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San Giuseppe nella vita cristiana e negli insegnamenti di san Josemaría

Lucas F. Mateo-Seco*

Università di Navarra

* articolo pubblicato postumo

La devozione a san Giuseppe era profondamente radicata nell’anima di san Josemaría fin da molto giovane. Ricordando che nel 1934 aveva affidato al Santo Patriarca le pratiche per ottenere la concessione del primo Tabernacolo, nel 1971 fece questo commento: «In fondo alla mia anima avevo già la devozione a san Giuseppe, che vi ho inculcato»[1]. Questa devozione è presente, solida e chiara, già negli scritti del 1933 — anche se san Josemaría la viveva già da molto tempo, come si può vedere in Santo Rosario, del 1931 — e si mantiene viva e piena di calore sino alla fine della sua vita, con una notevole crescita negli ultimi anni[2].

1. Introduzione

Nei tre punti che dedica in Cammino alla devozione a san Giuseppe, compaiono alcune delle ragioni teologiche sulle quali basa questa sua devozione. Nel numero 559 scrive: «San Giuseppe, Padre di Cristo, è anche Padre tuo e tuo Signore. — Ricorri a lui»[3]. È significativa la forza con cui chiama qui san Giuseppe «Padre di Cristo». Più avanti, in una omelia del 19 marzo del 1963 dedicata integralmente a san Giuseppe[4], spiegherà in che senso parla di questa paternità, seguendo la nota considerazione di Sant’Agostino in Sermo 51, 20: «Il Signore non nacque dal seme di Giuseppe. Tuttavia, dalla Vergine Maria nacque un figlio alla carità e alla pietà di Giuseppe: ed era il Figlio di Dio»[5]. Secondo san Josemaría, la paternità di san Giuseppe su Gesù non è una paternità secondo la carne, e tuttavia è una paternità reale e unica, che germoglia dal suo vero matrimonio con Santa Maria e dalla sua specialissima missione: è proprio questa la ragione per cui anche la Chiesa e ogni cristiano lo invocano come «Padre e Signore».

Nella stessa omelia appena citata, san Josemaría dice: «Da molti anni, mi piace invocarlo con un titolo che mi sta a cuore: Padre e Signore nostro»[6]. Poi spiega: «San Giuseppe è realmente un padre e signore che protegge e accompagna nel cammino terreno coloro che lo venerano, come protesse e accompagnò Gesù che cresceva e diveniva adulto»[7]. Nell’edizione critico-storica di Cammino, Pedro Rodríguez scrive che probabilmente san Josemaría prese l’espressione “Padre e Signore” da santa Teresa di Gesù, che tanta influenza ha avuto nella devozione a san Giuseppe non solo nel Carmelo, ma in tutta la Chiesa[8].

In Cammino, le conseguenze di questa «paternità» si concentrano nel magistero di san Giuseppe sulla «vita interiore». Dice il n. 560: «San Giuseppe, Padre e Signore nostro, è Maestro di vita interiore. — Mettiti sotto il suo patrocinio e sentirai l’efficacia del suo potere». E il numero 561: «Di san Giuseppe ecco che cosa dice santa Teresa d’Avila, nella sua autobiografia: “Chi non trova Maestro che gli insegni a pregare, prenda per maestro questo glorioso santo, e non sbaglierà strada”. — Il consiglio viene da un’anima esperta. Seguilo». La ragione addotta da san Josemaría per appoggiare questi due consigli è l’intimo e continuo rapporto che san Giuseppe mantenne con Gesù e con Maria durante l’intera vita.

I tre numeri di Cammino citati dispongono il pensiero di san Josemaría su san Giuseppe secondo due coordinate essenziali: la verità della sua paternità su Gesù e l’influenza del santo Patriarca nella storia della salvezza. Questi numeri testimoniano fin dalle loro prime manifestazioni un pensiero josephologico maturo e una convinzione teologica ferma. Lo si nota nella semplice fermezza con cui chiama san Giuseppe «padre» di Gesù senza alcuna titubanza[9].

2. Una precedente solida tradizione

Con la sobrietà nel parlare e con la precisione di linguaggio che lo caratterizzano, san Josemaría sa di essere inserito in una solida tradizione ecclesiale di teologia e di devozione al santo Patriarca. Il suo pensiero su san Giuseppe è ricco, solido e costante, e in esso affiorano, accanto all’iniziativa personale di una delicata pietà mossa dallo Spirito Santo, una splendida informazione delle questioni teologiche concernenti san Giuseppe, oltre alla consapevolezza di percorrere un terreno sicuro[10].

Come è ben noto, nel 1870 Pio IX, col Decreto Quemadmodum Deus (8-XII-1870), aveva dichiarato san Giuseppe Patrono della Chiesa Universale e il 15 agosto 1889 Leone XIII aveva pubblicato l’enciclica Quamquam pluries, dedicata al santo Patriarca. In questa enciclica, pervasa da un pensiero di grande vigore, sono raccolte le linee fondamentali della teologia di san Giuseppe proprio presentando le ragioni per le quali egli deve essere considerato Patrono della Chiesa Universale.

La prima ragione che il Papa menziona è che san Giuseppe è lo sposo di Santa Maria e, di conseguenza, è padre di Gesù, il quale è un bene — bonum prolis — di questo matrimonio. Nel testo del Pontefice, la verità del matrimonio tra Santa Maria e san Giuseppe è fuori da ogni dubbio e porta direttamente alla verità della paternità di san Giuseppe su Gesù. Le due realtà — matrimonio e paternità — costituiscono due caratteri essenziali della vocazione divina di san Giuseppe: egli è stato chiamato per adempiere questi due compiti voluti da Dio per sé stessi, per il loro stesso valore. In questa vocazione trovano la loro ragion d’essere anche le altre grazie ricevute da san Giuseppe; in essa si trova, dunque, la ragione ultima della «sua dignità, della sua santità e della sua gloria»[11].

Secondo l’impostazione data da Leone XIII, il matrimonio di san Giuseppe con la Vergine è la ragione ultima di tutto ciò che accompagna la figura di san Giuseppe, perché la verità e la perfezione di questo matrimonio «esigono» la partecipazione ai suoi beni e, in concreto, al bene della prole, anche se la prole è stata generata verginalmente. Il Papa chiama questo matrimonio «la società, il vincolo superiore a ogni altro, che per sua natura prevede la comunione di beni» e dice che san Giuseppe è stato dato alla Vergine non solo come «compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell’onestà», ma anche come partecipe della sua «eccelsa grandezza». Egli è, dunque, «custode legittimo e naturale della Sacra Famiglia»[12].

Leone XIII segue in questo una linea di pensiero già espressa da sant’Ambrogio e da sant’Agostino, che trova in san Tommaso d’Aquino una delle sue formulazioni più perfette: tra Santa Maria e san Giuseppe vi fu un vero e perfetto matrimonio. Data la verginità perpetua di Santa Maria, alcuni scrittori dell’antichità ebbero qualche difficoltà nel considerare questa unione un autentico matrimonio[13]. Queste perplessità si dissiparono a favore dell’autenticità del matrimonio, fra le altre cause, per la decisa posizione assunta da sant’Ambrogio[14] e da sant’Agostino[15]. Questo non ha impedito che autori dell’importanza di san Bernardo (+1153) si siano dimostrati molto cauti nell’affermare che tra san Giuseppe e Santa Maria vi fu vero matrimonio o non lo abbiano valutato come elemento fondamentale nella teologia di san Giuseppe[16]. La posizione di san Tommaso d’Aquino (+1274) non dà luogo a dubbi: l’unione tra Giuseppe e Maria fu un vero e perfetto matrimonio, perché in esso avvenne l’unione sponsale tra i loro spiriti[17].

È bene non dimenticare che considerare l’unione tra Giuseppe e Maria come un vero matrimonio si adatta perfettamente al linguaggio del Nuovo Testamento, che non esita a chiamare Santa Maria la «donna» di Giuseppe: né si notano incertezze intorno alla verginità di Santa Maria anche in quei punti in cui viene chiamata sposa di Giuseppe (cfr., per es., Mt 1, 16-25), né si notano dubbi nel chiamare Giuseppe padre di Gesù o nel mostrarlo mentre opera come tale (cfr., per es., Lc 2, 21-49).

3. La figura di san Giuseppe negli insegnamenti di san Josemaría

Fin dai primi scritti, san Josemaría descrive la figura di san Giuseppe come un uomo giovane, forse di qualche anno più grande di Santa Maria, ma nella pienezza delle forze e della vita: «Il santo Patriarca non era vecchio, ma un uomo giovane, forte, vigoroso, grande amante della lealtà, con fortezza. La Sacra Scrittura lo definisce con una sola parola: giusto (cfr. Mt 1, 20-21). Giuseppe era un uomo giusto, un uomo pieno di tutte le virtù, come conveniva a colui che doveva diventare il protettore di Dio sulla terra»[18].

Alla radice di questa descrizione c’è la convinzione che Dio, nel dare la vocazione, concede le grazie convenienti a chi la riceve e che, pertanto, ornò san Giuseppe con quelle doti della natura e della grazia che lo fecero uno sposo degno di Santa Maria e capo della Sacra Famiglia; dev’essere chiaro anche che, in un modo analogo alla Vergine Santissima, il ruolo di san Giuseppe non è qualcosa di accidentale, ma è parte essenziale del piano divino della salvezza.

Nella predicazione di san Josemaría, ciò che egli metteva in evidenza riguardo alla gioventù di san Giuseppe poggia, inoltre, su tre motivi fondamentali: sul buonsenso nel leggere la Sacra Scrittura (in ogni momento i suoi sponsali sono presentati come sponsali normali, e non sarebbero state nozze tanto normali quelle di una giovinetta con un vecchio), sulla considerazione della comunione di spirito caratteristica del matrimonio (dell’amore esistente fra loro) e, soprattutto, sulla convinzione che la santa purezza non è questione di età, ma sgorga dall’amore.

«Non sono d’accordo con il modo tradizionale di raffigurare san Giuseppe come un vecchio, anche se riconosco la buona intenzione di dare risalto alla verginità perpetua di Maria. Io lo immagino giovane, forte, forse con qualche anno in più della Madonna, ma nella pienezza dell’età e delle forze fisiche. Per praticare la virtù della castità non c’è bisogno di attendere la vecchiaia o la perdita del vigore. La purezza nasce dall’amore, e non sono un ostacolo per l’amore puro la forza e la gioia della giovinezza.

Erano giovani il cuore e il corpo di Giuseppe quando contrasse matrimonio con Maria, quando conobbe il mistero della sua Maternità divina, quando le visse accanto rispettando quell’integrità che Dio affidava al mondo come uno dei segni della sua venuta tra gli uomini»[19]. Per san Josemaría è «inaccettabile» presentare san Giuseppe come un uomo anziano allo scopo di mettere a tacere i malpensanti[20]. Ugualmente sarebbe inaccettabile non solo dubitare della verità del suo matrimonio con Santa Maria, ma anche il non prendere in considerazione l’amore esistente fra loro.

3.1. L’amore fra san Giuseppe e la Vergine

Mons. Javier Echevarría offre una preziosissima testimonianza del modo in cui san Josemaría contemplava le relazioni tra Maria e Giuseppe, avendo trascritto le sue parole pronunciate davanti alla Vergine di Guadalupe: «Una famiglia composta da un uomo giovane, retto, lavoratore, vigoroso; e una donna, quasi una bambina, che, col suo sposalizio colmo di un amore limpido, trovano nella loro vita il frutto dell’Amore di Dio verso gli uomini. Ella ha l’umiltà di non dire nulla: che lezione per tutti noi, sempre disposti a cantare le nostre imprese! Egli si muove con la delicatezza di un uomo retto — il momento sarà stato molto duro quando seppe che sua moglie, santa, era in dolce attesa! — e, non volendo macchiare la reputazione di quella creatura, tace, mentre pensa a come aggiustare le cose, finché arriva la luce di Dio, che certamente avrà chiesto fin dal primo istante, e si adegua senza esitare ai piani del Cielo»[21].

L’autenticità del matrimonio comporta l’esistenza dell’amore coniugale, dell’entusiasmo per una vita in comune, di un impegno, ed è naturale pensare che queste caratteristiche furono molto presenti nel matrimonio tra Giuseppe e Maria. Dio aggiunse a questo amore il frutto di Santa Maria: il Figlio Eterno fatto uomo, che volle nascere in una famiglia umana.

Come abbiamo già detto, san Josemaría dà per scontato che il matrimonio tra san Giuseppe e la Vergine è un vero matrimonio. Parte da qui come da un dato certo e si addentra attraverso la considerazione dell’amore esistente tra i due coniugi: «San Giuseppe doveva essere giovane quando sposò la Vergine Santissima, una donna che allora era appena uscita dall’adolescenza. Essendo giovane, era puro, limpido, castissimo. E lo era, giustamente, per amore. Solo riempiendo d’amore il cuore possiamo essere certi che non si risentirà né devierà, ma rimarrà fedele all’amore purissimo di Dio»[22].

Per san Josemaría, l’amore è la chiave di ogni vita umana, e lo è anche della vita di Giuseppe: in ciò sta il motivo della sua fortezza, della sua fedeltà, della sua castità. Un po’ più avanti aggiunge: «Vi immaginate san Giuseppe, che amava tanto la Santissima Vergine e conosceva la sua integrità senza macchia? Quanto avrà sofferto vedendo che aspettava un figlio! Soltanto la rivelazione di Dio Nostro Signore, per mezzo di un Angelo, lo avrà tranquillizzato. Egli aveva cercato una soluzione prudente: non disonorarla, ma andarsene senza dir nulla. Però, che dolore! L’amava, infatti, con tutta l’anima. Vi immaginate la sua gioia quando seppe che il frutto di quel ventre era opera dello Spirito Santo?»[23].

Anche se non si sofferma sul motivo del turbamento di Giuseppe, san Josemaría pensa che sia dovuto al «non capire», e non al fatto che dubitasse della virtù della sua sposa. Non sa che fare: «Giuseppe era un uomo giusto, un uomo colmo di ogni virtù, come conveniva a colui che sarebbe stato il protettore di Dio sulla terra. In un primo momento si turba, quando scopre che la sua Sposa Immacolata è incinta. Avverte il dito di Dio in quei fatti, ma non sa come comportarsi. E nella sua onestà, per non diffamarla, pensa di licenziarla in segreto»[24].

Il dolore di Giuseppe è dovuto al fatto stesso di dover abbandonare la sua sposa. San Josemaría si attiene sobriamente ai dati inseriti nel Nuovo Testamento, leggendoli con fede e con buonsenso: secondo i testi, il turbamento di san Giuseppe è chiaro; è dovuto a una ignoranza che sarà spazzata via dal messaggio dell’Angelo; l’amore e la conoscenza che Giuseppe ha di Maria lo inducono a pensare che in quella vicenda, che non capisce, ci sia il dito di Dio. A questo punto san Josemaría si dichiara d’accordo con quello che parecchi esegeti hanno pensato: che il dubbio di Giuseppe riguarda, non l’onestà di Santa Maria, ma come deve comportarsi pensando che vi sia di mezzo qualcosa di divino[25].

Ma di mezzo c’è sempre l’amore, perché san Josemaría non dubita che tra loro vi sia un autentico amore coniugale[26]. Non solo, ma la castità di Giuseppe appare protetta da questo amore, che si basa sulla fede: «La sua fede si fonde con l’amore: l’amore per Dio che compiva le promesse fatte ad Abramo, a Giacobbe, a Mosè; l’affetto coniugale per Maria; l’affetto paterno per Gesù. Fede e amore si fondono nella speranza della grande missione che Dio, servendosi proprio di lui — un falegname della Galilea —, cominciava a realizzare nel mondo: la redenzione degli uomini»[27].

Questo significa che, in mezzo al chiaroscuro della fede, san Giuseppe riesce anche a intuire, almeno in parte, la grandezza della sua missione.

3.2. La paternità di Giuseppe

In san Josemaría non si nota perplessità alcuna su come indicare la paternità di san Giuseppe. Dai primi scritti e sino alla fine lo chiama padre di Gesù, senza ulteriori precisazioni. Si può dire che il suo pensiero riguardo alla teologia di san Giuseppe si iscrive nelle coordinate di due Padri: san Giovanni Crisostomo e sant’Agostino. Di san Giovanni Crisostomo cita un testo che mette in bocca a Dio queste parole: «Non pensare che, dato che il concepimento di Cristo è opera dello Spirito Santo, tu sei estraneo al servizio di questa divina economia. Infatti, se è vero che non hai nessuna parte nella generazione e la Vergine rimane intatta, tutto quel che riguarda la paternità, purché non attenti alla dignità della verginità, tutto questo io lo affido a te, come del resto l’imposizione del nome al figlio»[28]. Di sant’Agostino, san Josemaría cita, come si è visto, il Sermo 51[29].

L’esercizio della paternità su Gesù costituisce la parte essenziale di una «missione» che riempie tutta la vita di Giuseppe: «Ha una missione divina, alla quale ha donato la sua anima: si dedica interamente alle cose di Gesù Cristo, santificando la vita ordinaria»[30]. Proprio in questo ha messo radici una delle principali attrattive che il santo Patriarca esercita su san Josemaría: la sua assoluta dedizione a Gesù Cristo «santificando la vita ordinaria», vale a dire, nell’esercizio delle attività proprie del suo mestiere e come un buon padre di una famiglia ebrea dell’epoca.

San Josemaría descrive a lungo in È Gesù che passa la relazione paterno-filiale che si è stabilita fra san Giuseppe e Nostro Signore. È una bella pagina, sobria e devota, nella quale sono curati anche i dettagli: «La vita di Gesù fu per Giuseppe una continua scoperta della propria vocazione. Abbiamo già ricordato quei primi anni pieni di eventi in apparente contrasto: glorificazione e fuga, dignità dei Magi e povertà del presepio, canto di angeli e silenzio degli uomini. Quando giunge il momento di presentare il Bambino al tempio, Giuseppe, che porta la povera offerta di un paio di tortore, ascolta Simeone e Anna che proclamano che Gesù è il Messia. “Suo padre e sua madre — ci narra san Luca — si stupivano delle cose che si dicevano di lui” (Lc 2, 33). Più tardi, quando il Bambino rimane nel tempio senza che Maria e Giuseppe se ne avvedano, ritrovandolo dopo tre giorni, essi — è sempre Luca che narra — “restarono meravigliati” (Lc 2, 48). Giuseppe resta sorpreso, si meraviglia. Dio gli ha rivelato i suoi piani ed egli cerca di capirli [...]. San Giuseppe, meglio di chiunque altro prima o dopo di lui, ha imparato da Gesù a essere pronto a riconoscere le meraviglie di Dio, a tenere aperti l’anima e il cuore»[31].

Ed ecco la vita interiore di san Giuseppe descritta come un autentico pellegrinaggio nella fede, in un certo senso molto simile a quella di Santa Maria. Entrambi, Maria e Giuseppe, vanno scoprendo la volontà di Dio un po’ per volta, e vanno trasformando realmente la loro prima donazione in una fedeltà con la quale si confortano a vicenda. Allo stesso tempo, nell’esercizio della sua paternità, Giuseppe trasmette a Gesù il suo mestiere di artigiano, il suo modo di lavorare, compreso in tante cose la sua visione del mondo: «Ma se Giuseppe ha appreso da Gesù a vivere in modo divino, oserei dire che, nell’umano, egli ha insegnato molte cose al Figlio di Dio [...]. Giuseppe amò suo figlio come un padre ama suo figlio e gli si dedicò dandogli il meglio che poteva. Giuseppe, prendendosi cura di quel Bambino che gli era stato affidato, fece di Gesù un artigiano: gli trasmise il suo mestiere. Gli abitanti di Nazaret parleranno pertanto di Gesù chiamandolo a volte l’artigiano, altre volte il figlio dell’artigiano (Mc 6, 3; Mt 13, 55): Gesù lavorò nella bottega di Giuseppe e accanto a Giuseppe. Quali saranno state le doti di Giuseppe, come avrà operato in lui la grazia, tanto da renderlo capace di portare a termine la maturazione umana del Figlio di Dio? Perché Gesù dovette rassomigliargli in molti aspetti: nel modo di lavorare, nei lineamenti del suo carattere, nell’accento. Il realismo di Gesù, il suo spirito di osservazione, il modo di sedere a mensa e spezzare il pane, il gusto per il discorso concreto, prendendo spunto dalle cose della vita ordinaria: tutto ciò è il riflesso dell’infanzia e della giovinezza di Gesù, e quindi pure il riflesso della dimestichezza con Giuseppe»[32].

Ecco allora il paradosso, e san Josemaría ne è ben cosciente: Colui che è la Sapienza «apprende» da un uomo le cose più elementari, come il mestiere di falegname. In questo paradosso si manifesta la «sublimità del mistero» dell’Incarnazione e la verità della paternità di Giuseppe. Con sua Madre il Signore imparò a parlare e a camminare; nell’ambito familiare guidato da san Giuseppe, ricevette lezioni di laboriosità e di onestà. Il reciproco affetto fece sì che Giuseppe e Gesù si assomigliassero in molte cose: «Non è possibile negare la grandezza del mistero: questo Gesù, che è uomo, che parla con l’inflessione di una determinata regione di Israele, che assomiglia a un artigiano di nome Giuseppe, costui è il Figlio di Dio. E chi può insegnare qualcosa a chi è Dio? Ma Gesù è realmente uomo e vive normalmente: prima come bambino, poi come ragazzo che comincia a dare una mano nella bottega di Giuseppe, finalmente come uomo maturo, nella pienezza dell’età. E “Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52)»[33].

3.3. San Giuseppe, Maestro di vita interiore nel lavoro

San Giuseppe seppe insegnare a Gesù con quelle lezioni con cui ogni buon padre israelita sapeva educare suo figlio: lezioni di una vita limpida e di sacrificio, di virtù umane e di lavoro offerto a Dio e ben rifinito; lezioni di una vita sobria, giusta e onesta. San Giuseppe insegnerà anche a noi che formiamo uno stesso Corpo con Cristo. «Giuseppe è stato, nell’ordine naturale, maestro di Gesù: ha avuto con Lui rapporti quotidiani delicati e affettuosi, e se n’è preso cura con lieta abnegazione. Tutto ciò non è forse un buon motivo per considerare questo uomo giusto, questo santo Patriarca, in cui culmina la fede dell’Antica Alleanza, come Maestro di vita interiore? La vita interiore non è altro che il rapporto assiduo e intimo con Cristo, allo scopo di identificarci con Lui. E Giuseppe saprà dirci molte cose di Gesù. Pertanto, non tralasciate mai di frequentarlo: “Andate da Giuseppe”, raccomanda la tradizione cristiana con una frase dell’Antico Testamento (Gn 41, 55)»[34].

Due caratteristiche della vita di san Giuseppe attraggono potentemente l’affetto di san Josemaría: la sua vita di contemplazione e la sua vita di lavoro. È naturale, perché sia l’una che l’altra sono caratteristiche essenziali dello spirito dell’Opus Dei. Nella festa dell’Epifania del 1956 diceva: «Un ultimo pensiero per quell’uomo giusto, san Giuseppe, nostro padre e signore, che, nella scena dell’Epifania, come pure altrove, passa inosservato. Io lo immagino raccolto in contemplazione, mentre protegge con amore il Figlio di Dio che, fattosi uomo, è stato affidato alle sue cure paterne. Con la meravigliosa delicatezza di chi non vive per sé, il santo Patriarca si prodiga in un servizio silenzioso ed efficace. Abbiamo parlato oggi di vita d’orazione e di zelo apostolico. Quale maestro migliore di san Giuseppe? Se volete un consiglio, vi dirò quello che ripeto instancabilmente da molti anni: Ite ad Ioseph (Gn 41, 55), ricorrete a san Giuseppe; egli vi mostrerà vie pratiche e modi a un tempo umani e divini di avvicinarvi a Gesù. E ben presto oserete fare come lui: Portare in braccio, baciare, vestire, custodire il Dio Bambino che ci è nato»[35].

Quest’ultima citazione è presa dalla preghiera a san Giuseppe preparatoria alla santa Messa contenuta nel Messale Romano[36]. È una preghiera che pone come esempio la contemplazione di san Giuseppe sulla vicinanza di Gesù che, nella sua semplicità, è un buon modello della sollecitudine con cui ogni cristiano deve contemplare la vita di Gesù.

San Josemaría è innamorato dalla vita di lavoro di Giuseppe, che considera un Maestro di vita interiore in quella vita di lavoro intenso e umile: «Ci insegna infatti a conoscere Gesù, a convivere con Lui, a sentirci parte della famiglia di Dio», e «ci insegna tutto ciò apparendoci così come fu: un uomo comune, un padre di famiglia, un lavoratore che si guadagna la vita con lo sforzo delle sue mani. E anche questo fatto ha per noi un significato che è motivo di riflessione e di gioia»[37]. La figura di san Giuseppe parla anche dell’universalità della chiamata all’apostolato: egli seppe trasformare il lavoro in una occasione per «far conoscere Gesù».

Gran parte dell’omelia Nella bottega di Giuseppe è dedicata a questo tema: lo spirito dell’Opus Dei «poggia e fa perno sul lavoro ordinario, sul lavoro professionale esercitato in mezzo al mondo. La vocazione divina ci affida una missione, ci invita a partecipare al compimento della Chiesa, a essere testimoni di Cristo dinanzi agli uomini, nostri uguali, e a portare a Dio tutte le cose»[38]. La figura di san Giuseppe si distingue come quella di colui che ha saputo dare al lavoro la dimensione che gli è propria nella storia della salvezza.

È qui, nell’offerta a Dio del proprio lavoro, che ogni cristiano esercita il sacerdozio che ha ricevuto nel Battesimo. Commentando la preghiera a san Giuseppe appena citata, dice: «Deus qui dedisti nobis regale sacerdotium... Per tutti i cristiani il sacerdozio è reale [...]: tutti abbiamo anima sacerdotale. Praesta, quaesumus, ut, sicut beatus Ioseph unigenitum Filium tuum, natum ex Maria Virgine, [...] suis manibus reverenter tractare meruit et portare, [...] ita nos facias cum cordis munditia... Così, così Egli vuole che siamo: limpidi di cuore. Et operis innocentia — la innocenza delle opere è la rettitudine di intenzione — tuis sanctis altaribus deservire. Servirlo non solo sull’altare, ma nel mondo intero, che per noi è un altare. Tutte le opere degli uomini avvengono come su un altare, e ognuno di voi, in quella unione di anime contemplative che è la vostra giornata, dice in qualche modo la sua Messa, che dura ventiquattro ore, in attesa della Messa successiva, che durerà altre ventiquattro ore, e così sino alla fine della nostra vita»[39].

Santificare è una caratteristica del sacerdote. La santificazione del lavoro avviene come esercizio del sacerdozio dei fedeli: «Tutte infatti le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo (cfr. 1 Pt 2, 5); e queste cose nella celebrazione dell’Eucaristia sono piissimamente offerte al Padre insieme all’oblazione del corpo del Signore»[40].

Tra le espressioni di devozione a san Giuseppe, se ne mette in evidenza una con la quale san Josemaría si inserisce anche in una ricca tradizione precedente: il paragone del santo Patriarca con Giuseppe, il figlio di Giacobbe, che distribuì il pane agli abitanti dell’Egitto e ai figli di Israele. Questo paragone viene arricchito da un fatto che gli sta profondamente a cuore: perché «cercare il pane» è una caratteristica del padre di famiglia — siamo della famiglia di san Giuseppe — e perché il pane di cui si parla è la Sacra Scrittura. I testi più vibranti su questo argomento si trovano quando si evocano le vicende che riguardano l’ottenimento del permesso di conservare il Signore nella prima residenza di studenti a Madrid.

Ecco come egli ricorda questa vicenda: «Nel 1934, se non erro, abbiamo aperto la prima residenza di studenti [...]. Avevamo bisogno di avere il Signore con noi, nel Tabernacolo. Ora è facile, ma allora mettere in casa un Tabernacolo era un’impresa assai difficoltosa [...]. Cominciai a chiedere a san Giuseppe di concederci il primo Tabernacolo, e lo stesso facevano i miei figli che allora mi stavano attorno. Mentre raccomandavamo la soluzione di questo problema, io cercavo di trovare gli oggetti necessari: paramenti, tabernacolo... Soldi non ne avevamo. Quando mettevo insieme cinque monete da cinque pesetas, che allora erano una discreta somma, si spendevano per altre necessità più urgenti.

Poi sono riuscito ad avere un tabernacolo da certe monachelle che amo molto; i paramenti li ho avuti da un’altra parte e, alla fine, il buon vescovo di Madrid ci ha concesso l’autorizzazione a tenere con noi il Santissimo Sacramento. Allora, in segno di gratitudine, ho fatto mettere una catenina nella chiave del tabernacolo con una medaglietta di san Giuseppe nella quale, sul retro, c’è scritto: Ite ad Ioseph! E quindi san Giuseppe è veramente nostro Padre e Signore, perché ci ha dato il pane — il Pane eucaristico — come un buon padre di famiglia. Prima non dicevo che noi facciamo parte della sua famiglia?»[41].

San Giuseppe, datore del pane per la Sacra Famiglia, è anche datore del pane per la Chiesa. Dal Cielo egli continua a esercitare la sua paternità su coloro che formano in Cristo uno stesso Corpo Mistico. Col passare degli anni, questa considerazione è diventata sempre più viva, radicandosi progressivamente nell’anima di san Josemaría. Il venerabile servo di Dio Álvaro del Portillo riferisce questo ricordo del viaggio attraverso alcuni Paesi dell’America del Sud nel 1974: «Durante quel viaggio il nostro fondatore cominciò a parlare della presenza misteriosa — “ineffabile”, diceva — di Maria e di Giuseppe accanto ai Tabernacoli di tutto il mondo. Egli argomentava così: se la Santissima Vergine non si separò mai da suo Figlio, è logico che gli continui a stare vicino anche dopo che il Signore decise di rimanere in quel “carcere d’amore” che è il Tabernacolo: per adorarlo, amarlo, pregare per noi. E a san Giuseppe applicava lo stesso concetto: stette sempre assieme a Gesù e alla sua Sposa; ebbe anche la fortuna di poter morire vicino a loro: che morte meravigliosa! [....] Insomma, il nostro fondatore mise davvero san Giuseppe in tutto»[42].

In conclusione, la pietà di san Josemaría verso san Giuseppe e la sua visione teologica della figura e della missione del santo Patriarca trovano fondamento nella sua meditazione della Sacra Scrittura — nella lettura cristiana della Bibbia —, nei santi Padri, specialmente san Giovanni Crisostomo e sant’Agostino, e in tutte quelle cose che costituiscono le linee di forza della teologia di san Giuseppe nel precedente Magistero pontificio, specialmente in quello di Leone XIII. La teologia mariana si suole strutturare intorno alla vera maternità di Santa Maria (la sua maternità su Cristo e su tutti gli uomini); analogamente, lo stesso succede con la teologia di san Giuseppe, come la troviamo espressa negli insegnamenti di san Josemaría; è tutta quanta strutturata intorno a tre assi fondamentali: la veridicità del suo matrimonio con Santa Maria, la veridicità della sua paternità su Gesù, la sua missione di Custode della Sacra Famiglia prima, e della Chiesa dopo. Fra queste coordinate il lettore attento scopre, come un amoroso anticipo, una serie di piccoli dettagli, applicazioni e sfumature che si protrassero sino alla fine della sua vita, come è messo in evidenza, per esempio, nella testimonianza del venerabile servo di Dio Álvaro del Portillo appena citata.

[1] SAN JOSEMARÍA, De la familia di José, appunti della predicazione, 19-III-1971 (AGP, Biblioteca, P09, p. 136).

[2] Cfr. ANDRÉS VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, vol. III, Leonardo Int., Milano 2004, pp. 689 ss. Sulla presenza di san Giuseppe nell’insegnamento di san Josemaría, cfr., fra l’altro, le seguenti opere: L.M. DE LA HERRÁN, «La devoción a san José en la vida y enseñanzas de Mons. Escrivá de Balaguer, fundador del Opus Dei (1902-1975)», Estudios josefinos, 34 (1980), pp. 147-189; I. SOLER, «San José en los escritos y en la vida de san Josemaría. Hacia una teología de la vida ordinaria», Estudios josefinos, 59 (2005), pp. 259-284. Cfr. anche J.B. FREIRE PÉREZ, Para amar más a san José, Promesa, San José de Costa Rica 2007, pp. 55-61; M. IBARRA BENLLOCH, «La capilla de la Sagrada Familia», Scripta de María, II/4 (2007), pp. 351-364; J. FERRER, San José nuestro Padre y Señor, Arca de la Alianza, Madrid 2007.

[3] SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 559.

[4] Cfr. SAN JOSEMARÍA, omelia “Nella bottega di Giuseppe”, in È Gesù che passa, nn. 39-56. Da ora in poi, Nella bottega di Giuseppe.

[5] SANT’AGOSTINO, Sermo 51, 20: PL 38, 351; BAC 95, p. 40. Cfr. Nella bottega di Giuseppe, n. 55.

[6] Nella bottega di Giuseppe, n. 39.

[7] Ibid.

[8] Ecco la frase di santa Teresa: «Comincio nel nome del Signore, con l’aiuto della sua gloriosa Madre, di cui porto l’abito, benché indegna, e con quello del mio glorioso Padre e Signore san Giuseppe, [...] nella cui casa ora mi trovo» (SANTA TERESA DI GESÙ, Fondazioni, Prologo, 5; Postulazione Generale O.C.D., Roma 1981, p. 1074). Cfr. Camino. Edición crítico-histórica preparada da Pedro Rodríguez, Rialp, Madrid 2002, p. 689, esp. nt. 29.

[9] Sui diversi aggettivi che ha ricevuto la paternità di san Giuseppe nel corso dei secoli — padre legale, putativo, nutritivo, adottivo, ecc. —, cfr. B. LLAMERA, Teología de san José, BAC, Madrid 1953, pp. 73-114. Llamera arriva a due conclusioni molto orientatrici: «Le denominazioni padre legale, putativo, nutritivo, adottivo, verginale e vicario del Padre celeste esprimono soltanto alcuni aspetti parziali e incompleti della paternità di san Giuseppe» (p. 94). La seguente conclusione, poi, spiega perché tutte queste «paternità» gli sembrano incomplete: «La paternità di san Giuseppe è nuova, unica e singolare, di ordine superiore alla paternità naturale e adottiva umana» (p. 102). Seguendo sant’Agostino, si può dire che la paternità di san Giuseppe su Gesù è unica, singolare e di ordine superiore come è unico, singolare e di ordine superiore il suo matrimonio con Santa Maria.

[10] A parte i numerosi riferimenti a san Giuseppe che san Josemaría fa durante tutta la sua vita, esistono quattro lunghi testi dedicati a san Giuseppe con i quali è facile abbozzare una teologia del santo Patriarca quasi completa. Ecco, dunque, i testi: omelia “Nella bottega di Giuseppe”, 19-III-1963, in È Gesù che passa, nn. 39-56; La escuela de José, appunti della predicazione, 19-III-1958 (AGP, Biblioteca, P18, pp. 79-88); San José, nuestro Padre y Señor, appunti della predicazione, 19-III-1968 (AGP, Biblioteca, P09, pp. 93-103); De la familia de José, appunti della predicazione, 19-III-1971 (AGP, Biblioteca, P09, pp. 133-141). Da ora in poi, i tre ultimi saranno citati, rispettivamente, come La escuela de José, San José, nuestro Padre y Señor e De la familia de José.

[11] LEONE XIII, Lettera enciclica Quamquam pluries (15-VIII-1889), n. 3.

[12] «Poiché il matrimonio costituisce la società e il vincolo superiore a ogni altro, che per sua natura prevede la comunione dei beni dell’uno con l’altro, se Dio ha dato alla Vergine in sposo Giuseppe, glielo ha dato pure a compagno della vita, testimone della verginità, tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, mercè il patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei» (ibid.).

[13] Cfr. G.M. BERTRAND, «Joseph (saint). II. Patristique et haut moyen âge», Dictionnaire de Spiritualité, VIII, Beauchesne, Paris 1974, 1304.

[14] «Nec te moveat quod frequenter Scriptura conjugem dicit: non enim virginitatis ereptio, sed conjugii testificatio, nuptiarum celebratio declaratur» (SANT’AMBROGIO, In Lucam, 2, 5: SC 45, p. 74).

[15] Sant’Agostino coglie le implicazioni di questa situazione provvidenziale nel concetto stesso di matrimonio quando lo propone come modello alle coppie di coniugi continenti, dicendo: «Questo matrimonio è tanto più reale quanto più è casto» (Sermo 51, 10, 13 e 16: PL 38, 342, 344-346, 348; BAC 95, 39-40). Le espressioni latine che sant’Agostino utilizza nel Sermo 51 sono di grande bellezza e chiarezza: «Quare pater? Quia tanto firmius pater, quanto castius pater [...]. Non ergo de semine Joseph Dominus, quamvis hoc putaretur: et tamen pietati et charitati Joseph natus est de Maria virgine filius, idemque Filius Dei».

[16] Cfr. SAN BERNARDO, Homilia Super missus est, II, 15: «Nec vir ergo matris, nec filii pater exstitit, quamvis certa... et necessaria dispensatione utrumque ad tempus appellatus sit et putatus» (in Opera, t. 4, ed. J. Leclerq et H. Rochais, Roma 1966, p. 33). Ciò che qui va messo in primo piano non è la verità del matrimonio, ma il fatto che san Giuseppe sia stato chiamato «vir» e «pater» temporalmente, ad tempus. La traduzione castigliana di Díez Ramos mette in evidenza la scarsa importanza che il matrimonio di Giuseppe e Maria riveste in questa omelia: «Né fu, dunque, l’uomo della madre né il padre del figlio, anche se, come si è detto, per un indispensabile motivo di operare e per una concessione di Dio, fu chiamato e reputato per un certo tempo l’uno e l’altro» (BAC 110, 203). La scarsa importanza data da san Bernardo al matrimonio tra la Vergine e san Giuseppe non gli impedisce di fare una calda descrizione della santità di Giuseppe, per esempio, paragonandolo a Giuseppe, figlio di Giacobbe: «Nello stesso tempo ricordati di quel grande patriarca, venduto in altri tempi in Egitto, e riconoscerai che questi non solo ha avuto il suo stesso nome, ma la sua castità, la sua innocenza e la sua grazia [...]. Quegli, rimanendo leale al suo signore, non volle acconsentire alle cattive proposte della sua signora (cfr. Gn 39, 12); questi, riconoscendo vergine la sua Signora, Madre del suo Signore, la rispettò con la massima fedeltà, conservandosi egli stesso in assoluta castità» (ibid., 16: BAC 110.204).

[17] «La forma del matrimonio consiste in una indivisibile unione delle anime per cui ogni coniuge in modo indivisibile si obbliga a restare fedele all’altro; il fine del matrimonio consiste nel generare ed educare la prole: al primo si arriva mediante l’atto coniugale; al secondo mediante l’opera del marito e della moglie con quelli che li aiutano ad allevare la prole [...]. In quanto alla prima perfezione, il matrimonio della Vergine Madre di Dio e di Giuseppe fu vero matrimonio, perché entrambi consentirono all’unione coniugale [...]. In quanto alla seconda perfezione, che avviene mediante l’atto matrimoniale, se esso si riferisce all’unione carnale con cui si genera la prole, quel matrimonio non fu consumato [...], ma quel matrimonio ebbe anche la seconda perfezione per ciò che si riferisce all’educazione della prole» (SAN TOMMASO, S. Th. III, q. 29, a. 2, in c.).

[18] La escuela de José, p. 80. In un altro testo dice: «Nei racconti evangelici è messa in risalto la grande personalità umana di Giuseppe: in nessuna circostanza si dimostra un debole o un pavido dinanzi alla vita; al contrario, sa affrontare i problemi, supera le situazioni difficili, accetta con responsabilità e iniziativa i compiti che gli vengono affidati» (Nella bottega di Giuseppe, n. 40).

[19] Nella bottega di Giuseppe, n. 40. Troviamo lo stesso pensiero in De la familia de José, p. 134, e in San José, nuestro Padre y Señor, pp. 95-96.

[20] Per «garantire» meglio la verginità di Santa Maria alcuni apocrifi hanno parlato di un matrimonio precedente di Giuseppe, che hanno presentato di età avanzata. Questa presentazione ha influito potentemente nell’arte (cfr. G.M. BERTRAND, in «Joseph (saint). II. Patristique et haut moyen âge», Dictionnaire de Spiritualité, VIII, cit., 1302-1303). Secondo il «realismo» e la semplicità di san Josemaría, l’immaginazione di questi apocrifi appare inaccettabile. La posizione di san Josemaría è molto simile a quella di san Girolamo in Adv. Helvidium, 19 (PL 23, 203): è necessario attenersi sobriamente ai dati forniti dal Nuovo Testamento.

[21] SAN JOSEMARÍA, Apuntes de su oración personal ante la Virgen de Guadalupe, 21-V-1970, citato in J. ECHEVARRÍA, Lettera, 1-XII-1996 (AGP, Biblioteca, P17, vol. 4, pp. 230-231).

[22] De la familia di José, p. 134.

[23] Ibid., p. 138.

[24] La escuela de José, p. 80.

[25] Dopo aver citato Mt 1, 20, P. Grelot commenta: «L’invito a non temere avviene in un racconto di vocazione: Giuseppe, il giusto, riceve da Dio una chiamata alla portata della sua giustizia [...]. Nel prendere con sé la madre del bambino e divenirne lo sposo, Giuseppe diventa nel contempo il responsabile della madre e del figlio davanti a Dio e davanti agli uomini; è questo, nel piano della salvezza, il suo ruolo speciale. La sua paternità reale è indicata dal fatto che sarà lui a imporre il nome al bambino; sarà questa da allora in poi “la parola di riconoscimento” del padre al figlio» (P. GRELOT, «Joseph (Saint). I. Écriture», Dictionnaire de Spiritualité, VIII, cit., 1297-1298).

[26] Ecco un’altra espressione felice: «[...] ma Giuseppe, suo sposo, essendo, come era, giusto, e non volendo screditarla... No, non poteva in coscienza. Soffre. Sa che la sua sposa è immacolata, che è un’anima senza macchia, e non comprende il prodigio avvenuto in lei. Ecco perché voluit occulte dimittere eam (Mt 1, 19) e decise di lasciarla in segreto. È perplesso, non sa che fare, però alla fine sceglie la soluzione più limpida» (San José, nuestro Padre y Señor, p. 101).

[27] Nella bottega di Giuseppe, n. 42.

[28] SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, In Mat. Hom. 4, 6: BAC 141, 70. Cfr. La escuela de José, pp. 80-81.

[29] Cfr. Nella bottega di Giuseppe, n. 55.

[30] La escuela de José, p. 81.

[31] Nella bottega di Giuseppe, n. 54.

[32] Ibid., n. 55.

[33] Ibid.

[34] Ibid., n. 56.

[35] SAN JOSEMARÍA, omelia “L’Epifania del Signore”, 6-I-1956, in È Gesù che passa.

[36] «O felicem virum, beatum Joseph, cui datum est Deum, quem multi reges voluerunt videre et non viderunt, audire et non audierunt; non solum videre et audire, sed portare, deosculari, vestire et custodire!».

[37] Nella bottega di Giuseppe, n. 39.

[38] Ibid., n. 45.

[39] San José, nuestro Padre y Señor, pp. 97-98.

[40] CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 34.

[41] De la familia de José, p. 137.

[42] ÁLVARO DEL PORTILLO, Intervista sul fondatore dell’Opus Dei, Ares, Milano 1992, p. 153.

Romana, n. 59, Luglio-Dicembre 2014, p. 390-402.

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