envelope-oenvelopebookscartsearchmenu

La scoperta della vocazione Riflessioni sulla vocazione e il discernimento a partire dagli insegnamenti di san Josemaría

Pablo Marti del Moral

Professore di Teologia Spirituale, Università di Navarra

Il concetto di discernimento è una realtà tanto ampia quanto fondamentale. L’esposizione che il classico Dictionnaire de spiritualité ascétique et mystique fa intorno al “discernement des esprits”[1] comprende vari aspetti, quali i motivi delle scelte e dei comportamenti, le eventuali influenze su queste motivazioni, i segni dei tempi, i carismi, le ispirazioni e le mozioni interiori, l’accompagnamento spirituale, ecc. Viene comunque evidenziato che l’essere umano non è predeterminato e deve affrontare il compito di discernere le sue convinzioni e le sue decisioni. Ecco dunque che l’importanza del discernimento deriva dalla sua relazione con la libertà, che a sua volta dipende dalla comprensione della verità pratica (“che cosa conviene fare”).

Si è scritto molto intorno al discernimento spirituale[2], vale a dire, al discernimento associato alla vita dello spirito, e più specificamente alla vita cristiana[3].

Papa Francesco ha impiegato il termine in numerosi discorsi e documenti, in contesti diversi. In modo particolare, se ne è servito per riferirsi alla vocazione di persone giovani, specialmente nella recente Esortazione apostolica Christus vivit; dice, per esempio: “Una espressione del discernimento è l’impegno per riconoscere la propria vocazione”[4].

Negli scritti e nella predicazione di san Josemaría si trovano varie considerazioni sulla scoperta della propria vocazione cristiana, che si può intendere come l’atto di riconoscere che Dio chiama alla santità attraverso un cammino specifico. Come vedremo più avanti, il fondatore dell’Opus Dei ha impiegato poche volte il termine “discernimento” in questo contesto, forse per l’ampiezza del suo significato alla quale abbiamo accennato. Ma questo non impedisce che i suoi insegnamenti, come quelli di tanti maestri della vita spirituale, gettino luce sull’esercizio del discernimento vocazionale, che, logicamente, è stato in questi mesi al centro della riflessione ecclesiale. Nelle righe che seguono proponiamo alcune considerazioni proprio sul discernimento inteso come scoperta della vocazione, a partire dagli insegnamenti di san Josemaría.

1. Un nuovo fenomeno pastorale, a partire dalla chiamata universale alla santità

Nelle opere di san Josemaría finora pubblicate, i riferimenti alla scoperta della propria vocazione sono numerosi, mentre i termini discernimento e discernere appaiono unicamente in Colloqui, tre volte nella stessa intervista (nn. 59 e 70). L’autore vi sta trattando della chiamata universale alla santità, nucleo della sua predicazione.

Nell’introduzione all’edizione critica spagnola di Colloqui, J. L. Illanes spiega che il fondatore dell’Opus Dei decide di divulgare a un pubblico ampio il messaggio dell’Opus Dei[5], concedendo interviste a diversi mezzi di comunicazione, tra i quali L’Osservatore della Domenica — l’allora settimanale de L’Osservatore Romano — che godeva di una particolare risonanza nell’ambito ecclesiastico. Forse per questo vi appaiono i termini discernimento degli spiriti e discernere, che sono familiari a quel genere di lettori, mentre non appaiono nelle altre interviste concesse a pubblicazioni quali il New York Times o Le Figaro.

Il punto centrale dell’esposizione, fin dall’inizio dell’intervista, è la vocazione dei fedeli laici. “La caratteristica di base del processo di sviluppo del laicato è la presa di coscienza della dignità della vocazione cristiana. La chiamata di Dio, il carattere battesimale, la grazia, fanno sì che ogni cristiano possa e debba incarnare pienamente la fede. Ogni cristiano deve essere alter Christus, ipse Christus[6] presente fra gli uomini”[7].

Si può dire che il messaggio di san Josemaría presuppone la comprensione profonda del battesimo, come sacramento che richiede la elezione divina della persona battezzata: una chiamata personale di Dio, vale a dire, una realtà vocazionale. A partire dalla condizione vocazionale dell’essere cristiano si comprende la vocazione dei fedeli laici come un modo specifico di contribuire alla santità e all’apostolato della Chiesa[8].

Nell’intervista viene messo in evidenza che la vocazione specifica all’Opus Dei comporta un impegno a rispondere personalmente alla chiamata alla santità nella vita ordinaria, civile e secolare, e a diffondere la consapevolezza di questa chiamata universale. L’incorporazione all’Opus Dei richiede una vocazione divina: non è semplicemente una realtà associativa frutto della volontà dei soggetti[9].

La comprensione di questa vocazione specifica presuppone la realtà della vocazione e della missione dei laici, cosa che “comporta una visione più profonda della Chiesa, vista come comunità formata da tutti i fedeli, per cui siamo tutti solidalmente responsabili di una stessa missione, che va compiuta da ciascuno d’accordo con le circostanze personali”[10].

Per dare impulso alla consapevolezza della vocazione laicale c’è bisogno di una nuova pastorale “che porti a scoprire in mezzo al Popolo di Dio il carisma della santità e dell’apostolato, nelle infinite e svariatissime forme in cui Dio lo concede”[11].

Una pastorale a partire dalla cooperazione organica dei fedeli laici con i ministri sacerdoti.

Questa nuova pastorale, tanto esigente quanto necessaria, richiede “il dono soprannaturale del discernimento degli spiriti”, al quale san Josemaría unisce “la sensibilità per le cose di Dio e l’umiltà di non voler imporre le proprie scelte e di servire ciò che Dio suscita nelle anime. In poche parole, l’amore per la legittima libertà dei figli di Dio, che trovano Cristo e sono resi portatori di Cristo, percorrendo strade diverse, ma tutte ugualmente divine”[12].

I sacerdoti “debbono essere realmente servi dei servi di Dio”[13], affinché i semplici cristiani, i laici, possano rendere presente Cristo in tutti gli ambienti della società. “La missione di addottrinare, di aiutare a scoprire sempre meglio le esigenze personali e sociali del Vangelo, di indurre a riconoscere i segni dei tempi, è e sarà sempre uno dei compiti fondamentali del sacerdote. Ma ogni funzione sacerdotale deve compiersi nel massimo rispetto della legittima libertà delle coscienze: chi deve rispondere liberamente a Dio è la singola persona. Del resto, qualsiasi cattolico, oltre all’aiuto da parte del sacerdote, ha anche delle ispirazioni personali che riceve da Dio, una grazia di stato che gli consente di portare a compimento la sua missione specifica di uomo e di cristiano”[14].

Tutti i fedeli sono chiamati a compiere questa missione in virtù del sacerdozio comune ricevuto nel battesimo.

I frammenti di san Josemaría che abbiamo citato sono densi di conseguenze. Sostengono una visione della Chiesa basata sulla sua missione di portare Dio al mondo, vale a dire, come ricorda Papa Francesco, “una Chiesa in uscita”. All’interno della missione della Chiesa si discerne chiaramente qual è il ruolo e l’identità dei ministri sacri: “servi dei servi di Dio”, per aiutare i laici e invitarli a scoprire la volontà di Dio, mettendoli davanti alla loro responsabilità.

Ma qual è la missione e l’identità specifica dei laici? Rendere “presente Cristo in tutti gli ambienti della società”, rispondendo liberamente alla chiamata di Dio.

L’essere cristiano come vocazione o chiamata personale di Dio a ogni soggetto nel battesimo implica connotazioni esistenziali profonde, sia teologiche (paragrafi 2 e 3), sia pastorali (paragrafi 4-6). Passiamole in rassegna.

2. Tutti hanno una vocazione, ognuno la sua

Per il pensiero teologico, comprendere la vita cristiana come vocazione vuol dire sottolineare che Dio chiama tutti, che tutti i battezzati hanno una vocazione, ognuno la sua, e che pertanto la vita si configura come una risposta all’iniziativa d’amore di Dio. “Voi restate in mezzo al mondo non perché Dio si sia dimenticato di voi, non perché il Signore non vi abbia chiamati”[15].

L’iniziativa è sempre di Dio: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15, 16). La vocazione cristiana non è né autorealizzazione, né ricerca del massimo rendimento, bensì aderire ai piani di Dio. Gesù Cristo è entrato nella nostra vita senza chiedercene il permesso. “Neppure io pensavo che Dio mi afferrasse come ha fatto. Ma il Signore — lascia che te lo ripeta — non ci chiede il permesso per ‘complicarci la vita’. Vi entra... e basta!”[16].

Ognuno può ascoltare la voce dello Spirito e dirigere la propria vita liberamente secondo il volere di Dio. Questa è la chiave del discernimento: dove, quando e come Dio si manifesta nella nostra vita.

Dio, inoltre, vuole che tutti siamo partecipi della missione di Gesù: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo” (Mc 16, 15; cfr. Mt 28, 19). Occorre pertanto una pastorale vocazionale; ed ecco allora una domanda: sarà “lecito entrare in tal modo nella vita degli altri?”. Alla quale san Josemaría risponde con chiarezza: “È necessario. Cristo è entrato nella nostra vita senza chiederci il permesso. Allo stesso modo aveva agito con i primi discepoli”[17].

Il modo di intendere la vocazione cristiana cambia radicalmente se si parte dalla chiamata universale alla santità, dalla condizione vocazionale dell’essere cristiano. Se tutti i cristiani hanno vocazione, allora la finalità della pastorale vocazionale e del discernimento non è quella di scartare molte persone e decidere per chi c’è posto in una vocazione, ma quella di aiutare ogni persona a scoprire la propria vocazione. Il discernimento non si deve ridurre a stabilire chi ha e chi non ha vocazione alla vita religiosa o al ministero sacerdotale, ma serve a scoprire qual è il cammino di ciascuno[18].

E ancora: il protagonista del discernimento non è più l’animatore vocazionale o il direttore spirituale, ma il soggetto stesso, benché indubbiamente abbia bisogno di ricevere un consiglio. Così ogni fedele cristiano è aiutato a discernere il proprio cammino e a sceglierlo liberamente.

Nella Chiesa vi sono molteplici vocazioni, modalità diverse dell’unica vocazione battesimale: il sacerdozio ministeriale, la vita consacrata nei suoi vari modelli e la vita laicale con differenti carismi. Quale vocazione è la migliore? “Per ognuno ciò che è più perfetto è — sempre e solo — compiere la volontà di Dio”[19].

Perciò il discernimento amplifica soprattutto una questione fondamentale circa la vocazione: conviene ascoltare Dio e ogni persona. Da chi aiuta a discernere — sacerdote, religioso o laico — ci si aspetta che sia dotato di sensibilità per le cose di Dio, di umiltà, per non imporre le proprie preferenze, e che voglia mettersi al servizio di ciò che Dio promuove in ogni anima. Riassumendo, ci si aspetta che sia mosso dall’amore per la legittima libertà dei figli di Dio[20].

“Questo spirito e questo modo di agire si basano sul rispetto per la trascendenza della libertà rivelata e sull’amore per la libertà della creatura umana. Potrei aggiungere che si basano anche sulla certezza della indeterminazione della storia, aperta a molteplici possibilità che Dio non ha voluto precludere”[21]. Come afferma il testo appena citato, la salvezza — verità rivelata —, la libertà e la storia non si possono separare e sono alla base delle nostre considerazioni.

3. La storia come salvezza[22]

Possiamo ora analizzare il terzo testo nel quale san Josemaría parla esplicitamente di discernimento: “Il male e il bene si mescolano nella storia umana, e il cristiano deve essere quindi una creatura capace di discernere; ma questo discernimento non lo deve condurre mai a negare la bontà delle opere di Dio, al contrario: lo deve condurre a riconoscere il divino che si manifesta nell’umano, persino dietro la nostra stessa debolezza. Un buon motto per la vita si può trovare in quelle parole dell’Apostolo: ‘Tutte le cose sono vostre, voi di Cristo e Cristo di Dio’ (1 Cor 3, 22-23), per compiere così i disegni di quel Dio che vuole salvare il mondo”[23].

Qui il termine discernimento compare associato all’affermazione che il mondo è buono; ancor più, che il mondo è santo. San Josemaría afferma nell’intervista che santificare il lavoro professionale, santificarsi in questo lavoro e contribuire a santificare gli altri mediante la professione è proprio della vocazione all’Opus Dei, come parte dei disegni di Dio per la salvezza.

Questa affermazione sul mondo è un’affermazione anche sulla persona, la sua libertà e la sua azione nel mondo. In sostanza, implica una concezione forte della storia. La storia è luogo di salvezza in conseguenza dell’incarnazione di Cristo e della libertà dei figli di Dio aiutati dalla grazia divina[24].

La filiazione divina — la certezza che Dio è Padre — configura una visione profonda, contemplativa, mistica, della vicenda quotidiana che permette di riconoscere il divino che si manifesta nell’umano[25].

Ci sembra che da ciò nasca la comprensione di san Josemaría della vocazione come realtà esistenziale. Non è una chiamata generica. La vocazione è la vita vista alla luce di un Dio Padre che manifesta il suo amore nella storia, e pertanto reclama la risposta della libertà personale[26].

San Josemaría legge la biografia personale con la profonda fiducia nella provvidenza di un Dio Padre che si prende cura dei suoi figli[27].

La lettura cristiana della storia contempla una narrazione dinamica nella quale intervengono, prima di tutto, Dio Padre, poi ciascuno con l’impiego della propria libertà. La storia viene forgiata dalle vicende che accadono come frutto delle decisioni personali ispirate dalla grazia dell’amore divino. Per comprendere e indirizzare queste vicende il Signore concede la luce e la forza della vocazione: “Se mi domandate come si fa a percepire la chiamata divina, come fa una persona a rendersene conto, vi dirò che si tratta di una nuova visione della vita. È come se si accendesse una luce all’interno di noi; è un misterioso impulso che spinge la persona a dedicare le sue migliori energie a un’attività che a poco a poco, con la pratica, acquista lo spessore di un mestiere. Questa forza vitale, che ha qualcosa della tempesta impetuosa, è quello che altri chiamano vocazione”[28].

4. L’importanza di dare formazione a tutti

Questo orientamento nella teologia della vocazione comporta una serie di conseguenze pastorali. Se partiamo dal fatto che tutti hanno vocazione — ognuno la sua — e che Dio si manifesta nella storia, tenendo però conto della libertà personale, allora è necessario lasciare agire lo Spirito Santo. Mettersi in cammino per scoprire la propria vocazione e la propria missione apostolica richiede, pertanto, che si raggiunga una formazione cristiana profonda, senza fermarsi a ciò che è superficiale, immediato e vistoso.

San Josemaría era convinto dell’importanza di dare una formazione ampia a ogni genere di persone perché fossero nelle condizioni di rispondere alla chiamata del Signore. Proprio per questo, nel riferirsi specificamente alla istituzione da lui fondata per ispirazione divina, diceva che si trattava di “una grande catechesi”[29].

Così, nella Istruzione per l’opera di san Raffaele — sull’apostolato dell’Opus Dei con i giovani — afferma senza mezzi termini che il fine immediato di tutta questa attività apostolica è la formazione dei giovani, mentre il fine mediato è formare quelli che, di quel gruppo più ampio, potranno ricevere la vocazione a compiere la missione apostolica dell’Opera, sia nel celibato che nel matrimonio[30].

Parte essenziale di questa formazione è l’educazione nella libertà. L’ambiente formativo promosso dal fondatore dell’Opus Dei presuppone un delicato rispetto dell’intimità della persona. A tal fine occorre creare un clima di fiducia che permetta a ogni anima di dare sfogo all’energia della propria libertà senza cadere in una condotta ipocrita o con obiettivi ristretti. Perciò si basa sull’amicizia, che permette di aiutare le persone a “incanalare rettamente ansie e aspirazioni, insegnando loro a riflettere sulla realtà delle cose e a ragionare. Non si tratta di imporre una determinata linea di condotta, ma di mostrare i motivi, soprannaturali e umani, che la raccomandano. In una parola, si tratta di rispettare la loro libertà, poiché non c’è vera educazione senza responsabilità personale, né responsabilità senza libertà”[31].

Naturalmente, come abbiamo già ricordato, nella formazione l’azione primaria è quella di Dio. Coloro che aiutano a formare e, in questo contesto, a discernere la volontà del Signore debbono coltivare l’umiltà che porta a riconoscere il primato dello Spirito, che si serve di loro come strumenti nelle sue mani. Ecco perché, per portare avanti questa missione, il punto di forza deve essere la propria vita interiore: essere anime di Eucaristia[32]; si tratta di una semina soprannaturale[33].

In un’altra delle sue Istruzioni[34], san Josemaría mette ancor più in evidenza la profondità di cui ha bisogno l’attività formativa per quelli che si incorporano nell’Opus Dei come numerari o aggregati. Come punto di partenza si trova sempre il desiderio di avvicinare a Cristo tutte le anime, aiutandole a scoprire la propria vocazione[35].

La formazione che questi fedeli dell’Opus Dei ricevono è al servizio della loro missione; perciò il fondatore sottolinea che la santità in mezzo al mondo, data la sua ricca consistenza umana e divina, richiede una formazione particolarmente approfondita[36].

L’attività pastorale con quelli che si sentono chiamati all’Opus Dei consiste nel formarli spiritualmente nella pietà, nella conoscenza scientifica della religione cattolica, nelle virtù umane, nella santificazione della loro professione o del loro mestiere, e nella missione apostolica[37]. San Josemaría parla spesso dei cinque aspetti della formazione: umana, dottrinale-religiosa, spirituale, professionale e apostolica. Formazione che è “fondamento della vostra vita di anime che si sono date a Cristo”[38].

5. Una libera scelta della persona[39]

Man mano che la formazione va penetrando nella persona, arriva un momento di maturità in cui, per impulso della grazia, il soggetto si mette di fronte alla sua vita intera, cercando di impostare il proprio futuro e gli impegni necessari per percorrere la propria strada nella Chiesa. Questo momento di solito è segnato da due componenti psicologiche: l’agitazione e l’attrazione.

In genere il fenomeno vocazionale arriva accompagnato da una esperienza psicologica, un turbamento — “a queste parole ella rimase turbata” (Lc 1, 29) —, che fa capire alla persona di aver ricevuto un incarico.

Senza necessità di percepire alcuna manifestazione straordinaria di genere soprannaturale, con semplicità, ci si rende conto che qualcosa è successo. Dio irrompe nella vicenda quotidiana e parla senza parole, utilizzando mediazioni umane (un amico, un sacerdote) o circostanziali (una lettura, un evento). L’esperienza psicologica si può presentare come agitazione, timore o ansia, o con altre manifestazioni di varia intensità (come un profondo anelito di cose grandi, ecc.): il Signore “opera con queste ispirazioni interne, che cominciano col toglierci un po’ di comodità e di tranquillità”[40].

Si ha consapevolezza della chiamata a una missione e della necessità o della opportunità di fare un passo avanti. Spesso l’agitazione è dovuta all’attrattiva che suscita la vita di altre persone che seguono quel cammino.

San Josemaría apprezza la silenziosa testimonianza di una condotta buona, ma ritiene che non basti. Mediante la preghiera, l’esempio e la parola convincente e stimolante, è bene con diligenza convincere gli altri a seguire Cristo[41].

Per questo fissa l’attenzione su una espressione del Vangelo piuttosto impegnativa, audace: compelle intrare, “costringili a entrare” (Lc 14, 23): un modo di accompagnare stimolante nel quadro di un’amicizia autentica, come “un invito, un aiuto a decidersi, mai, neppure lontanamente, una coercizione”. Questa attrazione “non è simile a una spinta materiale, ma abbondanza di luce, di dottrina; lo stimolo spirituale della vostra preghiera e del vostro lavoro, che è la testimonianza autentica della dottrina; il cumulo di sacrifici che sapete offrire, il sorriso che vi viene sulle labbra perché siete figli di Dio [...], il vostro garbo e la vostra simpatia umana”[42].

Ogni persona può scegliere liberamente. Ma se tutto è lasciato alla libera scelta del soggetto, che cosa induce una persona a scegliere una via o un’altra? C’è qualcosa che obbliga dall’esterno? Sarebbe questo la vocazione? Quali sono i motivi validi per scegliere l’una o l’altra vocazione specifica?

Anche se può esserci una repentina illuminazione da parte di Dio o una preferenza speciale o il desiderio naturale di abbracciare un determinato tipo di vita cristiana, il percorso normale è frutto della ragione illuminata dalla fede e mossa dalla carità[43].

Il cristiano, riflettendo nella sua preghiera[44] che è stato creato per amare Dio ed è mosso dal desiderio di raggiungere questo fine, si interroga sulla via che deve seguire meditando il Vangelo e tenendo presenti i modi di vita autorizzati dalla Chiesa per servire meglio Dio, la Chiesa e tutte le persone. Naturalmente, una tale chiarezza di visione e di intenzioni non sempre è presente all’inizio delle autentiche vocazioni, ma conviene raggiungerla nel periodo di prova che prevede ogni vita donata a Dio.

A partire da questa consapevolezza della chiamata di Dio, la persona si sente interpellata a discernere nella sua vita i segni della volontà di Dio: la maturazione della fede nella relazione intima con Dio, i percorsi che la Chiesa ammette — qui e ora —, la sensibilità verso i problemi degli uomini e delle donne, le persone che attirano con il loro esempio, i “casi fortuiti” che la vita propone in un luogo e in un momento precisi, le qualità che si vogliono mettere al servizio degli altri e, soprattutto, le ispirazioni che si ricevono nell’intimità dell’orazione. In definitiva: Dio si serve della storia personale per manifestarsi.

6. Il discernimento della vocazione[45]

Il discernimento vocazionale richiede essenzialmente di comprendere sino in fondo la natura della vocazione alla quale ognuno sente di essere chiamato, insieme alla indispensabile attitudine a portare l’ideale alla vita e alla purezza di coscienza che fa agire per amore a Dio[46].

Sul primo aspetto, san Josemaría si domanda: quali sono le caratteristiche peculiari della vocazione all’Opera? E risponde: “Uno stato definitivo di ricerca della perfezione in mezzo al mondo”[47], simile alla vita dei primi cristiani, fondata sulla pratica delle virtù[48]. Infine conclude: “Non togliamo nessuno dal suo posto”[49].

Riguardo al secondo, ci fa notare come il discernimento sia indispensabile per determinare la rettitudine delle intenzioni della persona, cosa che non è sempre facile da stabilire, e per scegliere dove investire i talenti ricevuti. Il discernimento personale (sostenuto dall’accompagnamento spirituale) e il discernimento ecclesiale sull’idoneità del candidato debbono andare di pari passo.

a) La rettitudine di intenzione

Il discernimento vocazionale riguarda anche la purezza delle intenzioni: quello che il soggetto vuole realmente, quello che ama. La decisione dovrebbe dipendere direttamente ed esclusivamente dall’amore di Dio. Dato che l’egocentrismo è un difetto frequente, bisogna lasciarsi aiutare nel valutare la rettitudine di coscienza. Si sceglie un percorso con l’impegno di seguirlo per sempre per amore a Dio, per il regno dei cieli, per la edificazione della Chiesa.

La risposta alla vocazione si presenta allora come un desiderio di servire Dio “perché ne ho voglia”[50], e non come risultato di una logica di benefici personali; in altre parole, come una scelta dettata dall’amore, che induce ad assumersi la responsabilità della Chiesa, della salvezza delle persone.

In questo consiste la questione vocazionale: nell’impegno che si prende con Dio di edificare la Chiesa e la società in un modo specifico. La maturità della persona sta nel passaggio dall’io al noi, in quanto si fa carico degli altri. Il cristiano, unito a Cristo nello Spirito, collabora alla redenzione. Si fa carico di questa missione attraverso un cammino concreto e determinato: quello che oggi e ora gli si presenta nella storia, e nella sua storia, attraverso la Chiesa.

L’accompagnamento è un aiuto indispensabile perché la persona decida liberamente di intraprendere il proprio percorso, avvalendosi dell’esperienza umana e divina della Chiesa. La funzione del direttore spirituale è quella di “aiutare a far sì che l’anima voglia — che abbia voglia di — compiere la volontà di Dio”[51], di “porre ciascuno di fronte a tutte le esigenze della sua vita, aiutandolo a scoprire ciò che in concreto Dio gli chiede, senza porre alcun limite a quella santa indipendenza e a quella benedetta responsabilità personale che sono le caratteristiche proprie della coscienza cristiana”[52].

È di estrema importanza conoscere le persone e aiutarle a conoscersi. Solo così gli interessati possono davvero decidere, unendo la conoscenza delle proprie debolezze con la speranza. Conviene, dunque, concentrarsi nella intenzione, nelle motivazioni vocazionali e, pertanto, nella consistenza o coerenza vocazionale[53]. È chiaro che la rettitudine d’intenzione è richiesta sia nel soggetto protagonista, sia in chi promuove le vocazioni.

La decisione vocazionale è frutto della libertà della persona come risposta all’amore di Dio che ci svela i suoi piani in vari momenti della nostra vita.

Ogni vocazione cristiana è una risposta esclusiva di amore. Si sceglie un percorso per compiere la missione della Chiesa, tenendo presente la loro diversità. Però il motivo della scelta è sempre l’amore, non il semplice “bisogna farlo”, “così potrò salvarmi”, ecc. Si tratta di corrispondere a Dio che ci viene incontro.

b) L’attitudine della persona

La vocazione comporta la libera offerta della propria vita per amore e con amore, nel sacerdozio, nello stato religioso o nella vita laicale. A priori non esistono esclusioni a un percorso oppure all’altro: la storia personale va configurando il cammino e ci colloca in certi crocevia o in altri[54].

Chiunque si può imbarcare in una vita di servizio, di assoluta dedizione, di dono integrale di sé[55]. La vocazione cristiana ricevuta nel battesimo si concretizza nel corso della storia della persona, attraverso il discernimento personale ed ecclesiale, per esempio accedendo all’invito al matrimonio o al celibato apostolico. L’approccio alla vocazione nella Chiesa prende in considerazione la bellezza del matrimonio come punto di partenza per scoprire la bellezza del celibato per il regno dei cieli[56].

Per la vocazione all’Opus Dei occorre disporre nella vita ordinaria delle qualità richieste da questo percorso e da questa precisa missione, in modo da tradurre l’amore a Dio e al prossimo in comportamenti e atteggiamenti di vita. In sostanza, si richiede che la persona sia matura e sia formata umanamente e spiritualmente. In tal senso san Josemaría dava alcuni orientamenti per conoscere a fondo la persona, la sua storia e le qualità man mano acquisite: conoscere la sua posizione nella società, dalla quale può irradiare la carità di Cristo nell’ambiente in cui vive (che può essere molto vario); inoltre la situazione della famiglia, l’infanzia e l’adolescenza che delineano il carattere; il talento o le condizioni favorevoli per determinate attività che hanno a che vedere con la missione; e soprattutto la virtù, espressione della formazione personale, in quanto è segno della libera incorporazione alla personalità degli abiti che rendono possibile il giudizio, la decisione e la realizzazione degli ideali vitali[57].

Il santo diceva anche che nell’Opus Dei c’è posto per “tutti coloro che hanno un cuore grande, anche se più grandi sono state le loro debolezze”[58], mentre gli egoisti, i tiepidi e i frivoli non vi troveranno mai posto. Si mette in evidenza che è indispensabile unicamente la capacità di amare con generosità, cosa che col tempo, e grazie alla formazione, potrà germogliare in virtù che rendano effettivo l’impegno vocazionale.

Il discernimento include un giudizio sulle disposizioni di una persona, l’idoneità. Riguarda ciò che è possibile, i percorsi disponibili ora, in questo momento, non in un futuro più o meno lontano. Il futuro va oltre la persona, perché comporta una crescita ancora da intraprendere corrispondendo alla grazia di Dio.

Ovviamente, ognuno deve mettere in gioco tutti i talenti, come spiega la parabola riportata da san Matteo (25, 14-30); non trattenere niente di ciò che si può negoziare, lasciandolo inutilizzato. «Quando gli dissero di impegnarsi personalmente, la sua reazione fu di ragionare così: “In questo caso, potrei far questo..., dovrei far quest’altro...”. — Gli risposero: “Qui non mercanteggiamo con il Signore”. La legge di Dio, l’invito del Signore, si prende o si lascia, così com’è. È necessario decidersi: avanti, senza alcuna riserva e con molto coraggio, oppure andarsene. “Qui non est mecum...” — chi non è con Me, è contro di Me»[59].

Conclusione: fedeltà alla vocazione

Siccome la vocazione si vive nella storia, l’idoneità può essere verificata solo nel corso della vita di qualcuno[60]. Lo si può fare coniugando il discernimento personale e il discernimento ecclesiale, che corrono in parallelo perché l’origine è la stessa: l’Amore di Dio per ciascuno di noi.

Possiamo pensare che san Josemaría concepisca così la vocazione. Per questo segue la tradizione della Chiesa quando stabilisce, nel caso della chiamata specifica all’Opus Dei, alcuni tempi di discernimento particolari: le incorporazioni temporali fino all’incorporazione definitiva[61], in modo da vivere la chiamata nella storia e per sottolineare la libertà di chi vuol darsi a Dio.

Questi tempi hanno le implicazioni teologiche e pastorali sul tema della vocazione che abbiamo indicato. Soprattutto la libertà della persona: la risposta alla vocazione è la libera scelta di un impegno che si assume per amore, che risponde a una iniziativa divina, all’azione di Dio: dato che la grazia assume ed eleva tutto ciò che è umano, ha bisogno di una maturazione nel tempo. Poi, la formazione, come conseguenza della sinergia tra libertà, grazia e storia.

La vocazione è la vita, una storia frutto della risposta libera ai doni che Dio offre pure liberamente[62].

Perciò tutto dipende da Dio e tutto da chi risponde alla chiamata, dalle decisioni concrete che si prendono e dalla lotta di oggi, di ora, che rendono possibili i futuri progressi. È comprensibile, pertanto, che cambiare percorso, quando si è già cominciato, richieda una giustificazione. In fondo, ogni decisione, ogni scelta, richiede una giustificazione: questa giustificazione, però, deve essere data a Dio e non a sé stessi. Deve essere totalmente libera: il soggetto, poiché ne ha voglia, si orienta a Dio e non alla propria volontà o all’amor proprio.

“La vocazione ci induce — senza che ce ne rendiamo conto — ad assumere una determinata posizione nella vita, posizione che poi manterremo con entusiasmo e con gioia, colmi di speranza fino al momento stesso della morte. È un fenomeno che trasmette al lavoro che si svolge il senso di una missione, è qualcosa che nobilita e valorizza la nostra esistenza. Con un atto della sua autorità Gesù entra nell’anima, nella tua, nella mia: è questa la chiamata”[63].

La prima decisione, il primo passo nella vocazione, richiede una corrispondenza da mantenere nel corso del tempo. Constatare che c’è ancora molta strada da fare per configurare la propria vita alla chiamata divina dovrebbe essere un invito a ribadire la decisione di darsi al Signore. È vero che allora l’ideale può apparire costoso e può darsi che s’insinuino il disinganno e la sensazione di nuotare controcorrente. In questo scenario possono nascere le crisi. Queste, alle volte, sono necessarie e si possono giudicare positive se diventano crisi di crescita. Tuttavia, c’è anche la triste possibilità di retrocedere, volgendo indietro lo sguardo.

La pace e la gioia dell’offerta totale di sé segnalano il cammino intrapreso. Le crisi comportano spesso un oscuramento della pace e della gioia, come conseguenza di uno scontro fra i sentimenti e la coerenza che prendono direzioni diverse. Tuttavia, i momenti di oscurità e di prova, perché vien meno il sentimento della bontà della vita donata a Dio o si appannano a tal punto le ragioni dell’intelletto e le decisioni della volontà che avevano chiarito e condotto alla meravigliosa realtà della vocazione, possono servire a purificare e a guidare alla conferma della fiducia in Dio e all’abbandono in Lui.

La lotta fra l’amore di Dio e l’amore disordinato di sé stessi è permanente. La chiave per il discernimento del percorso potrebbe essere: vado verso Dio, verso un’apertura più matura e un amore più realista, o mi sto chiudendo di più in me stesso per seguire la mia volontà? Ecco perché, come spiega Papa Francesco, il grande interrogativo del discernimento non è chi sei, ma per chi sei[64].

Il modello evangelico è “dai loro frutti li riconoscerete”: conviene optare per uno sviluppo globale della vita, e non per una gratificazione immediata. Importante non è tanto come uno si sente o che cosa sente in un dato momento, ma da dove proviene tale sensazione, quali pensieri ne derivano e dove portano. Lo spirito guidato dall’amore a Dio educa i sentimenti e cresce in libertà mediante la dedizione quotidiana agli altri.

[1] Si veda l’ampio articolo “Discernement des esprits” nel vol. 3 del menzionato Dictionnaire, col. 1222-1291 (di autori differenti, secondo le diverse parti: J. Guillet, G. Bardy, F. Vandenbroucke, H. Martin e J. Pegon).

[2] Oltre che nell’articolo precedente, una buona esposizione sintetica si può reperire in M. Ruiz Jurado, El discernimiento espiritual, BAC 1994.

[3] Per una visione più storica, fra gli altri, Ch. A. Bernard, Teología espiritual, Atenas 1994, pp. 375-400; A. Cappelletti, “Discernimiento de espíritus”, in Diccionario de espiritualidad, I, Herder 1983, pp. 628-632; J. de Guibert, Lecciones de Teología espiritual, Razón y Fe 1953, pp. 321-332.

[4] Papa Francesco, Esort. ap. Christus vivit, 25-III-2019, n. 283.

[5] San Josemaría, Conversaciones con Mons. Escrivá de Balaguer, edición crítico-histórica, J.L. Illanes (dir.), Rialp 2012, pp. 12-25. In seguito, Colloqui e il numero.

[6] L’importanza di questa formula cristologica riferita al cristiano è essenziale nell’insegnamento di san Josemaría: cfr. A. Aranda, “El cristiano ‘alter Christus, ipse Christus’ en el pensamiento del beato Josemaría Escrivá de Balaguer”, Scripta Theologica 26 (1994), pp. 513-570.

[7] Colloqui, n. 58. Questa intervista fatta da L’Osservatore della Domenica s’intitola “Che cosa è l’Opus Dei”.

[8] Come sintesi dell’ampia bibliografia, cfr. E. Burkhart - J. López, Vita quotidiana e santità nell’insegnamento di san Josemaría, I, Libreria Editrice Vaticana 2017, pp. 179-220.

[9] “Stiamo qui [nell’Opus Dei] perché Dio ci ha chiamato, con una vocazione personale e peculiare”, San Josemaría, Lettera 14-II-1944, n. 1, citato in P. Rodríguez, F. Ocáriz, J. L. Illanes, L’Opus Dei nella Chiesa, Piemme 1993, pag. 169. In alcuni testi che citeremo poi, san Josemaría si riferisce direttamente ai fedeli dell’Opus Dei. Tuttavia, poiché in sostanza spiegano la vita cristiana in base alla sua peculiare visione del mistero di Gesù Cristo, i suoi insegnamenti sono utili a tutti i cristiani.

[10] Colloqui, n. 59. Queste verità contengono perfettamente il nucleo dell’insegnamento del Concilio Vaticano II sulla Chiesa e la sua missione: Lumen gentium, nn. 39-40 e Apostolicam actuositatem, nn. 2 e 4. Cfr. G. Philips, La Iglesia y su misterio en el Concilio Vaticano II: historia, texto y comentario de la constitución “Lumem gentium”, Herder 1968.

[11] Colloqui, n. 59.

[12] Ibidem.

[13] “Servi dei servi di Dio” è una espressione forte, normalmente usata in riferimento ai Papi. Nell’omelia Sacerdote per l’eternità san Josemaría afferma, riferendosi ad alcuni ordinandi: “Si ordineranno per servire”. Anche se si rivolge ai sacerdoti dell’Opus Dei, dalla sua vita sacerdotale e dal suo insegnamento si deduce chiaramente che il ministero sacerdotale è servizio: servizio a Dio, alla Chiesa e a tutte le persone.

[14] Colloqui, n. 59.

[15] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 20.

[16] San Josemaría, Forgia, n. 902. San Josemaría parla della sua esperienza sin dai presentimenti della sua vocazione: anni di preghiera chiedendo luci — Domine, ut videam! — fino ai passi da fare nella fondazione dell’Opus Dei che scopre sia pregando, sia chiedendo consiglio nella direzione spirituale. Cfr. P. J. Cordes, “El discernimiento espiritual en la vida del cristiano”, Scripta Theologica 34 (2002), pp. 902-907; J. Alonso, “Vocación de san Josemaría”, in Diccionario de san Josemaría Escrivá de Balaguer, Monte Carmelo 2013, pp. 1296-1300.

[17] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 175.

[18] In effetti, san Josemaría cerca un termine nuovo per indicare questa realtà, chiamata, perché, all’epoca in cui scrisse Cammino, la vocazione sembrava un fenomeno che riguardasse solo i sacerdoti e i religiosi (cfr. Camino, ed. critica, commento 27, pp. 243, 945).

[19] Colloqui, n. 92. L’amore alla volontà di Dio guida la vita e la spiritualità di san Josemaría: cfr. P. Marti, “Voluntad de Dios”, in Diccionario de san Josemaría Escrivá de Balaguer, Monte Carmelo 2013, pp. 1300-1305.

[20] Cfr. Colloqui, n. 59.

[21] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 99.

[22] Per comprendere la compenetrazione tra vocazione e storia conviene tener presente sia la relazione tra salvezza e storia, sia la relazione tra tempo ed eternità. Alcune brevi ma sostanziali indicazioni: per il primo punto, cfr. J. Ratzinger, Teoría de los principios teológicos, “Salvación e historia”, pp. 181-204; “Historia de la salvación, metafisica y escatología”, pp. 204-227, Herder 1985; per il secondo, cfr. J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana 2005, pp. 306-308.

[23] Colloqui, n. 70.

[24] “Dio Padre, quando giunse la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio Unigenito, che si incarnò per opera dello Spirito Santo nel seno di Maria sempre Vergine, per ristabilire la pace, e perché noi, redenti dal peccato, adoptionem filiorum reciperemus (Gal 4, 5), fossimo costituiti figli di Dio e capaci di partecipare all’intimità divina, affinché all’uomo nuovo, alla nuova stirpe dei figli di Dio (cfr. Rm 6, 4-5), fosse concesso di liberare tutto l’universo dal disordine, restaurando tutte le cose in Cristo (cfr. Ef 1, 9-10), in colui che le ha riconciliate con Dio (cfr. Col 1, 20)”, San Josemaría, È Gesù che passa, n. 183. Troviamo qui un sunto della sua concezione della storia e del ruolo del cristiano nel mondo.

[25] “Dal momento che siamo figli di Dio, questa realtà ci porta anche a contemplare con amore e ammirazione tutte le cose che sono uscite dalle mani di Dio, Padre e creatore. In tal modo, è amando il mondo che diventiamo contemplativi in mezzo al mondo”, San Josemaría, È Gesù che passa, n. 65.

[26] Per avvicinarsi al concetto che san Josemaría ha della libertà, cfr. E. Burkhart - J. López, Vita quotidiana e santità nell’insegnamento di san Josemaría, II, Libreria Editrice Vaticana 2018, pp. 153-225; L. Clavell, “La libertà guadagnata da Cristo sulla Croce”, Romana 33 (2001), pp. 240-269; C. Fabro, “El primado existencial de la libertad”, Scripta Theologica 13 (1981), pp. 323-337; F. Ocáriz, Naturaleza, Gracia y Gloria, Eunsa 2000, pp. 108-121 e 283-298.

[27] “Un giorno — non voglio generalizzare, apri il tuo cuore al Signore e raccontagli la tua storia —”, È Gesù che passa, n. 1. In particolare la meditazione “Nelle mani di Dio”: San Josemaría, In dialogo con il Signore, Ares 2019, pp. 327-333.

[28] San Josemaría, Lettera 9-I-1932, n. 9: tratto da P. Rodríguez, F. Ocáriz, J. L. Illanes, L’Opus Dei nella Chiesa, Piemme 1993, pag. 153.

[29] Su varietà, natura e contenuto dei documenti chiamati “Istruzioni”, cfr. L. Cano, “Instrucciones (obra inédita)”, in Diccionario de san Josemaría Escrivá de Balaguer, Monte Carmelo 2013, pp. 650-655; J. L. Illanes, “Obra escrita y predicación de san Josemaría Escrivá de Balaguer”, Studia et documenta 3 (2009), pp. 203-276; sulle “Istruzioni” in particolare, pp. 217-220 e 257-258.

[30] Cfr. San Josemaría, Istruzione per l’opera di san Raffaele, 9-I-1935, nn. 65-66.

[31] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 27.

[32] Cfr. San Josemaría, Istruzione sul modo di fare proselitismo, 1-IV-1934, n. 3. Il vocabolo “proselitismo” deriva da “proselito”, con il quale si indica nella Bibbia chi, provenendo da un’altra popolazione, si preparava ad accogliere la fede giudaica. La Chiesa fece propria questa parola analogicamente: già san Giustino, per esempio, parlava di “fare proseliti” quando si riferiva alla missione apostolica dei cristiani, rivolta a tutti (cfr. Mc 16, 15). Molti autori spirituali — e tra loro san Josemaría — hanno impiegato il termine “proselitismo” in questo senso, come sinonimo di apostolato o evangelizzazione: un’attività che si caratterizza, fra le altre cose, per un profondo rispetto della libertà, in contrasto con l’accezione negativa che questo vocabolo ha preso negli ultimi anni del XX secolo. Nel solco di questa tradizione, san Josemaría utilizza la parola “proselitismo” con il significato di proposta o invito con cui i cristiani condividono la chiamata di Gesù Cristo con i loro compagni e amici, mostrando loro la prospettiva del suo Amore.

[33] Nella stessa Istruzione citata nella nota precedente, san Josemaría ricordava che, nei primi anni dell’attività apostolica dell’Opus Dei, era consuetudine di “non parlare dell’Opera a persona alcuna, senza aver prima considerato la questione con calma nell’orazione” (n. 11), chiedere, “con preghiere e sacrifici, grazie abbondanti dal Cielo” (n. 12) e creare un rapporto con l’Angelo Custode della persona (n. 13).

[34] Istruzione per l’opera di san Michele, 8-XII-1941.

[35] Cfr. Ibidem, n. 2.

[36] Cfr. Ibidem, n. 19.

[37] Cfr. Ibidem, nn. 6-7.

[38] Ibidem, n. 16.

[39] San Josemaría concepisce la vocazione in un contesto di libertà: la libertà della persona, che configura veramente la vocazione e la storia, sia personale che collettiva. Bisogna rendersi conto che è realmente Dio che chiama. La scelta presuppone accogliere o accettare il dono di Dio. La libertà è la risposta per amore a una chiamata che è espressione dell’amore di Dio. Chiamata e risposta danno origine a un processo di grazia e di libertà che costituisce la storia di ogni essere umano. La difficoltà dell’argomento sta nel concetto di libertà che ci ha trasmesso l’epoca moderna. La libertà come autonomia assoluta della volontà ha le sue radici in Lutero (autonomia nel credere), Kant (autonomia nel pensare) e Marx (autonomia nel fare). Sarebbe il frutto dell’ideale emancipatore nato con la Modernità e che si può sintetizzare nella pretesa di farsi da sé stesso esclusivamente a partire dalle proprie forze, senza dipendere da niente e da nessuno (cfr. J. Ratzinger, “La libertà e la verità” in Fede, verità e tolleranza: il cristianesimo e le religioni del mondo; R. Guardini, Mundo y persona. Ensayos para una teoría cristiana del hombre, Ediciones Encuentro, Madrid 2014, pp. 15-43). Nella versione più estrema di questa concezione, la libertà, per essere reale, dovrebbe confrontarsi con Dio, rifiutarlo o anche ucciderlo, come dirà Nietzsche. Solo senza Dio uno potrebbe essere libero. Questo concetto di libertà è falso, ma è talmente radicato da poterci confondere. Sulla base di questo liberalismo poco libero si fa fatica a intendere il significato della libertà che i santi intuiscono pienamente: la vocazione della persona è la vocazione alla libertà, alla vera libertà di figli di Dio, per la quale Cristo ci ha liberato. C’è piena armonia tra libertà e grazia, non opposizione; c’è piena armonia tra la libertà della persona e il piano di salvezza voluto dalla libertà di Dio. L’unica opposizione viene dal peccato che ci rende schiavi. Questa relazione così diretta tra verità, libertà e filiazione divina si osserva nell’omelia di san Josemaría “La libertà, dono di Dio” in Amici di Dio, nn. 26-27.

[40] Così rispondeva san Josemaría alla domanda: come possiamo avere la certezza che la nostra vocazione è questa o quella? Note di una riunione di famiglia, 26-V-1974: tratto da J. L. Soria, Maestro de buen humor, Rialp, Madrid 1994, p. 85.

[41] Dopo aver pregato e fatto pregare, si presenterà al soggetto “come qualcosa di possibile, come una ipotesi, la necessità dell’apostolato che noi viviamo” (Istruzione sul modo di fare proselitismo, n. 15).

[42] San Josemaría, Lettera 24-X-1942, n. 9, citato in G. Derville, “Proselitismo”, in Diccionario de san Josemaría Escrivá de Balaguer, Monte Carmelo 2013, p. 1030.

[43] Cfr. Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, n. 177. Per una descrizione più dettagliata: J. B. Torelló, Psicología y vida espiritual, Rialp 2008, pp. 179-205.

[44] Per esempio, san Josemaría consigliava un triduo di preghiera allo Spirito Santo ad alcuni giovani che si interrogavano sulla vocazione all’Opus Dei, cfr. J. L. González, DYA, Rialp 2016, pp. 95-96.

[45] Riguardo al discernimento, possiamo domandarci quali aspetti occorre discernere e chi deve discernere. Qui ci soffermiamo su quali aspetti siano oggetto di discernimento; però è bene anche tenere presente chi debba discernere: soprattutto, il soggetto interessato e protagonista, il che si può chiamare discernimento personale. Però è necessario anche il discernimento che potremmo chiamare ecclesiale: tanto l’aiuto che la Chiesa offre al soggetto attraverso la direzione o accompagnamento spirituale, quanto l’aiuto che presta con la funzione di governo per discernere l’idoneità o meno del candidato a una vocazione specifica.

[46] Cfr., tra gli altri, E. de la Lama, La vocación sacerdotal, Palabra 1994; L. M. García Domínguez, Discernir la llamada: la valoración vocacional, San Pablo 2008; J. C. Martos, Abrir el corazón: animación vocacional en tiempos dificiles y formidables, Publicaciones Claretianas, D.L. 2007; A. Pigna, La vocazione. Teologia e discernimento, Ed. Teresianum 1976.

[47] Istruzione sul modo di fare proselitismo, n. 20.

[48] Cfr. Ibidem, n. 21.

[49] Ibidem, n. 23. J. L. Illanes fa riferimento ai nn. 20-23 della citata “Istruzione” ne La santificazione del lavoro, Ares 2003.

[50] “Liberamente, senza costrizione alcuna, scelgo, perché ne ho voglia, Dio. E mi impegno a servire, a trasformare la mia esistenza in dedizione al prossimo, per amore di Gesù, mio Signore”, San Josemaría, Amici di Dio, n. 35.

[51] San Josemaría, Lettera 8-VIII-1956, n. 38, citato in G. Derville, “Dirección espiritual”, in Diccionario de san Josemaría Escrivá de Balaguer, Monte Carmelo 2013, pag. 343.

[52] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 99.

[53] Nella Istruzione sul modo di fare proselitismo san Josemaría fa alcuni esempi collegati con le motivazioni profonde e la rettitudine di intenzione, dando giudizi pratici basati sull’esperienza personale e sulla psicologia della vita spirituale: nn. 44, 46, 50, 54-61.

[54] Un esempio di come san Josemaría riconosceva una varietà di percorsi, tutti con un significato vocazionale, si può notare nei giorni di convivenza che propose a diversi giovani fra quelli che egli pensava potessero avere vocazione all’Opera nel matrimonio. Alcuni scoprirono la loro vocazione all’Opus Dei nel matrimonio, altri nel celibato apostolico. Cfr. L. Cano, “Los primeros supernumerarios. La convivencia de 1948”, Studia et documenta 12 (2018), pp. 251-302. Traduzione in italiano in https://opusdei.org/it/article....

[55] Cfr. W. Vial, “Psicología y celibato”, Scripta Theologica 50 (2018), pp. 139-166.

[56] San Josemaría spiega così la vocazione, sia al matrimonio come al celibato, ai fedeli laici: cfr. Colloqui, n. 92.

[57] Cfr. Istruzione sul modo di fare proselitismo, nn. 63-64.

[58] Ibidem, n. 66, tratto da A. Vázquez de Prada, Il Fondatore dell’Opus Dei, I, Leonardo International 1999, pag. 609.

[59] San Josemaría, Solco, n. 9.

[60] “La decisione richiede di essere messa alla prova dei fatti in vista della sua conferma (…). Il tempo è fondamentale per verificare l’orientamento effettivo della decisione presa”, Sinodo dei Vescovi, Documento preparatorio della XV Assemblea Generale Ordinaria “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, 13-I-2017.

[61] Cfr. Codex iuris particularis Operis Dei, nn. 17-27.

[62] “La vocazione accende in noi una luce che ci fa riconoscere il senso della nostra esistenza. La vocazione ci convince, con la luminosità della fede, del perché della nostra realtà terrena. Tutta la nostra vita, quella presente, quella passata e quella che verrà, acquista un nuovo rilievo, una profondità mai prima immaginata. Tutti gli eventi e tutte le circostanze occupano ora il loro vero posto: comprendiamo dove il Signore vuole condurci e ci sentiamo come trascinati da questa missione che Egli ci affida”, San Josemaría, È Gesù che passa, n. 45.

[63] San Josemaría, Lettera 9-I-1932, n. 9, citata in P. Rodríguez, F. Ocáriz, J. L. Illanes, L’Opus Dei nella Chiesa, Piemme 1993, pp. 153-154. Queste parole si riferiscono alla vocazione specifica all’Opus Dei, ma si possono applicare a ogni vocazione alla santità nella vita ordinaria.

[64] “Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domàndati: ‘Per chi sono io?’. Tu sei per Dio, senza dubbio. Ma Lui ha voluto che tu sia anche per gli altri, e ha posto in te molte qualità, inclinazioni, doni e carismi che non sono per te, ma per gli altri”, Papa Francesco, Esort. ap. Christus vivit, n. 286.

Romana, n. 67, Luglio-Dicembre 2018, p. 318-333.

Invia ad un amico