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Cittadini sulla terra come in cielo? Un approccio all’enciclica Laudato si’ e al messaggio di Josemaría Escrivá

Guillaume Derville

Pontificia Università della Santa Croce (PUSC), Roma

Sommario. 1. LA CURA DELLA CREAZIONE: amore alla creazione, fede e opinioni. Gli egoismi contro le povertà. Essere amministratori ed evitare gli sprechi. 2. LAVORO E RESPONSABILITÀ CIVICA: cittadini liberi e responsabili. Lavoro, crescita personale, relazione e santificazione. Lode eucaristica e ricapitolazione. 3. PERSONA E RELAZIONE: l’uomo, essere relazionale. Esseri di carne e di sangue: terra, esilio e identità. Fraternità universale, misericordia e chiamata alla santità.

L’enciclica sociale Laudato si’ [LS] affronta numerose questioni legate alla relazione della persona con l’ambiente in cui vive[1]. Nel sottolineare la correlazione di tutte le cose tra loro, Papa Francesco apre vasti orizzonti[2]. Si fa eco di quegli impegni generosi che ci propone il Vangelo (cfr. LS 245-246). Mi piacerebbe dire — utilizzando una bella immagine di san Josemaría Escrivá — che, di fronte alla missione “di ricordare che la buona novella può vivificare qualsiasi situazione umana”, ci rendiamo conto che “il lavoro che ci attende è grande. È un mare senza sponde”[3]. Si può leggere la LS come si guardano le prime tele di Brueghel, con le loro folle di personaggi; però in questo caso non sono soltanto i popoli e il mondo rurale a comparire davanti ai nostri occhi: ma sono la città, la strada, e anche la montagna e il mare; e una umanità reale, felice e infelice, spesso ribelle verso la creazione, una umanità povera e a volte felice allo stesso tempo. Dopo, come succede nell’opera del pittore fiammingo, viene in primo piano la persona, ogni persona, unica, il cui volto, “riflesso della Trinità” (LS 239), si scopre un po’ per volta.

Papa Francesco mette in evidenza le cause etiche e spirituali che spiegano il degrado dell’ambiente. Si riferisce alla “cura della casa comune”[4], espressione utilizzata anche da san Giovanni Paolo II quando, nell’enciclica Evangelium vitae, affermava che oggi “lo Stato non è più la ‘casa comune’ dove tutti possono vivere secondo principi di uguaglianza sostanziale”[5]. Se prima “casa comune” ci faceva pensare alla pace e all’uguaglianza nella società, ora Papa Francesco ci invita ad ampliare questo concetto, fino ad abbracciare il mondo intero in chiave ecologica (una parola creata alla fine del XIX secolo partendo dal greco “oikos”, casa).

La LS riprende alcuni temi cari a Papa Francesco, che sono stati affrontati anche da varie conferenze episcopali[6]. Erano già centrali nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: in una lettura della situazione economica mondiale, che appare come sprofondata in una crisi morale e antropologica, il Vescovo di Roma sottolineava la dimensione sociale della fede; condannava l’ignoranza della povertà da parte dell’economia e anche le diseguaglianze flagranti; chiedeva che i mercati fossero permeabili alle questioni sociali, denunciava la corruzione e la concorrenza nociva; invitava il settore finanziario a mettersi al servizio dell’economia e del bene comune, e deplorava l’usura e l’idolatria del denaro[7]. Secondo Giuseppe Tanzella-Nitti, nella presente enciclica sono in gioco, fra altre questioni: un ampliamento del concetto di “qualità di vita”; la centralità del “principio di solidarietà” nel bene comune (cfr. LS 156-158), del quale fa parte il clima[8] — legato specialmente all’agricoltura[9] —; il rifiuto della neutralità dell’oggetto tecnico (cfr. LS 107), perché la tecnica tende a dominare (cfr. LS 108); una chiamata all’unità del sapere[10], rivendicando la luce della fede (cfr. LS 62-64) e chiedendo verità e sapienza per il progresso scientifico (cfr. LS 105, 117)[11]. Inoltre, la tecnica stessa a volte conduce alla “imposizione di uno stile egemonico di vita” (LS 145), senza una regolazione giusta (cfr. LS 173), mentre non si riesce a trarre un insegnamento dalle lezioni della crisi finanziaria (cfr. LS 189). È necessario ri-orientare il mondo (cfr. LS cap. III). Come conclude Antonio Porras, Papa Francesco invita a “un nuovo stile di vita” (LS 16)[12] che sia conforme a “una ecologia integrale” (LS 10)[13]. La LS lamenta effettivamente la degradazione della qualità di vita nelle città (cfr. LS 149-154) e nelle zone rurali (cfr. LS 45, 134, 151-152, 154, 180), per esempio, a causa di una cattiva gestione dei rifiuti (cfr. LS 173).

Come enciclica sociale, la LS è un testo ricco, che postula anche una riforma della società attraverso soluzioni concrete ancora da identificare e rendere operative. È allo stesso tempo un documento magisteriale sulla teologia della creazione. L’enciclica sviluppa alcuni temi e prospettive che il fondatore dell’Opus Dei non ha avuto l’opportunità di trattare, almeno con l’ampiezza, il percorso e le metodologie proprie di un documento attuale del magistero sociale (cfr. LS 15-16). Invece, evidentemente, altre questioni, come il lavoro, la partecipazione dell’uomo al potere di Dio o la missione di perfezionare la creazione sono molto presenti nell’insegnamento di Josemaría Escrivá. Orbene, il messaggio dei santi può fecondare il pensiero teologico, come testimonia il soffio della mistica, l’impegno e l’esempio di san Francesco d’Assisi e di altri santi nella LS[14].

Leggendo l’enciclica, trovo delle affinità con san Josemaría in alcuni punti di grande importanza, espresse a volte con un linguaggio diverso. Per citare solo qualche esempio: l’importanza del dogma della creazione, per la vita morale e per quella spirituale; il valore del mondo; la consapevolezza della vicinanza di Dio in ogni momento; il rispetto delle realtà materiali; la cura delle cose, incluso quelle piccole. Questa concordanza di fondo suggerisce varie linee di riflessione, che logicamente non hanno l’intenzione di esaurire ognuno dei temi trattati, ma soltanto di situarli in un quadro organico. Saranno un invito ad approfondire le prospettive disegnate dalla LS e le intuizioni teologiche di san Josemaría. Distinguerò, dunque, tre nuclei in continua interazione: la chiamata a prendersi cura della creazione, con le constatazioni concrete che spettano alla scienza e a volte anche alle verità di fede; il senso del lavoro e della responsabilità civica; e, infine, l’identità relazionale della persona umana.

1. La cura della creazione

“Il mondo proviene da una decisione” (LS 77), “vi è una scelta libera espressa nella parola creatrice” (LS 77) e “l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con le sue leggi interne” (LS 69; cfr. LS 140, 221): nessuna creatura è priva di valore in sé stessa (cfr. LS 69). Infatti, “è importante leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a ‘coltivare e custodire’ il giardino del mondo (cfr. Gn 2, 15). Mentre ‘coltivare’ significa arare o lavorare un terreno, ‘custodire’ vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura” (LS 67).

L’uomo e la natura, in qualche modo, si custodiscono a vicenda. Pertanto l’uomo, che “è per sé stesso un dono di Dio”, “deve rispettare la struttura naturale e morale di cui è stato dotato”[15]. Bossuet commentava in questi termini Gn 2, 15: “Riguardo al Paradiso, Dio ordinò due cose all’uomo: la prima è ‘coltivarlo’, e l’altra è ‘custodirlo’, vale a dire, conservarne la bellezza; cosa che si applica anche alla cultura. [...] Dio insegnò all’uomo, mediante questa figura, ad aver cura di sé stesso e, nello stesso tempo, a conservare il posto che egli aveva nel paradiso”[16].

Per l’intera enciclica Papa Francesco rivolge il suo sguardo di fede, di speranza e di amore sulla creazione (cfr., per es., LS 96-100): dalla sua origine (cfr. LS 5) fino all’apertura allo stupore e alla meraviglia (cfr. LS 11), insieme con l’amara constatazione della povertà e della disuguaglianza, oltre che dei “peccati contro la creazione” (LS 8, 66, 218). C’è nell’enciclica una gioiosa dichiarazione di amore verso la creazione, la natura e, al tempo stesso, c’è una “drammatica” (LS 246) denuncia degli egoismi che si adeguano a situazioni di flagrante miseria e un richiamo alla vera povertà. La LS si concentra sul problema della degradazione ambientale a causa dell’intervento umano e ribadisce l’urgenza della questione. Ricorda brevemente che l’uomo è chiamato a perfezionare la creazione. Le due cose vanno unite, perché “il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2, 15). Il Catechismo commenta che “in tal modo Dio fa dono agli uomini di essere cause intelligenti e libere di completare l’opera della creazione, perfezionandone l’armonia, per il loro bene e per il bene del loro prossimo”[17]. Vale la pena citare completo questo paragrafo della LS: “Ciononostante, Dio, che vuole agire con noi e contare sulla nostra collaborazione, è anche in grado di trarre qualcosa di buono dai mali che noi compiamo perché ‘lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere a sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili’[18]. In qualche modo, Egli ha voluto limitare sé stesso creando un mondo bisognoso di sviluppo, dove molte cose che noi consideriamo mali, pericoli o fonti di sofferenza, fanno parte in realtà dei dolori del parto, che ci stimolano a collaborare con il Creatore. Egli è presente nel più intimo di ogni cosa senza condizionare l’autonomia della sua creatura, e anche questo dà luogo alla legittima autonomia delle realtà terrene. Questa presenza divina, che assicura la permanenza e lo sviluppo di ogni essere, ‘è la continuazione dell’azione creatrice’[19]” (LS 80).

Amore alla creazione, fede e opinioni

Quando tratta questioni tecniche, Papa Francesco esprime le proprie osservazioni ricordando la legittima “diversità di opinioni”, espressione che compare in due paragrafi (LS 60-61), non senza insistere anche sul “grande deterioramento della nostra casa comune” (LS 61); certamente, una cosa è la tecnica e un’altra la “sua inadeguata o eccessiva applicazione” (LS 133). Il Papa non smette di ricordare che “su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva” (LS 61)[20]. Tuttavia, sulle questioni che tratta, il Vescovo di Roma previene contro il dubbio facile: “Siamo tentati di pensare che quanto sta succedendo non è certo” (LS 59). Per questo la LS invita a “un dibattito onesto e trasparente” (LS 188).

Dio prima di ogni altra cosa, ricorda il Papa. “La capacità dell’essere umano di trasformare la realtà deve svilupparsi sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio” (LS 5). Papa Francesco lamenta, infatti, che la relazione dell’uomo con la natura si sia ridotta a una forma di dominio irrispettoso (cfr. LS 106). La tecnica si emancipa dal suo carattere di mezzo e finisce col condizionare ogni cosa, in modo tale che gli oggetti che produce “non sono neutri” (LS 107). La stessa economia soffre del suo insediamento in teorie preoccupate soltanto per l’obiettivo della massificazione dei profitti a detrimento della persona (cfr. LS 109, 128, 187) e dell’ambiente (cfr. LS 190, 195). La LS chiede ai cristiani una “conversione ecologica”[21], perché siamo chiamati a proteggere l’opera di Dio. Inoltre, “l’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme” (LS 48).

Le cose hanno un valore in sé stesse. “Non basta pensare alle diverse specie solo come eventuali ‘risorse’ sfruttabili, dimenticando che hanno un valore in sé stesse” (LS 33). L’enciclica non esita a citare esempi paradigmatici dell’uno e dell’altro ordine — esseri con valore intrinseco e altri che servono per lo sfruttamento —: dalle mangrovie all’anidride carbonica (cfr. LS 23, 39), dal corallo al cianuro e alla dinamite (cfr. LS 41) —: sono i nomi della questione ecologica nella vita quotidiana di molte persone e nell’opinione pubblica[22].

Questi problemi sono dovuti al disordine e all’ignoranza. “Dio ha creato il mondo inscrivendo in esso un ordine e un dinamismo che l’essere umano non ha il diritto di ignorare” (LSLS 221). Infatti, “la Bibbia non dà adito a un antropocentrismo dispotico che non si interessi alle altre creature” (LS 68). C’è un messaggio in tutto ciò che è: “La natura è piena di parole d’amore” (LS 225). Papa Francesco parla degli uccelli riferendosi all’Antico Testamento (cfr. Dt 22, 4.6) e ad alcune parole di Cristo (cfr. Lc 12, 6), e commenta: “Saremo capaci di maltrattarli e far loro del male?” (LS 221; cfr. LS 68). Non è, dunque, semplicemente perché qui appare evidente un disordine affettivo personale per cui non si deve far loro del male. Un passero è molto piccolo, ma Dio se ne prende cura (cfr. Mt 10, 29; Lc 12, 6). L’amore dell’uomo per la creazione si manifesta anche nelle piccole cose. Lo ricorda spesso la predicazione di san Josemaría: “Convincetevi che, d’ordinario, non ci sarà posto per gesta abbaglianti, fra l’altro perché non ne avrete l’occasione. Invece, non vi mancano le occasioni per dimostrare nelle cose piccole, normali, il vostro amore a Cristo. Anche nelle piccole cose — commenta san Gerolamo — si dimostra la grandezza d’animo. Il Creatore, effettivamente, non lo ammiriamo soltanto in considerazione del cielo e della terra, del sole e dell’oceano, degli elefanti, dei cammelli, dei cavalli, e dei buoi e leopardi e orsi e leoni, ma anche degli animali più piccoli, come le formiche, le zanzare, le mosche, i vermiciattoli e insetti del genere che noi conosciamo più di vista che di nome; e in ognuno di questi esseri noi veneriamo un’identica ingegnosità divina. Così, un’anima votata a Cristo porta la sua attenzione, senza differenza, tanto alle cose grandi quanto alle più piccole”[23].

Pascal parlava, in questo senso, di “fare le cose piccole come se fossero grandi, a causa della maestà di Gesù Cristo, che le ha fatte in noi, e che vive la nostra vita; e le grandi come se fossero piccole e facili, a causa della sua onnipotenza”[24]. Il fatto è che, in realtà, il Verbo di Dio si è fatto piccolo.

Papa Francesco si rivolge in particolare al cristiano come tale, che ha come modello Cristo, uomo perfetto. “Proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, [Cristo] svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”[25]. A noi è riservato il compito di incarnare il messaggio di Cristo nell’epoca in cui viviamo, una missione che è molto presente nella predicazione di san Josemaría: “Vedo tutti gli avvenimenti della vita — quelli di ogni esistenza individuale, e in certo modo quelli delle grandi svolte della storia — come altrettanti appelli che Dio rivolge agli uomini perché affrontino la verità: e anche come occasioni offerte a noi cristiani per annunciare con le nostre opere e le nostre parole, aiutati dalla grazia, lo Spirito al quale apparteniamo. Ogni generazione di cristiani deve redimere e santificare il suo tempo, e per riuscirci deve comprendere e condividere le ansie degli altri uomini, a loro uguali, per far loro conoscere, con il dono delle lingue, come devono corrispondere all’azione dello Spirito Santo, all’effusione permanente delle ricchezze del Cuore divino. Tocca a noi cristiani del nostro tempo annunciare oggi, a questo mondo al quale apparteniamo e nel quale viviamo, il messaggio antico e nuovo del Vangelo”[26].

Quando parla di ambiente e di esclusione, il Papa vuole affrontare un problema reale[27] ma spesso ignorato, che però interessa tutti. Se è vero che il battezzato rinasce per cambiare il mondo, come potrà realizzare questo compito senza una chiave interpretativa? San Josemaría sottolinea che la rivelazione della bontà di Dio ci si svela in un mondo destinato a essere salvato: “Un bel motto per la vita cristiana si può trovare in quelle parole dell’Apostolo: Tutte le cose sono vostre, voi di Cristo e Cristo di Dio (1 Cor 3, 22-23), per poter così realizzare i progetti di questo Dio che vuol salvare il mondo”[28]. Invita ad “amare il mondo appassionatamente”[29], titolo di una ben nota omelia che tratta anche delle realtà materiali. “Il mondo è buono — dice san Josemaría — perché le opere di Dio sono sempre perfette”; poi aggiunge: “Siamo noi uomini che rendiamo il mondo cattivo con il peccato”[30]. Santiago Sanz ha ragione quando parla di un “ottimismo creazionale di san Josemaría”[31], in contrasto con quella concezione delusa del mondo che ritiene che la differenza tra un ottimista e un pessimista stia semplicemente nel fatto che il secondo è meglio informato del primo. Gli insegnamenti del fondatore dell’Opus Dei sull’amore cristiano verso il mondo e sulla chiamata dell’uomo a santificarlo — rispettando le sue leggi e portando alla pienezza le sue potenzialità — ci offrono un ricco patrimonio sul quale riflettere intorno alla cura dell’ambiente in cui viviamo, alla luce delle prospettive e delle proposte della LS, col suo vibrante appello alla giustizia sociale.

Gli egoismi contro le povertà

Papa Francesco proclama effettivamente la dignità dei poveri (cfr. LS 158), perché la vita è sempre un bene: “Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità” (LS 50). Orbene, trattare la persona umana come un oggetto, come se non fosse un fine in sé agli occhi di Dio, sarebbe il culmine del relativismo. “La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto” (LS 123)[32]. Nella LS soffia uno spirito cristiano che si ribella alla coesistenza di grandi povertà e di egoismi personali e collettivi ormai consolidati che, se non ne sono la causa, sono almeno il loro corollario (cfr. LS 105, 149, 204, 230). Una libertà economica “solo proclamata” (LS 129), falsa (cfr. LS 203), annulla la libertà reale. Quando la politica si sottomette all’economia (cfr. LS 191, 196), il potere corrompe con facilità (cfr. LS 122, 198). Sono numerosi i direttivi di aziende con bilanci in attivo e che, essendosi rifiutati di licenziare il personale con famiglia, vengono espulsi dagli azionisti della società, che poi fanno lo stesso con gli impiegati. Papa Francesco lancia un appello per una vera rivoluzione: “accettare una certa decrescita” (LS 193), “ridefinire il progresso” (LS 194), ritornare al senso del sacrificio e della bontà per saper convivere (cfr. LS 199), educare alla “cittadinanza ecologica” (LS 211). Come mettere in opera questa “rivoluzione culturale” (LS 114) e sociale? La sfida, in ogni caso, riguarda tutti: imprese, scuole e centri di insegnamento superiore[33], la società, le nazioni, ogni singolo cittadino.

La LS non esita a denunciare la “corruzione” (LS 54, 142, 172). Con la globalizzazione, l’evoluzione dei fenomeni sociali subisce una incredibile accelerazione. Papa Francesco riprende in tale contesto il neologismo “rapidación” (LS 18), che va di pari passo con quella “fugacità” (LS 113) che porta facilmente alla superficialità: è il pericolo di non “farci domande sui fini e sul senso di ogni cosa” (LS 113) a causa della “velocità imposta dagli attuali progressi tecnologici” (LS 133). La LS è d’accordo con alcune conclusioni di Tony Judt sugli effetti perversi del progresso e dell’innovazione, come il timore per la rapidità incontrollabile del cambiamento, la paura di perdere l’impiego e di restare danneggiato in una distribuzione sempre meno imparziale delle risorse[34]. La LS manifesta, infine, una certa impazienza. Le situazioni di povertà e di diseguaglianza che si erano fatte strada negli ultimi decenni erano causa di indignazione anche per san Josemaría: “Si comprendono benissimo l’impazienza, l’ansia, i desideri inquieti di coloro che, con un’anima naturalmente cristiana[35], non si rassegnano di fronte all’ingiustizia personale e sociale che il cuore umano è capace di creare. Sono tanti i secoli della convivenza degli uomini, e tanto è ancora l’odio, tante le distruzioni, tanto il fanatismo accumulato in occhi che non vogliono vedere e in cuori che non vogliono amare. Vediamo i beni della terra divisi tra pochi e i beni della cultura chiusi in cenacoli ristretti. Fuori, c’è fame di pane e di dottrina; e le vite umane, che sono sante perché vengono da Dio, sono trattate come cose, come numeri statistici. Comprendo e condivido questa impazienza: essa mi spinge a guardare a Cristo che continua a invitarci a mettere in pratica il comandamento nuovo dell’amore”[36].

Impazienza, angoscia, desideri inquieti... Si capisce perché l’enciclica spesso ha il tono di un grido di sofferenza (cfr. Gc 5, 4), che al tempo stesso è un canto d’amore[37]. La LS denuncia la perversità degli attuali sistemi. Analoghe critiche alla post-modernità le troviamo negli scritti di Zygmunt Bauman: ecco un’epoca marcata dal piacere e dall’esclusione; in questa “società liquida”, in cui le relazioni sociali si sono deformate, consumare è diventato il criterio unico; assistiamo all’emergere di nuove povertà (cfr. LS 158), perché i pochi ricchi non bastano ad accontentare tutti gli altri. Papa Francesco fa appello al ruolo dello Stato (cfr. LS 197). Dato che l’uomo non è soltanto un consumatore (cfr. LS 226), lo Stato dovrebbe essere, soprattutto, un buon amministratore.

Essere amministratori ed evitare gli sprechi

Quale atteggiamento dobbiamo adottare nei confronti dei beni della casa comune del mondo? Si tratta chiaramente di finirla con la riduzione dell’uomo a semplice consumatore, che va di pari passo con lo sperpero (cfr. LS 109). Nella sua enciclica il Successore di Pietro propone alcune idee concrete: non sprecare l’acqua (cfr. LS 185), né la carta (cfr. LS 22, 211), oltre a economizzare l’energia (cfr. LS 211), per citarne solo alcune. “Una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare” (LS 50).

Come numerosi scrittori, il fondatore dell’Opus Dei dava esempi basati sulla sua profondità spirituale e sulla sua esperienza della guerra e della scarsezza. È vero, come diceva san Bernardo, che la povertà in quanto virtù risiede essenzialmente nell’amore verso la povertà. San Josemaría metteva in pratica alcune applicazioni concrete che enumerava in questi termini: “Non tenere nulla come proprietà personale; non tenere nulla di superfluo; non lamentarsi quando manca il necessario; quando si può scegliere, prendere per sé la cosa più povera, meno simpatica; non maltrattare gli oggetti che usiamo; fare buon uso del tempo”[38].

Era solito dire anche: “Non basta voler essere povero. Occorre imparare a essere povero”[39]. Uno può disporre di mezzi, ma questa circostanza lo obbliga a provvedere alle necessità del prossimo. “La vera povertà non consiste nel non avere, ma nell’essere distaccato: nel rinunciare volontariamente al dominio sulle cose”[40]. Per evitare sprechi, Josemaría Escrivá “usava sempre dei fogli già usati da un lato per scrivervi sul retro appunti o minute; diceva scherzando che se fosse stato possibile, avrebbe scritto perfino sul bordo”[41]. Quanto all’elettricità, era solito consigliare: “Senti, là hanno acceso le luci per aprire le finestre e quando tutta la stanza si è riempita di luce naturale, hanno dimenticato di spegnere le lampadine. [...] Per favore, sali su e di’ loro con delicatezza di spegnerle, perché si sta sciupando luce inutilmente”[42]. Invitava quelli che incontrava a fare attenzione alle cose piccole, per carità: il fatto di economizzare le risorse ed evitare sprechi è un modo di sentirsi unito a quelli che sono nel bisogno. A questo proposito, mi ricordo di una residenza a Nairobi nella quale rinunciavano regolarmente a usare l’acqua calda in segno di solidarietà. Secondo il beato Álvaro del Portillo, il fondatore dell’Opus Dei invitava “a stare ben distaccati dalle cose umane — siamo soltanto degli amministratori [cfr. LS 116] —, e ad agire con buonsenso, senza sprecare, senza scialacquare, amministrando al meglio quanto ci capita di avere tra le mani”[43]. Più che di una questione economica, si tratta qui di un approccio spirituale; dello stesso parere è anche Papa Francesco, che sottolinea inoltre la gravità della mancanza di una giustizia sociale. Si capisce allora perché il Papa parla della preghiera prima e dopo i pasti come di una consuetudine anti-consumista (cfr. LS 227), per non parlare dell’arte culinaria, che può essere associata ugualmente all’ecologia (cfr. LS 133-134).

2. Lavoro e responsabilità civica

Prendersi cura della creazione è una responsabilità che potrebbe dirsi civica e che si esercita in modo particolare nel lavoro. Il concetto di cittadinanza è amato da san Paolo, che davanti al centurione (cfr. At 22, 25-28) si dichiarò con fermezza cittadino romano, attribuendo una chiara connotazione politica a questo concetto[44]. Invita i filippesi a essere cittadini degni del Vangelo di Cristo (cfr. Fil 1, 27). Spesso la parola greca “politeuesthe”, “essere cittadini”, non appare nelle traduzioni della Bibbia; eppure è l’accezione letterale della parola in questo versetto[45]. La LS ritorna spesso all’idea della responsabilità civica e sottolinea il ruolo del lavoro, realtà strettamente legata all’Eucaristia, un sacramento che è molto presente anche nell’enciclica.

Cittadini liberi e responsabili

Papa Francesco impiega il termine “cittadino” (LS 45, 179), riconosce le “aggregazioni di cittadini” (LS 14), valorizza “coloro che progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e città” (LS 150) e crea l’espressione “cittadinanza ecologica” (LS 211) per fare appello all’esercizio delle virtù personali. In altre parole, Papa Francesco invita il cittadino a prendere coscienza delle proprie responsabilità (cfr. LS 118) e a esercitarle:

“Se i cittadini non controllano il potere politico — nazionale, regionale e municipale — neppure è possibile un controllo dei danni ambientali” (LS 179).

Sicché essere cittadino non comporta soltanto l’appartenenza a una comunità, ma anche, in un modo o nell’altro, la partecipazione al potere. Nelle opere di san Josemaría questa prospettiva cittadina appare nel quadro di una concezione cristiana dell’esistenza: dedica un capitolo di Solco al tema della “cittadinanza” — 33 aforismi (nn. 290-322) —, dato che per lui ogni cristiano che vive “in mezzo al mondo” è un “cittadino qualsiasi” (Solco, n. 321).

Qui san Josemaría mette a fuoco la questione anche partendo dall’amore al mondo in Dio: “Amiamo appassionatamente questo mondo perché Dio ce l’ha insegnato” (Solco, n. 290). Il riferimento biblico è Gv 3, 16, in una prospettiva incarnazionista ed escatologica: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”. Allo stesso modo, ogni cattolico si deve caratterizzare per “una premurosa attenzione agli orientamenti della scienza e del pensiero contemporanei; e un atteggiamento positivo e aperto di fronte all’odierna trasformazione delle strutture sociali e dei modi di vita” (Solco, n. 428).

Da qui l’entusiasmo responsabile (cfr. Solco, n. 292) nel quale tutti i valori umani si inquadrano “nella speranza di Cristo”: “amicizia, arte, scienza, filosofia, teologia, sport, natura, cultura, anime...” (Solco, n. 293). Tutto questo dev’essere restituito a Dio (cfr. Solco, n. 295), magari a costo di rinunciare a “quel fascino impalpabile e seducente del mondo” (Solco, n. 294). Josemaría Escrivá ci invita al “fedele compimento dei nostri doveri di cittadini”, ma anche a “esigere i nostri diritti e metterli al servizio della Chiesa e della società” (Solco, n. 300). Questo comporta il pagamento delle tasse, l’interesse per il bene comune, la partecipazione alla vita politica e sociale, ecc., che si possono riassumere nel mettere in pratica gli insegnamenti sociali cristiani[46].

Ora dobbiamo mettere a fuoco due temi. Da un lato, la prospettiva nella quale si trova il pensiero di Escrivá è sempre quella di Dio, come nella LS: “la felicità eterna” (Solco, n. 305), la gioia e l’audacia dei “figli di Dio” (Solco, n. 306); dall’altro, la responsabilità civica del cristiano comprende realtà come:

— la sua libertà fondamentale di figlio di Dio: “Che triste cosa è avere una mentalità dispotica, ‘cesarista’, e non comprendere la libertà degli altri cittadini, nelle cose che Dio ha lasciato al giudizio degli uomini” (Solco, n. 313); san Josemaría conferma un’autentica “dottrina di libertà civile”[47], che include la responsabilità personale di compiere i doveri in quanto cittadini nella vita politica, economica, universitaria, professionale[48];

— il rispetto de “i diritti degli altri popoli” (Solco, n. 316), perché “se il patriottismo si traduce in un nazionalismo che porta a guardare con indifferenza, con disprezzo — senza carità cristiana né giustizia — altri Paesi, altre nazioni, è un peccato” (Solco, n. 315).

San Josemaría non pretendeva in alcun modo di concepire un programma di azione sociale collettiva istituzionale per l’Opus Dei, perché questo non fa parte della missione di questa prelatura, che è aperta a tutti i programmi ammissibili per i cristiani, e che incoraggia i suoi fedeli ad assumere liberamente le responsabilità personali[49]; invece si era impegnato a diffondere la chiamata evangelica alla santità e all’apostolato nel lavoro professionale e nella vita di ogni giorno, nel rispetto della natura, nel compimento dei doveri civici.

Tutto questo richiede una formazione personale. Papa Francesco deplora in particolare “la frammentazione del sapere” (LS 110). San Josemaría riteneva essenziale la sua unità: aveva un alto concetto dell’università come “casa comune”[50] e desiderava che vedesse la luce un catechismo della dottrina sociale. Il cardinale Van Thuân afferma che “Josemaría Escrivá voleva che nel catechismo della dottrina cristiana si facesse menzione dei doveri sociali e politici dei cristiani nella comunità civile, in modo da formare così i cattolici nell’unità di vita sin dall’infanzia: un buon cristiano dev’essere anche un buon cittadino”[51]. Desiderava che i cattolici dessero un contributo al bene della società[52]. Subito dopo raccomandava che ciascuno si unisse ad altre persone e istituzioni, cristiane o meno, allo scopo di affrontare insieme i problemi della società (cfr. LS 219), compiendo nel miglior modo possibile tutto ciò che si deve fare, facendolo con amore[53]. Oltre all’impegno nel compiere i doveri di stato, che è il primo passo per diminuire la miseria, occorre impegnarsi nello sradicarla personalmente. Basterà ricordare qui, come manifestazione di questa indispensabile scelta sociale, le 40 iniziative volute dal beato Álvaro del Portillo: ospedali in Africa, promozione della donna nell’America Latina, scuole di formazione professionale nelle Filippine, banche del cibo in Europa, centri di inserimento degli immigranti negli Stati Uniti[54].

Per far crescere questa presa di coscienza civica è necessaria una educazione integrale e sapienziale che è una sfida a tutto campo (cfr. LS 209). Con essa si risponderà tanto meglio alle attuali esigenze quanto più si ispirerà agli insegnamenti dell’ultimo Concilio. Man mano che passa il tempo, si corre il rischio di ignorarli. E invece abbiamo ricevuto l’incarico “di una splendida e paziente assimilazione del Concilio Vaticano II, di sforzarci di metterlo in pratica con sempre maggiore efficacia”[55], specialmente in ciò che si riferisce alla “armonia e collaborazione tra fede e ragione”[56]: dobbiamo essere cittadini della terra, con lo sguardo rivolto al cielo. Il Concilio ha sottolineato che “il carattere secolare è proprio e particolare ai laici”[57]. Ángel Rodríguez Luño ha messo in rilievo la “dimensione teologica positiva della secolarità”[58], non solo sociologica, nelle intuizioni di san Josemaría. Escrivá basa il suo pensiero sull’incarnazione e sul mistero pasquale.

“È la fede in Cristo, morto e risorto, presente in tutti i momenti della vita, che illumina le nostre coscienze stimolandoci a partecipare con tutte le forze alle vicissitudini e ai problemi della storia umana. In questa storia, che iniziò con la creazione del mondo e terminerà alla fine dei secoli, il cristiano non è un apolide. È un cittadino della città degli uomini, che ha l’anima piena del desiderio di Dio e che già in questa tappa del tempo comincia a intravvedere il suo amore, riconoscendo in esso il fine a cui sono chiamati tutti coloro che vivono sulla terra”[59].

Infatti, “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13, 14). Questa città futura esiste già come realtà escatologica, perché il mistero pasquale ci ha collocato in quelle primizie di gloria che sono la lode di Dio e la comunione con i nostri fratelli nella carità[60]. Tutto questo si attualizza nel culto cristiano, al quale si associa il lavoro. Come ha scritto Joseph Ratzinger, “c’è [tuttavia] una realtà che salta agli occhi non appena ci si affaccia sulla vita di Mons. Escrivá de Balaguer o si entra in contatto con i suoi scritti: un senso molto vivo della presenza di Cristo”[61]. Una presenza che incontreremo nuovamente parlando del lavoro, perché “Gesù lavorava con le sue mani, prendendo contatto quotidiano con la materia creata da Dio per darle forma con la sua abilità di artigiano” (LS 98).

Lavoro, crescita personale, relazione e santificazione

Il lavoro è un aspetto importante dell’enciclica di Papa Francesco (cfr. LS 98, 124-129), anche se in essa si trattano problematiche molto più vaste. Il Papa proclama la necessità per l’uomo di avere un lavoro (cfr. LS 127-129), soprattutto per vivere degnamente. Ricorda il valore del lavoro, particolarmente proclamato da san Giovanni Paolo II nella sua enciclica Laborem exercens (cfr. LS 124). La LS cita la bella massima benedettina “ora et labora” (LS 126) ed evoca il messaggio di Charles de Foucauld (cfr. LS 125). L’enciclica insiste nel “multiforme sviluppo personale” (LS 127) che dovrebbe avvenire durante il lavoro: un lavoro necessario, che nobilita la persona (cfr. LS 128). Papa Francesco ferma la sua attenzione in una questione personalista essenziale: “Qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé” (LS 125). Questa prospettiva fa da filo conduttore dell’enciclica.

È ben noto che la santificazione del lavoro è un aspetto essenziale dello spirito dell’Opus Dei, insieme con l’affermazione della filiazione divina come fondamento di ogni vita, e la centralità dell’Eucaristia, mistero che in qualche modo corona l’enciclica (cfr. LS 236-237). Per ciò che riguarda il preciso concetto della concezione di una relazione con gli altri (cfr. LS 112, 125), lo vedo espresso nel messaggio di Josemaría Escrivá come amicizia e come servizio: “Lo spirito di servizio, il desiderio di lavorare per contribuire al bene comune”[62] implicano una certa competenza professionale: “Non basta voler fare il bene; è necessario saperlo fare. E, se il nostro volere è sincero, deve tradursi nell’impegno di impiegare i mezzi adeguati per compiere le cose fino in fondo, con perfezione umana”[63]. Escrivá ha la formula: “Per servire, servire”[64]. Il teologo Antonio Aranda dice che “il termine ‘servire’ [...] ha qui due significati: saper fare bene il proprio lavoro, vale a dire, essere un buon professionista; ma significa anche lavorare con spirito di servizio pensando agli altri”[65]. La stessa idea appare nell’omelia di Papa Francesco a L’Avana: “Chi non vive per servire, non serve per vivere”[66]. Per questo, “amare significa ricominciare ogni giorno a servire”[67], e “il dono di sé è conseguenza della libertà”[68]. Così Gesù Cristo spiegava il motivo profondo della sua vita sulla terra in riferimento al servizio: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20, 28).

Un altro aspetto dell’importanza della relazione nel lavoro è, se è il caso, il governo collegiale che si contrappone all’arbitrarietà e che è a favore della pluralità[69]. In alcune aziende si può rilevare un movimento inverso di quello della specializzazione crescente dell’epoca industriale, che ha comportato organigrammi zeppi di autorità gerarchiche e una certa disumanizzazione e trascuratezza per ciò che riguarda le responsabilità. Grazie alle tecnologie contemporanee, nelle nuove tipologie di strutture organiche si tende a far sì che ogni persona compia — nell’ambito delle piccole unità — alcune funzioni che corrispondono a una messa a fuoco integrale della persona. Così si assumono un po’ per volta diversi tipi di responsabilità: produzione, ricerca, marketing, commercio e vendite; l’accesso più facile ai ricorsi finanziari fa sì che siano veramente mezzi e non un fine in sé stesso. Nelle attività primarie dell’agricoltura o in quelle secondarie dell’industria, la terra, le stagioni, un prodotto materiale — in una parola, le realtà che la LS ci ricorda — continuano a essere dei punti di collegamento dove ancora si stabilisce una relazione tra i lavoratori. Nelle attività di servizio, o terziarie, e nella quaternaria, questi tramiti attraverso la realtà sono scomparsi; la società occidentale contemporanea s’immerge nei beni immateriali, virtuali, e la questione di un’adeguata comprensione del legame tra il lavoro e la relazione alla quale la LS invita è sicuramente un compito fondamentale sul quale si deve riflettere: la delega, la trasmissione, l’accompagnamento e l’empowerment contribuiscono al bene dell’altro e a quello dell’azienda[70].

Il riconoscimento di queste relazioni “vuol dire che il primato è tenuto dallo spirito e non dall’organizzazione”[71], secondo l’espressione di Escrivá, e comporta l’esercizio delle virtù umane — fortezza, serenità, pazienza, magnanimità, applicazione nell’attività, diligenza, veracità e giustizia, temperanza, prudenza — e le virtù soprannaturali, specialmente le teologali, nella gioia[72]. La dignità di un lavoro è essenzialmente legata all’amore che vi si mette[73]. In sostanza, Josemaría Escrivá invita ogni persona “a sentirsi figlio di Dio”[74] in tutte le mansioni “suscettibili di essere innalzate al piano soprannaturale, cioè inserite nella corrente d’Amore che caratterizza la vita di un figlio di Dio”[75]. Troviamo qui “un atteggiamento di adorazione” (LS 127) e quella “tenerezza paterna” (LS 73; cfr. 77, 96) che dobbiamo condividere con gli altri (cfr. LS 91, 220, 242) e che affiora spesso negli insegnamenti del Papa.

In questo modo la LS ci conduce all’insegnamento di san Josemaría sulla vita quotidiana, radicata nei testi biblici, dalla Genesi fino alla situazione di Cristo a Nazaret (cfr. Mc 6, 3; cfr. LS 98)[76]. Per ciò che riguarda l’espressione “ora et labora”, san Josemaría faceva suo questo commento del beato Álvaro del Portillo:

“Non va dimenticato il grande bene che con la loro costanza nel lavoro, concepito in questo modo, hanno fatto i benedettini alla Chiesa e alla società civile, conservando il deposito culturale negli anni oscuri del Medioevo e dissodando buona parte dell’Europa...”[77].

Charles de Foucauld parte dalla vita nascosta a Nazaret. Per questo convertito appassionato si tratta soprattutto di kenosis: “Nell’amore, nell’adorazione, nell’immolazione, nella supplica, nel lavoro manuale, nella povertà, nella sottomissione, nel raccoglimento, nel silenzio, imiteremo quanto più fedelmente è possibile la vita nascosta di Gesù di Nazaret”[78]. Nel messaggio di san Josemaría “il tono è diverso”[79], come osserva Laurent Touze, benché l’umiltà sarà sempre il fondamento di tutto.

Infatti, secondo san Josemaría, “per la maggior parte degli uomini, la santità consiste nel santificare il proprio lavoro, nel santificarsi nel lavoro e nel santificare gli altri per mezzo del lavoro, realizzando così l’incontro con Dio lungo la strada della propria vita”[80]. Per Escrivá questo significa trasformare il lavoro in preghiera: il lavoro diventa contemplazione[81]. Il culto, in ebraico, è indicato come adorazione di Dio: culto di Dio, una espressione che si riferisce al concetto di sottomissione e di servizio ( “avodat Elohim” ). Se esiste una definizione generica comune al culto e al lavoro, probabilmente sarà quella di opera di Dio. Analogicamente, potremmo parlare di una liturgia del lavoro[82].

Oltre a essere un mezzo essenziale di santificazione, nel pensiero di Escrivá, il carattere professionale del lavoro è qualcosa di essenziale. Si tratta di un concetto che racchiude alcune realtà come l’apprendimento, la preparazione, la formazione continua e permanente, l’essere aggiornato: la competenza professionale che si sforza di offrire un servizio migliore. La LS avverte il pericolo che gli esclusi rimangano spiazzati perché “tanti professionisti” non hanno più un “contatto diretto con i loro problemi” (LS 49). San Josemaría sottolineava che spesso il lavoro richiede una specializzazione accompagnata da un prestigio meritato, che si contrappone al dilettantismo. Questo implica un legittimo entusiasmo che non deve mancare né nel lavoro professionale né nell’“impegno per costruire la città terrena”[83], “la nostra casa comune” (LS 13), “una città abitabile” (LS 143). Facendo il meglio possibile il proprio lavoro e rispettando l’etica professionale, l’essere umano esercita le virtù (in particolare, la laboriosità), animate dalla carità; diventa una persona migliore; ama Dio e il suo prossimo: si santifica.

Ma c’è ancora dell’altro: lavorando in questo modo, l’uomo perfeziona il mondo con il suo lavoro. Leggiamo nella Genesi: “Dio [...] aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto”[84]. Letteralmente questo versetto si leggerebbe così: “Dio riposò del lavoro che El Elohim aveva creato per fare”. Questo “per fare” si può riferire perfettamente all’uomo, sapendo che Elohim è il soggetto di “creare”. In altre parole, la continuità dell’azione creatrice sta anche nel fatto che Dio crea perché l’altro faccia. L’uomo è associato alla creazione e partecipa del potere divino[85]. L’amore alla creazione si trasforma in un atto di co-creazione[86].

José Luis Illanes mostra le dimensioni del lavoro presenti nel messaggio di san Josemaría: cosmica, antropologica, socio-familiare, socio-storica, teologico-creativa e soteriologica[87]. La santificazione del lavoro va molto oltre la lotta contro l’ozio e l’ottenimento dei necessari mezzi di sussistenza (cfr. Mt 10, 10), perché si tratta di un mandato di Dio e del perno attorno al quale ruotano la santità e l’apostolato. Si tratta di far fruttare i talenti (cfr. Mt 25, 26), di dar frutto (cfr. Mc 11, 13: il fico che restò secco). Il lavoro compiuto con perfezione, ma senza perfezionismo (altri potranno migliorarlo, diceva Escrivá), è elevato all’ordine soprannaturale e diventa uno strumento di santificazione. Questo spirito di lavoro è contagioso; san Josemaría arriva a questa formula apparentemente paradossale: “Figli miei, ci è tanto connaturale il lavoro costante e ordinario, che il nostro hobby è appunto il lavoro: con un lavoro, ci riposiamo da un altro”[88]. In questo senso, l’arduo lavoro di un disoccupato è proprio la ricerca professionale di un lavoro. Questo problema ha attratto in modo particolare l’attenzione dell’attuale prelato dell’Opus Dei; la sua esperienza pastorale gli ha suggerito la seguente riflessione il giorno successivo alla pubblicazione della LS: “Ben comprende il valore di nobilitare il lavoro chi subisce la disoccupazione e prova l’angoscia della mancanza di guadagni. Per questo motivo le persone che sono state licenziate dal lavoro sono una intenzione costante nelle preghiere e nelle preoccupazioni di ogni cristiano. Come afferma il Papa, aiutare i poveri o i disoccupati con del denaro ‘dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze’. Il grande obiettivo, invece, ‘dovrebbe sempre essere quello di consentire loro una vita degna mediante il lavoro’ (LS 128). Allo stesso modo, l’enciclica ci ricorda che ‘rinunciare a investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società’ (LS 128)”[89].

Per la persona disoccupata la prima sfida può essere la fiducia in sé stessa e la relazione con gli altri, specialmente se il lavoro definiva fortemente la propria identità. La ricerca di un lavoro è legata anche alla necessità di mantenere le relazioni con gli altri. In questo ambito essa potrà trovare il lavoro per il quale è stata fatta, lavoro che deve accettare anche nel caso in cui non soddisfi completamente le sue legittime aspettative; manifesterà allora la sua concezione della relazione con la quale rendere nuovamente più umana la sua vita, in ciò che può dare e ricevere.

In francese, chi è disoccupato è uno “chômeur”, che viene dal basso latino “caumare”, riposare quando fa caldo, che a sua volta deriva dal greco “kauma”, calore che brucia. In spagnolo, “estar en paro”, essere disoccupato, dal latino “parare”, implica la cessazione di ogni movimento.

Ebbene, un essere vivo che cessa di muoversi, muore. La persona disoccupata è chiamata a mettersi in piedi tra i lavoratori e a riscoprire il calore buono, il calore umano. Umanizzazione! Il lavoro veramente santificato dovrebbe condurre alla “umanizzazione del mondo”[90], contro ciò che la LS chiama “perduranti situazioni di miseria disumanizzante”[91]. Penso a un venditore di arance di La Paz, Bolivia, che, a un cliente che voleva comprargli di colpo tutta la merce che aveva, rispose: “Soltanto una dozzina; altrimenti, che farei durante il resto della giornata?”. Una risposta che fa eco a questi versi di Esiodo: “Nessun lavoro è vergogna: poltrire è vergogna”[92]. Indipendentemente dalla sua interpretazione, questa formula comporta l’idea, sicuramente ingiusta, di una umiliazione plateale e pubblica: ritorniamo alla nozione di relazione.

Lode eucaristica e ricapitolazione

Il carattere centrale della persona nel lavoro, che è in relazione con la sua dignità e con la sua crescita umana e spirituale, si colloca nell’ambito del primato di Dio. “Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto. L’essere umano, infatti, dotato di intelligenza e di amore, è attratto dalla pienezza di Cristo, è chiamato a ricondurre tutte le creature al loro Creatore” (LS 83).

Questa trasformazione del mondo è possibile grazie all’unione con Cristo nell’Eucaristia, dato che in ogni celebrazione eucaristica “Gesù [...] attrae a sé tutte le cose”[93]. Questo è un tema centrale nella predicazione di san Josemaría che appare con forza nella LS (cfr. 233-237). Così si esprimeva san Josemaría durante la celebrazione di una Messa nel campus di una Università:

“È consentito, pertanto, parlare di un materialismo cristiano, che si oppone audacemente ai materialismi chiusi allo spirito. Che cosa sono i sacramenti — orme dell’Incarnazione del Verbo, come dissero gli antichi — se non la manifestazione più evidente di questa strada che Dio ha scelto per santificarci e condurci al Cielo? Non vedete che ogni sacramento è l’amore di Dio, con tutta la sua forza creatrice e redentrice, che si dona a noi servendosi di mezzi materiali? Che cos’è questa Eucaristia — ormai imminente — se non il Corpo e il Sangue adorabili del nostro Redentore, che si offre a noi attraverso l’umile materia di questo mondo — vino e pane —, attraverso gli elementi della natura, coltivati dall’uomo[94], come l’ultimo Concilio Ecumenico ha voluto ricordare?”[95].

Papa Francesco invita al rispetto della creazione, compreso il mondo vegetale e animale (cfr. LS 124, 130). San Josemaría fa lo stesso, a volte riferendosi all’Eucaristia. Nel mistero dell’altare, il frumento e l’uva simbolizzano la natura, l’ambiente, il mondo; diventati pane e vino, vengono offerti come lavoro, cultura, arti, scienze, storia, relazioni interpersonali, per trasformare tutto in Cristo, Figlio di Dio e di Santa Maria, in lode a Dio, nella gioia dello Spirito Santo:

“Quando celebro la Santa Messa con la sola partecipazione di colui che mi aiuta, anche allora il popolo è presente. Sento accanto a me tutti i cattolici, tutti i credenti e anche quelli che non credono. Sono presenti tutte le creature di Dio — la terra, il cielo, il mare, gli animali e le piante —: è la creazione intera che dà gloria al Signore”[96].

Esiste, pertanto, una forma di liturgia della creazione[97]. Si tratta di un “anticipo della trasformazione universale di questo mondo alla fine dei tempi”[98]. Questa azione liturgica, che fa entrare la terra nel Cielo e che ha una dimensione cosmica, annuncia la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo (cfr. LS 100). Citando san Tommaso d’Aquino, alla fine dei tempi “ogni creatura sensibile riceverà una certa novità di gloria”[99]. Che cosa si può dire al riguardo? Si tratta di una questione, apparentemente non collegata con le preoccupazioni dell’uomo moderno, che si ravviva durante una conversione personale, una catastrofe naturale o per la morte di una persona amata. La morte, di cui non si parla quasi mai nella nostra società post-moderna (anche se forse cambierà con gli attentati suicidi), è una cosa certa e inevitabile. Fernando Ocáriz spiega che, secondo l’Aquinate, per i beati non vi sarà interruzione né sproporzione fra la contemplazione diretta e amorevole della Trinità che avrà l’anima e ciò che i loro occhi glorificati vedranno del mondo materiale: “La pienezza della Rivelazione storica e la pienezza della Rivelazione cosmica non solo coincidono in Cristo Rivelatore, ma anche nel loro compimento escatologico, nella misura in cui è possibile alla capacità della realtà materiale glorificata, nel contenuto più alto che è rivelato: la Trinità divina”[100].

Inoltre, dopo aver celebrato l’Eucaristia, il fondatore dell’Opus Dei amava recitare un inno preso dal libro di Daniele (cap. 3) unito al Salmo Laudate (Sal 150): il Trium puerorum o Benedicite, il cui uso risale almeno al terzo secolo. Questo inno invita tutta la creazione a benedire il Signore: lo sguardo è rivolto verso il sole, la luna, le stelle; raggiunge l’immensa estensione delle acque; s’innalza verso le cime innevate per contemplare la varietà delle condizioni atmosferiche, dal freddo al caldo, dalla luce alle tenebre; si sofferma sul mondo minerale e vegetale; si rivolge alle specie animali e infine termina con l’uomo, immagine di Dio. Per il semplice fatto di esistere, tutti gli esseri benedicono Dio e gli rendono gloria (cfr. LS 69), benché, lasciando da parte gli angeli, solo l’essere umano si può rivolgere a Dio in un atto volontario libero e attuale.

Come insegna la costituzione Gaudium et spes, “unità di anima e di corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore”[101].

Papa Francesco ci invita a questa lode, eco del Cantico delle Creature di san Francesco d’Assisi. Un canto che loda il Creatore nelle sue creature, in maniera analoga alla nostra lode dei santi nella liturgia, dato che in essi esaltiamo Dio che, coronando i suoi meriti, corona i propri doni[102]. Certamente, non tutto è Dio: il mondo o il suo divenire non sono Dio. Però, sapendo questo, la nostra fede riconosce che “le varie creature, volute nel loro proprio essere, riflettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio”[103].

Mosso da un profondo senso della sua filiazione divina, l’autore di Cammino non aveva ancora trent’anni quando la sua penna annotava nei suoi Appunti intimi questo slancio dell’anima: “Bambino. Abìtuati a innalzare il tuo cuore a Dio, in rendimento di grazie, molte volte al giorno. — Perché ti hanno disprezzato. — Perché non hai ciò di cui hai bisogno o perché lo hai. Perché ha fatto così bella sua Madre, che è anche Madre tua. — Perché ha creato il sole e la luna e quell’animale e quella pianta. — Perché ha fatto eloquente quell’uomo, e te impacciato nel parlare... Ringrazialo di tutto, perché tutto è buono”[104].

Si tratta di un rendimento di grazie che, lungi dall’essere passivo, ci porta ad agire, come ci invita ripetutamente anche Papa Francesco nella sua enciclica (cfr., per esempio, LS 13, 19, 189, 217). L’esigenza cristiana va molto al di là dell’aiuto materiale: “Se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1 Cor 13, 3). Papa Francesco ha ripetuto spesso che la Chiesa non è un organismo umanitario, giacché, come insegna il Concilio Vaticano II, è segno e sacramento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. La Chiesa nasce dall’amore di Dio e ci restituisce a lui, dando all’uomo ciò che questo non può dare, come i sacramenti che ci uniscono. Le persone e le loro relazioni, dunque, sono al centro della LS.

3. Persona e relazione

Che cosa caratterizza la nostra società? Non c’è unanimità su questo punto. Mi limiterò a qualche riconoscimento universale della dignità della persona umana, e anche della sua soggettività; della decisiva importanza delle nuove tecnologie, che stanno cambiando i modi di comunicare; della moltiplicazione delle relazioni tra le diverse religioni, ma in alcuni casi anche dei loro contrasti; della perdita del senso della vita, sullo sfondo di una tendenza al relativismo e al nichilismo[105]. È il caso di menzionare anche le sfide della ricerca per ottenere un dominio orgoglioso sul bene e sul male (cfr. Gn 2, 9.17.22), il rifiuto di considerare la vita come un bene — cosa che in passato era pressoché spontaneo —, l’individualismo (cfr. LS 162, 208), la distruzione, la ideologia di genere e il miraggio cyborg[106], che intende creare un uomo artificiale. Per completare l’elenco aggiungerò che dopo le certezze della modernità, i suoi “miti” — “individualismo, progresso indefinito, concorrenza, consumismo, mercato senza regole” (LS 210) —, la sua crisi (cfr. LS 119), siamo passati a un’epoca post-moderna nella quale la “mancanza di identità si vive con angoscia” (LS 203): l’uomo ha preso coscienza della sua vulnerabilità e anche della sua fragilità[107]. L’affettività, spesso esacerbata, si trasforma in un aspetto essenziale dell’uomo post-moderno, che spesso subisce il disamore e che, a sua volta, ha difficoltà a “saper amare”[108].

C’è un brano particolarmente importante dell’enciclica nel quale si conferma la “novità qualitativa” della persona umana, un essere che sta al di fuori di un ipotetico processo evolutivo nel quale Dio non interverrebbe: “L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica e altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu. A partire dai testi biblici, consideriamo la persona come un soggetto, che non può mai essere ridotto alla categoria di oggetto” (LS 81).

L’uomo, essere relazionale

Questo è l’ambito nel quale si può sviluppare la “ecologia umana” (LS 5, 148, 152, 155, 156) della quale parla Papa Francesco, seguendo san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI[109]. Marcelo Sánchez Sorondo rileva che, nella LS, Papa Francesco ha voluto dire che, “in definitiva, la natura, la terra, è la casa comune e dunque è legata profondamente all’uomo”[110]. La LS offre una concezione che, di fatto, dà grande importanza alla relazione in quanto, per esempio, “qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé” (LS 125). Questo concetto era molto presente nel messaggio di san Josemaría. Ecco l’analisi che François-Xavier Guerra ha fatto su “i termini che Escrivá impiega per esprimere i vincoli tra le persone e il loro collegamento con la collettività. [...] La parola più impiegata è ‘relazione’, ‘relazioni’, ‘vita di relazione’. Questi termini ricorrono con una frequenza molto grande nei libri successivi a Cammino, e fanno riferimento a diversi tipi di relazione, dalle più elevate e intime fino alle più comuni. Le ‘relazioni con Dio’ o con ‘le tre Persone divine’ occupano il primo posto di questa scala, in una serie lessicale che fa riferimento a ‘tratto’, ‘intimità’, ‘amicizia’: una relazione eminentemente interpersonale, in un senso che è molto presente anche in tutto ciò che si riferisce alle ‘relazioni tra i coniugi’. Poi, in circoli concentrici, si stabiliscono altre relazioni: di parentela, di amicizia, di lavoro, di vicinanza, di affinità culturale o politica, di appartenenza alle associazioni più diverse... Il tipo di collettività che qui si profila è, in realtà, una ‘società civile’ e non un tutto organico; un tessuto relazionale che, pur includendo nuclei permanenti di appartenenza — la famiglia, l’amicizia —, è essenzialmente mobile, fluido, volontario. Sono queste le relazioni che i cristiani sono chiamati a santificare, a cristianizzare, a umanizzare; in modo naturale, ben lontano da qualsiasi volontariato organizzato, come se ogni relazione umana fosse destinata a somigliare alle più elevate relazioni interpersonali”[111].

Guerra ha proposto giustamente una prima analisi dei riferimenti storici nei quali si è mosso Escrivá, il suo modo di concepire l’individuo e la società, oltre alle modalità dell’azione temporale che si dovessero distaccare: Escrivá invita “alla trasformazione non sensibile del tessuto relazionale che costituisce la società moderna, rifiutando ogni clericalismo che limiti la libertà di un’azione temporale dei cristiani”[112].

Esseri di carne e di sangue: terra, esilio e identità

Più che avere un corpo, siamo allo stesso tempo corpo e anima. Il rispetto verso la natura umana (cfr. LS 155) e il senso dell’incarnazione (cfr. LS 99) sono molto presenti nel pensiero di Papa Francesco. “L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune” (LS 155). Si possono distinguere tre manifestazioni di questa realtà:

— La prima è il riconoscimento di un fatto evidente: la nostra condizione sessuata. “Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé” (LS 155). Il Papa elimina così le teorie di genere, vera ideologia, perché mancano di un fondamento scientifico e perché perseguono l’obiettivo di trasformare le strutture della società, violentando la libertà personale e scollegandola dalla verità (cfr. Gn 1, 27; Gv 8, 32); “È possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di ‘cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa’[113]” (LS 155).

— Altra conseguenza della nostra condizione corporale è il carattere insostituibile dell’incontro faccia a faccia con le persone. È vero, si può dialogare attraverso internet, chattare, fare video-conferenze tra persone fra loro lontane migliaia di chilometri; ma in realtà nulla può sostituire un incontro personale diretto. “Le relazioni reali con gli altri, con tutte le sfide che implicano, tendono a essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata da internet” (LS 47). Il Papa individua in questo fenomeno parecchi inconvenienti: la selezione delle relazioni secondo il libero arbitrio, la creazione di emozioni artificiali, a volte il fatto di non “prendere contatto diretto con l’angoscia, con il tremore, con la gioia dell’altro e con la complessità della sua esperienza personale” (LS 47). Questo tema era già presente nella esortazione apostolica Evangelii gaudium: “Molti tentano di fuggire dagli altri verso un comodo privato o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo. Perché, così come alcuni vorrebbero un Cristo puramente spirituale, senza carne e senza croce, si pretendono anche relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schermi e sistemi che si possano accendere e spegnere a comando. Nel frattempo, il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa”[114].

Ecco, allora, un richiamo alla consistenza delle cose reali e un invito alla carità autentica. Non è sufficiente incontrare l’altro nello specchio di internet, usando l’immagine dell’apostolo Giacomo, che metteva in guardia i primi cristiani, invitandoli a essere di quelli che mettono in pratica la Scrittura (cfr. Gc 1, 22-24). Come suggerisce Aristotele, i molti amici in realtà non sono tali, perché “non è possibile essere profondo amico di un gran numero di persone”[115]. Certamente, la rete, grazie alle nuove tecnologie, offre magnifiche opportunità di evangelizzazione[116]; ma Benedetto XVI constatava che “l’ambiente digitale non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana di molte persone, specialmente dei più giovani. I network sociali sono il frutto dell’interazione umana, ma essi, a loro volta, danno forme nuove alle dinamiche della comunicazione che crea rapporti”[117].

Il grande pericolo è abusare delle reti sociali. In realtà, Papa Francesco ci invita a non cadere nel materialismo. Oggi ci troviamo di fronte a un paradosso: la corsa per diventare ricco — denunciata dal Vescovo di Roma — e, contemporaneamente, una cura eccessiva del corpo (che diventa una maschera) o il suo disprezzo (mancanza di purezza, morte per aborto, cfr. LS 120). L’uomo pensa di avere un corpo, mentre in realtà è corpo e anima. In casa di Simone il fariseo, i piedi di Cristo meritavano di essere profumati da quella donna; quel gesto ha un significato naturale che Cristo apprezza (cfr. Lc 7, 36-50); anche se il significato dei gesti umani può anche essere stravolto, come il bacio di Giuda, che provoca il rimprovero del Signore (cfr. Lc 22, 48)[118]. Lo stesso Giuda che aveva protestato quando a Betania Maria versò il profumo — dicendo che il suo prezzo si sarebbe potuto impiegare meglio distribuendolo ai poveri — fece sì che il Signore profetizzasse: “I poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avete me” (Gv 12, 8).

— Infine, la nostra condizione materiale ci porta necessariamente a mettere radici in un luogo e in un’epoca. L’incarnazione del Verbo è legata alla Giudea di Erode. Il fatto è che c’è un argomento che, ogni tanto, appare sulla bocca di quel Papa che i cardinali “sono andati a cercare quasi alla fine del mondo”[119]: la memoria, e in particolare quella dei luoghi. Judt ha fatto notare che abbiamo sempre meno cose in comune con i mondi velocemente mutevoli dei nostri contemporanei, e ancor meno con quelli degli antenati[120].

La nostra relazione con l’ambiente in cui viviamo ci riguarda personalmente, perché in un certo senso ci trasformiamo in quello che siamo in funzione del posto in cui viviamo (cfr. LS 147). Abbiamo bisogno di “sentirci a casa” (LS 151). “La spiritualità non è disgiunta dal proprio corpo, né dalla natura o dalle realtà di questo mondo” (LS 216). Anche il ritorno in certi luoghi legati alla nostra infanzia rafforza la nostra identità (cfr. LS 84). Sono legati a una storia e a una cultura (cfr. LS 143). Le nostre origini affondano le radici nella terra dei nostri antenati (cfr. LS 146). Siamo invitati a comprendere meglio il tema dell’esilio come ritorno alla terra, tanto presente nella letteratura universale e soprattutto nella Bibbia. Basterebbe ricordare il Salmo 137, il cui canto evoca, allo stesso tempo, il ricordo della caduta di Gerusalemme e quello dell’esilio a Babilonia, tema ricorrente in diverse culture[121]. Esilio e dispersione sono legati al peccato[122]. Il dramma dell’esilio è al centro della nostra storia e della nostra identità, dalla nostalgia del paradiso perduto alla tendenza verso il Cielo, che è la vita in Dio; la letteratura universale si fa eco di tutto questo dramma[123]. Spesso i cognomi sono toponimi. Inoltre, un nome, nomen, è anche noumen, memoria; e — più che l’omen (presagio) — il nome può essere scelto come ispirazione (LS 10), programma o espressione di una vocazione che, in alcuni casi, contribuiranno alla fama della persona.

I cristiani, che, con questo nome, ricordano Cristo da quando si dispersero a causa delle persecuzioni (cfr. At 11, 26), si considerano esiliati quaggiù, come si canta nella Salve Regina: “post hoc exilium”. L’ospitalità è la risposta al dolore dell’esilio (cfr. LS 71). Già l’Antico Testamento invitava ad amare lo straniero come sé stesso (cfr. Lv 19, 33-34). Infatti sono “le grandi motivazioni che rendono possibile il vivere insieme, il sacrificio, la bontà” (LS 200). Gesù lo identificarono col villaggio in cui viveva, Nazaret (cfr. Mt 21, 11; Gv 1, 45-46). Orbene, il grande immigrante clandestino è Dio fatto Uomo in Cristo Gesù. Fuggendo in Egitto, clandestino e poi rifiutato dai suoi, lo vediamo anche ritornare in Galilea dopo la sua risurrezione (cfr. Mt 28, 11). Alcuni lo adorano, altri dubitano. Niente impedisce di pensare che Gesù sia ritornato nei luoghi della sua infanzia, del suo lavoro, della sua prima predicazione, testimoni anche di tanti errori, con l’emozione e i ricordi di quell’Uomo perfetto che è, essenzialmente ed eternamente, il Figlio generato dal Padre.

Al tema dell’esilio si può associare anche quello del ritorno a casa, che certe volte è fonte di grandi sofferenze, come quando si sogna come il soldato dopo una lunga assenza. È un argomento che Paul Claudel ha saputo esprimere in maniera penetrante e che è stato rappresentato artisticamente, per esempio, nel cinema[124]. Ebbene, nella penna di Claudel, il ritorno può essere crudele, anche più triste della partenza: “Il viaggiatore ritorna a casa sua come un ospite; è estraneo a tutto e tutto gli è estraneo. [...] La separazione è avvenuta e l’esilio che per lui era cominciato, continua”[125].

Lo stesso Claudel diceva a Rimbaud: “Quello che tu cerchi tanto lontano al di là del mare e delle città, tua madre e tua sorella lo conoscevano senza aver lasciato Charleville”[126]. Il peggior esilio, infatti, è l’esilio da sé stessi. C’è una “relazione di ciascuna persona con sé stessa” (LS 141; cfr. LS 10). Come ritrovare sé stesso senza rientrare in sé stesso? (cfr. Lc 15, 17). Infatti, come dice il cardinale Carlo Caffarra nel commentare la parabola del figlio prodigo, “l’uomo è esiliato nel più profondo della sua personalità”[127], ha bisogno di ritornare alla memoria di una relazione originaria e fondazionale, la memoria della casa del Padre (cfr. Lc 15, 11-32), intesa come Principio. Infatti il grande e definitivo ritorno ci porterà alla casa del Padre con gli uomini, nostri fratelli.

Fraternità universale, misericordia e chiamata alla santità

La paternità universale di Dio è il fondamento della “fraternità universale” (LS 228), che va dalla famiglia — dove si accoglie la vita (cfr. LS 213) — fino alla comunità locale; dalla patria fino al mondo intero (cfr. LS 142, 157). La famiglia è un bene sociale[128]. Nella famiglia — ricorda il cardinale André Vingt-Trois — esiste un vincolo sociale perché “i figli sono amati per sé stessi”[129], così come sono, come un riflesso dell’amore divino[130]. Tommaso d’Aquino tratta dell’amore paterno e dei genitori che vedono nei figli una parte di sé stessi, “ut aliquid sui existentes”[131]. Qui la paternità divina non solo si manifesta, ma risplende e si comunica[132].

Dalla gratuità dell’amore fraterno Papa Francesco deduce che “è possibile amare i nemici” (LS 228). L’amore verso i nemici è un gioiello del messaggio evangelico. Ci insegna a fare differenza tra una offesa e il suo autore. Ci uniamo alla preghiera di intercessione di Cristo sulla croce: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). L’amore verso i nemici è una prova della crescita nell’intimità filiale con il Padre: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste” (Mt 5, 44-45; cfr. Mt 6, 12). Il Signore invita a questo amore, a questo comprendere i nemici, attraverso san Giovanni, che non fa altro che parlare dell’amore fraterno. Sant’Agostino lo considera necessario per arrivare all’essenza della carità, che è bontà e gratitudine pura. Dimostra che un cristiano aspira a comunicare i doni ricevuti. Vede nel proprio nemico un fratello chiamato alla sua stessa santità: “Se nell’amare il tuo nemico gli auguri che sia tuo fratello, amandolo, ami tuo fratello. Perché non ami in lui quello che egli è, ma quello che tu vuoi che sia”[133].

Nessun comandamento è superfluo. Inoltre, l’amore verso i nemici è fonte di beni per sé stesso, come dice Antoine de Saint-Exupéry in modo provocatorio nell’affermare quanto ci forgia l’avversità[134]. Con san Tommaso, Papa Francesco nota un’arte divina in azione: “Lo Spirito di Dio ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo: ‘La natura non è altro che la ragione di una certa arte, in specie dell’arte divina, inscritta nelle cose, per cui le cose stesse si muovono verso un determinato fine. Come se il maestro costruttore di navi potesse concedere al legno di muoversi da sé per prendere la forma della nave’[135]” (LS 80).

Secondo Saint-Exupéry, anche il mare, che qui appare come un simbolo di minaccia e di inimicizia, contribuisce a dare forma alla nave[136]. San Josemaría pregava ogni giorno con questo versetto del Salmo 27 [26], 3: “Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme”. Poi capovolgeva il problema: “Non sentitevi mai nemici di nessuno”[137], e confessava: “Non ho avuto bisogno di imparare a perdonare, perché il Signore mi ha insegnato ad amare”[138].

Come insegna il Catechismo, “il peccato è anzitutto offesa a Dio, rottura della comunione con lui”[139]. Evidentemente Papa Francesco non s’inventa una casistica morale né “nuovi peccati” quando parla dei “peccati contro la creazione” (LS 8; cfr. 66, 218). Si può peccare quando causiamo un male grave e ingiusto al nostro prossimo. Seguendo Benedetto XVI, Papa Francesco ricorda che ogni creatura è parola di Dio poiché la proclama[140] (cfr. LS 233) e si appella alla responsabilità del potere pubblico, degli imprenditori e dei cittadini, cosa che richiede una formazione adeguata (cfr. LS 105). Il Papa stigmatizza il consumismo (cfr. LS 34, 50, 203, 210, 219), in relazione o meno con l’ecologia, perché ignora il lungo termine, l’interesse pubblico (cfr. LS 184) e le complesse realtà locali (cfr. LS 144), e perché crea una certa assuefazione (cfr. LS 204).

Nei racconti della creazione, l’uomo e la donna sono esseri complementari (cfr. Gn 2, 18-23), chiamati a essere immagine di Dio, a essere fecondi e a dominare la terra (cfr. Gn 1, 26-29). Con il peccato originale, tuttavia, nella persona umana s’incrina la relazione con sé stesso e con Dio, con il prossimo (qui rappresentato dal figlio, frutto della fecondità) e con la terra[141]. Papa Francesco dà una definizione del peccato nel quadro della vocazione dell’uomo, essere relazionale, descritta nella Genesi: “Queste narrazioni suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato” (LS 66).

Cristo è venuto a rammendare quello che era stato lacerato, e così, per esempio, Francesco d’Assisi è potuto vivere “con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con sé stesso” (LS 10).


Con l’enciclica Rerum novarum, Leone XIII ha dato origine al campo dottrinale del magistero pontificio della dottrina sociale della Chiesa, che fa parte del messaggio della fede cristiana e contiene un insegnamento: orienta efficacemente il comportamento umano e raggiunge il “nucleo morale dei problemi”[142]. Allo stesso modo la LS può segnare l’inizio di un insieme organico di insegnamenti sulla teologia della creazione. Non c’è dubbio che le sue ripercussioni andranno oltre gli attuali problemi sulla cura dell’ambiente. Alla Rerum novarum (1891) seguirono gli sviluppi dottrinali della Quadragesimo anno di Pio XI, la lettera apostolica Octogesima adveniens del beato Paolo VI e altri testi, fino alla Centesimus annus di san Giovanni Paolo II e alla Caritas in veritate di Benedetto XVI. Questo tipo di esposizione potrebbe continuare, se si desse il caso, con il prolungamento di detti testi magisteriali, applicati a nuove situazioni; e questo conferirebbe una messa a fuoco ancora più coerente con il Vangelo della creazione. Per esempio, si potrebbe approfondire questo passo della LS: “In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a fare emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose” (LS 124).

Gli insegnamenti dei santi contribuiscono a questo progresso. Hanno interpretato il mondo come eredità dei figli di Dio, che ne entrano in possesso quando, con il potere della croce — o “suggello dello Spirito Santo” (Ef 1, 13) —, santificano le attività temporali collaborando affinché tutte le cose, purificate del peccato, riflettano la gloria del Creatore (cfr. Rm 8, 16-18.29; Gal 4, 4-7).

A partire dalle opere create, ricorda Papa Francesco, ci possiamo innalzare verso una misericordia divina piena di amore (cfr. LS 77)[143]. C’è una relazione diretta tra l’Anno della misericordia e la LS, che ricorda “che cosa ci dicono i grandi racconti biblici sul rapporto dell’essere umano con il mondo” (LS 65). Come ha scritto san Giovanni Paolo II commentando la Genesi, “tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia”[144] che ci fu rivelata in Cristo.

Manifestata in modo eminente in Cristo, la misericordia divina ci viene comunicata intimamente nella sua passione, morte, risurrezione e ascensione (con la sessio a dextris), e nell’invio dello Spirito Santo, misteri tutti uniti al lavoro a Nazaret e alla vita pubblica. Non si tratta di una semplice empatia verso le disgrazie dell’altro. Questa misericordia richiede infatti che ci sia stata una trasformazione interiore attraverso la sofferenza (cfr. Eb 2, 10; 4, 15)[145]. Accadde questo nel caso della Vergine Maria: “Così come pianse con il cuore trafitto la morte di Gesù, ora ha compassione della sofferenza dei poveri crocifissi e delle creature di questo mondo sterminate dal potere umano” (LS 241).

È il caso di ricordare che questa misericordia divina, così presente nella predicazione di Papa Francesco, è esigente? Non si limita al perdono. “Non peccare più” (Gv 5, 14), dice Cristo al paralitico di Betzata dopo averlo guarito. “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8, 11), si sente dire la peccatrice perdonata. Qui non c’è posto per il pessimismo antropologico! La collera stessa di Dio è compatibile con la sua misericordia, spiega Daniélou[146]. La misericordia vuole che si riconosca il peccato, senza alcuna tracotanza (cfr. Sir 5, 5-6), anche se nella Bibbia la radice “jdh” corrisponde tanto alla confessione del peccato (cfr., per esempio, Dn 9, 4 e Mc 1, 5) come alla lode del potere divino, salvifico e misericordioso (cfr., per esempio, Sal 18 [17], 50 e Mt 11, 25)[147].

“Nella Bibbia, il Dio che libera e salva è lo stesso che ha creato l’universo, e questi due modi di agire divini sono intimamente e indissolubilmente legati” (LS 73). Questo modo di mettere a fuoco è il leitmotiv dell’opera di Jean Daniélou[148]. Nell’unità del piano divino esistono alcune categorie essenziali che manifestano il comportamento di Dio: “bara”, l’iniziativa è sempre divina; “emet”, la verità caratterizza la promessa perché “hesed”, Dio, che è misericordioso, fa alleanza ( “bérith” ) in modo irrevocabile, dato che la sua giustizia, “tsédeq”, appare nel compimento della sua promessa che è la realizzazione del disegno divino di salvezza[149]. Nella LS tutta la storia sacra viene mostrata in maniera implicita, dalla creazione fino allo Eschaton, come le “magnalia Dei” (Sir 18, 4). Il tempo della misericordia è anche tempo di convocazione, di chiamata (cfr. Rm 1, 17; 1 Cor 1, 2), tempo di kerigma, di evangelizzazione, di santità[150].

Nell’insegnamento di Josemaría Escrivá l’invito a vivere santamente la vita ordinaria è “la manifestazione più commovente delle magnalia Dei, delle mirabili prove di misericordia che Dio ci ha dato sempre e che sempre continua a darci per salvare il mondo”[151].

Nell’anno giubilare 2015-2016, è incoraggiante ascoltare che la paternità amorosa di Dio non è una paternità molle, ma è il “clima” nel quale si colloca lo “sforzo” del cristiano per “comportarsi come figlio del Padre”[152]. Con un medesimo amore, che è il fuoco dello Spirito Santo, il “Padre che ama i suoi figli fino al punto di inviare il Verbo, Seconda Persona della Santissima Trinità, affinché si incarni, muoia per noi e ci redima”[153], “ci attrae dolcemente a sé con l’azione dello Spirito Santo che abita nei nostri cuori”[154], invitandoci a seguire Cristo, a imitarlo, in una parola, a identificarci con lui: una santità ontologica e morale “a tal punto che di ogni cristiano si possa dire non solo che è alter Christus, un altro Cristo, ma ipse Christus, lo stesso Cristo”[155].

Questa divinizzazione è dinamica, perché richiede una risposta costante ed eroica per permettere a Dio di agire[156], un dominio di sé. Josemaría Escrivá confida nella capacità dell’uomo di arrivare più in alto, con la grazia di Dio: “Ascoltiamo il Signore: Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto (Lc 16, 10). È come se Egli ci ricordasse: lotta ogni istante in quei particolari in apparenza di poco conto, ma grandi al mio cospetto; vivi con precisione il compimento del dovere; sorridi a chi ne ha bisogno, anche se la tua anima è sofferente; dedica all’orazione il tempo necessario, senza ritagliarlo; va’ incontro a chi cerca il tuo aiuto; esercita la giustizia, arricchendola con il garbo della carità. Queste e altre simili sono le emozioni che ogni giorno sentiremo dentro di noi, come richiami silenziosi che ci spingono ad allenarci nello sport soprannaturale del dominio di noi stessi. Ci illumini la luce di Dio, facendoci percepire i suoi ammonimenti; ci aiuti Lui a lottare e sia al nostro fianco nella vittoria; non ci abbandoni al momento della caduta, perché con Lui potremo sempre rialzarci e continuare a combattere”[157].

La misericordia, quindi, è una chiamata alla conversione e “la consapevolezza della nostra filiazione divina riempie di gioia la nostra conversione: ci dice che stiamo tornando alla casa del Padre”[158]. Questa gioia altro non è che l’attività, al tempo stesso dolce e focosa, dello Spirito Santo in noi. La misericordia divina non è, proprio per niente, una benedizione della mediocrità, ma l’invito a far sì che i talenti ricevuti diano frutto. Misericordia, che è compassione, e filiazione divina sono il clima della forgia materna di dolore e di gioia[159]. San Josemaría ha predicato questa misericordia[160]. È stata anche suo oggetto di intima devozione, la devozione all’amore misericordioso raccomandata da una religiosa francese della Visitazione[161]. L’amore porta con sé il dono di sé, il senso del sacrificio. “Con il Signore, l’unica misura è amare senza misura”[162], perché “questa è la verità del cristiano: donazione e amore — amore di Dio e, per Lui, del prossimo”[163]. Inoltre, le opere di misericordia corporale sono esigenti: visitare gli infermi, dare a chi non ha niente, seppellire i morti; e liberare i prigionieri, compito arduo anch’esso che consiste nell’opporsi alle “nuove schiavitù della società moderna”[164], come l’alcool e la droga. Tra le opere di misericordia spirituale, il consiglio e la correzione possono essere difficili da accettare, e ricevere un insegnamento non è sempre semplice (cfr. Prv 15, 32).

L’enciclica LS ci aiuta a rivolgere il nostro sguardo verso la casa comune, insegnandoci a contemplare coloro che vi abitano e a interrogarci intorno alle nostre relazioni interpersonali. Questa strada ci invita nuovamente ad alzare lo sguardo verso il cielo. Comprendiamo il valore morale del rispetto verso la creazione quando riflettiamo che questo mondo è chiamato a essere figura di quello che, un giorno, saranno i cieli nuovi e la terra nuova (cfr. 2 Pt 3, 13). “Tutta la creazione geme e soffre fino a oggi nelle doglie del parto” (Rm 8, 22; cfr. LS 80): una chiamata chiara a una “ecologia sociale” e a una “ecologia interiore”[165]. Non sorprende, quindi, che la LS sia concreta e spirituale allo stesso tempo: la “cultura ecologica” dovrebbe essere “uno stile di vita e una spiritualità” (LS 111). Allo stesso tempo, “non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore” (LS 75). Papa Francesco non ha dovuto per caso “affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale”[166]? La LS fa un richiamo insistente a una presa di coscienza: fermi nella nostra condizione radicale di figlie e figli di Dio, troviamo, nella bellezza dell’opera divina, uno spazio comune per dialogare e lavorare, in attesa che si converta in un’enclave naturale alla quale “ci uniamo per farci carico di questa casa che ci è stata affidata” (LS 244). Nella storia, e con la collaborazione della nostra libertà, è così che si realizza l’unità tra creazione e Redenzione[167].

Processo dinamico, conseguenza di quello che Josemaría Escrivá chiama “unità di vita”: “Su questa terra, la contemplazione delle realtà soprannaturali, l’azione della grazia nelle nostre anime, l’amore al prossimo come frutto saporito dell’amore a Dio, comportano già un anticipo del Cielo, un inizio destinato a crescere giorno per giorno. Noi cristiani non conduciamo una doppia vita; manteniamo un’unità di vita coerente, semplice e forte, nella quale si fondono e si compenetrano tutte le nostre azioni. Cristo ci attende. ‘Viviamo già come cittadini del cielo’ (Fil 3, 20), pur essendo cittadini della terra, tra difficoltà, ingiustizie, incomprensioni, ma anche nella gioia e nella serenità di saperci figli diletti di Dio”[168]. Importante testimonianza di vita in un mondo che non perdona l’incoerenza!

È così che il cristiano cura la creazione, che s’incammina verso la pienezza. Come ha detto Papa Francesco in occasione dell’inaugurazione del suo ministero sulla cattedra di Pietro, “la vocazione del custodire, però, non riguarda soltanto noi cristiani, ma ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato [...]. Siamo ‘custodi’ della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che i segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! [...] Custodire il creato, ogni uomo e ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e di amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza!”[169].

Nella città degli uomini, dove l’anima ha desiderio di Dio, “l’amore è più forte” (LS 149) e risveglia la speranza che è sempre possibile (cfr. LS 205). Nella città degli uomini, “basta un uomo buono perché ci sia speranza!” (LS 71).

[1] Cfr. PAPA FRANCESCO, Discorso ai sindaci in occasione dell’incontro Modern Slavery and Climate Change: the Commitment of the Cities organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, Roma, 21-VII-2015, su “L’Osservatore Romano”, 23-VII-2015.

[2] Cfr. PAPA FRANCESCO, Enciclica Laudato si’, 24-V-2015, 117, 120, 125, 137-140 («ecosistemi»), 142, 220. Cfr. VÍCTOR MANUEL FERNÁNDEZ, Dentro la Laudato si’. Nemmeno un passerotto è dimenticato da Dio, “L’Osservatore Romano”, 26-VI-2015, 5 (orig. su “La Nación” e “Agencia Informativa Católica Argentina”, Buenos Aires, 20-VI-2015): «Vanno inoltre evidenziate alcune convinzioni razionali che compenetrano l’insieme delle riflessioni. Per esempio: la sicurezza che “tutto è collegato” e che nessun fenomeno si può capire in modo isolato».

[3] SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Colloqui, n. 57.

[4] LS, titolo; cfr. 1, 3, 13, 17, 53, 61, 155, 164, 232, 243.

[5] SAN GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Evangelium vitae, 25-III-1995, n. 20.

[6] LS contiene 20 citazioni di documenti di dette conferenze.

[7] Cfr. MARTIN SCHLAG, Le parole di Papa Francesco ai leader dell’economia, in “Notizie dalla Santa Croce” (2014) 10-11.

[8] Cfr. LS 23-26; e anche 8, 52, 169-175, 181. Su questo tema, cfr. il simposio tenutosi nella PUSC il 20-V-2015, The new climate economy. How economic growth and sustainability can go in hand, in www.pusc.it.

[9] Cfr. LS 23, 25, 34, 51, 131, 164, 180. Su questo tema, cfr. Ambiente, alimentazione e agricoltura: le opportunità dell’EXPO e la lettera enciclica di Papa Francesco, seminario del 17-IX-2015 organizzato nella PUSC dalla UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti), con la presentazione de Il cibo per tutti - Agricoltura, nuovo modello di sviluppo e valori sociali della Chiesa, LEV, 2015.

[10] Comprese la filosofia e l’etica sociale, cfr. LS 110-111, 136; questo è il ruolo eminente dell’università.

[11] Cfr. GIUSEPPE TANZELLA-NITTI, Una lettura dell’enciclica Laudato si’. Il senso di un’ecologia integrale, in “Notizie dalla Santa Croce” (2015) 14-15; Partecipare insieme del dono della creazione. Il senso di un’ecologia integrale, giugno 2015, in www.disf.org.

[12] Cfr. anche LS 5, 23, 59, 107-108, 111,122, 145, 161, 164, 203-208, 211, 222, 225, 228.

[13] Cfr. anche LS 11, 62, 124, 137, 159, 225, 230. Cfr. ANTONIO PORRAS, Una pasión por el cuidado del mundo, in: “Palabra” (luglio-agosto 2015) 91-97; Laudato si’. Un canto de esperanza, 2-VII-2015, in www.opusdei.org. Cfr. GUILLAUME DERVILLE, Saint Josémaria et l’amour de la création. À propos de l’encyclique Laudato si’, in www.opusdei.org (ed. francese, spagnola e italiana).

[14] Su san Francesco d’Assisi, cfr. LS 1, 10-12, 66, 87, 91, 125, 218, 221; san Giovanni della Croce, cfr. LS 234; santa Teresa di Lisieux, cfr. LS 230; beato Charles de Foucauld, cfr. LS 125. Sui santi e la teologia, cfr. San Josemaría e il pensiero teologico, Atti del Convegno Teologico, PUSC, Roma 14-16-XI-2013, vol. I (ed. JAVIER LÓPEZ DÍAZ), EDUSC, Roma 2014, specialmente I santi e la teologia (pp. 81-147), con i contributi di ROBERT WIELOCKX, KURT KOCH e FRANÇOIS-MARIE LÉTHEL OCD. Su san Josemaría, cfr. ibidem, JAVIER ECHEVARRÍA e FERNANDO OCÁRIZ, pp. 33-77; cfr. anche GUILLAUME DERVILLE, Une connaissance d’amour. Note de théologie sur l’édition critico-historique de Chemin, I e II, in “Studia et Documenta”: 1ª parte, vol. 1, Roma 2007, pp. 191-220; 2ª parte, vol. 3, Roma 2009, pp. 277-305.

[15] LS 115, che cita SAN GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Centesimus annus, 1-V-1991, 38.

[16] JACQUES-BENIGNE BOSSUET, Élévations sur les mystères, 5ª settimana, 1ª elevazione, J. Vrin, Parigi 1962.

[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, 307.

[18] SAN GIOVANNI PAOLO II, Insegnamenti, XIV/1 (1991) 856.

[19] SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae I, q. 104, a. 1, ad 4.

[20] O anche LS 188: «La Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica».

[21] Cfr. LS 5, 216-221. Cfr. WENCESLAO VIAL, Un mondo per tutti. La conversione personale nell’enciclica Laudato si’, in www.pusc.it

[22] Cfr., per esempio, MARTINE VALO, Le mangrove, un barrage perdu contre l’océan, in “Le Monde”, 14-VIII-2015, pubblicato anche in “Le Monde, sélection hebdomadaire”, 22-VIII-2015, p. 7.

[23] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 8, che cita SAN GEROLAMO, Epistolae, LX, 12 (PL 22, 596).

[24] BLAISE PASCAL, Le Mystère de Jésus, in Pensées, in Œuvres complètes, Seuil, Parigi 1963, Lafuma-Brunschvicg 519-553 e 791, p. 621.

[25] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 22.

[26] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 132.

[27] Cfr. LS 49, 54, 56, 61, 92, 101, 106, 109-110, 115-117, 129, 132, 139-141, 163, 189-191, 194-195, 199, 201, 204, 215-216, 222, 229, 242.

[28] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 70.

[29] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Omelia Amare il mondo appassionatamente, 8-X-1967, in Colloqui, nn. 113-124; in particolare, nn. 117-118.

[30] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 70.

[31] Cfr. SANTIAGO SANZ SÁNCHEZ, L’ottimismo creazionale di san Josemaría, in San Josemaría e il pensiero teologico, 217-254.

[32] Cfr. MARIANO FAZIO, Da Benedetto a Francesco, in “Studi Cattolici” n. 651, maggio 2015, p. 332.

[33] Come esempio dello sviluppo dell’insegnamento e della ricerca legati alla dottrina sociale della Chiesa, vanno segnalati i lavori dello IESE (Barcellona, Università di Navarra) sull’etica delle attività commerciali, della direzione delle risorse umane, della responsabilità sociale dell’impresa, dei fondamenti antropologici della gestione delle imprese, dell’economia in campo sanitario, dello sviluppo dei Paesi emergenti, delle imprese a carattere familiare, della promozione della donna e la leadership, della tecnologia, della persona e dell’educazione, del settore pubblico e della giustizia sociale, dell’ecologia. Cfr. MARTIN SCHLAG - DOMÈNEC MELÉ, Humanism in Economics and Business. Perspectives of the Catholic Social Tradition, Springer 2015, autori che propongono un progetto di etica sociale fondata nella metafisica e nell’etica.

[34] Cfr. TONY JUDT, When the Facts Change: Essays (1995-2010) (ed. JENNIFER HOMANS), New York 2015, 1ª parte, fine del cap. I.

[35] Cfr. TERTULLIANO, Apologeticus, 17 (PL 1, 375).

[36] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 111.

[37] Cfr. ARTURO BELLOCQ MONTANO, El destino común de los bienes, in Comentarios a la Laudato si’, BAC, Madrid 2015; cfr. LUIGI ACCATTOLI, Laudato si’: un “canto” coraggioso e profetico, in “Voce di Padre Pio” (settembre 2015) 9, 43-47.

[38] SAN JOSEMARÍA, citato dal BEATO ÁLVARO DEL PORTILLO in Intervista sul Fondatore dell’Opus Dei (realizzata da CESARE CAVALLERI), Ares, Milano 1992, cap. 11, p. 173.

[39] SAN JOSEMARÍA, AGP, Biblioteca, P10, p. 50.

[40] SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 632; poi aggiunge: “Ecco perché vi sono dei poveri che in realtà sono ricchi. E viceversa”. Cfr. Amici di Dio, n. 123. Cfr. SAN LEONE MAGNO, Omelia sulle beatitudini, PL 54, 462: “Molti ricchi possiedono questo spirito, perché mettono l’abbondanza al servizio non del proprio prestigio personale ma delle opere di beneficenza. Per essi il maggior guadagno sta nel fatto che le impiegano per alleviare la miseria e le difficoltà del prossimo”.

[41] BEATO ÁLVARO DEL PORTILLO in Intervista sul Fondatore dell’Opus Dei, cit., cap. 11, p. 180.

[42] SAN JOSEMARÍA, Appunti presi durante una conversazione, AGP, Biblioteca, P01, 1996, p. 397.

[43] BEATO ÁLVARO DEL PORTILLO, nota 94 in SAN JOSEMARÍA, Instrucción, maggio 1935/14 settembre 1950, p. 56.

[44] Cfr. “politeuomai” in HORST BLATZ - GERHARD SCHNEIDER, Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2004, col. 1043.

[45] Cfr. ibidem, col. 1043-1044: Paolo riprende qui un concetto comune nella comunità etnocristiana di Filippi; pertanto, non significa semplicemente “camminare” o “comportarsi”. Cfr. La Bible. Traduction officielle liturgique pubblicata dai vescovi cattolici francofoni, Mame, París 2013, 1954, nota e. Cfr. anche FACULTAD DE TEOLOGÍA DE LA UNIVERSIDAD DE NAVARRA, Sagrada Biblia, vol. 5, Pamplona 2004, nota su Fil 1, 27-30, p. 1162.

[46] Cfr., per esempio, CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, cap. III-IV; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1915, 2238-2240, 2255, 2273.

[47] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 118.

[48] Cfr. ibidem.

[49] Cfr. ibidem, 19, 37.

[50] Cfr. ibidem, 76: «L’università è il luogo in cui ci si prepara a risolvere questi problemi; è la casa comune, il luogo di studio e di amicizia; il luogo in cui debbono convivere in pace persone di diverse tendenze che esprimono in ogni momento il legittimo pluralismo esistente nella società». Nell’epoca della specializzazione esasperata, il ruolo unificatore dell’università è ancora più importante (si parla dello specialista che sa tutto di un’area molto piccola: tutto praticamente di nulla). Su fede e filosofia, cfr. SAN GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Fides et ratio, 14-IX-1998, n. 73 (la “circolarità” tra filosofia e teologia). Sull’interdisciplinarietà, in modo particolare tra filosofia e scienza, cfr. LLUÍS CLAVELL, La ‘Summa contra gentiles’ di san Tommaso, anticipo e modello del Cortile dei Gentili, in Credere, amare e vivere la verità, “Doctor Communis” (2014), Fac. 1-2, LEV, pp. 180-182.

[51] FRANÇOIS-XAVIER NGUYÊN VAN THUÂN, Comunicazione (11-I-2002), in La grandezza della vita ordinaria, vol. I, Vocazione e missione del cristiano in mezzo al mondo, Edizioni Università della Santa Croce (EDUSC), Roma 2002, p. 174; il cardinale era allora Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Cfr. SAN JOSEMARÍA, Lettera 9-I-1932, n. 45: «Vi dirò, a questo proposito, qual è il mio grande desiderio: vorrei che, nel catechismo della dottrina cristiana per i bambini, si insegnasse chiaramente quali sono questi punti fermi, nei quali non si può cedere, quando si opera in un modo o nell’altro nella vita pubblica; e che, allo stesso tempo, si dichiarasse il dovere di operare, di non astenersi, di prestare la propria collaborazione per servire con lealtà e con libertà personale il bene comune. Questo è un mio gran desiderio, perché sono convinto che così i cattolici imparerebbero queste verità sin da bambini, e saprebbero praticarle poi quando diverranno adulti», cit. in ÁNGEL RODRÍGUEZ LUÑO, Moral Cristiana, in Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, Monte Carmelo, Burgos 2014, pp. 850-851. Questo desiderio è stato soddisfatto grazie al Catechismo della Chiesa Cattolica, al Compendio della dottrina sociale della Chiesa, ai vari catechismi nazionali o diocesani e, più recentemente, grazie a MARTIN SCHLAG (ed.), Economia e società: le sfide della responsabilità cristiana. Domande e risposte sul Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, EDUSC, Roma 2015; in inglese, aggiornato con il contributo della LS: On Earth as it is in Heaven: A Summary of Catholic Social Teaching, Midwest Theological Forum, Downers Grove (IL) 2015.

[52] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 11; e Discorso durante l’inaugurazione del Centro Elis (Roma) da parte di Paolo VI, 21-XI-1965.

[53] Cfr. GUILLAUME DERVILLE, Emmaus è il mondo. Pregare con Josemaría Escrivá, Città Nuova, Roma 2002 (orig. francese, Prier 15 jours avec Josémaria Escriva, [Prier 15 jours, 59] Nouvelle Cité, Montrouge 2001), pp. 34-38 (Giuseppe l’artigiano. Il lavoro, opera d’amore), e pp. 90-96 (Altri Cristo. Costruire la nuova città dell’amore). Fra i tanti, cito un bell’esempio: negli anni ’70, a Québec, il dottor André Allaire (1934-2007) ha creato un comitato per bonificare le acque del fiume Saint-François, sulle rive del quale egli viveva, coinvolgendo quattro aree industrializzate; è stato un pioniere dell’ecologia: cfr. “Journal L’Express” (Drummondville), 31-X-2007 e “Romana” 45 (luglio-dicembre 2007), p. 328.

[54] Cfr. “Romana” 59 (luglio-dicembre 2014), pp. 358-360.

[55] LLUÍS CLAVELL, Mons. Álvaro del Portillo e la Pontificia Università della Santa Croce, in Vir fidelis multum laudabitur. Nel centenario della nascita di Mons. Álvaro del Portillo, vol. 1 (ed. P. GEFAELL), EDUSC, Roma 2014, p. 135.

[56] Ibidem.

[57] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, 31: «Laicis indoles saecularis propria et peculiaris est».

[58] ÁNGEL RODRÍGUEZ LUÑO, San Josemaría e la teologia morale, in San Josemaría e il pensiero teologico, p. 302.

[59] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 99.

[60] Cfr. ALBERT VANHOYE, L’Épître aux Hébreux. Un prêtre différent, Gabalda, Pendé 2010, pp. 326-327.

[61] JOSEPH RATZINGER, Messaggio, in Santità e mondo, Atti del Convegno teologico di studio sugli insegnamenti del beato Josemaría Escrivá, Roma, 12-14-X-1993, LEV, Roma 1994, p. 21.

[62] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 51.

[63] Ibidem, n. 50. Il piacere per un lavoro ben fatto sembra inciso nel cuore dell’uomo. In mandarino “lavoro” si scrive come una “i” maiuscola, con due grandi tratti orizzontali a ogni estremità del tratto verticale: l’idea che vi sta sotto è che il lavoro unisce o assembla due parti o più, con regole o misure; il carattere cinese rimanda al concetto di lavoro minuto e preciso, all’idea di realizzare con perfezione ogni cosa. Debbo queste precisazioni ai professori Cristoforo Josemaría e Maria Tou.

[64] Ibidem.

[65] Cfr. ANTONIO ARANDA, in: SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Es Cristo que pasa, ed. critico-storica, nota 50d, pp. 361-362. Vedi SAN JOSEMARÍA, Omelia Nella bottega di Giuseppe, nn. 39-56.

[66] PAPA FRANCESCO, Omelia, Piazza della Rivoluzione, L’Avana (Cuba), 20-IX-2015.

[67] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 31.

[68] Ibidem, n. 30; sulla centralità della libertà nell’insegnamento del santo, cfr. ERNST BURKHART - JAVIER LÓPEZ, Vida cotidiana y santidad en la enseñanza de san Josemaría: estudio de teología espiritual, vol. 2, cap. 5, La libertad de los Hijos de Dios, Rialp, Madrid 2013, pp. 161-283.

[69] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 35.

[70] Un esempio della Francia è l’associazione Asalée, una nuova forma di cooperazione tra medici e infermiere che concentrano la loro attività nella prevenzione e nell’educazione attraverso le visite di medicina generale.

[71] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 63.

[72] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Omelia Le virtù umane, in Amici di Dio, nn. 73-93.

[73] San Josemaría, rivolgendosi alle persone incaricate della manutenzione dell’Università di Navarra, diceva: «Il vostro lavoro, di fronte a Dio, è altrettanto importante di quello dei ricercatori e dei sapienti» (citato dal BEATO ÁLVARO DEL PORTILLO, in SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Instrucción, maggio 1935/14 settembre 1950, nota 238). Poi, riferendosi alle stesse mansioni, diceva: «Non so quali di queste attività vale di più: sicuramente, quella che si fa con più amore di Dio» (appunti presi durante una riunione di famiglia, 27-VII-1974, in AGP, Biblioteca, P05, vol. 2, 395).

[74] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 67.

[75] SAN JOSEMARÍA, Omelia Lavoro di Dio, in Amici di Dio, n. 60.

[76] Cfr. BENEDETTO XVI, Esort. ap. post-sinodale Verbum Domini, 30-IX-2010, n. 48, sui santi e l’interpretazione della Scrittura.

[77] BEATO ÁLVARO DEL PORTILLO, in SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Instrucción, maggio 1935/14-IX-1950, nota 108, p. 59.

[78] BEATO CHARLES DE FOUCAULD, Lettera a Suzanne Perret, 15-XII-1904, cit. in DENISE E ROBERT BARRAT, Charles de Foucauld et la fraternité, (Maîtres Spirituels, 15) Seuil, Paris 1958, p. 53.

[79] LAURENT TOUZE, La contemplation de la vie ordinaire. À propos de Josémaria Escrivá, in “Esprit et Vie” 112 (2002), pp. 9-14. Questo articolo traccia a grandi tratti le linee di convergenza e le differenze tra Charles de Foucauld e Josemaría Escrivá.

[80] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 55. Per uno studio più ampio di questo argomento, ERNST BURKHART - JAVIER LÓPEZ, Vida cotidiana y santidad en la enseñanza de san Josemaría: estudio de teología espiritual, vol. 3, Rialp, Madrid 2013, pp. 134-221.

[81] Cfr. PIERPAOLO DONATI, Senso e valore della vita quotidiana, in La grandezza della vita quotidiana, Roma 2002, vol. I, p. 245; cfr. ERNST BURKHART - JAVIER LÓPEZ, Vida cotidiana y santidad..., cit., vol. 3, Rialp, Madrid 2013, p. 140.

[82] Cfr. GUILLAUME DERVILLE, La liturgia del trabajo. “Levantado de la tierra, atraeré a todos hacia mi” (Gv 12, 32) en la experiencia de San Josemaría Escrivá de Balaguer, “Scripta Theologica” 38 (2006), 821-854.

[83] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 703.

[84] Gn 2, 3: trad. della Conferenza Episcopale Italiana.

[85] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Omelia Lavoro di Dio, in Amici di Dio, nn. 57-60. Cfr. SAN GIOVANNI PAOLO II, Discorso nel centenario della nascita di Josemaría Escrivá (12-I-2002), in La grandezza della vita ordinaria, vol. I, Vocazione e missione del cristiano in mezzo al mondo, Edizioni Università della Santa Croce, Roma 2002, p. 26: «Santificando il proprio lavoro nel rispetto delle norme morali oggettive, il fedele laico contribuisce efficacemente a edificare una società più degna dell’uomo e a liberare la creazione che geme e soffre in attesa della rivelazione dei figli di Dio (cfr. Rm 8, 19-22). Egli coopera, così, a plasmare il volto di una umanità attenta alle esigenze della persona e del bene comune». EDITH STEIN dice che la vocazione dell’uomo comporta «che si lavori per il perfezionamento della creazione, come Dio l’ha affidata alla libera iniziativa dell’essere umano» (Die Frau. Ihre Aufgabe nach Natur und Gnade, in E.S. Werke, XVIII, Obras completas, IV Escritos antropológicos y pedagógicos, Magisterio de vida cristiana, 1926-1933, Ed. Monte Carmelo — El Carmen de Espiritualidad, Burgos 2003, p. 285).

[86] Amaury Derville ha indirizzato la mia attenzione su questo punto e la sua base nell’esegesi rabbinica (“laassot”: l’uomo associato alla creazione); Bernardo Estrada mi ha confermato che in questo caso non si tratta della figura retorica dello zeugma che potrebbe unire i due soggetti di uno stesso verbo.

[87] Cfr. JOSÉ LUIS ILLANES, Trabajo, santificación del, in Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, Monte Carmelo, Burgos 2014, pp. 1202-1210.

[88] SAN JOSEMARÍA, Lettera 29-IX-1957, n. 73.

[89] JAVIER ECHEVARRÍA, Laudato si’: ciascuno è custode lavorando per amore, “Avvenire”, Milano, 26-VI-2015.

[90] Cfr. JOSÉ LUIS ILLANES, Trabajo, santificación del, in Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, Monte Carmelo, Burgos 2014, p. 1210. La donna, sicuramente non riducibile al semplice fatto di essere donna, ha un ruolo importante in questa umanizzazione, come ha insegnato EDITH STEIN, che parla di «benedizione» per la vita sociale (cfr. Die Frau. Ihre Aufgabe nach Natur und Gnade, in E.S. Werke, XVIII, cit.).

[91] LS 109, che cita BENEDETTO XVI, Enc. Caritas in veritate, 29-VI-2009, n. 22.

[92] ESIODO, Le opere e i giorni, v. 298-310, trad. ETTORE ROMAGNOLI, Zanichelli, Bologna 1929. In verità, secondo ALAIN FOUCHARD, sarebbe erroneo interpretare questi versi come reazione a una ideologia aristocratica greca che, nel secolo VIII a.C., condannerebbe il lavoro. Comunque, la formula riflette bene il discredito del lavoro tra la nobiltà francese del XVIII secolo. Può darsi che Esiodo consideri il lavoro come il miglior veicolo di liberazione e che, pertanto, manifesti qui un rifiuto della povertà? In realtà, la difficoltà è dovuta al fatto che “il termine ‘lavoro’ non ha un equivalente in greco”, sottolinea Fouchard in Aristocratie et démocratie: idéologies et sociétés en Grèce ancienne, Institut des Sciences et Techniques de l’Antiquité, CNRS, Annales Littéraires de L’Université de Franche-Comté, Les Belles Lettres, p. 122-123. Auctores disputant, cfr. MALICK NDOYE, Groupes sociaux et idéologie du travail dans les mondes homérique et hésiodique, p. 109. La parola greca “oneidos”, qui tradotta come “vergogna”, fa riferimento al concetto di obbrobrio, colpa, disonore.

[93] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 94. Cfr. ÁNGEL GARCÍA IBÁÑEZ, Eucaristía, in Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, cit., pp. 468-470.

[94] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 38.

[95] SAN JOSEMARÍA, Omelia Amare il mondo appassionatamente, 8-X-1967, in Colloqui, n. 115.

[96] SAN JOSEMARÍA, Omelia Sacerdote per l’eternità, 13-IV-1973, in La Chiesa nostra Madre, n. 44.

[97] Cfr. GUILLAUME DERVILLE, La liturgia del trabajo, cit., pp. 821-854.

[98] Cfr. JOSÉ LUIS GUTIÉRREZ-MARTÍN, La narración de lo sagrado en una sociedad secular, in Adorar a Dios en la liturgia (ed. ALFONSO BERLANGA), EUNSA, Pamplona 2015, pp. 56-57.

[99] SAN TOMMASO D’AQUINO, In Epist. ad Romanos, c. 8, lect. 4.

[100] FERNANDO OCÁRIZ, Natura, grazia e gloria (Prologo del cardinale Joseph Ratzinger), “Studi di Teologia” 9, Edizioni Università della Santa Croce, Roma 2002, p. 350. Cfr. Rm 8, 19; Col 1, 20; Ap 21, 1. Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, In IV Sent., d. 48, q. 2, a. 1, c.

[101] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 14.

[102] Cfr. Missale Romanum, Prefatio I de Sanctis.

[103] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 339.

[104] SAN JOSEMARÍA, Apuntes íntimos, 28-XII-1931, cit. in Cammino, n. 268.

[105] Cfr. JOSÉ LUIS ILLANES, “El CEC en el contexto cultural contemporáneo”, in ANTONIO ARANDA (ed.), “Creemos y conocemos”. Lectura teológica del Catecismo de la Iglesia Católica, EUNSA, Pamplona 2012, p. 39.

[106] Cfr. www.mercatornetcom/articles/view/focus-on-transhumanism-the-quest-for-proactive-evolution. In fondo si tratta del rifiuto della realtà creata (cfr. Gn 1, 27: «Maschio e femmina li creò») e di cedere alla tentazione originale (Gn 3, 5: «Diventereste come Dio»). Tuttavia «non siamo Dio» (LS 67).

[107] Cfr. specialmente PASCAL IDE, L’homme vulnérable et capable, in BERNARD ARS (ed.), Fragilité, dis-nous ta grandeur, Cerf, Col. Recherches morales, pp. 31-88. Cfr. anche ALAIN FINKIELKRAUT, L’identité malheureuse, Stock 2013.

[108] Cfr. GUILLAUME DERVILLE, Amor y desamor. La pureza liberadora, Rialp, Madrid 2015, cap. 1: Corazón; cap. 2: Don de sí; cap. 5: Equilibrio.

[109] Cfr., per esempio, SAN GIOVANNI PAOLO II, Enc. Centesimus annus, 1-V-1991, nn. 38-39; Enc. Evangelium vitae, 25-III-1995, n. 42. Cfr. BENEDETTO XVI, Messaggio per la celebrazione della XL Giornata mondiale della Pace, 1-I-2007, n. 8, che ricorda il cantico di san Francesco; Discorso in occasione della visita al Parlamento federale di Germania, 22-IX-2011.

[110] MARCELO SÁNCHEZ SORONDO, intervista di Álvaro Valenzuela, “El Mercurio”, Santiago del Cile, 23-VIII-2015, citato su “L’Osservatore Romano”, 24-25-VIII-2015, p. 8.

[111] FRANÇOIS-XAVIER GUERRA, Josémaria Escriva, le chrétien et la cité, in La grandeur de la vie ordinaire, vol. II, San Josemaría Escrivá, Contesto storico, Personalità, Scritti (ed. MARIANO FAZIO), Edizioni Università della Santa Croce, Roma 2003, p. 86.

[112] Ibidem, p. 90.

[113] PAPA FRANCESCO, Catechesi, 15-IV-2015. La teoria del gender tende a diffondersi sotto forma di «colonizzazione ideologica», afferma Papa Francesco nella conferenza stampa durante il viaggio di ritorno dalle Filippine a Roma, 19-I-2015. Cfr. AARON KHERIATY - PAUL MCHUGH, Sexuality and Identity: Scientific Findings, 2-4, in particolare sul pericolo di mettere etichette alle persone.

[114] PAPA FRANCESCO, Esort. ap. Evangelii gaudium, n. 88.

[115] ARISTOTELE, Etica a Nicomaco, Libro IX, cap. X.

[116] Vedi, per esempio: a) PAPA FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 64; Messaggio per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, La comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, 24-I-2014. b) BENEDETTO XVI, Messaggio per la XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale, 24-I-2011; Discorso ai partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, 28-II-2011; Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia, 24-I-2009.

[117] BENEDETTO XVI, Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Reti Sociali: portali di verità e di fede; nuovi spazi per l’evangelizzazione, 24-I-2013.

[118] Cfr. RAFAEL DÍAZ DORRONSORO, Natura e grazia nel matrimonio, in Matrimonio e famiglia. La questione antropologica (ed. HÉCTOR FRANCESCHI), col. “Subsidia canonica”, EDUSC, Roma 2015, p. 90.

[119] PAPA FRANCESCO, Primo saluto come Papa, 13-III-2013.

[120] Cfr. TONY JUDT, op. cit., cap. What did we learn? Noto che i sacerdoti, chiamati a essere disponibili per tutte le anime, spesso hanno l’impressione di passare da un mondo all’altro.

[121] Sarebbe sufficiente ricordare il canto Va’, pensiero di Verdi nel Nabucco o il successo di Boney M. negli anni ’70 con Rivers of Babylon.

[122] Cfr. JEAN DANIÉLOU, Essai sur le mystère de l’histoire, Seuil, Parigi 1953, specialmente la prima parte, cap. IV, Déportation et hospitalité.

[123] Da Ulisse a Il Signore degli anelli, passando per El Cid, Don Chisciotte e I promessi sposi («Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!»: A. MANZONI, I promessi sposi, cap. VIII). Nella letteratura francese Chateaubriand non cessa di deplorare quell’esilio la cui malinconica nostalgia dei luoghi corona il finale delle Memorie d’oltretomba, vol. IV, Lib. XXXIV-XLII (Recapitulación de mi vida): «Mi sono trovato a cavallo di due secoli, come alla confluenza di due fiumi; mi sono immerso nelle sue acque turbolente, allontanandomi mio malgrado dall’antica sponda dove sono nato, nuotando pieno di speranza verso una sponda sconosciuta». Su Camus, cfr. per esempio, FRANÇOIS LIVI, Albert Camus. Alla ricerca della verità sull’uomo, Casa editrice Leonardo da Vinci, col. “La filosofia nella letteratura 2”; specialmente p. 92: Camus aveva progettato di intitolare la sua tragedia Le malentendu (1944) come L’esilio; più tardi pensò anche a Gli esiliati come titolo per La peste (1947). Per Saint-John Perse, l’esilio si trasformò nella sua identità di poeta: «“Abiterò nel mio nome”, fu la risposta ai questionari del porto» (Exil VI). In Romeo e Giulietta, Shakespeare fa dire a Romeo che l’esilio (“banishment”) è peggio della morte. Quanto a Dostoievski, l’esilio (Ginevra, Firenze, Dresda) non ha fatto altro che aumentare il suo sentimento patriottico. Sulla nostalgia del paradiso, cfr. JEAN DANIÉLOU, Le thème du Paradis perdu dans la littérature contemporaine, in “Cahiers de Neuilly” 13 (1946) 1-17; Terre et paradis chez les Pères de l’Église, in “Bulletin des amis du cardinal Daniélou” 20 (1994) 5-6; Catéchèse pascale et retour au Paradis, in “La Maison Dieu” 45 (1956) 99-119; Terre et paradis chez les Pères grecs, in “Bulletin” 20 (1994) 2s [433s.], cit. in “Eranos-Jahrbuch” 22 (1953) 433-472. Cfr. Le baptême et l’Église, ou le paradis retrouvé, in GUILLAUME DERVILLE, Histoire, mystère, sacrements. L’initiation chrétienne dans l’œuvre de Jean Daniélou, Desclée de Brouwer, Parigi 2015, pp. 475-476.

[124] Fra i tanti film, ricordiamo Il violinista sul tetto, Exodus e American sniper.

[125] PAUL CLAUDEL, Pensée en mer, in Connaissance de l’Est, NRF, Gallimard, Parigi 1993, pp. 42-43. Si pensi anche al “mal d’Africa” di chi, dopo anni vissuti in Africa, ritorna in Europa con tanta nostalgia dell’affascinante “négritude”.

[126] PAUL CLAUDEL, citato da JEAN DANIÉLOU, L’oraison, problème politique, Le Signe, Fayard, Parigi 1965, p. 150: «Ce que tu cherchais si loin par-delà la mer et au-delà des villes, ta mère et ta sœur le savaient sans avoir quitté Charleville».

[127] CARLO CAFFARRA, L’urgenza di un nuovo umanesimo. Verso il superamento dell’individualismo libertario, Conferenza nell’Istituto Veritatis Splendor, 29-XI-2014, in www.chiesadibologna.it/caffarra-carlo-cardinale-arcivescovo-metropolita-testo-del-2014-11-29.html. Cfr. SANT’AGOSTINO, De vera religione, 39, 72: «Noli foras ire, in teipsum redi; in interiore homine habitat veritas» (Invece di andare fuori, entra in te stesso: è nel cuore dell’uomo che abita la verità).

[128] Cfr. SOCIAL TRENDS INSTITUTE, Why Marriage Matters, Twenty-Six Conclusions from the Social Sciences, Institute for American Values, New York 20052.

[129] ANDRÉ VINGT-TROIS, Famille et société, Conferenza nell’Institut Français - Centre Saint-Louis, Roma, 19-XI-2012.

[130] Cfr. JAVIER ECHEVARRÍA, Omelia della Messa di ringraziamento per la beatificazione di Mons. Álvaro del Portillo, Madrid, 28-IX-2014, in “Romana” 59 (luglio-dicembre 2014), p. 242.

[131] SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II-II, q. 26, a. 9, co. Cfr. SAN GEROLAMO, Com. in Matthaeum, lib. IV (Mt 24, 36): «Omnis enim pater filii nomen est». Cfr. LEV NIKOLAEVICH TOLSTOI, Guerra e pace, cap. 11: il principe Andrei dice a proposito di suo figlio, sua sorella e suo padre: «Sono come me. Non sono altri».

[132] Cfr. KAROL WOJTYLA, Rayonnement de la paternité, col. “Épiphanie”, Le Cerf, Parigi 2014.

[133] SANT’AGOSTINO, Commento della Prima Lettera di san Giovanni, Trattato 8, X, in Sources Chrétiennes (1994) 75, p. 361; cf. ib. VIII, 4-12. Vedi anche FERNANDO OCÁRIZ, Amar con obras: a Dios y a los hombres, Palabra, Madrid 2015, 126 p.

[134] ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY, Citadelle, Gallimard, Parigi 1948; CVIII: «Senza nemici non hai forma né misura» (p. 240); CLXIX: «Per questo non ho nemici. Nel nemico considero l’amico. E lo diventa» (pag. 361); CLXVIII: «Colui che cammina nella mia stessa direzione mi offre meno occasioni di incontro e di scambio di colui che mi viene contro» (p. 356); CCVI: «Di nemico conciliato in nemico conciliato — ma di nuovo nemico in nuovo nemico —, mi incammino anch’io lungo il pendio per cui mi arrampico, fino alla calma in Dio» (p. 455). Cfr. SAN GIOVANNI PAOLO II, Enc. Veritatis splendor, 6-VIII-1993, n. 72, su «l’essenziale legame tra il valore morale di un atto e il fine ultimo dell’uomo».

[135] La LS 80 cita SAN TOMMASO D’AQUINO, In octo libros Physicorum Aristotelis expositio, lib. II, lectio 14.

[136] Cfr. ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY, Citadelle, cit., CXXI: «Contrario alla nave c’è il mare; però esso ha permesso di progettare e rendere più acuta la ruota di prua e la carena. E contraria al fuoco c’è la cenere; però essa protegge dal fuoco» (p. 272).

[137] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 124.

[138] SAN JOSEMARÍA, Solco, n. 804. Cfr. SAN GIOVANNI PAOLO II, Enc. Dives in misericordia, 30-XI-1980, n. 15, compresa la nota 52 intorno a hamal e hesed.

[139] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1440; n. 1033: «Contro di Lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi».

[140] Cfr. BENEDETTO XVI, Esort. ap. post-sinodale Verbum Domini, n. 8, che cita la tradizione dai Padri greci e san Bonaventura. La natura è oggetto di contemplazione (cfr. LS 12, 85-86, 97, 100, 112, 125, 214). Il canto di un uccellino può provocare un’autentica preghiera personale: cfr. TUGDUAL DERVILLE, Animaux dans l’Évangile, France-Catholique-Ecclesia/Salvator, Parigi 2010.

[141] Edith Stein (santa Teresa Benedetta della Croce) ha sviluppato un profondo pensiero al riguardo, cfr. Die Frau. Ihre Aufgabe nach Natur und Gnade, in E.S. Werke, XVIII, pp. 19-21. Cfr. EDITH STEIN, Obras completas, IV Escritos antropológicos y pedagógicos (Magisterio de vida cristiana, 1926-1933), Ed. Monte Carmelo — El Carmen de Espiritualidad, Burgos 2003, p. 282. Cfr. HANNA-BARBARA GERL-FALKOVITZ, La cuestión de la mujer según Edith Stein, in Anuario filosófico 1998 (31) 753-784. Joseph Ratzinger ha sottolineato che il rifiuto della creazione come tale, dono del Creatore, dono carico di significato (fine, alleanza) e segno della bontà divina, ha portato alla perdita della relazione dell’uomo, comunque chiamato a vivere in una relazione di amore: l’uomo è libero e autentico se accetta la sua giusta relazione con il mondo e con l’altro, se la misura di ciò che è stato creato è completamente rispettata (cfr. JOSEPH RATZINGER, Im Anfang schuf Gott. Vier Münchener Fastenpredigten über Schöpfung und Fall; raccomandiamo la traduzione italiana di CARLO DANNA, Creazione e peccato. Catechesi sull’origine del mondo e sulla caduta, Paoline, Milano 1986, pp. 50-57).

[142] ARTURO BELLOCQ, I fondamenti teologici della dottrina sociale della Chiesa. Un bilancio del pontificato di Giovanni Paolo II, in “Annales Theologici” 27 (2013), p. 474.

[143] Cfr. PAPA FRANCESCO, Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, Misericordiae Vultus, 11-IV-2015.

[144] SAN GIOVANNI PAOLO II, Enc. Dives in misericordia, 2; cfr. Gn 1, 28.

[145] Cfr. ALBERT VANHOYE, L’Épître aux Hébreux. Un prêtre différent, Gabalda 2010, 82, 118.

[146] Cfr. JEAN DANIÉLOU, Jean Baptiste témoin de l’agneau, Seuil, Parigi 1964, pp. 147-148 e 165.

[147] Cfr. “exomologeo” in HORST BLATZ - GERHARD SCHNEIDER, Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, cit., col. 1257 s.

[148] Ho cercato di fare una sintesi in GUILLAUME DERVILLE, Histoire, mystère, sacrements, pp. 191-210. Cfr. G. DERVILLE, Risonanze dei misteri della vita di Gesù nei sacramenti, in JONAH LYNCH - GIULIO MASPERO (ed.), Finestre aperte sul mistero. Il pensiero di Jean Daniélou, Marietti, Milano 2012, pp. 49-75, specialmente pp. 53-55.

[149] Cfr. GUILLAUME DERVILLE, Histoire, mystère, sacrements, cit., pp. 181-207. Cfr. SANT’IGNAZIO D’ANTIOCHIA, Lettera a Policarpo I, 2-3.

[150] Cfr. GUILLAUME DERVILLE, Histoire, mystère, sacrements, cit., p. 222.

[151] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 123.

[152] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 8.

[153] Ibidem, n. 84.

[154] Ibidem.

[155] Ibidem, n. 104. Cfr. ENRIQUE MOLINA, Santidad, in Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, pp. 1113-1123.

[156] Cfr. JOSÉ MARÍA GALVÁN, Inhabitatión trinitaria, in ibidem, pp. 638-639.

[157] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 77.

[158] Ibidem, n. 64.

[159] SAN JOSEMARÍA, Forgia, Prologo.

[160] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Cammino, nn. 309, 431, 711, 914; Solco, nn. 35, 601; Forgia, nn. 173, 210, 293, 346, 416, 476, 822, 897; È Gesù che passa, nn. 7, 33, 66, 78, 84, 161, 162-170 (Il cuore di Cristo, pace dei cristiani), ecc.

[161] Cfr. FEDERICO M. REQUENA, San Josemaría Escrivá de Balaguer y la devoción al Amor misericordioso (1927-1935), in “Studia et Documenta” 3 (2009) 139-174; cfr. dello stesso autore, Católicos, devociones y sociedad durante la Dictadura de Primo de Rivera y la Segunda República. La Obra del Amor Misericordioso en España (1922-1936), Biblioteca Nueva, Madrid 2008, 359 pp.

[162] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 232.

[163] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 528.

[164] PAPA FRANCESCO, Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia Misericordiae Vultus, n. 16.

[165] Cfr. ANTONIO PORRAS, La creazione geme nelle doglie del parto... (Rm 8, 22). Anche un’etica ecologica?, in M. SODI - P. O’CALLAGHAN (ed.), Paolo di Tarso: tra kerygma, cultus e vita, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 265-279, specialmente p. 269.

[166] PAPA FRANCESCO, Esort. ap. Evangelii gaudium, n. 200.

[167] Cfr. SANTIAGO SANZ, op. cit., pp. 229-231.

[168] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 126. Cfr. ERNST BURKHART - JAVIER LÓPEZ, Vida cotidiana y santidad, vol. 3, Epílogo: Unidad de vida, pp. 617-653, Rialp, Madrid 2013. Fil 3, 20: si tratta del verbo sostantivato, hapax legomenon nel Nuovo Testamento; lett. «la nostra patria è nei cieli».

[169] PAPA FRANCESCO, Omelia della Messa solenne di inizio del pontificato, Roma, 19-III-2013. In questo senso, in relazione al lavoro professionale, cfr. SAN JOSEMARÍA, Nella bottega di Giuseppe, in È Gesù che passa, n. 46.

Romana, n. 60, Gennaio-Giugno 2015, p. 156-191.

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