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IL PROGRESSO CRISTIANO

A vent'anni dalla Populorum Progressio, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha voluto onorare e, nel contempo, approfondire la dottrina sullo sviluppo dei popoli con la nuova Enciclica Sollicitudo rei socialis.

Superando le impostazioni meramente tecniche e le prospettive ideologiche del problema, il Romano Pontefice invita i cristiani a raggiungere, mediante la dottrina sociale della Chiesa, una visione etico-religiosa dello sviluppo che abbia come punto di partenza "la realtà di una moltitudine innumerevole di uomini e di donne, bambini, adulti e anziani, vale a dire di concrete e irripetibili persone umane, che soffrono sotto il peso intollerabile della miseria"[1]

La coscienza cristiana si è sempre ribellata contro le disuguaglianze ingiuste che si danno tra i membri della famiglia umana. Questi, infatti, condividono l'immensa dignità di essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio[2]e redenti con il Sangue di Cristo[3]il quale con la sua morte in Croce ha dato a tutti la possibilità di diventare figli di Dio[4]

L'uguaglianza radicale di tutti gli uomini, qualunque sia la loro razza, età, religione, condizione culturale o sociale, spingeva il Fondatore dell'Opus Dei a scrivere: "Si comprendono benissimo l'impazienza, l'ansia, i desideri inquieti di coloro che, con un'anima naturalmente cristiana (cfr. Tertulliano, Apologeticum 17), non si rassegnano di fronte all'ingiustizia personale e sociale che il cuore umano è capace di creare (...). Vediamo i beni della terra divisi tra pochi e i beni della cultura chiusi in cenacoli ristretti. Fuori, c'è fame di pane e di dottrina; e le vite umane, che sono sante perché vengono da Dio, sono trattate come cose, come numeri statistici. Comprendo e condivido questa impazienza: essa mi spinge a guardare a Cristo che continua a invitarci a mettere in pratica il comandamento nuovo dell'amore"[5]

Effettivamente, il Romano Pontefice richiama essenzialmente alla pratica di una solidarietà autentica a livello personale e sociale, tra i singoli e i gruppi, le nazioni e i blocchi. Il Santo Padre vede in pericolo l'unità stessa del genere umano a causa della tendenza di gruppi o nazioni a chiudersi in se stessi, volgendo le spalle agli altri, con detrimento dell'insieme sociale. Memori del vigoroso richiamo del Fondatore —"Cattolico! Cuore grande, spirito aperto"[6],i fedeli della Prelatura si adoperano per ascoltare l'appello del Magistero pontificio e mettere in pratica sempre meglio una solidarietà intesa come risposta morale al dato di fatto della reciproca dipendenza tra i diversi gruppi sociali[7]

Non si tratta qui solo di realtà economiche. Il documento pontificio evidenzia con pari forza altri fattori che contribuiscono all'impoverimento e producono forme più sottili e ancor più gravi di sottosviluppo. Tra le altre, vengono citate la mancanza di rispetto nei confronti dei diritti umani fondamentali, spesso negati; la ricchezza stessa, quand'è posseduta e goduta edonisticamente, secondo i dettami del materialismo pratico; la prepotenza delle campagne sistematiche contro la natalità, i crimini dell'aborto e dell'eutanasia... Il peccato, in definitiva, il quale costituisce, sia per la persona sia per la società, il più grave impoverimento umano.

"Uno sviluppo non soltanto economico —afferma il Santo Padre— si misura e si orienta secondo questa realtà e vocazione dell'uomo visto nella sua globalità, ossia secondo un suo parametro interiore"[8]

Parametri dell'autentico sviluppo, in ultima analisi sono, secondo l'Enciclica, l'immagine e somiglianza divine inscritte nel più profondo dell'essere umano, come pure la vocazione dell'uomo all'immortalità[9]

Uno sviluppo che neghi o posponga l'apertura fondamentale dell'uomo a Dio non può che concludersi con il fallimento e può addirittura far sì che la persona, povera o ricca che sia, scivoli nella forma più dolorosa di sottosviluppo: il sottosviluppo dello spirito.

Tutti i cristiani, mediante l'esempio di una vita coerente con la fede, accompagnato da parole opportune, devono impegnarsi per dischiudere agli altri uomini la prospettiva della trascendenza, per renderli capaci di beneficiare di un progresso integrale e autentico. L'ardente desiderio di porre Cristo sulla vetta di tutte le attività umane[10]costituirà la miglior garanzia dell'autenticità e del successo dell'impresa. Senza tale zelo apostolico, invece, anche i migliori strumenti tecnici di progresso diventeranno corpi senz'anima, quando non si trasformeranno in fattori di sottosviluppo, nel senso globale attribuito al termine dall'Enciclica pontificia.

I membri dell'Opus Dei, inseriti per vocazione divina in ogni fibra del tessuto sociale e chiamati a "santificare il lavoro ordinario, santificarsi in esso e santificare gli altri attraverso l'esercizio della propria professione"[11]accolgono l'invito del Romano Pontefice con il più vivo desiderio di approfondire la dottrina sociale della Chiesa, di ispirare ad essa ogni loro attività quotidiana in seno alle strutture temporali e di diffonderne la conoscenza tra i colleghi di professione o mestiere, per contribuire in tal modo, ciascuno al posto concreto che occupa nella società, a plasmare in realtà vissuta l'ideale cristiano di progresso.

Inoltre, tanto nel lavoro ordinario come nell'ambito delle iniziative da essi promosse, fondate anch'esse sul lavoro professionale, i membri della Prelatura s'impegnano per l'effettiva promozione integrale dell'uomo. Un ruolo centrale ha l'educazione, intesa come istruzione —in ognuno dei suoi gradi e forme— e insieme come formazione globale della persona alle virtù umane e soprannaturali, necessarie per un autentico progresso degli individui e delle comunità.

Il recente documento pontificio, diretto com'è urbi et orbi, a tutti i cattolici e, anzi, a tutti gli uomini di buona volontà, è aperto a un amplissimo ventaglio di applicazioni pratiche, diverse a seconda delle circostanze geopolitiche in cui opera il lettore, della stratificazione sociale del Paese in cui vive, dell'articolazione delle differenti culture... Altrettanto varia è la condizione dei membri dell'Opus Dei, distribuiti come sono nei cinque continenti.

A titolo di esempio si può citare il caso di quanti tra loro detengono, in una qualsiasi delle sue forme, un ruolo imprenditoriale; essi faranno pieno uso del "diritto di iniziativa economica" che l'Enciclica chiama "la soggettività creativa del cittadino"[12]

assumendo coraggiosamente il rischio connesso con la propria funzione in vista dell'obiettivo, che tanto sta a cuore al Santo Padre, di creare nuovi posti di lavoro, e lotteranno per bandire in se stessi e attorno a sé la brama esclusiva del profitto e la sete del potere stigmatizzate dal Romano Pontefice[13]

Invece, l'immensa maggioranza dei fedeli della Prelatura, adibiti a ruoli professionali o sociali di ordine dipendente e subordinato, faranno proprie nei rispettivi posti di lavoro le direttive del documento, praticando con impegno non inferiore le forme di solidarietà caratteristiche del loro ambiente; esigeranno il riconoscimento dei loro diritti e nel contempo adempiranno con diligenza i loro doveri sociali e, soprattutto, cercheranno di superare la stretta giustizia ispirando la propria azione alla carità di Cristo.

In questo modo, fedeli al pressante appello della Chiesa, i membri dell'Opus Dei, nonché molti Cooperatori e persone nutrite dello stesso spirito, si adopereranno per mettere in pratica l'assiduo insegnamento del Fondatore: "Dobbiamo sostenere il diritto di tutti gli uomini alla vita e a possedere il necessario per condurre un'esistenza dignitosa, il diritto al lavoro e al riposo, alla scelta del proprio stato, a formarsi una famiglia, a mettere al mondo dei figli nel matrimonio e a educarli, ad affrontare serenamente i periodi di malattia o di vecchiaia, ad accedere alla cultura, ad associarsi con altri cittadini per scopi leciti e, in primo luogo, a conoscere e ad amare Dio con piena libertà"[14]

La consapevolezza di essere figli di Dio fa sì che non manchi mai l'ottimismo soprannaturale e umano necessario per affrontare quest'impegno, superando le inevitabili difficoltà. Afferma infatti Giovanni Paolo II: "Chi volesse rinunciare al compito, difficile ma esaltante, di elevare la sorte di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, sotto il pretesto del peso della lotta e dello sforzo incessante di superamento, o addirittura per l'esperienza della sconfitta e del ritorno al punto di partenza, verrebbe meno alla volontà di Dio creatore"[15]

E' nel corso dell'Anno Mariano che l'Enciclica ha visto la luce: se dunque in qualche momento il cuore vacillasse, la Madonna umile e audace che pronunciò il Magnificat, la Madonna gloriosa e benedetta da noi onorata sosterrà gli sforzi di quanti ricorrono a Lei. La sua intercessione otterrà loro nuove energie, per perseguire, pur nella difficile ora vissuta oggi dall'umanità, lo sviluppo integrale e solidale cui i popoli sono chiamati da Dio.

[1] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 30-XII-1987, n. 13.

[2] Cfr. Gn 1, 26.

[3] Cfr. 1 Cor 6, 20; 1 Pt 1, 18.

[4] Cfr. Gv 1, 12.

[5] J. Escrivá, E' Gesù che passa, n. 111, 3ª ed., Ares, Milano 1982.

[6] J. Escrivá, Cammino, n. 525, 22ª ed., Ares, Milano 1987

[7] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 30-XII-1987, n. 38.

[8] Ibid., n. 29.

[9] Cfr. Ibid.

[10] Cfr. Gv 12, 32; J. Escrivá, Cammino, n. 301.

[11] J. Escrivá, E' Gesù che passa, n. 122.

[12] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 30-XII-1987, n. 15.

[13] Ibid., n. 37.

[14] J. Escrivá, Amici di Dio, n. 171; 1ª ed., Ares, Milano 1978.

[15] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 30-XII-1987, n. 30.

Romana, n. 6, Gennaio-Giugno 1988, p. 5-9.

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