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Intervista concessa a Eco Católico, Costarica (17-VIII-2014) (Realizzata da Martín Rodríguez González)

— “Sogno una grande quantità di figli di Dio, che si santificano nella loro vita di comuni cittadini, condividendo zelo, entusiasmo e impegno con le altre persone”. Questa frase di san Josemaría Escrivá, applicata all’Opus Dei di oggi, è una realtà ben definita o è ancora in evoluzione?

San Josemaría ha sempre ripetuto, dal 1928, che la santità non è una meta riservata a privilegiati, ma è per tutti i battezzati. Il compito della prelatura dell’Opus Dei consiste proprio nel ricordare la chiamata universale alla santità e il conseguente valore della vita quotidiana come cammino di santificazione. Grazie a Dio, sono molte le persone che, attraverso l’attività apostolica delle donne, degli uomini e dei sacerdoti dell’Opera di Dio, si sono decise a mettere Cristo al centro della loro esistenza. In questo senso si può dire che il sogno di san Josemaría è diventato realtà. Tuttavia è chiaro che si tratta di una realtà sempre in divenire — come la vita della Chiesa —, che si realizza con la grazia di Dio e con la risposta della creatura. Un cristiano non può essere conformista: ogni giorno — con una gioia nuova — cerca di manifestare il proprio amore di Dio e per gli altri.

— Lei ha conosciuto san Josemaría. Che cosa direbbe a coloro che, oggi, in pieno XXI secolo, continuano ad aspirare a un’autentica felicità? Proporrebbe l’Opus Dei come una via per raggiungerla?

San Josemaría affermava che “la felicità del Cielo è per quelli che sanno essere felici sulla terra”. L’autentica felicità nasce come conseguenza di vivere vicino a Dio, è frutto della presenza dello Spirito Santo nell’anima. Gli uomini e le donne che, nella fede, sanno di essere figli amati di Dio, non possono far altro che essere pieni di pace e di gioia, anche in mezzo alle contrarietà o al dolore, con una felicità che non è una semplice situazione spirituale, ma frutto della fede e della carità. Il peccato è il grande ostacolo alla felicità.

L’Opus Dei è uno dei possibili cammini cristiani ai quali il Signore può chiamare una persona: ognuno di noi ha una vocazione personalissima, che deve scoprire nell’orazione, nel dialogo amichevole con il Signore. Rispondere con un “sì” alla chiamata divina, qualunque essa sia, e corrispondere quotidianamente alle sue esigenze, è una garanzia certa di felicità.

— Se si pensa alla storia della Chiesa, l’esistenza dell’Opus Dei è storia recente. Quanto pesa questo fatto per la comprensione dell’Opera, della sua natura, dei suoi metodi e dei suoi fini? Che cosa fa l’Opus Dei per dare risposta in chiave evangelica ai dubbi di alcuni o all’aperta opposizione di altri?

Quando san Josemaría vide che Dio lo chiamava a diffondere la vocazione universale alla santità, questa realtà — profondamente evangelica — appariva molto nuova alla maggioranza dei cristiani: non era affatto comune che si parlasse di una chiamata universale alla santità e, come è accaduto tante altre volte nella storia della Chiesa, subì incomprensioni, specialmente negli anni Trenta e Quaranta del XX secolo. Oggi — soprattutto dopo il Concilio Vaticano II —, questa dottrina è comune e universale. Seguendo l’esempio del fondatore, i fedeli dell’Opus Dei tengono le braccia aperte per tutti e, grazie a Dio, da molti anni l’Opus Dei è molto amato e aiutato da milioni di persone, anche non cattoliche e non cristiane. Quando sorge un’incomprensione, si tenta di chiarire le cose con pazienza e serenità. L’esperienza ci ha dimostrato che, anche in questi casi, gli attacchi e la cattiva informazione si trasformano in occasioni di amicizia e di avvicinamento alla Chiesa di coloro che li avevano provocati.

— La santificazione nella vita ordinaria parla chiaramente dei laici. Che posto sono chiamati a occupare nella Chiesa? Come considera l’Opus Dei questo protagonismo?

Ai laici, come insegna il Concilio Vaticano II, spetta di illuminare e organizzare le iniziative temporali nelle quali intervengono, in modo che si svolgano secondo lo spirito di Cristo e siano per la gloria di Dio e il bene degli altri. L’Opus Dei aiuta i suoi fedeli, e coloro che partecipano ai suoi apostolati, a trovare Dio e a stare con Lui nelle occupazioni di ogni giorno: nel lavoro, nella famiglia, nella vita sociale, nei momenti di svago, nella malattia o nella povertà. Se si impegnano a identificarsi con Cristo in questi ambiti, i laici santificano il mondo dal di dentro, diffondono il messaggio del Vangelo e contribuiscono al progresso umano della società. Assumono così il loro ruolo di protagonisti nello sviluppo della missione della Chiesa dalla loro bottega, dal loro ufficio, dalla sala operatoria di un ospedale, dalla scuola e da ogni altro luogo in cui ognuno trascorre la giornata.

— Oggi si insiste sulla decomposizione del tessuto sociale, ma con ciò non corriamo il rischio di non considerare più la famiglia e le sfide che deve affrontare? La famiglia è in crisi?

La famiglia è una grande ricchezza, indispensabile per la società, e quindi dobbiamo sforzarci di far conoscere la vera natura dell’istituzione familiare, anche se qualche volta non è un compito facile. Per me è motivo di particolare riconoscenza a Dio potermi incontrare in questi giorni, in Costarica, con coppie di coniugi che organizzano corsi di orientamento familiare per padri e madri di bambini e di adolescenti; penso che, con questa generosa dedicazione, prestino al Paese e al mondo un servizio di grande importanza e qualità, anche umana. Però non possiamo accontentarci di promuovere i valori della famiglia “a parole”: quanto aiuta l’esempio! Dobbiamo saperci preoccupare dei membri della nostra famiglia, dobbiamo pregare per loro, dobbiamo rallegrarci per le loro gioie e accompagnarli nei momenti di angoscia. Dobbiamo creare attorno a noi un autentico clima di famiglia, e poi dobbiamo mantenerlo anche sacrificandoci per i nostri parenti, dedicando generosamente tempo ed energie ai malati e agli anziani. Ripetiamo spesso le tre parole che Papa Francesco ha affermato che non debbono mancare in ogni famiglia: permesso, grazie e perdono.

— Nella Evangelii gaudium Papa Francesco afferma di “preferire una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura”. Come contribuire attraverso una realtà come l’Opus Dei a questa aspirazione del Santo Padre?

Il dinamismo apostolico di Papa Francesco è una benedizione per tutta la Chiesa. L’evangelizzazione alla quale sprona ci parla di una missione che coinvolge tutti i battezzati. Il Santo Padre ci invita ad andare incontro agli altri, a mettere da parte la comodità e a condividere la nostra vicinanza a Cristo con le persone che stanno attorno a noi. Come? Prima di tutto con l’esempio e con l’affetto, e poi con un dialogo a tu per tu con i nostri amici e conoscenti, preceduto dalla preghiera per la persona alla quale ci rivolgiamo e dall’invocazione allo Spirito Santo. Alcune volte forse ci sembrerà che qualche nostro intervento non dia frutto, ma niente è più lontano dalla realtà: il Signore conta su tutto ciò che facciamo pensando a Lui e nessun seme rimarrà sterile.

Inoltre Papa Francesco ci incoraggia a praticare la misericordia con le persone che soffrono e con quelle che sono sole. Tutti siamo in condizioni di aiutare un malato, un povero o un anziano; e possiamo anche portare loro la luce di Cristo. Non restiamo con le braccia incrociate!

Personalmente, rendo grazie a Dio per i tanti fedeli e amici della Prelatura che portano avanti iniziative di servizio in tutto il mondo: ospedali nei luoghi più sperduti dell’Africa, centri di assistenza a malati terminali nelle periferie di varie città europee, istituti di formazione rivolti a immigranti negli Stati Uniti o in Brasile, e tante altre iniziative. Ogni battezzato è e si sente Chiesa. Pertanto, anche attraverso le attività civili di servizio come quelle che ho menzionato e altre, la Chiesa cerca di essere presente nelle periferie, nei quartieri, nei luoghi dove a volte manca quell’affetto al quale ogni persona ha diritto.

— Nell’era del pensiero debole in cui ci è toccato vivere mancano riferimenti, si sente un gran vuoto di verità, guadagna terreno il dubbio, il secolarismo e il feroce laicismo anticristiano e, soprattutto, anticattolico. In mezzo a questa realtà rimangono ancora motivi di speranza? Come presentare la fede, oggi, in un mondo così pieno di contraddizioni?

Mai un cattolico coerente si deve abbandonare al pessimismo. Anche se oggi non mancano gli eventi tristi o anche drammatici, se siamo uomini e donne di fede, sapremo scoprire innumerevoli benefici del Signore nella nostra vita, nelle vite di coloro che stanno attorno a noi e nelle nazioni. In ogni caso, la fede deve essere proprio il fondamento della speranza, come leggiamo nella Lettera agli Ebrei. In mezzo al secolarismo e al relativismo, che è seguito in gran parte dell’Occidente, molta gente dimostra di essere assetata della verità di Dio. Queste persone hanno bisogno di testimoni che aiutino ad avvicinarsi a Cristo; colleghi e amici che si lascino guidare al di là di tutto dall’amore di Dio e degli altri, e non soltanto dai propri interessi personali, che diano luce con la loro fede e che sappiano spiegarla.

Per questo è necessario — come dicevo prima — ancorare la propria vita all’orazione, alla presenza di Dio e ai sacramenti da ricevere con frequenza, perché sono autentici canali della grazia divina. Inoltre, ci si può sempre impegnare un po’ di più per conoscere meglio la nostra fede attraverso la lettura, lo studio e la partecipazione alle lezioni di catechesi. Con questo piccolo sforzo sarà possibile dedicare tempo a crescere nella conoscenza di Dio e nel dialogo con nostro Padre del Cielo.

D’altra parte, direi che la fede si trasmette bene quando il motore è l’affetto e l’interesse per il prossimo. Il futuro beato Álvaro del Portillo era solito dirci: “Sprizzate affetto, figlie e figli miei, anche quando non siete corrisposti”. Questo consiglio va bene per qualunque persona che voglia evangelizzare.

— Lei avrà occasione di incontrare Mons. José Rafael Quirós. A tal proposito, in che modo l’Opus Dei potrebbe consolidare la comunione con le Chiese diocesane del nostro Paese e rafforzare il comune impegno per l’evangelizzazione?

Effettivamente avrò il piacere di conversare con l’amato arcivescovo di San José, Mons. José Rafael Quirós. Appena stabilito questo viaggio, ho chiesto che il signor arcivescovo e le altre autorità ecclesiastiche fossero informati della mia presenza in Costarica, perché l’Opus Dei, come piccola parte della Chiesa, desidera soltanto, come diceva il suo fondatore, “servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita”.

È chiaro che il lavoro che compiono i fedeli dell’Opus Dei dà i suoi frutti nelle stesse diocesi nelle quali essi vivono e lavorano; negli oltre cinquanta anni che sono passati da quando è cominciato il lavoro apostolico dell’Opus Dei in questo Paese, sono sorte — con la grazia del Signore — numerose coppie di coniugi cristiani e molte vocazioni al sacerdozio, sia per la vita religiosa che per il celibato laicale.

Desidero invitare tutti coloro che appartengono all’Opera, e tutti i costaricensi, a essere di sostegno per i vescovi diocesani, a pregare per ognuno di loro e a chiedere a Dio abbondanti frutti apostolici in questa terra. Vorrei chiedere loro in particolare di pregare per le vocazioni sacerdotali nelle diocesi della nazione, per i catechisti e gli educatori, per la santità delle famiglie costaricensi e per le altre intenzioni dei vescovi del Paese. Li incoraggerei anche ad aumentare ogni giorno il loro zelo apostolico, affinché la Chiesa in Costarica raccolga molti frutti dalle attività di evangelizzazione dell’Opus Dei.

— L’Opus Dei si prepara alla beatificazione di Mons. Álvaro del Portillo. In che modo l’Opera considera l’elevazione agli altari del suo “ingegnere”, come alcuni chiamavano don Álvaro?

Álvaro del Portillo è stato un uomo di pace, di servizio, di fedeltà: prima nel suo lavoro come ingegnere, poi come sacerdote e più tardi come vescovo. Avvicinandosi il 27 settembre, data della sua beatificazione, chiedo all’amatissimo don Álvaro di contagiarci la sua pace, la sua bontà, la sua gioia, la sua lealtà verso la Chiesa e la sua preoccupazione per i più bisognosi.

Le persone riconoscevano in lui un uomo di Dio e dal momento della sua morte si è moltiplicato il numero di coloro che gli affidano le loro richieste: si pensi che finora la postulazione ha ricevuto più di 13.000 relazioni firmate di favori attribuiti alla sua intercessione. È un dato sorprendente, soprattutto se si tiene presente che tra quelli che ricevono favori soltanto pochi si decidono a metterli per iscritto e a mandarli a Roma. Molte di queste relazioni provengono da Paesi nei quali non esiste alcun centro della Prelatura. L’imminente beatificazione di Álvaro del Portillo, oltre a costituire un motivo di grande gioia, sarà un’occasione per dar gloria a Dio e un dono per tutta la Chiesa.

— Dato che l’Opus Dei è all’avanguardia in questo campo, che cosa si mette in gioco nel mondo della comunicazione per ciò che riguarda la fede e l’evangelizzazione? Nella Chiesa si comprende l’importanza della comunicazione sociale o avanziamo dubbi sulle sue molte potenzialità?

San Josemaría guardava con particolare simpatia agli ambienti professionali legati alla comunicazione. Si rendeva conto di quanto fosse importante che molti cattolici lavorassero nei mezzi di comunicazione per portare nel mondo il calore e l’amicizia caratteristici di chi vuole seguire Cristo. Personalmente, egli ha dato lezioni di etica giornalistica, ha promosso facoltà di comunicazione in diversi Paesi e ha incoraggiato — con la sua iniziativa umana e con la sua preghiera — l’avvio di alcuni mezzi di comunicazione promossi da persone dell’Opus Dei e dai loro amici: sognava che numerosi cattolici scegliessero, come ambito professionale, il mondo del cinema, della letteratura, dello svago, della radio e della televisione. Se c’è un po’ di vero nell’amabile valutazione da lei fatta — della quale la ringrazio —, lo si deve, indubbiamente, a questo seme piantato dal fondatore.

Penso che, grazie a Dio, la considerazione positiva della comunicazione sociale — che non esclude una riflessione critica sui limiti di un certo tipo di giornalismo sensazionalista — è oggi generalizzata. Fa piacere vedere il gran numero di attività di evangelizzazione che, attraverso i mezzi di comunicazione, vanno nascendo qua e là per iniziativa di cattolici di diversa provenienza: agenzie di informazioni, pagine web di formazione cristiana, iniziative di carità e di servizio su internet, case di produzione cinematografica e televisiva con valori cristiani. A volte non sono molto conosciute: però, se si sommassero gli ascolti, supererebbero quelli di non poche catene internazionali.

L’interesse per la comunicazione sociale è evidente nella maggioranza delle diocesi e delle istituzioni della Chiesa. Molte di esse, per esempio, inviano studenti nella facoltà di comunicazione istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce a Roma. Si tratta, propriamente, di un centro di studi che ha il fine di dotare le persone delle condizioni necessarie per trasmettere il messaggio cristiano e la stupenda realtà della Chiesa attraverso i mezzi di comunicazione.

Romana, n. 59, Luglio-Dicembre 2014, p. 298-303.

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