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Notizia sull’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (24-XI-2013)

Città del Vaticano, 26 novembre 2013 (VIS) — Questa mattina, nella Sala Stampa della Santa Sede, l’Arcivescovo Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, l’Arcivescovo Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, e l’Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, sono intervenuti alla conferenza stampa di presentazione dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium che Papa Francesco ha redatto a seguito del Sinodo dei Vescovi, convocato dal predecessore Benedetto XVI (dal 7 al 28 ottobre 2012) sul tema: “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”.

L’Esortazione, di 222 pagine, è suddivisa in cinque capitoli con una presentazione. I capitoli sono intitolati: “La trasformazione missionaria della Chiesa”; “Nella crisi dell’impegno comunitario”; “L’annuncio del Vangelo”; “La dimensione sociale dell’evangelizzazione” e “Evangelizzatori con spirito”.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento dell’Arcivescovo Fisichella, conservando i numeri che indicano le corrispondenti citazioni dell’Esortazione.

Evangelii gaudium: l’Esortazione apostolica di Papa Francesco scritta alla luce della gioia per riscoprire la sorgente dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Si potrebbe riassumere in questa espressione l’intero contenuto del nuovo documento che Papa Francesco offre alla Chiesa per delineare le vie di impegno pastorale che la riguarderanno da vicino nel prossimo futuro. Un invito a recuperare una visione profetica e positiva della realtà senza distogliere lo sguardo dalle difficoltà. Papa Francesco infonde coraggio e provoca a guardare avanti nonostante il momento di crisi, facendo ancora una volta della croce e risurrezione di Cristo il “vessillo della vittoria” (85).

A più riprese, Papa Francesco fa riferimento alle ‘Propositiones’ del Sinodo dell’ottobre 2012, mostrando quanto il contributo sinodale sia stato un punto di riferimento importante per la redazione di questa Esortazione. Il testo, comunque, va oltre l’esperienza del Sinodo. Il Papa imprime in queste pagine non solo la sua esperienza pastorale precedente, ma soprattutto il suo richiamo a cogliere il momento di grazia che la Chiesa sta vivendo per intraprendere con fede, convinzione ed entusiasmo la nuova tappa del cammino di evangelizzazione. Prolungando l’insegnamento di Evangelii nuntiandi, di Paolo VI, egli pone di nuovo al centro la persona di Gesù Cristo, il primo evangelizzatore, che oggi chiama ognuno di noi a partecipare con Lui all’opera della salvezza (12). “L’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa” (15) — afferma il Santo Padre —: per questo è necessario cogliere il tempo favorevole per scorgere e vivere la “nuova tappa” dell’evangelizzazione (17).

Essa si articola su due tematiche particolari che segnano la trama basilare dell’Esortazione. Da una parte, Papa Francesco si rivolge alle Chiese particolari perché, vivendo in prima persona le sfide e le opportunità proprie di ogni contesto culturale, siano in grado di proporre gli aspetti peculiari della nuova evangelizzazione nei loro Paesi. Dall’altra, il Papa traccia un denominatore comune per permettere a tutta la Chiesa, e a ogni singolo evangelizzatore, di ritrovare una metodologia comune per convincersi che l’impegno di evangelizzazione è sempre un cammino partecipato, condiviso e mai isolato. I sette punti, raccolti nei cinque capitoli dell’Esortazione, costituiscono le colonne fondanti della visione di Papa Francesco per la nuova evangelizzazione: la riforma della Chiesa in uscita missionaria, le tentazioni degli agenti pastorali, la Chiesa intesa come totalità del popolo di Dio che evangelizza, l’omelia e la sua preparazione, l’inclusione sociale dei poveri, la pace e il dialogo sociale, le motivazioni spirituali per l’impegno missionario. Il mastice che tiene unite queste tematiche si concentra nell’amore misericordioso di Dio che va incontro a ogni persona per manifestare il cuore della sua rivelazione: la vita di ogni persona acquista senso nell’incontro con Gesù Cristo e nella gioia di condividere questa esperienza di amore con gli altri (8).

Il primo capitolo, quindi, si sviluppa alla luce della riforma in chiave missionaria della Chiesa, chiamata a “uscire” da sé stessa per incontrare gli altri. È la “dinamica dell’esodo e del dono dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre” (21), ciò che il Papa esprime in queste pagine. La Chiesa che deve fare sua “l’intimità di Gesù che è un’intimità itinerante” (23). Il Papa, come ormai siamo abituati, indugia in espressioni a effetto e crea neologismi per far cogliere la natura stessa dell’azione evangelizzatrice. Fra tutte, quella di “primerear”; cioè Dio ci precede nell’amore indicando alla Chiesa il cammino da seguire. Essa non si trova in un vicolo cieco, ma ripercorre le orme stesse di Cristo (cfr. 1 Pt 2,21); pertanto, ha certezza del cammino da compiere. Questo non le fa paura, sa che deve “andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un inesauribile desiderio di offrire misericordia” (24). Perché questo avvenga, Papa Francesco ripropone con forza la richiesta della “conversione pastorale”. Ciò significa passare da una visione burocratica, statica e amministrativa della pastorale a una prospettiva missionaria; anzi, una pastorale in stato permanente di evangelizzazione (25). Come, infatti, ci sono strutture che facilitano e sostengono la pastorale missionaria, purtroppo “ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore” (26). La presenza di prassi pastorali stantie e rancide obbliga, quindi, all’audacia di essere creativi per ripensare l’evangelizzazione. In questo senso afferma il Papa: “Un’individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia” (33).

È necessario, pertanto, “concentrarsi sull’essenziale” (35) e sapere che solo una dimensione sistematica, cioè unitaria, progressiva e proporzionata della fede può essere di vero aiuto. Ciò comporta per la Chiesa la capacità di evidenziare la “gerarchia delle verità” e il suo adeguato riferimento con il cuore del Vangelo (37-39). Ciò evita di cadere nel pericolo di una presentazione della fede fatta solo alla luce di alcune questioni morali come se queste prescindessero dal loro rapporto con la centralità dell’amore. Fuori da questa prospettiva, “l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo” (39). C’è un forte richiamo del Papa, quindi, perché si giunga a un sano equilibrio tra il contenuto della fede e il linguaggio che lo esprime. Può accadere, a volte, che la rigidità con cui si intende conservare la precisione del linguaggio vada a danno del contenuto, compromettendo la visione genuina della fede (41).

Un passaggio certamente importante, in questo capitolo, è il n. 32 dove Papa Francesco mostra l’urgenza per portare a termine alcune prospettive del Vaticano II. In particolare il compito dell’esercizio del Primato del Successore di Pietro, e delle Conferenze Episcopali. Già Giovanni Paolo II in Ut unum sint aveva avanzato una richiesta di aiuto per comprendere meglio i compiti del Papa nel dialogo ecumenico. Ora, Papa Francesco prosegue su questa richiesta e vede che una più coerente forma di aiuto potrebbe giungere se si sviluppasse ulteriormente lo Statuto delle Conferenze Episcopali. Un ulteriore passaggio di particolare intensità, per le conseguenze che porterà nella pastorale, sono i nn. 38-45: il cuore del Vangelo “si incarna nei limiti del linguaggio umano”. La dottrina, cioè, si inserisce nella “gabbia del linguaggio” — per usare un’espressione cara a Wittgenstein —: ciò comporta l’esigenza di un reale discernimento tra la povertà e i limiti del linguaggio con la ricchezza — spesso ancora sconosciuta — del contenuto di fede. Il pericolo che la Chiesa possa a volte non considerare questa dinamica è reale; può succedere, quindi, che su alcune posizioni vi sia un arroccamento ingiustificato con il rischio di sclerotizzare il messaggio evangelico senza percepirne più la dinamica propria dello sviluppo.

Il secondo capitolo è dedicato a recepire le sfide del mondo contemporaneo e a superare le facili tentazioni che minano la nuova evangelizzazione. In primo luogo, afferma il Papa, è necessario recuperare la propria identità senza avere complessi di inferiorità che portano poi a “occultare la propria identità e le convinzioni… che finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri e per avere quello che gli altri possiedono” (79). Ciò fa cadere i cristiani in un “relativismo ancora più pericoloso di quello dottrinale” (80), perché intacca direttamente lo stile di vita dei credenti. Avviene così che in molte espressioni della nostra pastorale le iniziative risentano di pesantezza perché al primo posto viene messa l’iniziativa e non la persona. Sostiene il Papa che la tentazione di una “spersonalizzazione della persona” per favorire l’organizzazione è reale e comune. Alla stessa stregua, le sfide nell’evangelizzazione dovrebbero essere accolte più come una chance per crescere che non come un motivo per cadere in depressione. Bando quindi al “senso della sconfitta” (85). È necessario recuperare il rapporto interpersonale perché abbia il primato sulla tecnologia dell’incontro, fatto con il telecomando in mano per stabilire come, dove, quando e per quanto tempo incontrare gli altri a partire dalle proprie preferenze (88). Tra queste sfide, comunque, oltre alle usuali e più diffuse, è necessario cogliere quelle che hanno una valenza più diretta nella vita. Il senso di “quotidiana precarietà, con conseguenze funeste”, le varie forme di “disparità sociale”, il “feticismo del denaro e la dittatura di un’economia senza volto”, la “esasperazione del consumo” e il “consumismo sfrenato”... insomma, si è dinanzi a una “globalizzazione dell’indifferenza” e a un “disprezzo beffardo” nei confronti dell’etica, con un permanente tentativo di emarginare ogni richiamo critico nei confronti del predominio del mercato, che con la sua teoria della “ricaduta favorevole” illude sulla reale possibilità di andare a favore dei poveri (cfr. nn. 52-64). Se la Chiesa oggi appare ancora fortemente credibile in tanti Paesi del mondo, anche là dove è minoranza, questo è dovuto alla sua opera di carità e solidarietà (65).

Nell’evangelizzazione per il nostro tempo, pertanto, soprattutto dinanzi alle sfide delle grandi “culture urbane” (71), i cristiani sono invitati a fuggire da due espressioni che ne minano la natura stessa, e che Papa Francesco definisce “mondanità” (93). In primo luogo, il “fascino dello gnosticismo”; una fede cioè rinchiusa in sé stessa, nelle sue certezze dottrinali, e che fa delle proprie esperienze il criterio di verità per il giudizio degli altri. Inoltre, il “neopelagianesino autoreferenziale e prometeico” di quanti ritengono che la grazia sia solo un accessorio mentre ciò che crea progresso è solo il proprio impegno e le proprie forze. Tutto questo contraddice l’evangelizzazione. Crea una sorta di “elitarismo narcisista” che deve essere evitato (94). Cosa vogliamo essere, si domanda il Papa, “Generali di eserciti sconfitti” oppure “semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere”? Il rischio di una “Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali” (96) non è recondito, ma reale. Occorre, quindi, non soccombere a queste tentazioni, ma offrire la testimonianza della comunione (99). Essa si fa forte della complementarità. A partire da questa considerazione, Papa Francesco espone l’esigenza per la promozione del laicato e della donna; dell’impegno per le vocazioni e dei sacerdoti. Guardare alla Chiesa con il progresso compiuto in questi decenni richiede di evitare la mentalità del potere, ma far crescere quella del servizio per la costruzione unitaria della Chiesa (102-108).

L’evangelizzazione è un compito di tutto il popolo di Dio, nessuno escluso. Essa non è riservata né può essere delegata a un gruppo particolare. Tutti i battezzati sono direttamente coinvolti. Papa Francesco spiega, nel terzo capitolo dell’Esortazione, come essa si possa sviluppare e le tappe che ne esprimono il progresso. In primo luogo, si sofferma a evidenziare il “primato della grazia” che opera instancabilmente nella vita di ogni evangelizzatore (112). Sviluppa, inoltre, il tema del grande ruolo svolto dalle varie culture nel loro processo di inculturazione del Vangelo, e previene dal cadere nella “vanitosa sacralizzazione della propria cultura” (117). Indica poi il percorso fondamentale della nuova evangelizzazione nell’incontro interpersonale (127-129) e nella testimonianza di vita (121). Insiste, infine, perché si valorizzi la pietà popolare, perché esprime la fede genuina di tante persone che in questo modo danno vera testimonianza dell’incontro semplice con l’amore di Dio (122-126). Da ultimo, un invito del Papa ai teologi perché studino le mediazioni necessarie per giungere alla valorizzazione delle varie forme di evangelizzazione (133), mentre si sofferma più a lungo sul tema dell’omelia come forma privilegiata dell’evangelizzazione che richiede una autentica passione e amore per la Parola di Dio e per il popolo che ci è affidato (135-158).

Il quarto capitolo è dedicato alla riflessione sulla dimensione sociale dell’evangelizzazione. Un tema caro a Papa Francesco perché “se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice” (176). È il grande tema del legame tra l’annuncio del Vangelo e la promozione della vita umana in tutte le sue espressioni. Una promozione integrale di ogni persona che impedisce di rinchiudere la religione come un fatto privato senza alcuna incidenza nella vita sociale e pubblica. Una “fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo” (183). Due grandi tematiche appartengono a questa sezione dell’Esortazione. Il Papa ne parla con particolare passione evangelica, consapevole che segneranno il futuro dell’umanità: anzitutto, “l’inclusione sociale dei poveri”; inoltre, “la pace e il dialogo sociale”.

Per quanto concerne il primo punto, con la nuova evangelizzazione la Chiesa sente come propria missione quella di “collaborare per risolvere le cause strumentali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri”, come pure quella di “gesti semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete” che ogni giorno sono dinanzi ai nostri occhi (188). Ciò che giunge da queste dense pagine è un invito a riconoscere la “forza salvifica” che i poveri possiedono, e che deve essere posta al centro della vita della Chiesa con la nuova evangelizzazione (198). Ciò significa, comunque, riscoprire anzitutto l’attenzione, l’urgenza e la consapevolezza di questa tematica, prima ancora di ogni esperienza concreta. Non solo, l’opzione fondamentale verso i poveri che preme di essere realizzata, sostiene Papa Francesco, è primariamente quella di una “attenzione spirituale” e “religiosa”; essa è prioritaria su ogni altra forma (200). Su questi temi, la parola di Papa Francesco è franca, detta con parresia e senza circonlocuzioni. Un “Pastore di una Chiesa senza frontiere” (210) non può permettersi di volgere lo sguardo altrove. Ecco perché mentre chiede con forza di considerare il tema dei migranti, denuncia con altrettanta chiarezza le nuove forme di schiavitù: “Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete di prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità” (211). A scanso di equivoci, il Papa difende con altrettanta forza la vita umana nel suo primo inizio e la dignità di ogni essere vivente (213). Per quanto concerne il secondo aspetto, il Papa enuclea quattro principi che sono come il denominatore comune per la crescita nella pace e la sua concreta applicazione sociale. Memore, forse, dei suoi studi su Romano Guardini, Papa Francesco sembra creare una nuova opposizione polare; ricorda infatti che “il tempo è superiore allo spazio”, “l’unità prevale sul conflitto”, la “realtà è più importante dell’idea” e che “il tutto è superiore alla parte”. Questi principi si aprono alla dimensione del dialogo come primo contributo per la pace. Esso si estende nel corso della Esortazione all’ambito della scienza, nei confronti dell’ecumenismo e delle religioni non cristiane.

L’ultimo capitolo intende esprimere lo “spirito della nuova evangelizzazione” (260). Esso si sviluppa sotto il primato dell’azione dello Spirito Santo che infonde sempre e di nuovo l’impulso missionario a partire dalla vita di preghiera, dove la contemplazione occupa il posto centrale (264). La Vergine Maria, “stella della nuova evangelizzazione”, è presentata, a conclusione, come l’icona della genuina azione di annuncio e trasmissione del Vangelo che la Chiesa è chiamata a compiere nei prossimi decenni con entusiasmo forte e immutato amore per il Signore Gesù.

“Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!” (83). È un linguaggio chiaro, immediato, senza retorica né sottointesi, quello con cui ci si incontra in questa Esortazione apostolica. Papa Francesco va al cuore dei problemi che vive l’uomo di oggi e che, da parte della Chiesa, richiedono molto più di una semplice presenza. A lei è chiesta una fattiva azione programmatica e una rinnovata prassi pastorale che evidenzi il suo impegno per la nuova evangelizzazione.

Il Vangelo deve giungere a tutti, senza esclusioni di sorta. Alcuni, comunque, sono privilegiati. A scanso di equivoci, Papa Francesco presenta il suo orientamento: “Non tanto gli amici e i vicini ricchi, bensì soprattutto i poveri, gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati… Non devono restare dubbi né sussistono spiegazioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro” (48).

Come in altri momenti cruciali della storia, così anche oggi la Chiesa sente l’urgenza di affinare lo sguardo per compiere l’evangelizzazione alla luce dell’adorazione; con uno “sguardo contemplativo” per vedere ancora i segni della presenza di Dio. Segni dei tempi non solo incoraggianti, ma posti come criterio per una efficace testimonianza (71). Primo tra tutti, Papa Francesco ricorda il mistero centrale della nostra fede: “Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada” (3). Quella che Papa Francesco ci indica, alla fine, è la Chiesa che si fa compagna di strada di quanti sono nostri contemporanei nella ricerca di Dio e nel desiderio di vederlo.

Romana, n. 57, Luglio-Dicembre 2013, p. 205-211.

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