera di Dio mediante la fede[14]. Questa è in sé dono di Dio, il Quale mediante il battesimo comunica la Sua vita e la Sua santità a ogni cristiano.

Non meraviglia, quindi, costatare che una ricognizione delle ricorrenze di “fede” negli scritti pubblicati di San Josemaría mostri immediatamente una evidente correlazione con la terminologia connessa alla vita[15]. Si tratta di “vivere di fede” e di avere una “fede viva”. Ciò può essere illustrato con il finale dell’omelia intitolata “Amare il mondo appassionatamente”, pronunciata all’Università di Navarra l’8-X-1967. Anche allora si celebrava l’Anno della fede promulgato da Paolo VI, cui il Fondatore dell’Opus Dei fa esplicito riferimento:

Adesso vi chiedo, con le parole del salmista, di unirvi alla mia preghiera e alla mia lode: “Magnificate Dominum mecum, et extollamus nomen eius simul”; magnificate con me il Signore, ed esaltiamo tutti assieme il suo nome. In altri termini, figli miei, viviamo di fede. [...]

Fede, una virtù di cui tanto abbiamo bisogno noi cristiani, e in modo tutto speciale in questo “Anno della fede” promulgato dal nostro amatissimo Santo Padre, il Papa Paolo VI: perché senza fede viene a mancare la base stessa per la santificazione della vita di tutti i giorni.

Fede viva in questo momento, perché ci accostiamo al “mysterium fidei”, la Sacra Eucaristia; perché stiamo per prendere parte a questa Pasqua del Signore che riassume e realizza le misericordie di Dio verso gli uomini. [...]

Fede, infine, figlie e figli carissimi, per dimostrare al mondo che queste non sono cerimonie e parole, ma realtà divina, offrendo agli uomini la testimonianza di una vita ordinaria santificata nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e di Santa Maria.[16]

Santificare la vita di tutti i giorni è possibile proprio per la fede ed equivale a vivere di fede e ad avere una fede viva[17], con riferimento esplicito alla dottrina paolina di Gal 3,11: “Il giusto per fede vivrà”. Tutto è fondato sulla dimensione teologale, indicata da San Josemaría con espressione suggestiva: “Gli atti di Fede, di Speranza e d’Amore sono valvole dalle quali si sprigiona il fuoco delle anime che vivono la vita di Dio”[18].

“Vita di fede” è il significativo titolo dell’omelia in Amici di Dio dedicata a questa virtù teologale: qui l’apparente assenza di miracoli nell’epoca attuale, rispetto ai primi tempi del cristianesimo, è ricondotta proprio al fatto che i cristiani non vivono vita di fede[19]. La fede è viva, invece, quando diventa “nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo”, secondo l’espressione già citata di Porta fidei. La fede è viva quando è operativa, quando si traduce e si esprime in scelte concrete, in propositi che incidono sull’esistenza reale del cristiano[20]. Altrimenti la fede è morta, perché rimane a livello sociologico, come se si trattasse di una dottrina astratta o di una serie di tradizioni morali che non hanno valore assoluto in sé. Lo spiega bene Joseph Ratzinger, facendo notare che i contenuti della fede non sono la tavola periodica degli elementi, la cui conoscenza non incide direttamente sull’esistenza dell’uomo. La fede riguarda, invece, alcune verità di fronte alle quali non è possibile non prendere posizione. Per questo non si può dire che esistano veramente degli agnostici: essi, infatti, sono in realtà degli atei pratici, perché per vivere devono fare scelte concrete che decidono di non conformare alla fede[21].

In altri termini, per vivere bisogna comunque avere una fede, perché inevitabilmente si sceglie un senso della propria esistenza.

Così l’insegnamento di San Josemaría non può essere più lontano dal pelagianismo e dal moralismo. Il cristianesimo non può essere ridotto alle opere, né l’uomo può conquistare la salvezza con le sole virtù umane o con il proprio lavoro. Invece, si dice con estrema chiarezza che l’atto del credere non si ferma al livello intellettuale, all’accettazione di alcune verità che poco hanno a che vedere con la vita, ma che l’atto stesso si esprime nella vita del credente, perché la fede comunica la vita soprannaturale, rendendo possibile pensare secondo la “logica di Dio”[22]. Tutto è riferito a Cristo e al rapporto personale con Lui: “Non ha fede ‘viva’ chi non si dona in modo attuale a Gesù Cristo”[23].

Proprio il cristocentrismo radicale permette a San Josemaría di parlare in modo così audace di santificazione e di amore del mondo[24]. Sembra molto espressivo il seguente testo:

Quando la fede vacilla, l’uomo tende a immaginarsi un Dio lontano, che quasi non si prende cura dei figli. Pensa la religione come un qualcosa di estrinseco, cui attingere quando non ci sono altre risorse; si aspetta, allora, e non si capisce su che base, manifestazioni spettacolari, avvenimenti insoliti. Quando la fede vibra nell’anima, invece, ci si accorge che i passi del cristiano non si allontanano dalla vita normale e quotidiana di ogni uomo. E che la santità grande, che Dio ci richiede, è racchiusa nelle piccole cose di ogni giorno, qui e ora.[25]

La proclamazione della chiamata universale alla santità si presenta, dunque, come un approfondimento proprio della fede come “nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo”, in quanto nasce dall’incontro con Cristo nella vita di ogni giorno. La riduzione della fede a mera tradizione sociologica, con la conseguente separazione dalla vita reale, è connessa a una riduzione del suo ambito al dominio dello straordinario, di ciò che non è normale. Invece accogliere la chiamata universale alla santità implica il ravvivare la propria fede per aprirsi al Dio vicino:

Cerchiamo di non ingannarci... — Dio non è un’ombra, un essere lontano, che ci crea e poi ci abbandona; non è un padrone che se ne va e non ritorna. Anche se non lo percepiamo con i nostri sensi, la sua esistenza è molto più vera di tutte le realtà che tocchiamo e vediamo. Dio è qui, con noi, presente, vivo: ci vede, ci ascolta, ci guida, e contempla le nostre più minute azioni, le nostre più riposte intenzioni.

Crediamo tutto questo..., ma viviamo come se Dio non esistesse! Perché non abbiamo per Lui né un pensiero, né una parola; perché non gli obbediamo, né ci sforziamo di dominare le nostre passioni; perché non gli esprimiamo amore, né ripariamo le offese...

— Vogliamo continuare a vivere con una fede morta?[26]

La fede deve essere viva perché Cristo non è un personaggio del passato, un ricordo, una tradizione, ma è vivo, oggi, adesso[27]. E vivere di fede vuol dire essenzialmente darGli del tu, rivolgersi a Lui, stare in relazione personale con Lui.

Questa dottrina mette la fede in rapporto diretto con i desideri più profondi dell’uomo. Essa non nega, non toglie, ma va a fecondare i più segreti slanci del cuore: “La nostra fede non disconosce nulla di quanto v’è di bello, di generoso, di genuinamente umano sulla terra”[28]. Per questo veniva accusato di predicare esercizi di vita e non di morte, come si era soliti fare al suo tempo[29].

Così, nell’omelia “Vita di fede”, i testi scritturistici da cui si parte sono miracoli di Gesù che viene incontro al desiderio dell’uomo, come per Bartimeo, il cieco di Gerico, in Mc 10, per l’emorroissa in Mt 9, e infine per il padre del ragazzo lunatico in Mc 9. Come ha scritto Joseph Ratzinger, “la sete di infinito appartiene alla stessa natura dell’uomo, anzi è la sua essenza”[30], in modo tale che tutti gli amori e i desideri autentici trovano il loro senso solo nell’Amore divino:

Vivi la fede, allegro, unito a Gesù. — Amalo davvero — ma davvero, davvero! —,e sarai protagonista della grande Avventura dell’Amore, perché sarai ogni giorno più innamorato.[31]

Il cuore dell’uomo chiede un autentico “per sempre” — perfino Nietzsche ha scritto che “ogni piacere vuole eternità”[32] —, ma tutto ciò è menzogna se non riconosce negli amori della terra, nei desideri del proprio cuore, un cammino che conduce, come il fiume alla sorgente, all’Amore di Dio, a Cristo, Amore degli amori:

Gli uomini mentono quando dicono “per sempre” nelle cose temporali. È vero, di una verità totale, soltanto il “per sempre” rivolto a Dio; e tu devi vivere così, con una fede che ti aiuti a sentire sapore di miele, dolcezza di cielo, al pensiero dell’eternità che veramente è per sempre.[33]

In conclusione, si può affermare che la proposta di fede di San Josemaría parla alla vita, si rivolge agli amori degli uomini. Rispetto a una fede percepita solo come fattore sociologico o tradizionale, la sua predicazione interpella il cuore dell’uomo in quanto nasce da una fede “vissuta come esperienza di un amore ricevuto”[34]. Gesù è presentato, nel senso personale del verbo, come si presenta un amico, come l’Amore degli amori, la sorgente e il senso di ogni amore autentico e puro.

La chiamata universale alla santità si fonda, infatti, sulla sicurezza della vicinanza di Dio alla vita concreta, lì dove sono aspirazioni e desideri dell’uomo. Amare il mondo appassionatamente è possibile per la fede, per un approfondimento della fede.

Proprio il primato della dimensione teologale e il cristocentrismo permettono di presentare la fede in modo tale da interpellare il desiderio dell’uomo. Ma quali sono i fondamenti teologici di questa prospettiva?

3. Fede di figlio e fede di padre

Questo approfondimento della dimensione teologale della fede che permette di aprirsi alla santificazione della vita ordinaria, e quindi di mostrare come la fede stessa interpella i desideri più profondi e nobili del cuore dell’uomo, ha profonde radici teologiche. Esse toccano quei nuclei dottrinali che saranno sempre più al centro dell’attenzione nel corso del XX secolo, proprio nel tentativo di riflettere sulla chiamata universale alla santità.

Nell’insegnamento di San Josemaría essi sono chiaramente presenti innanzitutto per la luce che il carisma ha impresso nella sua anima e poi grazie all’approfondimento della comprensione della tradizione della Chiesa permesso da questa luce. In particolare, sono ben evidenti elementi dogmatici caratteristici del pensiero patristico, che ha sempre presentato congiuntamente la fede e la vita.

In primo luogo, il forte richiamo della filiazione divina donataci da Cristo, espressa perfino in termini più orientali come divinizzazione[35], punta verso la chiara percezione della connessione tra le missioni divine e le processioni intratrinitarie, così come al legame dell’atto creativo con la generazione eterna del Figlio. San Josemaría afferma, commentando Gal 3,26: “Tutti voi siete figli di Dio mediante la fede. Quale potere è il nostro! Potere di sapere di essere e di essere figli di Dio”[36]. E trae le conseguenze di quel mistero che in termini patristici è identificato con la distinzione senza separazione e l’unione senza confusione di economia e immanenza divine, dell’agire di Dio e del Suo essere. Nella storia della salvezza è costantemente percepita la dimensione trinitaria, che permette di riconoscere il senso del creato nel Verbo incarnato. Con parole del grande teologo francese Jean Daniélou: “La relazione intima di tutto il creato al Verbo già appare nell’origine profonda di ogni realtà. In questo senso la creazione non è altro che irradiazione della generazione eterna”[37]. Per questo, San Josemaría afferma che

Non c’è situazione terrena, per quanto piccola e ordinaria possa sembrare, che non possa essere occasione di un incontro con Cristo e una tappa del nostro cammino verso il Regno dei Cieli.[38]

Essere contemplativi in mezzo al mondo vuol dire riconoscere, grazie al dono della fede e alla cura di questo dono, che tutto parla del Cristo, che il senso della storia e del mondo è Lui. Nulla di ciò che è autentico gli può essere estraneo, in modo tale che non è necessario abbandonare la vita ordinaria per diventare Santi. Sempre con parole di Jean Daniélou: “Il Cristo coincide in qualche modo con la totalità dell’essere creato. Sottrarsi al Cristo significa sottrarsi alla realtà; non significa andare al di là, significa invece chiudersi alla vita”[39].

La dottrina della fede non è solo un insieme di insegnamenti che devono essere appresi, ma è piuttosto luce che illumina la realtà, luce che scaturisce dagli occhi del Cristo.

L’unione di fede e vita è, dunque, riflesso del cristocentrismo di San Josemaría e della sua profonda percezione del ruolo della filiazione divina, vero centro di tutto il messaggio cristiano e punto di unione tra il tempo e l’eterno. Nel Verbo incarnato, infatti, nel Suo Cuore, si incontrano i due movimenti di Dio che cerca l’uomo e dell’uomo che con i propri desideri cerca, anche inconsapevolmente, Dio, Amore degli amori. Per questo la fede non è mai presentata solo come dottrina, ma è vitalmente ricondotta al Cristo:

La fede è una virtù soprannaturale che dispone la nostra intelligenza a dare assenso alle verità rivelate, a rispondere di sì a Cristo, a colui che ci ha fatto conoscere pienamente il disegno salvifico della Trinità Beatissima.[40]

L’assenso della mente è inseparabile dall’assenso del cuore che si realizza nell’incontro con Cristo, vivo e risorto nell’oggi del cristiano[41]. L’atto di fede è pensiero e conoscenza che nascono dalla relazione con la Persona di Gesù, dal dialogo e dall’apertura a Lui. Fra i Padri della Chiesa, Sant’Agostino ha spiegato questo aspetto distinguendo tre dimensioni dell’atto del credere: occorre credere che Dio esiste, credere Deum, e occorre credere a Dio che si rivela, credere Deo, ma tutto ciò deve culminare nel credere in Deum, cioè nell’adesione personale a Dio nella fedeltà di un continuo tendere con la propria vita a Lui[42]. In questo senso, la concezione di San Josemaría è profondamente moderna e autenticamente fedele alla tradizione patristica[43], della quale richiama l’apofatismo, cioè l’affermazione che la conoscenza dell’essere di Dio è al di là delle capacità umane. Si pensi alla bellissima risposta data in un incontro multitudinario in Venezuela, nel 1975:

E quando ti dicono che non comprendono la Trinità e l’Unità, rispondi loro che nemmeno io la comprendo, ma che l’amo e la venero. Se comprendessi le grandezze di Dio, se Dio ci stesse in questa povera testa, il mio Dio sarebbe molto piccolo..., e tuttavia ci sta — ci vuole stare — nel mio cuore, ci sta nella profondità immensa della mia anima che è immortale.[44]

La dimensione intellettuale non può esaurire la conoscenza di Dio, il Quale è irriducibile a un concetto o un’idea. Il mistero cristiano si coglie in pienezza nella conoscenza personale di Dio che abita nell’anima del battezzato. Così, la coppia fede e cuore si ripete negli scritti: si tratta di “vedere la verità e amarla”[45], di amare e credere[46]. La dimensione dottrinale non è sacrificata in uno slancio che si espone al sentimentalismo, né la fede è ridotta a mere formule intellettuali slegate dalla vita. L’originale formula “pietà di bambini e dottrina sicura di teologi”[47], indicata come cammino sicuro per i suoi figli spirituali, mostra questa stessa profonda armonia che dai primi cristiani alimenta la fedeltà della Chiesa e si fonda proprio sulla filiazione divina.

Credere è in primo luogo dono, è l’abitare di Dio nel cuore dell’uomo, il suo venire.

Si scorge in questo modo come un elemento essenziale dell’approfondimento della comprensione della dimensione teologale della fede è il realismo radicale dell’affermazione dell’inabitazione trinitaria nell’uomo. Questi è chiamato a essere una cosa sola con Cristo, il Quale è la sua vera identità. Si può vivere di fede solo vivendo la vita dei figli di Dio, per essere un altro Cristo[48]. San Josemaría ricorre per questo alla forte espressione alter Christus, ipse Christus[49]: “Sentite, invece, l’urgenza divina che ciascuno di voi sia un altro Cristo, ipse Christus, lo stesso Cristo”[50].

Una fede che diventa “nuovo criterio di intelligenza e di azione” è fede piena nell’Incarnazione, nella sua realtà, nel suo significato cosmico. Il senso del mondo è il Figlio incarnato e l’uomo è chiamato a riportare tutto a Cristo, il Quale riporta tutto al Padre. E ciò vuol dire riconoscere l’impronta trinitaria nel creato, risalendo dal Figlio incarnato, senso del mondo, al Padre, sorgente di ogni cosa. Come ha scritto Jean Mouroux: “La nostra fede è cristologica; e perché cristologica, è trinitaria”[51].

Essere contemplativi in mezzo al mondo significa, dunque, guardare il mondo con occhi trinitari, con quello sguardo reso possibile dall’unione personale al Cristo. Così il senso della creazione e della storia è riconosciuto nella libertà dei figli di Dio:

In tutti i misteri della nostra fede cattolica aleggia il canto alla libertà. La Trinità beatissima trae dal nulla il mondo e l’uomo, in un libero slancio d’amore.[52]

L’incarnazione conferma l’Amore divino, rivelando che la vera legge che governa il mondo non è la cieca necessità né una ragione assoluta e disincarnata, ma la libertà e la fiducia del Padre che crea ogni cosa nel Figlio e per il Figlio[53]. Così, San Josemaría dichiarava in un’intervista nella Spagna del 1969:

Dio, creandoci, ha accettato il rischio e l’avventura della nostra libertà: ha voluto che la storia sia una storia vera, fatta di decisioni autentiche, e non una finzione o un gioco. Ogni uomo deve fare l’esperienza della propria autonomia personale, con tutti gli imprevisti, i tentativi e magari le incertezze che questo comporta.[54]

Perciò, il Santo di Barbastro aveva la “certezza della indeterminazione della storia, aperta a molteplici possibilità che Dio non ha voluto precludere”[55].

Questa profonda comprensione di fede si faceva vita nella risposta di San Josemaría, il quale si sentiva tanto figlio di Dio da diventare capace di essere padre di altri figli, formandoli in modo tale da diventare a loro volta padri. Ma formare nella libertà e far crescere richiede fede nell’unico Padre che sempre agisce, genera e protegge. Un magnifico testo del 1937 — con il linguaggio cifrato necessario durante la guerra civile per eludere la censura — mostra la fortezza e la profondità di questa fede vissuta:

Io... non dico niente. Ho l’abitudine di tacere e di dire quasi sempre: “Bene”, o “molto bene”. Nessuno potrà dire in verità, alla fine della giornata, di aver fatto una cosa o l’altra, non dico per un ordine, ma neppure per un suggerimento del nonno [San Josemaría]. Quando penso di dover parlare, mi limito a esporre in termini chiari e definiti i dati di ciascun problema; anche se la vedo chiara, non do né darò mai la soluzione concreta. Ho un’altra strada per influenzare dolcemente ed efficacemente la volontà dei miei figli e nipoti: prendermi il disturbo di importunare il mio vecchio Amico, il signor Emanuele [Dio]. Magari io non perda mai la bussola e sappia lasciar fare ai miei con la massima libertà... finché verrà il momento di tirare la corda! E arriverà. Naturalmente, ormai mi conoscete, nonostante la debolezza del mio cuore, non sarò mai capace di sacrificare la vita, neppure un minuto della vita di qualcuno, per mia comodità o per mia consolazione. Tanto che starò sempre zitto (ne parlerò col signor Emanuele) anche se le decisioni dei miei figli mi sembrassero un vero disastro.[56]

San Josemaría mostra il suo modo di agire e governare con la fede, ricorrendo a Dio — il signore Emanuele, appunto — per rispettare la libertà dei suoi figli, i quali per crescere, per diventare capaci di essere padri, devono anche fare esperienza dei propri limiti e dei propri errori. Per una persona che ama questo è doloroso, è un travaglio analogo ai dolori di parto, ma non c’è altro cammino per generare veramente l’altro, rendendolo capace di essere a sua volta padre. È proprio del padre, infatti, far scoprire al figlio la bellezza della realtà, al di là della percezione dei limiti propri e altrui. Così “l’originaria visione ottimistica della creazione, l’‘amore per il mondo’ che palpita nel cristianesimo”[57] si fondano proprio sulla fede di San Josemaría che lo rende così padre.

La fede di figlio, che è fede nel Figlio, si traduce naturalmente nella fede di padre che ha caratterizzato la vita di San Josemaría, tutta dedicata all’Opera di Dio. Lui che era molto figlio è stato molto padre. La stessa fecondità apostolica può essere letta da questa prospettiva teologale della fede che lo spinse a chiamare alla santità nel mondo molte persone, ad aprire nella storia concreta e reale un cammino di santità, nel realizzare l’istituzione.

4. Conclusione: vita trinitaria

Il Santo Padre ha indetto l’Anno della fede per rispondere alla crisi nel rapporto tra fede e vita: il cristianesimo e le verità affermate nel Credo sembrano non avere più valore per l’esistenza concreta dell’uomo. Nell’insegnamento di San Josemaría si trova, già a livello meramente terminologico, una stretta connessione tra fede e vita, in quanto la vocazione cristiana è presentata come chiamata a vivere di fede, a fondare la propria esistenza sul rapporto personale con Cristo.

L’invito a tradurre la fede in opere nasce dalla profonda comprensione del primato della dimensione teologale, che rende possibile rivolgere il messaggio cristiano agli amori e alle aspirazioni più profonde degli uomini. La possibilità di amare appassionatamente il mondo e di santificare tutte quelle attività e dimensioni autenticamente umane della propria esistenza si basa su un approfondimento della comprensione dell’intima connessione tra fede e vita. L’unità di vita, costantemente predicata da San Josemaría, non è solo coerenza, ma più profondamente sgorga dalla dinamica stessa della fede che apre alla Vita di Dio la vita dell’uomo. Infatti, “vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che dev’essere — nell’anima e nel corpo — santa e piena di Dio: questo Dio invisibile lo troviamo nelle cose più visibili e materiali”[58].

Ciò, da un punto di vista teologico, è fondato su una comprensione cristologica della fede come chiamata all’identificazione con Cristo. La filiazione divina passa così in primo piano, permettendo di leggere il mondo a partire dalla rivelazione trinitaria. Se il Creatore è il Dio uno e trino, allora il senso ultimo della creazione non è pienamente comprensibile senza riferirsi al mistero della Trinità stessa. La storia e la libertà dell’uomo acquistano così un valore straordinario.

La profondità teologica dell’unione di fede e vita nel pensiero di San Josemaría è particolarmente evidente in uno dei suoi insegnamenti più profondi e originali, qui proposto per il suo valore sintetico: l’invito concreto a imparare a vivere di fede contemplando la Sacra Famiglia[59], risalendo alla Trinità del Cielo a partire dall’esistenza concreta e dalle mutue relazioni di Maria, Gesù e Giuseppe, da lui chiamati “la trinità della terra”. Tale cammino, fondato su un’intuizione che costituisce una vera e propria sintesi dogmatica, mette in evidenza sia il cristocentrismo, sia l’approfondimento della dimensione teologale della fede:

Cerco di giungere alla Trinità del Cielo, attraverso un’altra trinità, quella della terra: Gesù, Maria e Giuseppe. Sembrano più accessibili. Gesù, che è perfectus Deus e perfectus Homo. Maria, che è una donna, la creatura più pura, la più grande: più di Lei, soltanto Dio. E Giuseppe, che viene immediatamente dopo Maria: puro, virile, prudente, integro. Oh, Dio mio! Che modelli! Solo a guardare, vien voglia di morire di dolore: perché, Signore, mi sono comportato così male... Non ho saputo essere all’altezza delle circostanze, non ho saputo divinizzarmi. E Tu mi davi i mezzi; e me li dai, continuerai a darmeli..., perché dobbiamo vivere sulla terra in modo umanamente divino.[60]

L’uomo è chiamato a vivere la vita stessa di Dio, la vita della Trinità Santissima, come è avvenuto nella Sacra Famiglia, dove ciascuno viveva totalmente per l’altro, in una comunione d’amore perfetta, fondata sulla presenza di Dio, della seconda Persona divina, sulla terra. Dalle missioni San Josemaría risale alle processioni divine, mostrando come la vocazione cristiana non sia un mero sforzo umano per adeguarsi a modelli irraggiungibili, ma piuttosto come Dio offra sempre i mezzi che permettono al cristiano corrente di essere divinizzato nella sua vita quotidiana, lavorando e amando le persone che il Signore gli ha posto accanto.

Da una prospettiva dogmatica, l’insegnamento di San Josemaría ha profonde radici nei Padri della Chiesa[61], in quel pensiero sorto dalla vita dei primi cristiani. Inoltre il primato della dimensione teologale e la connessione di fede e vita si fondano sulla piena percezione della trascendenza del mistero di Dio uno e trino, che nel linguaggio patristico si sviluppa nell’apofatismo. Proprio questa comprensione profonda del mistero unisce fede e vita e permette di esplicitare la connessione tra l’agire di Dio nella storia e la sua immanenza trinitaria. Così, a proposito dell’incomprensibilità del mistero del Dio Trino, San Josemaría afferma:

È giusto che nella meraviglia immensa di bellezza e di sapienza di Dio ci siano cose che sulla terra non comprendiamo. Se le comprendessimo, Dio sarebbe un essere finito, non infinito, ci starebbe nella nostra testa. Come sarebbe povero Dio! Perciò tu vai da Giuseppe, Maria e Gesù e sai che Gesù è Dio, e che Dio è trino nelle Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. E adori la Trinità e l’Unità, ami lo Spirito Santo amando Gesù Cristo.[62]

La vita concreta di Gesù, Maria e Giuseppe è l’unico cammino per arrivare alla Trinità, perché solo nel mistero della divino-umanità del Cristo si ha accesso all’intimità di Dio e si può partecipare alla Sua vita, distinguendo e dando del tu a ciascuna Persona divina, come si può fare con la trinità della terra.

Quindi, questa fede che interpella gli amori dell’uomo, le sue aspirazioni più profonde, il suo lavoro e la sua famiglia trova la sua più perfetta realizzazione proprio nella Sacra Famiglia. Ogni cristiano può, così, santificarsi come contemplativo in mezzo al mondo imparando, attraverso la contemplazione, la fede che diventa intelligenza e criterio di azione nella vita, a partire dal pensiero concreto sempre rivolto a Cristo di nostro Padre, di Giuseppe e in modo specialissimo di Maria, alla quale bisogna rivolgersi per imparare a dire quel sì che unisce fede e vita[63].

[1] BENEDETTO XVI, Lettera apostolica in forma di “Motu proprio” Porta fidei con la quale si indice l’Anno della fede, 11-X-2011, n. 1.

[2] BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus Caritas est, 25-XII-2005, n. 1.

[3] BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 1.

[4] Ibidem, n. 2.

[5] Cfr. BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus Caritas est, n. 3, nota n. 1 con il riferimento all’opera di F. NIETZSCHE Jenseits von Gut und Böse, IV, 168.

[6] BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 7.

[7] Ibidem, n. 6.

[8] SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II-II, q. 4, a. 1, r.

[9] BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 3.

[10] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 21.

[11] SAN JOSEMARÍA, Omelia “Amare il mondo appassionatamente”, in Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 114 (in seguito, Colloqui).

[12] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 239.

[13] Cfr. J. ECHEVARRÍA, “Una nuova Damasco”, Romana 53 (2011), p. 283 (pubblicato originariamente in Alfa y Omega, 28-VII-2011).

[14] A questo proposito, si veda l’articolo dell’allora Card. J. RATZINGER, intitolato “Lasciare operare Dio”, in L’Osservatore Romano, 6-X-2002.

[15] Per una presentazione sintetica della vita di fede in San Josemaría, si veda: E. BURKHART - J. LÓPEZ, Vida cotidiana y santidad en la enseñanza de San Josemaría, Vol. II, Rialp, Madrid 2011, pp. 346-364.

[16] SAN JOSEMARÍA, Omelia “Amare il mondo appassionatamente”, in Colloqui, n. 123. Il corsivo è mio.

[17] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 578, e Solco, n. 459.

[18] SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 667.

[19] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 190.

[20] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Cammino, nn. 317, 380 e 489; Solco, nn. 46 e 945; Forgia, nn. 256 e 602.

[21] Cfr. J. RATZINGER, Guardare Cristo, Jaka Book, Milano 1989, p. 15.

[22] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 172.

[23] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 544.

[24] Cfr. A. ARANDA, “Vedo scorrere in voi il sangue di Cristo”. Studio sul cristocentrismo di San Josemaría Escrivá, Edusc, Roma 2003.

[25] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 312.

[26] SAN JOSEMARÍA, Solco, n. 658.

[27] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 584; È Gesù che passa, nn. 102ss.

[28] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 24.

[29] Cfr. A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, Leonardo International, Milano 2003, vol. II, p. 706.

[30] J. RATZINGER, Guardare Cristo, cit., p. 15.

[31] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 448.

[32] F.W. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano 1968, VI/1, p. 278.

[33] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 200.

[34] BENEDETTO XVI, Lett. ap. Porta fidei, n. 7.

[35] Cfr. D. RAMOS LISSÓN, “Aspectos de la divinización en el Beato Josemaría Escrivá de Balaguer”, in J.L. ILLANES [Ed.], El cristiano en el mundo: En el Centenario del nacimiento del Beato Josemaría Escrivá (1902-2002), Servicio de Publicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona 2003, pp. 483-499.

[36] SAN JOSEMARÍA, Lettera 24-X-1942, n. 68 (AGP, serie A.3, leg. 91, carp. 5, exp. 4).

[37] J. DANIÉLOU, La Trinità e il mistero dell’esistenza, Queriniana, Brescia 1969, p. 59.

[38] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 22.

[39] J. DANIÉLOU, La Trinità e il mistero dell’esistenza, cit., p. 63.

[40] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 191.

[41] Arturo Blanco ha evidenziato come San Josemaría mettesse la fede in relazione con tutta la persona umana e non solo con l’intelletto: A. BLANCO, “Alcuni contributi del Beato Josemaría alla comprensione dei rapporti tra fede e ragione”, in: AA.Vv., La grandezza della vita quotidiana, vol. V/1, Edusc, Roma 2004, p. 259.

[42] Cfr. SANT’AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, 130,1 e Tractatus in Iohannem, 29,6.

[43] La concezione della fede di San Josemaría è definita dal suo primo successore, il venerabile Álvaro del Portillo, “viva e dinamica”: Á. DEL PORTILLO, “Discorso conclusivo del Convegno teologico di studio sugli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá (Roma, 12/14-X-1993)”, in: AA.Vv., Santità e mondo, LEV, Città del Vaticano 1994, p. 231.

[44] SAN JOSEMARÍA, risposta a una domanda in Venezuela, 9-II-1975: Catequesis en América, III, p. 75 (AGP, Biblioteca, P04).

[45] SAN JOSEMARÍA, Solco, n. 818.

[46] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 215.

[47] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 10.

[48] Cfr. ibidem, n. 21.

[49] Cfr. A. ARANDA, “Vedo scorrere in voi il sangue di Cristo”, cit., pp. 197-220.

[50] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 6.

[51] J. MOUROUX, Io credo in te, Morcelliana, Brescia 1966, p. 34.

[52] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 25.

[53] Cfr. Col 1,15-20.

[54] SAN JOSEMARÍA, intervista ad ABC, 2-XI-1969.

[55] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 99.

[56] Citato in A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, II, cit., pp. 152-153.

[57] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 703.

[58] SAN JOSEMARÍA, Omelia “Amare il mondo appassionatamente”, in Colloqui, n. 114. Un commento di questo brano dell’omelia in: Conversaciones con Mons. Escrivá de Balaguer. Edición crítico-histórica, a cura di J. L. ILLANES, A. MÉNDIZ, Rialp, Madrid 2012, pp. 477-478 e 486-489.

[59] Cfr. SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 22.

[60] SAN JOSEMARÍA, Meditazione “Consumados en la unidad”, citata in S. BERNAL, Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer, Ares, Milano 1985, p. 360.

[61] In questo senso si potrebbe estendere la pregevole analisi di Cornelio Fabro nell’articolo dedicato a San Josemaría: C. FABRO, “La tempra di un Padre della Chiesa”, in AA.VV., Santi nel mondo: studi sugli scritti del Beato Josemaría Escrivá, Ares, Milano 1992.

[62] SAN JOSEMARÍA, risposta a una domanda in Argentina, 14-VI-1974: Catequesis en América, I, p. 449 (AGP, Biblioteca, P04).

[63] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, nn. 284-286.

Romana, n. 55, Luglio-Dicembre 2012, p. 415-429.

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