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Nella chiesa di San Pantaleone, Colonia (Germania), in occasione di un viaggio pastorale (19-VIII-2017)

Carissimi fratelli e sorelle,

nella prima lettura (2 Cor 5, 14-20) abbiamo ascoltato questa esortazione di san Paolo: «L’amore del Cristo ci spinge». Ci spinge a vivere non per noi stessi, ma per Colui, Cristo, che per noi morì e risuscitò. Lo stesso Apostolo fa una sintesi di ciò che comportava il passaggio di Gesù sulla nostra terra. «Era Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo». Eppure, rimane tanto da riconciliare con Dio in questo nostro mondo! San Paolo aggiunge che Dio «ha affidato a noi il ministero della riconciliazione».

L’invito pressante dell’amore di Cristo a vivere per lui e non per noi stessi comporta la missione apostolica, evangelizzatrice, della Chiesa, di tutti noi: la missione di portare in tutti gli ambiti della società la “parola della riconciliazione”. A tal fine abbiamo bisogno di formazione e, soprattutto, di conoscere il Vangelo più profondamente. Ecco ciò che dice a ognuno di noi san Josemaría Escrivá: «Urge la diffusione della luce della dottrina di Cristo. Fa’ provvista di formazione, riempiti di idee chiare, della pienezza del messaggio cristiano, per poterlo poi trasmettere agli altri» (Forgia, n. 841).

Forse è sorta nella nostra anima la stessa domanda che Giuda Taddeo rivolse a Gesù: «Come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?» (Gv 14, 22). Non sarebbe meglio, Signore, che facessi tutto tu invece di affidare questo compito alle nostre povere forze? La risposta di Gesù, a Taddeo e a noi, è questa: «Se uno mi ama, [...] il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». In realtà è il Signore a fare tutto, ma lo fa e lo farà mediante la sua Chiesa, attraverso ognuno di noi, nella misura in cui sta in noi in virtù dell’amore.

Tutti — ognuno nel proprio ambiente: famiglia, lavoro, relazioni sociali — possono e devono far presente la parola di riconciliazione, far presente il Vangelo, far presente Cristo. Che missione grandiosa, nonostante la nostra debolezza personale! Come ha detto Benedetto XVI nel solenne inizio del pontificato: «Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui» (Omelia, 24-IV-2005).

Il passo del Vangelo che abbiamo appena ascoltato (Gv 17, 20-26) ha trasportato il nostro pensiero al cenacolo di Gerusalemme, durante l’ultima Cena del Signore. In quella lunga preghiera sacerdotale, arriva un momento in cui Gesù prega Dio Padre non solo per gli apostoli lì presenti, ma anche per noi che col volgere dei secoli saremmo stati suoi discepoli. Che cosa ha chiesto Cristo per noi? L’unità: «Tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te». Questa unità è necessaria per l’efficacia dell’evangelizzazione, perché il mondo riconosca Cristo; come dice il Signore, «perché il mondo conosca che tu mi hai mandato».

L’unità che Gesù ha chiesto per noi ha come paradigma e fondamento l’unità divina tra il Padre e il Figlio, che è lo Spirito Santo, Amore personale infinito. Sforziamoci, dunque, di essere strumenti di unità nella Chiesa, essendo strumenti di unità nella propria famiglia, nel proprio ambiente, nella vita ordinaria, mediante l’amore, mediante una carità affettiva ed effettiva.

«Tutti siano una sola cosa... perché il mondo creda». Tutto ciò rinvia il nostro pensiero a Papa Francesco che, come Romano Pontefice, è appunto principio visibile e fondamento dell’unità della Chiesa (cfr. Cost. dogm. Lumen gentium, n. 18). Non manchi nella nostra giornata una preghiera frequente per il Papa, per le sue intenzioni, per la sua attività di pastore della Chiesa universale.

Come pregava san Josemaría, tutti, assieme al Papa, andiamo a Gesù attraverso Maria: Omnes cum Petro ad Iesum per Mariam!

Romana, n. 65, Luglio-Dicembre 2017, p. 277-278.

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