envelope-oenvelopebookscartsearchmenu

La pedagogia implicita in san Josemaría Escrivá de Balaguer

Giuseppe Zanniello professore ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale.

Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche e della Formazione della Università degli Studi di Palermo

Nell’agosto del 1977, a Pamplona, partecipai a un corso per insegnanti-tutor organizzato dall’Instituto de Ciencias de la Educación (I.C.E.) dell’Università di Navarra, diretto da David Isaacs. In quella occasione conobbi José Luis González Simancas, che aveva appena pubblicato un libro sul sistema tutoriale nell’insegnamento e che nel 1951, dopo un soggiorno di studio a Londra per due anni, aveva iniziato Gaztelueta — la prima scuola opera di apostolato corporativo dell’Opus Dei — a Bilbao, dove un gruppo di genitori aveva messo a disposizione i mezzi necessari perché potesse sorgere una scuola per i propri figli[1].

Allora stavo preparando un libro con esperienze di tutorato nelle scuole e gli domandai se lui si fosse ispirato alla tradizione britannica nell’introdurre il tutoring nella scuola Gaztelueta

di Bilbao. Mi rispose di no perché era stato san Josemaría a dire agli iniziatori di quella nuova impresa educativa che ogni insegnante avrebbe dovuto parlare singolarmente con ciascun alunno ogni quindici giorni, un fatto assolutamente nuovo per la tradizione scolastica spagnola; González Simancas aggiunse che il fondatore dell’Opus Dei aveva detto loro che, nello stesso edificio usato per l’attività didattica del mattino, avrebbero dovuto tenere anche lezioni serali per i giovani che al mattino lavoravano.

Da questo episodio emergono già due note di quella che potremmo denominare «pedagogia implicita» nel pensiero di Josemaría Escrivá sull’educazione e la formazione: l’attenzione personalizzata alle esigenze di ogni singolo alunno nell’ambito di una relazione educativa basata sulla fiducia e l’apertura delle scuole promosse dall’Opus Dei — o da alcuni suoi membri a titolo personale — a persone di tutte le condizioni sociali.

Ho voluto raccontare l’aneddoto per esemplificare l’idea che il fondatore dell’Opus Dei non ha scritto trattati di pedagogia o di didattica ma ha offerto canoni ispiratori dell’azione educativa e formativa[2], che altri poi hanno sviluppato con iniziativa personale realizzando opere educative e formative o scrivendo libri scientifici; ma Josemaría Escrivá ha potuto insegnare agli educatori e ai formatori perché egli stesso per primo, durante la sua intera vita terrena, ha educato e formato personalmente moltissime persone, una per una. Con la parola e gli scritti, ha saputo comunicare efficacemente le sue idee sull’educazione e sulla formazione per incoraggiare e sostenere appassionatamente molte iniziative finalizzate al perfezionamento dell’uomo e quindi alla sua felicità[3].

Come esempio del suo modo diretto di orientare il lavoro degli educatori, riporto una risposta che san Josemaría Escrivá diede a un insegnante spagnolo in un incontro pubblico del 21 novembre 1972 presso la scuola Viaró di Barcellona: «Prepara bene le lezioni e sii leale con i tuoi alunni, di modo che, a poco a poco, diventino i tuoi amici. Infine, non mantenere le distanze nei confronti dei ragazzi. Cerca di andare loro incontro, a metà strada, perché percorrano volontariamente l’altra metà. Così li andrai conoscendo a fondo»[4]. L’influsso del suo pensiero e della sua azione si è dilatato a cerchi concentrici; infatti le numerose persone che hanno accolto la sua «proposta pedagogica» hanno, a loro volta, educato e formato altre persone e hanno dato vita a nuovi centri educativi e formativi.

Ritengo che si possa parlare di una «pedagogia implicita» in san Josemaría, che alcuni hanno iniziato a esplicitare con la ricerca scientifica e molti altri da circa ottanta anni mettono in pratica nei centri educativi e formativi. García Hoz, che per primo ha studiato le idee pedagogiche di Josemaría Escrivá, ha evidenziato che l’intensa e ampia promozione e sviluppo di tante istituzioni educative da parte di Escrivá non sarebbe stata possibile senza «un pensiero vigoroso e chiaro di ciò che l’educazione è in tutte le sue manifestazioni, e principalmente come sviluppo personale della tendenza alla verità»[5].

Le fonti

Siccome san Josemaría è stato capace di formare uomini e donne, che hanno dato vita a molteplici iniziative educative e formative in tutti i continenti con un intento di fedeltà allo spirito dell’Opus Dei che, come è noto, per sua natura, non potrà mai avere una sua pedagogia o teologia o filosofia, tra le fonti da cui ricavare le idee pedagogiche di Escrivá bisogna includere anche i centri educativi e formativi sorti per suo impulso, oltre chiaramente ai suoi scritti e le sue esposizioni orali in forma di lezioni, conversazioni e meditazioni.

Quando Josemaría Escrivá incoraggiò i responsabili dell’Università di Navarra a promuovere iniziative di formazione degli insegnanti raccomandò loro di offrire ai corsisti orientamenti operativi senza esagerare nei pur doverosi presupposti filosofici. Nacquero così i corsi estivi dell’I.C.E. (Instituto de Ciencias de la Educación) dove inizialmente lavorarono tre ex docenti della scuola Gaztelueta, a conferma del fatto che la scienza pedagogica ha bisogno di nutrirsi della riflessione sulla pratica educativa. Non affronterò il tema dell’Università, come hanno fatto Mora e tanti altri[6]; ma ho voluto fare solo questo breve accenno al modo con cui le università dovrebbero intervenire nella formazione degli insegnanti, secondo il fondatore dell’Opus Dei.

Nel riferirsi alle idee di Escrivá sull’educazione, Vitoria afferma che «non è esatto dire che egli è stato all’origine di una scuola pedagogica o di una metodologia didattica propria dell’istituzione che ha fondato. Certamente san Josemaría aveva il suo punto di vista sul tema della formazione umana e cristiana così come su altri temi, ma si trattava della sua opinione personale. Il suo contributo non proviene da un lavoro accademico ma è il riflesso della saggezza cristiana. D’altra parte ciò non significa che in san Josemaría non esista una concezione ben precisa, che si nota nelle numerose iniziative di formazione animate dal suo spirito»[7]. Per Vitoria, le sue idee pedagogiche si manifestano negli insegnanti delle scuole animate dallo spirito dell’Opus Dei: la coltivazione delle virtù umane negli alunni, il suscitare in loro l’amore per il lavoro ben fatto curando le piccole cose, ma soprattutto l’amore alla libertà e alla responsabilità personale.

L’antropologia di riferimento

Dopo la morte di Josemaría Escrivá de Balaguer, gli studiosi che, a partire da Víctor García Hoz[8], hanno cercato di esplicitare la sua «pedagogia» hanno dedicato ampio spazio a descrivere la sua antropologia cristianamente ispirata perché, giustamente, ritengono che i principi ispiratori dell’azione educativa derivino dalla sua idea di uomo. Ricordiamo rapidamente i presupposti antropologici di Escrivá, secondo García Hoz[9]: la creazione dell’uomo è una manifestazione dell’amore di Dio; l’unità di vita, fondata sulla consapevolezza di essere figli di Dio, genera gioia nell’animo, induce a dare importanza alle piccole cose della vita quotidiana e a concepire il lavoro come mezzo di perfezionamento personale, di solidarietà umana e di unione con Dio; qualsiasi attività umana presuppone una relazione con Dio (preghiera), con gli altri uomini (amicizia) e con la realtà fisica (lavoro); un atto è specificamente umano quando è frutto di una decisione libera. Da qui deriva, secondo García Hoz, che l’educazione, per Escrivá, consiste nel rendere l’uomo libero e responsabile dei suoi atti mediante uno stile educativo caratterizzato dalla lealtà e dalla sincerità nella relazione tra l’insegnante e l’alunno, tra il genitore e il figlio, fra il tutor e il giovane, in generale fra l’educatore e l’educando; ciò vale a maggior ragione nel rapporto tra il formatore e la persona che si rivolge a lui per ricevere formazione, perché in questo caso si dà un vero e proprio «patto formativo» tra due persone che si scelgono reciprocamente in modo esplicito.

Anche Murphy più recentemente ha scritto che «san Josemaría contemplava l’educazione da un punto di vista trascendente, considerando la persona umana completa nel suo essere e nel suo fine, in conformità con il senso cristiano della vita. Il suo alto concetto della dignità dell’essere umano, che riposava in un’autentica antropologia di radice cristiana, lo portava a vedere l’uomo come creato da Dio a sua immagine e somiglianza, con un’anima immortale, con intelligenza e volontà libera, destinato a godere eternamente Dio come suo fine ultimo»[10].

Il valore della libertà morale

Per esprimere l’idea di educazione che si ricava dagli scritti di san Josemaría ricorrerò a un sillogismo, che non è suo ma è coerente con il suo modo di ragionare sull’educazione. L’educazione deve provocare la crescita dell’umanità nell’uomo fino al raggiungimento della piena forma umana. La piena forma dell’uomo consiste nella capacità di scegliere liberamente il bene conosciuto e voluto[11] come tale, cioè nella libertà morale. L’educazione — azione insieme tutta dell’educatore e tutta dell’educando — consiste, da parte dell’educatore, nel promuovere nell’educando la capacità di scelta morale libera e, da parte dell’educando, nell’impegnarsi a diventare libero e responsabile dei suoi atti. Questa definizione vale per qualsiasi tipo di educazione, senza alcuna qualificazione; vedremo poi che cosa l’aggettivo «cristiana» aggiunge all’idea di educazione. Nell’educazione è riposta la speranza di Escrivá[12] di costruire una società dove le leggi siano rispettate da cittadini interiormente convinti della loro equità e convenienza, senza bisogno di controlli esterni[13].

Siccome intorno al concetto di libertà ci sono molti fraintendimenti, conviene citare direttamente Escrivá per precisare che cosa egli intende per libertà. In un incontro con genitori a Guadalaviar (Valencia) il 17 novembre 1972 disse: «Ama la libertà dei tuoi figli e insegna loro ad amministrarla bene. Che sappiano che la libertà ha una grave malattia, che consiste nel non volere accettare la corrispondente responsabilità. In tal caso non è libertà, ma libertinaggio»[14]. Tutte le volte che parlava della libertà faceva sempre riferimento anche alla responsabilità. Nell’omelia del 1956 La libertà, dono di Dio, per mostrare come è ridicolo pretendere di essere liberi senza impegnare la propria libertà in qualcosa di cui si diventa responsabili scrisse: «Hanno la libertà, e non la seguono, la contemplano, ne fanno un idolo di terracotta nella loro mente ristretta. È questa la libertà? Che frutto ricavano da questa ricchezza senza un impegno serio, che orienti tutta la vita? Un simile modo di fare si oppone alla dignità, alla nobiltà della persona umana. Manca la rotta, la strada sicura che indirizzi il cammino su questa terra. […] Chi non sceglie — in piena libertà! — una retta norma di condotta, presto o tardi subirà le manipolazioni altrui, vivrà nell’indolenza — come un parassita —, schiavo delle decisioni degli altri»[15]. Pretendere una libertà senza responsabilità equivale a voler essere liberi da qualsiasi impegno per restare aperti a tutte le possibilità future: ma purtroppo così facendo finisce che altri decidano per noi. Non si può certamente definire educato un giovane che volesse vivere in questo modo, perché dire «azione libera» equivale a dire «azione morale»; invece desiderare solo la libertà di essere libero da impegni duraturi, senza una finalità specifica, implica la mancata assunzione di qualunque tipo di responsabilità e quindi costituisce una rinuncia a diventare pienamente uomo[16].

Assonanze pedagogiche con Papa Francesco

L’idea di educazione di Papa Francesco è molto vicina a quella di Escrivá. Nel criticare l’ossessione dell’educatore che vorrebbe controllare il proprio figlio o alunno in tutte le situazioni in cui si potrebbe trovare in pericolo, il Pontefice osserva: «In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia. Solo così quel figlio avrà in sé stesso gli elementi di cui ha bisogno per sapersi difendere e per agire con intelligenza e accortezza in circostanze difficili»[17].

Anche per Francesco, come per Escrivá, la forma dell’educazione è la libertà morale; ciò che dà senso e unitarietà alle diverse attività educative è la conquista da parte del minore della capacità di scelta morale o scelta libera: «L’educazione comporta il compito di promuovere libertà responsabili, che nei punti di incrocio sappiano scegliere con buonsenso e intelligenza; persone che comprendano senza riserve che la loro vita e quella della loro comunità è nelle loro mani e che questa libertà è un dono immenso»[18].

Il Pontefice, con la stessa concretezza di san Josemaría, offre alcuni orientamenti metodologici per l’educazione morale nelle diverse fasi di crescita: si inizia con la proposta di rinunciare alla soddisfazione immediata di un impulso per adattarsi amorevolmente a una norma condivisa nel gruppo familiare, per giungere quanto prima all’uso di «metodi attivi e con un dialogo educativo che coinvolga la sensibilità e il linguaggio proprio dei figli. Inoltre, questa formazione si deve attuare in modo induttivo, in modo che il figlio possa arrivare a scoprire da sé l’importanza di determinati valori, principi e norme, invece di imporgliele come verità indiscutibili»[19].

Non basta che il ragazzo, riflettendo con l’aiuto di un educatore, scopra i principi morali naturali che Dio ha seminato nel suo animo e impari così a distinguere tra il bene e il male, perché «a volte hanno più potere altre cose che ci attraggono, se non abbiamo acquisito che il bene colto dalla mente si radichi in noi come profonda inclinazione affettiva, come gusto per il bene che pesi più di altre attrattive e che ci faccia percepire che quanto abbiamo colto come bene lo è anche ‘per noi’ qui e ora»[20].

Un’altra assonanza tra le idee pedagogiche di Escrivá e Francesco si nota a proposito dell’educazione sociale. Per san Josemaría, come per l’attuale Pontefice, l’apertura alle relazioni interpersonali e l’attiva partecipazione alla costruzione del bene comune costituiscono due dimensioni fondamentali della persona umana, da coltivare operativamente e non solo da enunciare. «Non basta il desiderio di lavorare per il bene comune; la strada per rendere operante questa aspirazione è la formazione di uomini e di donne capaci di acquistare un’adeguata preparazione, e capaci di comunicare agli altri i frutti della pienezza da essi raggiunta»[21].

Nelle imprese educative che s’ispirano al carisma dell’Opus Dei non solo si suscita nei giovani il nobile ideale di comprendere e servire gli altri, specialmente i più deboli, ma nello stesso tempo si insegna loro a fornire bene, con competenza professionale e per amore di Dio, il proprio contributo alla costruzione del bene comune[22].

Nei suoi insegnamenti san Josemaría ripeteva spesso che, per realizzare la giustizia sociale, occorre innanzitutto vivere personalmente la virtù della giustizia nei rapporti con gli altri: «Guardate che la giustizia non si esprime esclusivamente nel rispetto esatto dei diritti e dei doveri; non è un problema aritmetico che si risolve con somme e sottrazioni. La virtù cristiana è più ambiziosa: ci spinge a mostrarci riconoscenti, affabili, generosi; a comportarci da amici leali e onesti, sia nei periodi favorevoli che nelle avversità; a rispettare le leggi e le legittime autorità»[23]. L’educazione sociale e civica contribuisce, insieme alle altre forme educative — educazione fisica, intellettuale, morale e religiosa —, alla nascita e al potenziamento della libertà e della corrispondente responsabilità nell’uomo.

Si cerca di evitare così, in radice, il rischio dell’individualismo insolidale che minaccia i giovani dotati di maggiori talenti, a qualunque ceto sociale appartengano, quando hanno l’opportunità di coltivarli in centri educativi di qualità. È una preoccupazione che Papa Francesco ha manifestato spesso, ad esempio nell’udienza di mercoledì 3 giugno 2015: «Le condizioni di vita nei quartieri più disagiati, con i problemi abitativi e dei trasporti, come pure la riduzione dei servizi sociali, sanitari e scolastici, causano ulteriori difficoltà. A questi fattori materiali si aggiunge il danno causato alla famiglia da pseudo-modelli, diffusi dai mass-media, basati sul consumismo e il culto dell’apparire, che influenzano i ceti sociali più poveri». Gli pseudo-modelli consumistici, veicolati dai media perfino nelle baracche di lamiera e cartone, sollecitano gli educatori che insegnano nei quartieri più poveri a curare in modo speciale la sensibilità degli alunni nei confronti del miglioramento dell’intera comunità di appartenenza. Lo sanno bene i figli spirituali di Escrivá che lavorano con i giovani nelle «periferie del mondo»: la tentazione di fuggire dalla propria comunità nativa per godere, in zone economicamente più ricche, dei frutti della professionalità acquisita a scuola è forte. Analogamente, nei centri educativi animati dallo spirito dell’Opus Dei, per espressa volontà del fondatore, si cura la crescita della solidarietà e della responsabilità sociale, specialmente nei giovani che appartengono a famiglie benestanti, mediante il contatto diretto con i poveri, gli emarginati, con le persone più fragili e sole.

Il clima amichevole delle relazioni educative

L’educatore, per come lo immagina Escrivá, è fiducioso che, abituando l’educando alla riflessione interiore, egli possa scoprire i principi morali dentro di sé; che il bene, quando è presentato in modo adeguato al grado di sviluppo dell’educando, attira dolcemente la sua volontà. Escrivá pertanto non cede mai all’adultismo[24] o al moralismo[25] perché conosce i condizionamenti provenienti dall’ambiente, dalle pulsioni interiori e dagli abiti dispositivi[26], che a volte rendono difficile al giovane la visione chiara del bene che ci fa felici, la decisione di conseguirlo e la realizzazione delle azioni necessarie per agire coerentemente con la decisione presa[27].

San Josemaría ha stampato nei documenti fondazionali e ha inculcato in tutti i modi nelle persone che hanno compiti formativi nell’Opus Dei alcune idee pedagogiche, che egli denominava «idee madri»: la comprensione delle debolezze altrui, la gioia di chi è consapevole di partecipare a un’opera che trascende le possibilità umane, l’ottimismo di chi sa che alla fine tutto si aggiusta, la fiducia nella buona volontà delle persone e nella forza attrattiva del bene, l’incoraggiamento costante a cominciare e ricominciare a lottare subito dopo ogni sconfitta. Anche Papa Francesco ha più volte ribadito che la gioia e l’ottimismo caratterizzano chi svolge compiti educativi o formativi proiettandosi sulle esigenze degli altri: «Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per sé stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene»[28]. È proprio quanto cerca di fare ogni educatore degno di questo nome perché non si può educare con il volto scuro e i muscoli facciali in tensione.

La «libertà vigilata», per Escrivá, non esiste in ambito educativo e l’educando non deve imitare il suo educatore perché la causalità esemplare dell’educatore è cosa ben diversa dall’imposizione autoritaria di un modello. L’educatore è veicolo di valori, non è la loro fonte originaria; educatore ed educando aderiscono ai valori che stanno al di sopra di loro, condividono dei beni, che per motivi anagrafici l’educatore ha conquistato per primo, ma che non si tiene gelosamente nascosti; su questa base è possibile l’amicizia che tanto spesso il Santo raccomanda agli educatori di coltivare, precisando che il rapporto tra genitore e figlio, tra insegnante e alunno, non è paritario[29]. «Consiglio sempre i genitori di cercare di farsi amici dei loro figli. Si può sempre armonizzare l’autorità paterna, necessaria all’educazione, con un sentimento di amicizia che porta a mettersi in qualche modo allo stesso livello dei figli. I ragazzi — anche quelli che sembrano meno docili e affezionati — desiderano sempre in cuor loro questa vicinanza, questa fraternità con i genitori. Il segreto del successo è sempre la fiducia: che i genitori sappiano educare in un clima di familiarità, senza mai dare un’impressione di sfiducia; sappiano concedere la giusta libertà e insegnino ad amministrarla con responsabile autonomia. È preferibile che qualche volta si lascino ingannare: la fiducia data ai figli fa sì che essi stessi provino vergogna di averne abusato e si correggano; se invece non hanno libertà, se vedono che non c’è fiducia in loro, si sentiranno spinti ad agire sempre con sotterfugi»[30].

L’amicizia sorge quando esiste una benevolenza reciproca tra due persone che condividono uno stesso interesse. Per Escrivá, i genitori e gli insegnanti devono diventare amici dei propri figli e dei propri alunni abbattendo qualsiasi barriera ed eliminando ogni forma di distanziamento. Nell’intento di dare la giusta interpretazione del pensiero di san Josemaría sul significato dell’amicizia tra genitori e figli, tra insegnanti e alunni, Peláez ha scritto: «Non si può perciò ignorare che la specifica relazione di amicizia risulta, nella pratica, non secondaria se non addirittura essenzialmente inerente all’attività educativa, e cioè, come non ci sia autentica educazione, con tutte le conseguenze che da ciò derivano, se manca, nel rispetto della libertà dell’educando e della posizione asimmetrica dell’educatore, quella fiducia reciproca, piena esplicitazione del bene, propria della relazione amichevole che fa, a sua volta, dell’educando un uomo capace di amicizia. Si può perciò parlare di educazione attraverso l’amicizia e di amicizia come frutto dell’educazione»[31].

I ragazzi hanno bisogno di imparare a diventare amici di tutti anche se non tutti vorranno ricambiare la loro amicizia; sempre, continuamente, durante l’intero arco della loro esistenza, le persone educate secondo le idee di Escrivá dovranno cercare nuovi amici e approfondire la qualità delle relazioni con i vecchi amici. Il desiderio di migliorare la propria capacità di amicizia nasce e si sviluppa nei giovani in base alle esperienze vissute in famiglia e nei centri educativi; ecco perché ai genitori e agli insegnanti spetta di compiere il primo passo per instaurare rapporti amichevoli con i figli-alunni.

Orientamento e tutorato

Negli ambienti educativi — primo fra tutti l’ambiente familiare — ispirati agli insegnamenti di san Josemaría Escrivá si creano intenzionalmente situazioni in cui il minore è incoraggiato a prendere decisioni e a metterle in pratica assumendosene la responsabilità. Sul tema della libertà di scelta, Escrivá così rispose alla direttrice di una rivista femminile spagnola: «I genitori che amano davvero i loro figli e cercano sinceramente il loro bene, dopo aver offerto i loro consigli e le loro riflessioni, devono farsi da parte delicatamente, in modo che nulla si opponga alla libertà, a questo grande bene che rende l’uomo capace di amare e di servire Dio. Devono tener presente che Dio stesso ha voluto essere amato e servito in libertà e rispetta sempre le nostre decisioni personali: Dio lasciò l’uomo — dice la Bibbia — arbitro di sé stesso (Sir 15, 14)»[32].

Con tutto ciò, è bene che il minore durante l’apprendistato della libertà — mi sia concesso l’uso di questa espressione — abbia vicino a sé chi lo aiuti a ragionare nel momento delle prime scelte fondamentali, chi sia capace di orientarlo senza imporgli nulla. Se a volte il ragazzo sbaglia nell’esercizio iniziale della sua libertà, dovrebbe trovare al suo fianco un adulto che lo aiuti a riflettere sui motivi del suo errore affinché impari dall’esperienza. Le correzioni iniziali della rotta intrapresa per diventare pienamente uomini fanno diminuire il rischio di un cattivo uso della libertà in età adulta ma non lo possono eliminare. Affinché sorgano persone capaci di intraprendere liberamente iniziative magnanime bisogna accettare il rischio insito nell’attività educativa. Se Dio rispetta e ama la libertà dell’uomo, dice Escrivá, anche i genitori e gli insegnanti devono rispettare e amare la libertà dei figli-alunni[33].

L’orientamento educativo, denominato comunemente tutorato[34], è presente in tutti i centri educativi che sono nati per iniziativa dei fedeli dell’Opus Dei in attuazione di una precisa indicazione del fondatore: non basta rivolgersi al gruppo — anche se l’esperienza della vita di gruppo può offrire al giovane un efficace sostegno educativo — ma è necessario instaurare un rapporto personale con ciascuna persona in formazione perché ogni giovane ha una sua peculiarità, è una «pietra preziosa» che deve brillare in tutto il suo splendore grazie al lavoro di cesello svolto da una persona adulta, che di solito è denominata tutor.

Molte volte Escrivá ha ripetuto che la ragione più soprannaturale per compiere un’azione buona è «perché mi va»[35] e che il lavoro educativo consiste nel suscitare la buona volontà («ayudar a que el alma quiera»)[36]. Chi orienta una persona, secondo lo stile del santo, crea i presupposti perché in essa possa sorgere la voglia di agire bene. L’amore appassionato per la libertà, che si nota in tutti i centri educativi dove lavorano gli insegnanti che si ispirano alla «pedagogia implicita» in san Josemaría, ha due conseguenze: il clima di fiducia reciproca fra tutti i membri della comunità educativa e l’accettazione da parte degli educatori del rischio di un cattivo uso della libertà che essi stessi promuovono negli alunni.

La fiducia reciproca

Nel convegno organizzato dalla Pontificia Università della Santa Croce in occasione del centenario della nascita di Josemaría Escrivá — e quindi prima della sua canonizzazione —, Concepción Naval svolse una relazione sul tema La confianza: exigencia de la libertad personal. Per quanto attiene alla problematica educativa, Naval scrive: «Questo apprezzamento della fiducia si estendeva a tutti, anche ai bambini: da qui la sua importanza educativa. I riferimenti più diretti del beato Josemaría riguardano l’educazione familiare, ma la sua raccomandazione si può estendere pure all’educazione scolastica. L’esperienza insegna a chiare lettere quanti problemi accademici nascono da un rapporto diffidente e sospettoso tra professori e alunni perché questi vedono minacciata la loro libertà e quelli si disperano davanti all’apparente mancanza di risultati»[37].

Nello stesso congresso, sul clima di fiducia vigente nei centri educativi che si ispirano alle idee educative di Escrivá, Barrio Maestre disse: «La prima cosa che ci si propone in questi centri è guadagnarsi la fiducia delle famiglie, in modo che ci sia coerenza tra ciò che gli alunni vedono e ascoltano a casa e quello che percepiscono a scuola. Tale coerenza è fondamentale, specialmente con gli alunni più piccoli di età, perché i messaggi troppo contraddittori possono sconcertare i ragazzi. In secondo luogo si crea questo stesso ambiente, che potremmo definire “di famiglia”, nel centro scolastico, perché solo guadagnandosi la fiducia degli studenti — e perciò è necessario dar fiducia anche a loro — si possono raggiungere efficacemente le mete educative previste»[38].

Effettivamente nelle scuole promosse da persone (insegnanti e genitori alleati con un patto di collaborazione nell’educazione dei figli-alunni) che conoscono e cercano di vivere lo spirito cristiano proposto da san Josemaría, si percepisce facilmente che la fiducia è una caratteristica tipica del lavoro educativo e, in generale, dell’ambiente scolastico. Nel momento della costituzione del centro educativo c’è fiducia tra genitori e insegnanti, tra insegnanti e alunni, tra gli insegnanti stessi e all’interno del gruppo dei genitori promotori della scuola; si dà poi fiducia ai nuovi arrivati, e questa fiducia viene ricambiata dopo poco tempo. Quanto di più lontano dall’insegnamento di Josemaría Escrivá è quello di un educatore che è disposto a concedere al figlio o all’alunno una «libertà vigilata»! Al contrario, l’educatore deve dimostrare una «fiducia vigilante» nei suoi alunni, come dice bene Barrio Maestre[39] riferendosi allo stile educativo di Escrivá; solo così può nascere una relazione amichevole tra l’educatore e l’educando. Negli insegnanti delle scuole che condividono la «pedagogia implicita» di san Josemaría si dovrebbe riflettere un impegno reale affinché tutte le relazioni interpersonali abbiano un tono ottimista e affinché si crei un ambiente caratterizzato dalla fiducia reciproca e dall’amicizia.

La comunità educativa

Nei centri educativi che si ispirano agli insegnamenti di san Josemaría Escrivá è riconosciuto il primato educativo dei genitori nei confronti dei figli-alunni. García Hoz[40], che conosceva il fondatore dell’Opus Dei dal 1939[41], non nasconde la sua sorpresa quando, per la prima volta, ascoltò da Mons. Escrivá una frase che ripeté spesso fino alla fine della sua vita: «Nella scuola vi sono tre cose importanti: prima i genitori, poi i professori, e in terzo luogo gli alunni»[42]. Con il tempo anche il pedagogista spagnolo si è reso conto che quello dei genitori non è un primato solo per il diritto educativo ma per la stessa efficacia dell’azione degli insegnanti e quindi per il bene degli alunni. Ai responsabili dei centri scolastici, sia che fossero opere apostoliche dell’Opus Dei sia che fossero attività professionali condotte da membri dell’Opera a titolo personale, Escrivá raccomandava di dedicarsi innanzitutto a rendere partecipi i genitori delle finalità educative, degli obiettivi e dei metodi della scuola frequentata dai loro figli; una specifica formazione pedagogica dei genitori doveva essere la prima preoccupazione dei dirigenti scolastici[43].

L’idea di comunità educativa, con l’idea correlata che ogni innovazione scolastica deve essere condivisa dai genitori, non era molto diffusa negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo neppure nelle scuole cattoliche. Escrivá invece, quando incoraggiò alcuni membri dell’Opera che esercitavano la professione docente a iniziare delle scuole, d’intesa con le famiglie, indicò loro chiaramente che dovevano coinvolgere i genitori nella loro promozione e gestione, fin dal primo momento. Innumerevoli furono gli interventi di san Josemaría su questo tema sia con gruppi — composti da genitori e insegnanti — promotori di nuove scuole, sia in incontri con migliaia di persone, tra l’autunno del 1972 e l’estate del 1974. Per esempio, ai genitori della scuola Viaró di Barcellona, il 21 novembre 1972, disse: «Pertanto — insisto! — questo tipo di scuole promosse dai genitori interessano anzitutto i genitori stessi; poi gli insegnanti e infine gli studenti»[44].

Effettivamente gli alunni, per crescere in libertà e responsabilità, hanno bisogno di armonia e coerenza tra gli insegnamenti familiari e quelli scolastici; un patto di leale collaborazione tra genitori e insegnanti è assolutamente necessario per l’efficacia educativa della scuola. L’alleanza tra famiglia e scuola costituisce il segreto del successo delle iniziative educative sorte per impulso di Josemaría Escrivá. Nel riflettere sugli ultimi settanta anni di storia di questo tipo di scuole non è difficile verificare ex post il valore dell’intuizione pedagogica di san Josemaría: le scuole hanno avuto molto successo quando il loro primo obiettivo è stato la formazione dei genitori e ne hanno avuto meno quando tale obiettivo non è stato perseguito con forte e costante determinazione dai loro promotori[45].

L’identità cristiana

Escrivá ha immaginato una scuola dove, in ordine di importanza, prima si formano i genitori[46], poi gli insegnanti e infine gli alunni; una scuola aperta a persone di tutte le condizioni sociali — grazie alle borse di studio che si cercano continuamente —; dove ciascuno è aiutato a scoprire la sua identità di figlio di Dio e perciò la radice della gioia; è una scuola che rispetta la libertà delle coscienze e il diritto educativo dei genitori; essa accoglie alunni di tutte le religioni senza nascondere la propria identità cristiana.

Coerentemente con la vocazione di fedeli cristiani laici che cercano la santità esercitando i propri diritti civili, le scuole promosse dai figli spirituali di san Josemaría Escrivá insieme ad altri cittadini, che a volte non condividono la stessa fede, senza essere ufficialmente cattoliche[47], aiutano gli alunni a formarsi una mentalità cattolica, nel senso originario del termine, vale a dire universale, come chiarisce il fondatore dell’Opus Dei in Solco, un libro pubblicato dopo la sua morte. «Per te, che desideri formarti una mentalità cattolica, universale, trascrivo alcune caratteristiche: ampiezza di orizzonti, e un vigoroso approfondimento, in quello che c’è di perennemente vivo nell’ortodossia cattolica; anelito retto e sano — mai frivolezza — di rinnovare le dottrine tipiche del pensiero tradizionale, nella filosofia e nell’interpretazione della storia…; una premurosa attenzione agli orientamenti della scienza e del pensiero contemporanei; un atteggiamento positivo e aperto, di fronte all’odierna trasformazione delle strutture sociali e dei modi di vita»[48].

Scuole maschili e femminili

A volte gli osservatori esterni non comprendono subito i motivi dell’omogeneità sessuale vigente nelle scuole maschili o femminili che si ispirano agli insegnamenti di san Josemaría Escrivá perché si tratta di un fenomeno ancora in controtendenza, almeno in Italia. L’educazione sessualmente omogenea è una scelta organizzativa e metodologica che a prima vista può sorprendere, perché in Italia negli ultimi cinquanta anni sono diventate molto rare le scuole single sex, dove si differenzia metodologicamente — ma non per la qualità dei contenuti — l’educazione offerta alle donne e agli uomini, con lo scopo di valorizzare le specificità dei due sessi in una prospettiva di collaborazione basata sulla reciprocità. Escrivá non ha obbligato nessuno a fare scuole solo maschili o solo femminili, ma ha stabilito che l’Opus Dei potesse prestare assistenza pastorale e aiuto spirituale, in modo prioritario, a scuole che prevedono un metodo educativo diversificato per i ragazzi e per le ragazze[49]. Si può ragionevolmente affermare che nella scelta metodologica dell’omogeneità, dai 6 fino ai 18 anni di età circa, dei gruppi — solo maschili o solo femminili —, che partecipano alle attività educative e formative delle scuole promosse da membri dell’Opus Dei insieme ai loro amici, Escrivá ha fatto riferimento alla tradizione educativa della Chiesa e alla sua esperienza pastorale[50].

Non è difficile intuire che la scelta metodologica dell’omogeneità dei gruppi scolastici in base al sesso si fonda su un presupposto antropologico e su uno pedagogico: per l’antropologia cristiana, la caratterizzazione sessuale, come maschio o femmina, deve essere specificamente valorizzata perché è radicata originariamente nella natura umana, anche se assume manifestazioni diverse nelle diverse culture; per la pedagogia personalistica, ogni persona essendo unica e irripetibile merita un’attenzione specifica da parte dei suoi educatori, un’attenzione che deve condurre il/la singolo/a educatore o educatrice a un livello profondo di coinvolgimento personale nella relazione educativa con ogni alunno/a. Da un lato in Escrivá c’è un appassionato apprezzamento della femminilità e della mascolinità come dono di Dio all’essere umano; dall’altro egli rivolge a ogni educatore o educatrice un caloroso invito a coltivare le specificità originali di ogni alunno e di ogni alunna mediante un rapporto educativo «a tu per tu» profondo e, nello stesso tempo, rispettoso dell’intimità della persona umana[51].

L’educazione delle virtù umane

Le opere educative che si ispirano alla «pedagogia implicita» di san Josemaría non si limitano a istruire ma vogliono educare i bambini, i ragazzi, gli adolescenti e i giovani, che vanno alla ricerca di ideali nobili e grandi per i quali valga la pena impegnare la propria vita; in concreto, si cerca di far acquisire loro quelle virtù naturali che Aristotele individuò come perfezionamento dell’uomo circa trecentocinquanta anni prima della nascita di Gesù Cristo e che la tradizione educativa dei cristiani ha coltivato nei giovani durante venti secoli, come base indispensabile per l’acquisizione delle virtù soprannaturali. Nell’elencarle non ci sarà bisogno di ripetere ogni volta che gli insegnanti che intendono proporre agli alunni l’acquisizione di una determinata virtù devono possederla essi per primi a un livello accettabile e devono dimostrare di impegnarsi nel miglioramento continuo del loro modo di viverla. È ben noto infatti che una virtù per radicarsi nello stile di vita di un ragazzo ha bisogno di una causa esemplare, che faccia sorgere nella sua volontà libera il desiderio di acquisirla con la ripetizione intenzionale di atti specifici di quella determinata virtù. La peculiarità della proposta di san Josemaría, per quanto attiene all’educazione delle virtù umane del cristiano, sta nell’accentuazione laicale del modo di viverle, come gli piaceva dire in italiano, «nel bel mezzo della strada»[52], nella sua qualità di figlio di Dio per la grazia del Battesimo.

Quanto ho detto finora mi consente di riassumere, in una rapida elencazione, le principali virtù che dovrebbero cercare di coltivare nei loro alunni gli insegnanti desiderosi di ispirarsi all’insegnamento di san Josemaría: la sincerità, la lealtà, la fiducia, l’amicizia, la delicatezza nelle relazioni, l’ottimismo, la fortezza, la sobrietà, il gusto dell’opera ben fatta, la religiosità. Alla fine accennerò al valore della collegialità nel lavoro educativo. Limiterò al minimo le citazioni, a puro titolo esemplificativo.

— Sincerità

A chiunque gli domandava quale fosse la virtù che gli piaceva di più, il santo rispondeva sempre e immediatamente: la sincerità. «Sia il vostro sì, sì, e il vostro no, no» è il motto posto all’ingresso della prima scuola voluta da san Josemaría. Egli ripeteva a chi si rivolgeva a lui per ricevere consiglio e orientamento nella sua vita spirituale che l’avrebbe aiutato a essere sincero con sé stesso, con Dio e con gli altri. Per esempio, ha scritto in Forgia: «Osservando la Vergine Santa, mi sono rinsaldato in una norma chiara: per avere pace e vivere in pace, dobbiamo essere molto sinceri con Dio, con coloro che dirigono la nostra anima e con noi stessi»[53].

— Lealtà

Il 12 novembre 1972, a Jerez de la Frontera, in provincia di Cadice nell’Andalusia, nel rispondere alla domanda di un padre, Josemaría Escrivá indicò, insieme alla sincerità, la lealtà come principale virtù da coltivare nei figli: «Fate in modo che siano leali, sinceri, che non abbiano paura di dirvi le cose. Per questo, sii tu leale con loro, trattali da persone grandi, adeguandoti alle loro necessità e alle circostanze della loro età e del loro carattere. Siigli amico, sii buono e nobile con loro, sii sincero e semplice»[54].

Consigliava di riflettere bene prima di promettere qualcosa o di assumere un impegno, per poi rispettare i patti, mantenere la parola data e onorare gli impegni liberamente assunti. Nelle scuole che si ispirano al suo magistero pedagogico vige un «patto» o «contratto», che si cerca di esplicitare nel modo più chiaro possibile, tra la direzione scolastica e le famiglie degli alunni, tra i dirigenti scolastici e gli insegnanti, tra i genitori e gli insegnanti del figlio-alunno, tra i singoli insegnanti e i singoli alunni, come pure all’interno del corpo docente e tra gli alunni stessi. «Mi sono sbagliato»: è una frase che si sente spesso in questo tipo di scuole, senza tragedie, senza perdita di prestigio, senza conflitti. «Mi sembra che ti sei sbagliato» può poi dire a un altro senza problemi, faccia a faccia e in privato, chi a scuola sa dire tutte le volte che sia necessario: «Mi sono sbagliato».

— Fiducia

Escrivá ha sempre detto, scritto e praticato che preferiva che un farabutto lo ingannasse piuttosto che mancare di fiducia a una persona onesta. In Amici di Dio scrive: «Ripeto: prudenti sì; diffidenti, no. Date a tutti la fiducia più totale, con tutti siate nobili. Quanto a me, do più valore alla parola di un cristiano, di una persona leale — mi fido completamente di chiunque — che non alla firma autentica di cento notai unanimi, anche se qualche volta, per aver seguito questo criterio, forse sono stato ingannato. Preferisco correre il rischio che persone poco serie abusino della mia fiducia, piuttosto che defraudare qualcuno del credito che merita come persona e come figlio di Dio. Vi posso assicurare che i risultati di questo modo di fare non sono stati mai deludenti»[55]. Chiedeva pertanto agli insegnanti di dare fiducia agli alunni facendo in modo che questi se ne accorgessero senza ombra di dubbio; gli insegnanti dovevano essere disposti a correre il rischio che qualcuno potesse abusare della fiducia accordatagli, ma questo sarebbe stato un male infimo, rispetto all’enorme danno che si sarebbe arrecato alla crescita degli alunni in libertà e responsabilità, se non si fosse manifestata sempre e a tutti piena fiducia, con abbondanza di dettagli.

— Amicizia

Il fondatore dell’Opus Dei attribuisce alla virtù umana dell’amicizia un valore tale da innalzarla a livello soprannaturale: «Mediante il rapporto personale, l’amicizia leale e autentica, si risveglia negli altri la sete di Dio e li si aiuta a scoprire orizzonti nuovi: con naturalezza, con semplicità, con l’esempio di una fede ben vissuta, con la parola amabile, ma piena della forza della verità divina»[56]. La capacità di far sempre nuove amicizie, di coltivarle e di proteggerle quando sorgono incomprensioni o divergenze di opinioni, richiede una specifica e intenzionale azione educativa; ma ancora più efficace, per l’acquisizione di questa virtù in età giovanile, risulta l’esperienza vissuta in una comunità educativa dove il clima amichevole fa stare bene con sé stessi e con gli altri. Nelle scuole che si ispirano alle idee educative di san Josemaría si cerca di favorire l’amicizia tra le famiglie degli alunni, tra i genitori e gli insegnanti, tra gli insegnanti, tra gli alunni, tra gli insegnanti e gli alunni.

L’amicizia tra insegnanti e alunni non impedisce l’autorevolezza del rapporto educativo, che di per sé è naturalmente asimmetrico in quanto l’adulto-educatore possiede un bene che il giovane non possiede ancora e che desidera acquisire con l’aiuto dell’educatore; a maggior ragione questo principio vale nell’educazione familiare. Per quanto riguarda l’amicizia tra professori e alunni, una frase di Solco[57] descrive efficacemente come san Josemaría immaginava dovesse essere: «Hai avuto la grande fortuna di incontrare veri maestri, amici autentici, che ti hanno insegnato senza riserve tutto ciò che hai voluto sapere; non hai avuto bisogno di trappole per “rubare” la loro scienza, perché ti hanno indicato la via più facile, anche se a loro è costato duro lavoro e sofferenza scoprirla… Ora tocca a te fare altrettanto, con questo, con quell’altro, con tutti!».

— Buone maniere

Mi è sembrato di riascoltare la voce di san Josemaría quando l’attuale Pontefice ha raccomandato che in famiglia si impari «a chiedere permesso senza prepotenza, a dire ‘grazie’ come espressione di sentito apprezzamento per le cose che riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità, e a chiedere scusa quando facciamo qualcosa di male»[58]. Infatti il fondatore dell’Opus Dei raccomandava un’estrema delicatezza nelle relazioni interpersonali specialmente a chi aveva il compito di dirigere un centro educativo o formativo. Due sono i punti di Forgia che si possono citare al riguardo: «Cerca di essere delicato, persona di buone maniere. Non essere grossolano! — Delicato sempre, il che non vuol dire manierato»[59]; «Quando devi comandare, non umiliare: comportati con delicatezza; rispetta l’intelligenza e la volontà di chi ubbidisce»[60].

— Ottimismo

L’atteggiamento ottimistico è così descritto in Solco: «Compito del cristiano: annegare il male nella sovrabbondanza del bene. Non si tratta di far campagne negative, né di essere anti qualcosa. Al contrario: si tratta di vivere di affermazioni, pieni di ottimismo, con gioventù, allegria e pace; di guardare tutti con comprensione: quelli che seguono Cristo e quelli che lo abbandonano o non lo conoscono. Ma comprensione non significa astensionismo, né indifferenza, bensì azione»[61]. Escrivá riteneva inadatta a educare e a formare gli altri una persona affetta da pessimismo cronico e non disposta a usare i mezzi adatti per togliersi radicalmente questo difetto. Per un educatore la virtù dell’ottimismo consiste nello sforzarsi abitualmente di vedere prima i lati positivi di un alunno per poi far leva su di essi nel cercare di modificare quelli negativi.

— Fortezza

«Cominciare e ricominciare», per cercare di fare sempre meglio dopo una battuta di arresto; è una frase tipica che san Josemaría amava ripetere per incoraggiare le persone a reagire positivamente davanti agli insuccessi personali e collettivi: «La tua vita interiore dev’essere proprio questo: cominciare… e ricominciare»[62]. Si tratta di una fortezza d’animo, che è basata sul riconoscimento umile dei propri limiti e sulla fiducia sconfinata nell’onnipotente misericordia di Dio, che ci offre ogni volta i mezzi necessari per ricominciare. «Non ti vergognare di scoprire che nel cuore hai il fomes peccati — l’inclinazione al male, che ti farà compagnia finché vivi, poiché nessuno è libero da questo peso. Non ti vergognare, poiché il Signore, che è onnipotente e misericordioso, ci ha dato tutti i mezzi per superare questa inclinazione: i Sacramenti, la vita di pietà, il lavoro santificato. — Impiegali con perseveranza, disposto a cominciare e a ricominciare, senza scoraggiarti»[63]. Gli adulti che sanno rialzarsi immediatamente dopo un insuccesso perché umili, sanno anche incoraggiare i giovani a non rassegnarsi bensì a lottare davanti alle difficoltà e agli insuccessi[64].

— Sobrietà

Ai genitori san Josemaría Escrivá raccomandava spesso di dare esempio di sobrietà nella vita familiare e di fornire ai figli poco denaro. Quando nel libro Cammino osserva che l’unico modo per essere apostolo è amare e praticare la povertà di spirito, contentandosi «di quello che basta per trascorrere la vita con sobrietà e temperanza»[65] oppure quando in Amici di Dio[66] dedica un’intera omelia al tema del distacco, un modo più laicale per denominare la virtù cristiana della povertà, le sue parole sono molto vicine agli insegnamenti di Papa Francesco[67].

— Gusto dell’opera ben fatta

La cura delle piccole cose sembrerebbe la traduzione pedagogica più diretta della dottrina di Josemaría Escrivá sulla santificazione del lavoro[68]. Il lavoro ben progettato e ben svolto esige che sia anche finito bene perché dalla cura dei particolari si nota l’amore con cui la persona ha lavorato, e quindi si capisce se è migliorata mentre cercava di realizzare il suo compito di servizio agli altri nel miglior modo possibile, con il tempo e i mezzi disponibili[69]. Per Escrivá il lavoro ben fatto non nasce dalla mania di perfezionismo o dallo stoico senso del dovere, ma dall’intenzione libera di servire gioiosamente gli altri, cioè dallo spirito di servizio; solo così si evita il rischio dell’abitudinarismo, che induce a lavorare sciattamente con mentalità puramente esecutiva[70].

— Religiosità

«I piccoli devono vedere nei genitori un esempio di dedizione, di amore sincero, di mutuo aiuto, di comprensione; le piccole difficoltà di ogni giorno non devono nascondere la realtà di un affetto capace di superare tutto»[71]. Nel rispondere ai genitori che gli chiedevano come impartire l’educazione religiosa ai figli molto piccoli di età, Escrivà, come prima cosa, raccomandava loro di volersi molto bene perché il bambino intuisce che Dio è Amore percependo come la mamma e il papà si vogliono bene tra loro[72]. Per fedeltà agli insegnamenti del loro fondatore, a tutti i genitori che intendono iscrivere i figli in una scuola che si ispira allo spirito dell’Opus Dei — e quindi anche a quelli che non praticano la religione cattolica — i dirigenti scolastici consegnano e illustrano il progetto educativo del centro, in modo che essi possano riflettere bene prima di decidere se iscrivere o meno i figli.

Si spiega ai genitori che sul tronco delle virtù naturali, denominate anche virtù umane, si innesta l’educazione religiosa, e specificamente quella cristiano-cattolica, che ha lo scopo prioritario di far nascere nell’educando un sentimento di riconoscenza verso Dio Padre che gli ha dato la possibilità di partecipare alla vita divina grazie alla filiazione adottiva guadagnatagli dall’Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, suo Figlio unigenito, che si è fatto fratello di ogni uomo[73]. Lealmente si comunica a tutti quali sono i valori della scuola condivisi dagli insegnanti di tutte le discipline. Come è logico e giusto, i genitori possono chiedere l’esenzione dei figli dall’insegnamento della religione cattolica.

La collegialità del lavoro educativo

Agli insegnanti, che vogliono seguire le idee espresse da san Josemaría Escrivá sull’educazione — in qualunque scuola essi lavorino —, oltre all’impegno di migliorare continuamente nelle virtù che desiderano far acquisire ai loro alunni e oltre alla disponibilità verso il long life learning sia nel loro ambito scientifico-disciplinare sia in quello pedagogico-didattico (altrimenti che senso avrebbe parlare di santificazione personale mediante il lavoro?), si richiede anche una profonda convinzione sull’intrinseca dimensione collegiale del lavoro educativo.

L’educazione di una persona è un lavoro collegiale di molti artisti che, raccordandosi tra loro, producono una sinfonia meravigliosa. Ogni insegnante tende a percepire nell’alunno aspetti positivi o negativi in misura maggiore o minore, a seconda della propria sensibilità; è un fatto inevitabile e di cui bisogna essere consapevoli per autocontrollarsi. L’insegnante non dovrebbe aspirare a fabbricare individui a propria immagine e somiglianza, ma a far sì che ogni persona diventi quello che può essere mettendo a frutto tutti i suoi talenti. Le valutazioni degli alunni e i progetti educativi personalizzati richiedono necessariamente l’integrazione dei punti di vista di diversi educatori. L’alunno non deve diventare come lo vorrebbe il singolo insegnante ma come il team di specialisti dell’educazione, in accordo con i suoi genitori, riesce a promuovere in lui lo sviluppo di tutte le sue potenzialità, in modo armonico e organico.

Chi ha letto gli scritti di Escrivá rivolti specificamente a coloro che hanno compiti di direzione negli organismi formativi sa che, per lui, il principio della collegialità[74] vige a tutti i livelli: sia nella formazione dei membri dell’Opera, sia in quella delle persone che si avvicinano all’Opus Dei, sia nei suoi centri educativi e formativi, aperti a tutti, dove lavorano professionalmente i membri della Prelatura insieme ad altri colleghi.

Conclusione

Come si è detto all’inizio, Escrivá non è stato un pedagogista ma un formatore, non ha scritto un trattato di Pedagogia, ma durante la sua vita ha formato migliaia di persone di tutte le età e condizioni. Dagli scritti e dalle opere di san Josemaría Escrivá è stato possibile ricavare alcuni canoni ispiratori delle azioni educative e formative, una vera e propria «pedagogia implicita», che si basa sul presupposto antropologico dell’uomo come figlio di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza in un modo unico e irripetibile, con una specificità maschile o femminile in vista della collaborazione reciproca tra i due sessi. Affinché ogni uomo diventi pienamente uomo ha bisogno di acquisire, con l’educazione, la sua forma specifica: la libertà morale. Per Escrivá, il fine dell’educazione dell’uomo è l’acquisizione della capacità di scelta morale o libera, con la corrispondente responsabilità delle azioni da lui intraprese consapevolmente.

La manifestazione di fiducia alle persone da educare e formare è la prima raccomandazione metodologica di Escrivá agli educatori e ai formatori, i quali devono creare innanzitutto un clima amichevole e cordiale nei luoghi e nelle circostanze in cui lavorano. La collaborazione tra genitori e insegnanti, la collegialità nelle decisioni pedagogiche, la costituzione di una vera e propria comunità educativa sono tre costanti che si riscontrano in tutte le istituzioni educative promosse o ispirate da Escrivá. Le principali virtù umane che san Josemaría ha insegnato a praticare costituiscono la base indispensabile per edificare la vita soprannaturale, nel senso che lo sforzo per acquisirle segnala la disponibilità dell’uomo ad aprirsi all’azione santificante della Grazia divina. Ciò, in estrema sintesi, è quanto si è cercato di dimostrare in questo articolo.

Circa un anno prima della sua morte, nell’ultima lettera pastorale che scrisse ai membri dell’Opus Dei, contemplando i frutti del lavoro formativo svolto in quasi cinquanta anni, san Josemaría ringraziava il Signore per la fedeltà e la perseveranza di coloro che lo avevano seguito nell’annunciare in tutto il mondo che si erano aperti «i cammini divini della terra», come gli piaceva ripetere nelle sue conversazioni familiari[75].

Effettivamente san Josemaría ha formato molte persone, che a loro volta hanno promosso una molteplicità di iniziative educative e formative. L’efficacia dell’azione del fondatore dell’Opus Dei si spiega innanzitutto con la Grazia di Dio, poi con il valore del messaggio proposto e con la ricchezza della sua personalità, ma anche con le sue idee sull’educazione e la formazione. In questo articolo si è cercato di evidenziare i principi pedagogici ricavabili dagli scritti di Escrivá o dai documentari che lo ritraggono durante incontri formativi oppure, indirettamente, dalle iniziative educative e formative realizzate da quanti si ispirano al suo messaggio.

Una ulteriore curiositas pedagogica, che richiederebbe uno studio specifico, si accende riflettendo sul fatto che, a partire dal 1949, san Josemaría ha inviato nei cinque continenti piccoli gruppi di figlie e figli spirituali, per lo più di età inferiore ai trenta anni, per impiantarvi l’Opus Dei restando fisicamente isolati da lui per molti mesi e a volte anni, sebbene accompagnati dalla sua preghiera, dal suo affetto, dalle lettere e da qualche telefonata intercontinentale. Come è stato possibile che queste giovani donne e questi giovani uomini abbiano assimilato così bene, in poco tempo, lo spirito del fondatore e, già negli anni Cinquanta del secolo scorso, si siano dimostrati a loro volta formatori efficaci, oltre che nei Paesi europei, anche nell’America settentrionale e meridionale, in Africa, Asia e Oceania, vale a dire in realtà culturali molto diverse? Indubbiamente essi hanno dimostrato di saper coniugare lo spirito di iniziativa con la fedeltà al carisma del fondatore.

La pista da percorrere, per spiegare «l’effetto moltiplicatore» delle idee pedagogiche e dell’esempio educativo di san Josemaría Escrivá, passa attraverso i principi e le doti che hanno sorretto la sua azione come «formatore di formatori»: l’amore incondizionato alla libertà personale, la chiarezza comunicativa, la sua capacità empatica, la fiducia assoluta che i suoi figli spirituali hanno sempre percepito, la consapevolezza della filiazione divina che è riuscito a radicare profondamente in loro, l’invito costante alla sincerità e alla lealtà, l’esigenza nel pretendere da ognuno un lavoro ben fatto, l’affermazione del principio della collegialità nel lavoro educativo.

* Versione ampliata dell’articolo consultabile on line sul numero 1 dell’anno 2015/16 della rivista Nuova Secondaria della casa editrice La Scuola di Brescia.

[1] Cfr. Ramón Pomar, “San Josemaría y la promoción del Colegio Gaztelueta”, in Studia et Documenta, vol. 4 (2010), p. 121.

[2] Intendo per educazione l’azione intenzionale che mira a rendere il minore moralmente libero e responsabile dei suoi atti; intendo per formazione l’azione che mira a perfezionare l’adulto, che liberamente lo desidera, in qualche aspetto della sua vita. Effettivamente l’attività educativa è rivolta a persone molto giovani che non hanno ancora acquisito la piena capacità di scelta morale o libera, vale a dire la forma umana che dà unitarietà alle molteplici conoscenze, abilità e competenze che alimentano la loro crescita. Gli adulti hanno il dovere di educare i ragazzi, che si aspettano di essere educati, anche se a volte borbottano o si ribellano all’autorità dei loro educatori. Il processo formativo si innesta gradualmente su quello educativo. La formazione è possibile quando una persona, man mano che diventa libera e responsabile dei suoi atti, decide di perfezionarsi lungo l’intero arco della propria vita in aspetti particolari: carattere, vita spirituale, attività professionale, dottrina religiosa, apostolato, cultura, politica, arte, sport, etc. La formazione deve essere inizialmente cercata, non può essere solo accettata, come avviene nel caso dell’educazione quando l’educando avverte che l’educatore ha preso l’iniziativa per fargli acquisire qualcosa che da solo non riuscirebbe a conquistare e quindi accetta volentieri di collaborare. Invece la richiesta di formazione non può che partire dal diretto interessato; infatti una formazione calata dall’alto — si pensi, ad esempio, a certi corsi di aggiornamento professionale obbligatori — è inefficace.

[3] Le citazioni in lingua italiana delle opere edite di san Josemaría Escrivá sono ricavate dalle pubblicazioni della casa editrice Ares di Milano. Per gli scritti inediti, facilmente riconoscibili dall’indicazione AGP (Archivio Generale della Prelatura), si riporta in nota la citazione originale in lingua spagnola.

[4] «Prepara bien tus clases, y sé leal con tus alumnos, de manera que ellos, poco a poco, vayan siendo amigos tuyos. Por fin, no te distancies de los chicos. Procura salir a su encuentro, a mitad de camino, para que ellos recorran voluntariamente la otra mitad. Así los irás conociendo muy bien». (Hogares luminosos y alegres. Catequesis sobre la familia, AGP, Biblioteca, P11, p. 135).

[5] Víctor García Hoz, Tras las huellas del Beato Josemaría Escrivá de Balaguer. Ideas para la educación, Rialp, Madrid 1997, p. 12.

[6] Cfr. Juan Manuel Mora, “Le università di ispirazione cristiana: identità, cultura, comunicazione”, in Romana, n. 54 (2012/1), pp. 185-207; AA.VV., Josemaría Escrivá de Balaguer y la Universidad, Eunsa, Pamplona 1993.

[7] Maria-angeles Vitoria, “L’éducation au service de la vocation divine de l’homme selon saint Josemaría Escrivá”, in AA.VV., Education et éducateurs chrétiens, L’Harmattan, Paris 2013, p. 190.

[8] Cfr. Víctor García Hoz, “La pedagogia in Mons. Escrivá de Balaguer”, in Studi Cattolici, 182-3 (1976), pp. 260-266.

[9] Cfr. Víctor García Hoz, Tras las huellas del Beato Josemaría Escrivá de Balaguer. Ideas para la educación, Rialp, Madrid 1997.

[10] Madonna Murphy, “Educación y enseñanza”, in José Luis Illanes (ed.), Diccionario de san Josemaría Escrivá de Balaguer, Instituto Histórico San Josemaría Escrivá de Balaguer, Editorial Monte Carmelo, Burgos 2013, pp. 360-364.

[11] Nella traduzione italiana del verbo castigliano querer occorre considerare che esso ha un doppio significato, “volere” e “amare”. In pedagogia i due significati si implicano mutuamente e si rafforzano a vicenda. In questo scritto sull’educazione il querer di Escrivá è tradotto sempre con “volere”, ma conviene considerare che non è un volere “freddo” perché la volontà è “riscaldata” dall’amorevolezza.

[12] Cfr. San Josemaría, Colloqui con Monsignor Escrivá, Ares, Milano 1968, n. 84 (Conversaciones con Mons. Escrivá de Balaguer, Rialp, Madrid 1968).

[13] Solo con l’educazione è possibile l’adesione volontaria delle persone alla legge morale, su cui si fonda la speranza del rispetto della norma giuridica, che la recepisce, da parte dei cittadini, come insegna anche Papa Francesco. «L’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale» (Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2015, n. 211). La trasformazione personale costituisce il risultato positivo di un’educazione ben riuscita.

[14] «Ama la libertad de tus hijos y enséñales a administrarla bien. Que sepan que la libertad tiene una gran enfermedad, que consiste en no querer aceptar la correspondiente responsabilidad. Entonces no es libertad, sino libertinaje». (Hogares luminosos y alegres. Catequesis sobre la familia, p. 67).

[15] San Josemaría, Amici di Dio, Ares, Milano 1977, n. 29 (Amigos de Dios, Rialp, Madrid 1977).

[16] Per sottolineare le ragioni pedagogiche implicite nel binomio inscindibile libertà-responsabilità che si trova negli scritti di Escrivá, vorrei ricordare che l’attività degli educatori consiste, simultaneamente, nell’illuminazione della coscienza morale degli educandi e nel suscitare la loro buona volontà di agire secondo i principi morali scoperti con la riflessione interiore. La saggezza e la professionalità degli educatori, possibilmente basate sui risultati della ricerca pedagogica, individuano poi i modi e le forme più adatte per lo sviluppo della libertà morale nelle diverse tappe della crescita dei bambini, dei ragazzi, dei preadolescenti, degli adolescenti e dei giovani. Tuttavia il primo passo metodologico-educativo consiste sempre nell’aiutare l’educando a riflettere sinceramente su di sé, a considerare come è attualmente per poi decidere come vorrebbe diventare.

[17] Papa Francesco, Amoris laetitia. Esortazione apostolica postsinodale sull’amore nella famiglia, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2016, n. 261.

[18] Ibidem, n. 262.

[19] Ibidem, n. 264.

[20] Ibidem, n. 265.

[21] Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 73.

[22] San Josemaría amava citare spesso nei suoi incontri con i giovani la frase di Isaia (1, 17) “discite benefacere — imparate a fare il bene”.

[23] Amici di Dio, nn. 168-169.

[24] I principi metodologici-educativi della progressività e dell’armonia impongono che le conoscenze, le abilità e i valori vengano presentati in una forma e con un linguaggio adeguati all’età dell’educando. L’errore dell’adultismo consiste nel trattare i bambini come se fossero degli adulti in miniatura.

[25] I genitori e gli insegnanti cadono nel moralismo, il più delle volte per pigrizia, perché non compiono lo sforzo di pensare come far sì che un principio morale oggettivamente buono diventi soggettivamente tale anche per l’educando o, più in generale, come far sì che egli interiorizzi un valore assoluto. Per ottenere che un ragazzo si comporti moralmente bene, non basta enunciargli dei principi morali oggettivi a lui esterni, ma bisogna aiutarlo a conquistarli soggettivamente, a scoprirli dentro di sé con un percorso di adesione al bene che lo conduca a praticare le virtù che costituiscono la traduzione operativa dei valori da lui compresi e accettati. Come è noto, la vita comunitaria, l’ascolto di narrazioni, la visione di film e la lettura di storie consentono al ragazzo di sperimentare come si sta bene quando ci si sforza di vivere le virtù; poi, quando si sviluppa meglio la capacità riflessiva, arriva l’interiorizzazione dei principi morali e la piena capacità di scelta libera. Intanto però il minore ha già fatto in qualche modo esperienza che la vita buona fa stare bene e ne conserva un ricordo gradevole.

[26] La raccomandazione di essere attenti alla psicologia e ai bisogni dell’educando è cosa ben diversa dalla condivisione dello spontaneismo naturalistico che sul piano pratico porta al lassismo nell’educazione morale.

[27] Al termine di un processo educativo ben riuscito il giovane sarà capace di agire abitualmente con libertà, secondo i principi morali interiorizzati, cioè compresi e amati attraverso i suoi educatori; a quel punto il giovane, per agire bene, non ha più bisogno di continua assistenza, controllo, promesse di premi o minacce di castighi.

[28] Papa Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2013, n. 9.

[29] L’amicizia tra due persone nasce quando si condivide uno stesso interesse; nel caso specifico di due persone che instaurano una relazione educativa, l’interesse comune dell’educatore e dell’educando consiste nel conseguimento della piena forma umana da parte dell’educando, vale a dire la sua capacità autonoma e costante di saper agire abitualmente bene per un motivo vero e giusto, da lui interiormente compreso e amato.

[30] Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 100.

[31] Michelangelo Peláez, “San Josemaría Escrivá e la sfida educativa”, in Studi Cattolici, 600 (2011), p. 91.

[32] Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 104.

[33] Certamente la capacità di scelta morale libera non sorge all’improvviso, come spunta in un bosco un fungo dopo una notte di pioggia. Per il fatto che la libertà si acquisisce gradualmente e migliora in intensità e in estensione nella misura in cui è usata bene, si giustifica l’orientamento che gli alunni ricevono a scuola e che mira appunto a sostenerli nell’esercizio iniziale della libertà personale.

[34] Per indicare il sostegno fornito dagli adulti ai minori, che sviluppano progressivamente la capacità di agire con libertà e responsabilità, nei vocabolari italiani è presente il termine tutorato per indicare la funzione e il termine tutoraggio per indicare l’attività; senza distinguere tra funzione e attività, la lingua spagnola usa il termine tutoria e quella inglese tutoring.

[35] Diceva in spagnolo: «Porque me da la gana» (cfr. È Gesù che passa, Ares, Milano 1974, nn. 17 e 184 [Es Cristo que pasa, Rialp, Madrid 1973]; Amici di Dio, n. 35).

[36] Lettera di Escrivá dell’8-VIII-1956, n. 38, citata in Ernst Burkhart - Javier López, Vida cotidiana y santidad en la enseñanza de San Josemaría, Rialp, Madrid 2011, vol. II, p. 252.

[37] Concepción Naval, “La confianza: exigencia de la libertad personal”, in Antonio Malo (ed.), La dignità della persona umana. International Congress “The Grandeur of Ordinary Life” (8-11 gennaio 2002), vol. III, Edusc, Roma 2003, p. 241.

[38] José maría Barrio Maestre, “Educar en la libertad. Una pedagogía de la confianza”, in Francisca R. Quiroga (ed.), Trabajo y educación, International Congress “The Grandeur of Ordinary Life” (8-11 gennaio 2002), vol. VI, Edusc, Roma 2003, p. 93.

[39] Cfr. Ibid., p. 96.

[40] Cfr. Víctor García Hoz, “La pedagogia in Mons. Escrivá de Balaguer”, p. 264.

[41] Cfr. Andrés Vazquez de Prada, Il fondatore dell’Opus Dei. La biografia di san Josemaría Escrivá. III volume: 1946-1975, Leonardo International, Milano 2004, p. 169.

[42] «En el colegio hay tres cosas importantes: lo primero, los padres; lo segundo, el profesorado; lo tercero, los alumnos». (Hogares luminosos y alegres. Catequesis sobre la familia, p. 132).

[43] Dall’esperienza della vita delle scuole promosse da genitori membri dell’Opus Dei insieme ai loro amici, si è visto che un nuovo centro educativo può nascere solo se c’è un gruppo di genitori, con una buona formazione pedagogica, che se ne assume la responsabilità della promozione e della gestione; a distanza di tempo quel centro educativo poi continua a funzionare bene quando il gruppo promotore, fin dall’inizio, si preoccupa di individuare e formare ogni anno nuovi genitori che, al momento opportuno, possano subentrare nella gestione del centro in buona armonia con i dirigenti scolastici perché hanno assimilato perfettamente il progetto educativo. Il ciclo del ricambio completo del gruppo dei genitori promotori trainanti della scuola, cioè dei trascinatori entusiasti e competenti, di solito si conclude nel giro di venti anni.

[44] «Por tanto, ¡insisto!: esta clase de Colegios, promovidos por los padres de familia, tienen interés, en primer término, para los padres de familia; luego, para el profesorado, y después para los estudiantes» (Hogares luminosos y alegres. Catequesis sobre la familia, p. 132). Effettivamente, quando ci si impegna per trovare applicazioni organizzative a questa affermazione di principio bisogna chiarire le competenze dei membri del consiglio di amministrazione dell’ente gestore della scuola, dei membri del consiglio direttivo della scuola, dei rappresentanti dei genitori nei consigli di classe, dei singoli genitori e dei singoli insegnanti. Se invece le competenze restano vaghe e indefinite, nascono inevitabilmente conflittualità tra famiglia e scuola, specialmente quando si devono valutare i risultati conseguiti dagli alunni, dagli insegnanti e dai dirigenti scolastici, per prendere tempestivamente provvedimenti premiali o correttivi.

[45] Solo l’amicizia dei genitori che hanno promosso un istituto scolastico con i genitori dei nuovi alunni può assicurare la continuità di quella istituzione; infatti il ricambio graduale dei responsabili avviene nella misura in cui nuovi genitori si entusiasmano e si coinvolgono nell’impresa educativa, che altri hanno avviato o sviluppato. Anche in ciò si comprende perché, per Escrivá, a scuola vengono prima i genitori, poi gli insegnanti e infine gli alunni; senza genitori che, nel rispetto dell’autonomia professionale degli insegnanti e dei dirigenti, siano i primi responsabili di un centro scolastico, questo non riesce ad andare avanti.

[46] Ai genitori cristiani, riferendosi all’educazione da offrire ai propri figli, Escrivá diceva: «Così contribuirete efficacemente a fare di loro dei veri cristiani, uomini e donne integri, capaci di affrontare con spirito aperto le diverse situazioni della vita, capaci di porsi al servizio dei loro simili, di contribuire alla soluzione dei grandi problemi dell’umanità, e di testimoniare Cristo nella società a cui domani apparterranno» (È Gesù che passa, n. 28).

[47] Sono pertanto scuole promosse da cittadini cattolici insieme ad altri; si tratta di iniziative civili e non ecclesiastiche. Al riguardo, Escrivá, rispondendo alle domande del direttore della Gaceta Universitaria di Madrid, disse: «Devo riconoscere, d’altro canto, che non nutro simpatia per espressioni come “scuola cattolica”, “collegi della Chiesa”, e simili, anche se rispetto quanti pensano il contrario. Preferisco che le cose si riconoscano dai loro frutti, non dal nome che portano. Una scuola sarà effettivamente cristiana quando, pur essendo una delle tante, ma sforzandosi di elevare costantemente il proprio livello, svolge un’opera formativa completa — anche sotto il profilo cristiano —, nel rispetto della libertà personale e adoperandosi per risolvere gli urgenti problemi di giustizia sociale. Purché si raggiungano questi obiettivi, poco importa il nome. Personalmente, ripeto, preferisco evitare queste qualifiche» (Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 81)

[48] San Josemaría, Solco, Ares, Milano 1986, n. 428 (Surco, Rialp, Madrid 1986).

[49] Nelle istituzioni formative post-secondarie che si ispirano al carisma dell’Opus Dei, come ad esempio le università, tale criterio non vige.

[50] Per Escrivá il pluralismo delle soluzioni organizzative è funzionale alle diverse esigenze formative delle persone e pertanto deve essere sempre amato da tutti i cattolici. Anche se in quella circostanza non si riferiva agli alunni delle scuole promosse da membri dell’Opus Dei bensì alle persone sposate che partecipano alle attività di formazione spirituale dell’Opera, nel rispondere alla domanda di una giornalista spagnola, Escrivá (Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 99), citando gruppi cattolici che organizzano attività di formazione spirituale per uomini e donne insieme, dichiarò che gli sembrava bene che facessero ciò che ritenessero più opportuno per le persone che, partecipandovi, erano aiutate a vivere meglio la loro vocazione cristiana; ma che questo non poteva essere ritenuto l’unico modo di dare formazione spirituale né era evidente che fosse il migliore.

[51] Quando Escrivá era in vita non erano ancora molto diffusi i risultati delle ricerche sperimentali che hanno dimostrato come nelle scuole single sex gli apprendimenti siano significativamente migliori che nelle scuole miste anche dopo avere eliminato, con una specifica procedura statistica, gli effetti positivi indotti dalla migliore attenzione ai compiti che i figli-alunni svolgono a casa, che è stata riscontrata nei genitori che scelgono una scuola omogenea, e dalla maggiore professionalità riscontrata negli insegnanti che lavorano in questo tipo di scuole per una profonda convinzione pedagogica. Non ci sono pertanto elementi sufficienti per affermare che fu innanzitutto un motivo di efficacia didattica a far propendere il fondatore dell’Opus Dei verso la scelta organizzativa delle scuole monogenere.

[52] Álvaro Del Portillo, Intervista sul fondatore dell’Opus Dei, Milano, Ares 1992, p. 71.

[53] Forgia, n. 328.

[54] «Hacedlos leales, sinceros, que no tengan miedo a deciros las cosas. Para eso, sé tú leal con ellos, trátalos como si fueran personas mayores, acomodándote a sus necesidades y a sus circunstancias de edad y de carácter. Sé amigo suyo, sé bueno y noble con ellos, sé sincero y sencillo» (Hogares luminosos y alegres. Catequesis sobre la familia, p. 75).

[55] Amici di Dio, n. 159.

[56] È Gesù che passa, n. 149.

[57] Solco, n. 733.

[58] Papa Francesco, Laudato si’, n. 213.

[59] San Josemaría, Forgia, Ares, Milano 1987, n. 99 (Forja, Rialp, Madrid 1987).

[60] Ibid., n. 727.

[61] Solco, n. 864.

[62] San Josemaría, Cammino, Ares, Milano 1956, n. 292 (Camino, Rialp, Madrid 1945).

[63] Forgia, n. 119.

[64] Mi sento di poter dire che una scuola che si ispira ai principi educativi di Escrivá riesce a lasciare negli alunni almeno i punti di riferimento per camminare liberamente nella direzione giusta verso la felicità personale, se e quando si vuole. Agli insegnanti che, non percependo subito l’efficacia del loro lavoro educativo, potrebbero scoraggiarsi, giova ricordare i racconti di ex alunni difficili che dicono più o meno: «Mi ero allontanato dalla retta via, dentro di me sapevo qual era la strada giusta ma non la volevo percorrere, ora ho deciso di imboccarla».

[65] Cammino, n. 631.

[66] Cfr. Amici di Dio, nn. 110-126.

[67] Sull’educazione alla sobrietà Papa Francesco è intervenuto spesso. In questa occasione ricordiamo solo quanto è scritto nel sesto capitolo dell’enciclica Laudato si’: «Se si vuole raggiungere dei cambiamenti profondi, bisogna tener presente che i modelli di pensiero influiscono realmente sui comportamenti. L’educazione sarà inefficace e i suoi sforzi saranno sterili se non si preoccupa anche di diffondere un nuovo modello riguardo all’essere umano, alla vita, alla società e alla relazione con la natura. Altrimenti continuerà ad andare avanti il modello consumistico trasmesso dai mezzi di comunicazione e attraverso gli efficaci meccanismi del mercato» (n. 215).

[68] Cfr. Carlo Pioppi, Escrivá de Balaguer. Un’educazione cristiana alla professionalità, La Scuola, Brescia 2013.

[69] Secondo Víctor García Hoz che, come si è già detto, fu impressionato dalle idee pedagogiche di san Josemaría, la presentazione pubblica (alla classe, alla scuola, alla città) di un’opera ben fatta, senza esibizionismo ma per condivisione, costituisce la migliore dimostrazione del buon esito educativo di un’attività di apprendimento realizzata dagli alunni. Si veda, ad esempio, quanto il pedagogista spagnolo scrive nelle pagine 157-182 del sesto volume del Tratado de educación personalizada, da lui diretto, intitolato La práctica de la educación personalizada (Rialp, Madrid 1988).

[70] Cfr. Giorgio Faro, “Esistono virtù proprie del lavoro? Un contributo di san Josemaría Escrivá”, in Javier López Díaz (ed.), San Josemaría e il pensiero teologico. Atti del Convegno teologico: Roma, 14-16 novembre 2013, volume II, Edusc, Roma 2015, pp. 293-302.

[71] Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 108.

[72] La sintonia degli insegnamenti di san Josemaría con Papa Francesco si nota anche a proposito dell’educazione religiosa in famiglia: «In famiglia, la fede accompagna tutte le età della vita, a cominciare dall’infanzia: i bambini imparano a fidarsi dell’amore dei loro genitori. Per questo è importante che i genitori coltivino pratiche comuni di fede nella famiglia, che accompagnino la maturazione della fede dei figli. Soprattutto i giovani, che attraversano un’età della vita così complessa, ricca e importante per la fede, devono sentire la vicinanza e l’attenzione della famiglia e della comunità ecclesiale nel loro cammino di crescita nella fede» (Papa Francesco, Lumen Fidei, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2013, n. 53).

[73] La persona che possiede una buona base di virtù naturali — compresa la virtù naturale della religiosità (senso di riconoscenza totale a Dio) — è in grado di apprezzare il più grande dono che Dio ha fatto all’uomo, la libertà morale; un dono che Egli non gli ritira più anche se a volte l’uomo lo usa per ribellarsi a Lui, finendo inevitabilmente per fare solo male a sé stesso, oltre che far soffrire gli altri. Le virtù soprannaturali infuse da Dio nell’animo del battezzato — e che si accrescono con la corrispondenza personale alla Grazia divina nel corso della vita terrena — si innestano, perfezionandole, sulle virtù naturali. L’aggettivo «cristiana» dà un ulteriore orizzonte di senso all’educazione, la rende più attenta alla lotta interiore fra le tendenze negative e positive che ogni uomo avverte dentro di sé, fornisce all’educando fiducia e sicurezza perché lo rende consapevole di non essere un naufrago attaccato a una tavola in mezzo a un mare in tempesta e sballottolato dalle onde ora di qua, ora di là, senza una meta; gli è invece chiara la meta che Dio buono e onnipotente vuole fargli raggiungere per la sua felicità completa e senza fine.

[74] Il principio della collegialità fu da lui affermato già nel 1936 quando, essendo imminente l’apertura dei primi centri dell’Opus Dei fuori Madrid, precisamente a Valencia e a Parigi, il fondatore scrisse alcuni orientamenti per coloro che sarebbero dovuti partire presto per dirigere il lavoro formativo in quelle città (cfr. Instrucción, 31-V-1936).

[75] «He de agradecer al Señor su gran bondad, porque mis hijas y mis hijos me han proporcionado, en este casi medio siglo, tantas y tantas alegrías, precisamente con su adhesión firme a la fe, su vida reciamente cristiana y su total disponibilidad — dentro de los deberes de su estado personal, en el mundo — para el servicio de Dios en la Obra. Jóvenes o menos jóvenes, han ido de acá para allá con la mayor naturalidad, o han perseverado fieles y sin cansancio en el mismo lugar; han cambiado de ambiente si se necesitaba, han suspendido un trabajo y han puesto su esfuerzo en una labor distinta que interesaba más por motivos apostólicos; han aprendido cosas nuevas, han aceptado gustosamente ocultarse y desaparecer, dejando paso a otros: subir y bajar» (San Josemaría, Carta 14-II-1974, n. 5).

Romana, n. 64, Gennaio-Giugno 2017, p. 210-240.

Invia ad un amico