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Discorso nell’inaugurazione dell’anno accademico, Pontificia Università della Santa Croce, Roma (7-X-2013)

Eminenze Reverendissime, Eccellenze, Professori, Collaboratori, Studenti, Signore e Signori.

Mentre ci avviamo alla conclusione dell’Anno della fede, il prossimo 24 novembre, inizia quest’anno accademico 2013-2014, ricco, come ogni nuovo corso, di progetti, di speranze e, sicuramente, di fatiche.

Le mie parole, prima di guardare verso il futuro, vorrebbero ricordare con gratitudine il cammino percorso nell’ultimo anno, segnato da tanti momenti importanti, e incoraggiare il lavoro di tutti voi, docenti, studenti e personale amministrativo, durante i prossimi mesi.

In questo senso, desidero innanzitutto far riferimento alla prima Lettera enciclica di Papa Francesco, Lumen fidei, non solo come evento importante di quest’Anno della fede, ma anzitutto perché nelle sue pagine sono contenuti preziosi orientamenti per chi, come voi, sarà occupato nello studio della Teologia e delle altre sacre discipline, insieme al lavoro della Facoltà di Comunicazione, per contribuire a una migliore conoscenza della Chiesa.

È evidente che lo studio della Teologia non può essere realizzato al margine della fede; e che la fede porta con sé il desiderio di conoscere meglio la verità rivelata e creduta. Il Papa ne segnala una prima conseguenza: «Nella Teologia non si dà solo uno sforzo della ragione per scrutare e conoscere, come nelle scienze sperimentali. Dio non si può ridurre a oggetto. Egli è Soggetto che si fa conoscere e si manifesta nel rapporto da persona a persona. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi alla luce che viene da Dio, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio in modo più profondo»[1].

Trattando di Dio e di quanto a Lui si riferisce, l’oggetto dei vostri studi è in senso proprio un Soggetto, Dio stesso, che vuole essere conosciuto come Persona che si rivolge a ognuno di noi per dialogare, o ancora meglio che vuole coinvolgere ognuno di noi in quel dialogo, in quella comunione che Egli stesso rappresenta. La Teologia, e più in generale gli studi ecclesiastici, non possono dunque separarsi dalla propria vita di orazione, dal nostro rapporto personale con Dio, come se costituissero un segmento isolato del nostro vivere, ma devono essere inseriti nella nostra personale vita di fede dalla quale ricevono impulso e sostegno.

«Fa parte allora della Teologia — continua il Santo Padre — l’umiltà che si lascia “toccare” da Dio, riconosce i suoi limiti di fronte al Mistero e si spinge a esplorare, con la disciplina propria della ragione, le insondabili ricchezze di questo Mistero»[2]. La richiesta a Dio e ai suoi Santi della virtù dell’umiltà dovrebbe essere sempre presente nel lavoro di tutti i cristiani così come nell’attività di ogni professore, ricercatore o studente di Teologia. L’umiltà dell’intelligenza dovrebbe essere per ognuno di noi, con parole di San Josemaría, “un principio assiomatico”[3]. Umiltà per non dimenticare mai che ci troveremo sempre davanti a un Dio che, pur rendendosi visibile in Cristo, resterà sempre un grande e insondabile mistero che richiederà di accogliere il dono della fede con l’umiltà della nostra ragione.

Umiltà necessaria anche, come ricorda l’Enciclica, per non dimenticare che la Teologia condivide la forma ecclesiale della fede, e di conseguenza va intesa al servizio della fede dei cristiani, messa «umilmente a custodire e ad approfondire il credere di tutti, soprattutto dei più semplici»[4]. Inoltre questa scienza deve essere sempre coltivata in filiale adesione al magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui, garanzia del contatto con la fonte originale e «certezza di attingere alla Parola di Cristo nella sua integrità»[5]. Aggiungo anche una considerazione di San Josemaría riportata in Solco: “La fede è l’umiltà della ragione che rinuncia al proprio criterio e si prostra davanti ai giudizi e all’autorità della Chiesa”[6].

Vorrei ancora insistere su un altro aspetto del vostro lavoro, in cui si manifesta l’importanza della virtù dell’umiltà. Molti di voi, nuovi studenti, arrivate carichi di anni di esperienza nell’esercizio delle più diverse professioni o nell’esercizio del ministero sacerdotale nei diversi incarichi pastorali nelle vostre diocesi. Certamente l’impegno in uno studio perseverante, nascosto e silenzioso, e la mancanza di un contatto diretto con un maggior numero di persone richiederanno da voi la consapevolezza, paziente e umile, che tutta questa vostra fatica sarà messa, in un futuro non molto lontano, al servizio pastorale delle anime e della Chiesa, e richiederanno pure una fede capace di trasformare il vostro studio quotidiano in preghiera, in atto d’amore a Dio, alla sua Chiesa e alle anime.

Mi vengono in mente le parole pronunciate nell’ultima Messa celebrata a Copacabana da Papa Francesco nella recente Giornata Mondiale della Gioventù: sicuramente ricordate quelle tre parole della sua omelia che ravvivarono in tutti lo zelo apostolico, il desiderio di un maggiore impegno nella nuova evangelizzazione: «Che cosa ci dice il Signore? Tre parole: Andate, senza paura, per servire». Parole che riguardano tutti noi, nelle nostre particolari circostanze. Anche voi, dal vostro posto di studio, dalla biblioteca, dalle aule o dai vostri uffici di lavoro, siete incoraggiati ad andare senza paura, per servire. Se saprete col vostro studio e il vostro lavoro entrare in dialogo vivo e personale con Dio, anche rimanendo immersi tra i vostri libri, andrete dappertutto con Lui, senza paura di mettere le vostre qualità, il vostro tempo, la vostra vita al servizio di tutte le anime, e realizzerete così, come diceva San Josemaría, un “apostolato direttissimo”.

Ho accennato a uno degli ultimi eventi, in ordine cronologico, di quest’Anno della fede, la Giornata Mondiale della Gioventù, che è stata un’altra occasione di «riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede»[7]. Ma oltre a questa e a tante altre iniziative programmate durante l’Anno della fede, vorrei fare riferimento a quegli altri eventi degli ultimi mesi, non programmati, che sicuramente ci hanno toccato profondamente. Mi viene in mente in primo luogo l’inatteso e commovente annuncio di Benedetto XVI di rinunzia al soglio pontificio. Dopo un primo momento di stupore e — perché no? — di stordimento, con l’aiuto della fede abbiamo compreso il grande coraggio e la generosità del suo gesto. Penso di interpretare l’animo di tutti voi se approfitto di quest’occasione per rinnovare al Papa emerito la nostra gratitudine per il suo pontificato e in modo particolare per il suo ricchissimo Magistero, che ci ha ricordato, fra l’altro, che la Chiesa è veramente «un corpo vivo, animato dallo Spirito Santo e vive realmente dalla forza di Dio. Essa è nel mondo, ma non è del mondo: è di Dio, di Cristo, dello Spirito»[8].

Ulteriore prova della vivacità e soprannaturalità della Chiesa è stata la successiva elezione di Papa Francesco lo scorso 13 marzo. La Chiesa è veramente un corpo vivo animato dallo Spirito Santo che conosce e vede ciò che noi uomini non vediamo, e sa suggerire in ogni momento ciò che per la Chiesa è più conveniente. Sebbene abbia avuto occasione di esprimere al Santo Padre Francesco il mio personale affetto e di assicurargli le mie preghiere e quelle di tutti voi, in qualche modo da me rappresentati perché studenti, docenti o dipendenti di questa Università, vorrei ancora sollecitare la generosità della vostra preghiera e del vostro affetto affinché il Santo Padre, docile alle mozioni dello Spirito Santo, continui a custodire e guidare la Chiesa a lui affidata come pastore supremo con l’audacia, la generosità e lo slancio che in questi primi mesi del suo pontificato hanno conquistato il cuore di tutti i fedeli.

Vorrei riferirmi infine a un altro fatto per me, per questa Università, di grande significato: l’approvazione da parte di Sua Santità Francesco dei decreti che aprono la via alla canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, e alla beatificazione di Mons. Álvaro del Portillo.

La nascita di questa Università è, infatti, strettamente legata alla volontà di Giovanni Paolo II e di Álvaro del Portillo, mio predecessore come Prelato dell’Opus Dei e come primo Gran Cancelliere di questa Università, tanto desiderata da San Josemaría. Nei documenti che raccontano la storia dell’Università della Santa Croce, dalla sua nascita come Centro Accademico Romano fino alla sua costituzione come Pontificia Università, rimarrà sempre presente la firma di Sua Santità Giovanni Paolo II, che non solo accolse le richieste del Venerabile Álvaro del Portillo, ma incoraggiò e seguì da vicino il sorgere di questa istituzione.

La Provvidenza ha voluto unire nella stessa data la decisione del Santo Padre di canonizzare e beatificare questi due servi fedeli di Dio e della Chiesa, uniti in vita da una profonda affinità spirituale, e non è nemmeno un caso che la nostra odierna riunione si svolga in quest’Aula Magna intitolata a Giovanni Paolo II e, per chi in quest’Aula non ha trovato posto e segue l’atto attraverso il circuito interno, nell’Aula Minor intitolata ad Álvaro del Portillo. Al di là della prevedibile grande gioia di poter assistere, con la grazia di Dio, alle rispettive cerimonie di canonizzazione e di beatificazione il prossimo anno, la certezza di avere in Cielo questi due sicuri intercessori ci riempie di una grande pace e serenità.

Alla loro intercessione, all’intercessione di San Josemaría Escrivá e di Nostra Madre Santa Maria affido questo nuovo anno accademico che adesso dichiaro aperto.

[1] PAPA FRANCESCO, Lettera enciclica Lumen fidei, 29-VI-2013, n. 36.

[2] Ibid.

[3] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 142.

[4] PAPA FRANCESCO, Lettera enciclica Lumen fidei, 29-VI-2013, n. 36.

[5] Ibid.

[6] SAN JOSEMARÍA, Solco, n. 259.

[7] BENEDETTO XVI, Motu proprio Porta fidei, 11-X-2011, n. 7.

[8] BENEDETTO XVI, Discorso nella Sala Clementina, 28-II-2013.

Romana, n. 57, Luglio-Dicembre 2013, p. 243-246.

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