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Omelia del Prelato nella solenne Messa in memoria del Servo di Dio Josemaría Escrivá, celebrata il 27 giugno nella Basilica di Sant'Eugenio a Valle Giulia.

Stiamo celebrando l'Anno Mariano e questa ricorrenza ci richiama alla memoria le devozioni insegnate e vissute dal Fondatore dell'Opus Dei, il Servo di Dio Josemaría Escrivá, innamorato fedelissimo della Madonna, del quale oggi commemoriamo il tredicesimo anniversario del transito da questa vita all'altra.

Quest'anno dedicato a Maria ha spronato noi tutti a moltiplicare i nostri atti di devozione alla Vergine Madre: in questo impegno, i membri della Prelatura Opus Dei, in ogni continente, seguono la parola e l'esempio di un uomo di Dio che volle sempre ispirare a Lei la sua condotta tanto che spesso amava firmarsi "Mariano", uno dei suoi nomi di Battesimo.

Il cammino di fede seguito dalla Santissima Vergine è, secondo gli insegnamenti del Romano Pontefice nell'enciclica Redemptoris Mater, un perfetto modello per il nostro sforzo di imitare Gesù. Lei stessa ha percorso la strada della santità secondo la condizione delle creature, che non possono godere della visione e del possesso di Dio se prima non hanno completato il loro itinerario terreno. Questa vita di fede, risplendente in Maria, deve attuarsi in ciascuno di noi, che siamo chiamati a camminare nel chiaroscuro della fede per raggiungere la felicità eterna del Cielo.

"Alcuni passano per la vita come per un tunnel, e non si spiegano lo splendore e la sicurezza e il calore del sole della fede", ha scritto il Fondatore dell'Opus Dei in Cammino[1]. Sono parole da applicare non solo a quanti non hanno ancora ricevuto l'annuncio del Vangelo, ma anche a tutti coloro che posseggono una fede morta, e pure a ciascuno di noi, nessuno escluso, poiché tutti possiamo fare più coerente la nostra vita con la nostra fede. Infatti, per sperimentare nella propria vita lo splendore, la sicurezza e il calore della fede è necessario avere una fede viva, una fede che, come insegna San Paolo, opera per mezzo della carità[2], ovvero che si traduca in opere e si rispecchi nella nostra condotta.

Con parole di Mons. Escrivá, vi ricordo che ognuno deve lottare, avvalendosi dell'aiuto divino, per ottenere una unità di vita semplice e forte, che sia pienamente coerente con la fede ed implichi due conseguenze fondamentali: innanzitutto, praticare la fede integra, senza mettere tra parentesi qualche aspetto della dottrina o della morale, che forse non è stato compreso a pieno, quasi sempre per mancanza di un'adeguata formazione; la fede infatti è una e non se ne può sopprimere qualche esigenza senza alterarla interamente. In secondo luogo, bisogna vivere la fede in tutti i momenti della nostra esistenza quotidiana: nella vita familiare e sociale, nel lavoro e anche nel riposo; ogni circostanza dev'essere illuminata dalla fede, affinché trovi compimento in noi l'esortazione dell'Apostolo: sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio[3].

Per molti anni sono stato testimone della fedeltà con cui Mons. Escrivá praticava l'unità di vita. Il Signore gli aveva fatto conoscere e percepire, in modo particolare dal 1931 in poi, la realtà della propria condizione di figlio di Dio, cioè di essere un altro Cristo, anzi lo stesso Cristo, come soleva precisare palesando la sua profonda percezione del mistero della nostra unione con il Redentore. Il senso della filiazione divina, che coltivava costantemente, era la radice, la fonte della sua unità di vita, giacché si sentiva spinto a comportarsi sempre secondo la dignità di un figlio di Dio, cercando di trasformare tutti i momenti e le circostanze della propria giornata in occasioni per amare e servire la Chiesa, il Romano Pontefice e tutte le anime.

Ognuno di noi è figlio di Dio, unito a Cristo nel Battesimo e vivificato dal suo Corpo e dal suo Sangue nell'Eucaristia, che ci fa crescere interiormente e ci identifica con Lui. Per questo titolo siamo anche figli di Maria, Madre di Gesù. Il Signore stesso volle rendercene consapevoli sulla Croce, quando, rivolgendo il suo sguardo verso la Santissima Vergine, disse a ciascuno di noi: Ecco tua Madre! Perciò la devozione alla Madonna, il rapporto filiale con Maria, non è qualcosa di accidentale nella vita cristiana né di infantile, bensì è una caratteristica propria di persone mature che sanno di essere figli piccoli dinanzi a Dio e a Maria.

Allo scopo di rafforzare l'unità di vita che scaturisce dal senso della filiazione divina, vorrei proporvi di ravvivare ed intensificare la devozione alla Madonna. Come? Innanzitutto ricorrendo alla devozione mariana per eccellenza, al Santo Rosario, durante il quale, come fanno i figli, ripetiamo più volte a nostra Madre parole affettuose ed invocazioni, "di colori e significati sempre diversi"[4]. Mons. Escrivá affermava che "la recita del Santo Rosario, con la contemplazione dei misteri, la ripetizione del Padre Nostro e dell'Avemaria, le lodi alla Trinità Beatissima e l'invocazione costante alla Madre di Dio, è un continuo atto di fede, di speranza e di amore, di adorazione e di riparazione"[5]. Molti di voi, qui presenti, già lo recitate abitualmente; vorrei incoraggiare anche gli altri a tornare alla pratica di questa devozione, nella convinzione che la Madonna ci aiuta dolcemente a vivere con la gioia dei figli di Dio.

Il Papa è per noi il dolce Cristo in terra, secondo l'espressione di Santa Caterina, che tanto spesso ripeteva il nostro amato e indimenticabile Fondatore. La vita del Papa, la santità del Papa, la libertà di esercizio del Suo alto ministero noi raccomandiamo a Dio ogni giorno con una preghiera che premette Maria, San Giuseppe e gli Angeli Custodi. Sappiamo che il Suo cuore di Padre universale soffre per le durezze, i contrasti, le incomprensioni di molti uomini e perfino figli suoi; e sappiamo pure che in questi giorni il Signore ha permesso che si accentuino queste Sue sofferenze. Preghiamo quindi con fede profonda perché il Signore riconduca alla Chiesa quelli che vogliono allontanarsi da Lui, allontanandosi dal Vicario di Cristo.

Pensate, cari fratelli e sorelle, figlie e figli miei, che questa tremenda eredità, che Gesù ha lasciato al Papa, di pascere tutto il gregge, anche quello disperso e chi non Lo riconosce come Pastore, può essere alleggerita, sostenuta e perfino condivisa dall'obbedienza e docilità di noi che abbiamo il vanto, la fierezza e la fortuna di chiamarci cattolici. Senza il Papa non c'è la Chiesa, ma una folla sbandata di credenti in cerca dell'unità e il mondo resta buio, oscuro, perché Cristo ha affidato la Sua luce all'Unico Pastore e gli altri Pastori devono essere in comunione con Lui, con Pietro, per trasmettere l'unico messaggio e l'unica salvezza. Verità di fede troppo note e troppo ripetute attraverso i secoli per non essere alla portata delle nostre menti e della nostra memoria, ma i nemici della fede si accaniscono a contestarle perché sanno che percuotendo il Pastore si disorienta e si smembra il gregge.

All'intercessione della Madre Santissima il Vicario di Cristo ha fatto ricorso e si è affidato sempre, in particolare per mettere sotto la sua protezione la ricristianizzazione dell'Europa e del mondo intero, che ha ricevuto dal vecchio continente le principali energie per diffondere il messaggio evangelico. La progressiva secolarizzazione di gran parte del mondo cristiano europeo è evidente nell'edonismo, nella licenziosità dei costumi e nel disprezzo della persona umana: ma noi non possiamo considerarci come degli estranei a questo mondo fatto da Dio, bensì lo amiamo perché da Dio è stato fatto, e dobbiamo pregare di più per contribuire alla sua ricristianizzazione.

Pienamente inseriti in questa società, dobbiamo sentirci chiamati in causa dalle parole del Signore: voi siete il sale della terra (...) la luce del mondo[6]. Dobbiamo operare una nuova evangelizzazione e, come i primi cristiani, aiutare coloro che ci stanno attorno a ritornare a Dio, a convertirsi.

Il Signore ha lasciato alla sua Chiesa tutti i mezzi per portare a termine la salvezza del mondo. Tra questi, vorrei soffermarmi specialmente sul Sacramento della Penitenza, perché è indubbio che per ricristianizzare la nostra società è imprescindibile il ricorso alla Confessione sacramentale, nella quale ogni cristiano riceve la forza per essere un testimone efficace di Cristo, con l'esempio e con la parola, in tutte le realtà terrene che occorre ricondurre a Dio Padre. Per ognuno di noi è necessario attingere a questa fonte della grazia e aiutare molti altri, parenti, amici, colleghi, vicini, a ricorrere a questo meraviglioso Sacramento del Perdono divino. L'apostolato della Confessione è un'importante espressione dell'unità di vita, della coerenza del nostro agire con il nostro pensiero.

Maria ci protegga e ci prepari il cammino sicuro per illuminare questa svolta del secondo millennio cristiano, che volge al termine, con la luce di quella fede viva che opera mediante la carità.

[1] Mons. Josemaría Escrivá, Cammino, n. 575, 19ª ed., Ares, Milano, 1985.

[2] Gal 5, 6.

[3] 1 Cor 10, 31.

[4] Mons. Josemaría Escrivá, Santo Rosario (Litanie), 3ª ed., Ares, Milano, 1972.

[5] Mons. Josemaría Escrivá, 9-I-1973.

[6] Mt 5, 13-14.

Romana, n. 6, Gennaio-Giugno 1988, p. 106-108.

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