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Parole conclusive dell’arcivescovo di Madrid Cardinale Antonio María Rouco Varela Madrid, 27-IX-2014

Alla conclusione di questa solenne cerimonia di beatificazione, ringrazio Iddio per tutte le meraviglie che ha compiuto nella persona del beato Álvaro del Portillo e, grazie alla sua fedeltà, in tanti uomini e donne di tutto il mondo.

La mia gratitudine si indirizza anche al Santo Padre Francesco, che ha voluto che la beatificazione si celebrasse in questa cara Arcidiocesi di Madrid, perché oserei dire che il beato del Portillo, nato qui, è particolarmente nostro, e ci benedice specialmente dal Cielo: proprio per queste sue profonde radici, ha potuto e ha saputo essere cittadino del mondo, dei cinque continenti in cui si è recato, meravigliosamente rappresentati in questa assemblea orante.

Nella nostra città il nuovo beato ricevette il Battesimo e la Confermazione, fece la Prima Comunione e, grazie anche all’educazione ricevuta nella sua famiglia e a scuola, crebbe sin da giovane nel suo amore a Gesù Cristo. A Madrid frequentò gli studi di ingegneria civile, essendo allo stesso tempo evangelizzatore dei più poveri nelle baracche della capitale della Spagna, allora in piena espansione urbanistica e demografica, in cui si ripercuotevano i gravi problemi sociali, umani e religiosi di un’epoca della storia spagnola ed europea — la prima metà del XX secolo — particolarmente drammatica.

Sempre a Madrid, in piena gioventù, dopo aver conosciuto san Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, il beato Álvaro assecondò immediatamente la chiamata che Dio gli rivolgeva a cercare la santità in mezzo al mondo, attraverso la santificazione del lavoro professionale e la dedicazione all’apostolato.

Nella nostra città e negli anni convulsi della guerra civile, ebbe modo anche di testimoniare il suo amore e la fedeltà a Cristo, sia in un difficile e rischioso lavoro di catechesi, sia nei mesi che passò in carcere. Nel 1944 il beato Álvaro del Portillo ricevette l’ordinazione presbiterale dalle mani del mio predecessore, Mons. Leopoldo Eijo y Garay.

La Chiesa particolare di Madrid è sensibile alle necessità della Chiesa universale. Sebbene il beato Álvaro si sia trasferito a Roma nel 1946, non per questo non lo consideriamo più madrileno. Come Chiesa diocesana siamo orgogliosi del suo fedele aiuto a san Josemaría nella diffusione del messaggio dell’Opus Dei in tutto il mondo e del suo contributo al Concilio Vaticano II. E anche del suo talento esemplare nel succedere con umiltà e fedeltà al fondatore, e del suo esercizio del ministero episcopale in unione con il successore di Pietro e con il collegio episcopale.

La cerimonia odierna, in cui si sono riunite persone del mondo intero, mi fa venire alla memoria un’altra celebrazione festosa e universale, la Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid, che attirò una pioggia di grazie per tutti, e in modo particolare per la nostra città. In quei giorni dell’agosto 2012, presieduti da Papa Benedetto XVI, forse erano presenti molti di voi, accompagnati anche dallo stesso coro che ha cantato oggi.

L’impronta del nuovo beato è molto presente a Madrid. Non soltanto né principalmente per ragioni storiche. Lo è anche per l’influsso che la sua vita e i suoi scritti esercitano nei cuori di tanti fedeli di questa Arcidiocesi. E per il bene spirituale e sociale realizzato da tante iniziative che devono a lui la loro prima ispirazione. Che l’intercessione del beato Álvaro del Portillo le continui a proteggere!

Desidero anche ricordare che nei miei rapporti personali con don Álvaro, per esempio in occasione del Sinodo dei Vescovi del 1990, ho potuto percepire la grandezza della sua bontà, serenità e buon umore. “Nella Comunione della Chiesa”: proprio così! Il beato Álvaro mi ricorda il mio motto episcopale, “In Ecclesiae Communione”. Amava la Chiesa, e perciò era un uomo di comunione, di unione, di amore.

Chiedo alla Santissima Vergine dell’Almudena che anche noi, come fedeli annunciatori del Vangelo, sappiamo corrispondere alla chiamata del Signore per servire gli uomini e le donne del nostro tempo.

Romana, n. 59, Luglio-Dicembre 2014, p. 237-238.

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