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L’anno della misericordia

Nel convocare un Giubileo, il Santo Padre Francesco invita a considerare che la Chiesa sa di essere portatrice dello slancio incontenibile del Signore: la salvezza è cosa di oggi. Utinam hodie vocem eius audiatis: nolite obdurare corda vestra — Ascoltate oggi la sua voce: non indurite il cuore (Sal 94 [95], 8). Nell’Antico Testamento una prefigurazione della salvezza di Dio è proprio quella dell’anno giubilare, che aveva luogo ogni 50 anni. Compiute sette settimane di anni (Lv 25, 8) — sette volte sette anni —, iniziava un anno nel quale gli schiavi erano liberati, e ognuno tornava nella sua proprietà e nella sua famiglia (cfr. Lv 25, 10.39), perché gli uomini non appartengono a nessuno, se non a Dio (cfr. Lv 25, 55).

Se volessimo riassumere con una sola parola ciò che comportava il Giubileo per il popolo d’Israele, questa potrebbe essere “libertà” (cfr. Lv 25, 10).

Libertà: oggi più che mai questa parola non è forse sulla bocca di tutti? Eppure, assai spesso dimentichiamo che la libertà, nel suo significato più profondo, proviene da Dio. Con la sua passione di salvezza e la sua risurrezione Egli ci libera dalla peggiore schiavitù: il peccato. Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace (Lc 1, 78-79).

La fonte della vera libertà sta nella misericordia di Dio. Secondo una logica semplicemente umana, questa affermazione potrebbe sembrare una ingenuità: forse si potrebbe ammettere che un po’ di misericordia sarebbe opportuna per addolcire i rapporti, ma soltanto dopo aver risolto molte altre cose più urgenti. In una udienza generale del mese di dicembre, Papa Francesco spiegava che mettere la misericordia al primo posto, «umanamente parlando, è da folli, ma ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini (1 Cor 1, 25)». Il mondo ha bisogno della misericordia per uscire da tante spirali di risentimento, di invidia, di frustrazione; ne hanno bisogno le famiglie e la società.

A un mondo che anela alla libertà senza riuscire a trovarla, la Chiesa non si stanca di offrire la misericordia del Signore, che comporta la libertà dei figli di Dio (SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 267; cfr. Gal 5, 1). «La Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario. In un’epoca di profondi cambiamenti come la nostra, la Chiesa è chiamata a offrire il suo contributo peculiare, rendendo visibili i segni della presenza e della vicinanza di Dio. E il Giubileo è un tempo favorevole per tutti noi, perché contemplando la Divina Misericordia, che supera ogni limite umano e risplende sulla oscurità del peccato, arriviamo a essere testimoni più convinti ed efficaci», diceva Papa Francesco il giorno dopo aver aperto la porta santa a San Pietro.

La porta santa ci ricorda, in un modo più vivo, da dove viene la salvezza: dall’ovile di Dio, dallo spazio di Dio, nel quale Egli ci invita a entrare. A volte noi uomini pensiamo che non c’è via di uscita, e tuttavia Dio «viene incontro a quelli che non lo cercano» — affermava il fondatore dell’Opus Dei (Amare la Chiesa, n. 39) — e ci invita ad aprire una porta alla speranza. Il Giubileo è «un Anno Santo per sentire forte in noi la gioia di essere stati ritrovati da Gesù, che come Buon Pastore è venuto a cercarci perché ci eravamo smarriti», ha detto il Papa in una omelia (11-IV-2015).

Ci troviamo, dunque, in un momento speciale per renderci conto della forza liberatrice della misericordia divina, che perdona i nostri peccati e ci apre agli altri uomini: «Questo Giubileo, insomma, è un momento privilegiato perché la Chiesa impari a scegliere unicamente “ciò che a Dio piace di più”. E che cosa è che “a Dio piace di più”? Perdonare i suoi figli, aver misericordia di loro, affinché anch’essi possano a loro volta perdonare i fratelli, risplendendo come fiaccole della misericordia di Dio nel mondo. Questo è quello che a Dio piace di più» (PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 9-XII-2015).

La riconciliazione con Dio — che riceviamo nella Confessione, sacramento che sta al centro dell’anno giubilare (cfr. PAPA FRANCESCO, Bolla Misericordiæ Vultus, n. 17) — apre una porta per lasciare entrare nella nostra vita coloro che ci stanno accanto. Infatti, la misericordia di Dio non è un semplice mantello che copre le nostre miserie, senza che in realtà nulla cambi nella nostra vita. Al contrario, la sua misericordia ci trasforma radicalmente, ci rende uomini e donne misericordiosi come il Padre (cfr. Lc 6, 36): lo siamo quando perdoniamo coloro che ci avevano offeso, compiamo forse con un certo sforzo qualche opera di carità, facciamo conoscere il messaggio salvifico del Vangelo a chi vive lontano dal Signore. Avvicinarsi alla misericordia di Dio, assicurava san Josemaría, comporta necessariamente che ci trasformiamo in strumenti della sua compassione verso coloro che ci circondano: «Il cuore del Signore è un cuore di misericordia, che ha compassione per gli uomini e si avvicina a loro. La nostra dedizione, al servizio delle anime, è una manifestazione di tale misericordia del Signore, non solo verso noi, ma verso l’umanità intera» (Lettera, 24-III-1930, n. 1).

Romana, n. 61, Luglio-Dicembre 2015, p. 202-204.

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