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ECOLOGIA E COERENZA MORALE

Fra le ragioni inoppugnabili e le innegabili contraddizioni che la punteggiano, la coscienza ecologica costituisce forse la sonda più palese dell'ambivalenza di cui la nostra cultura si nutre. Una sensibilità, quella di oggi, filtrata da papille ricettive fino al parossismo e refrattarie oltre ogni soglia ipotizzabile, allarmata dai segnali di una catastrofe dalle dimensioni ormai planetarie e insieme indifferente alle esigenze fondamentali della sua vittima più esposta: l'uomo.

Tutti sono d'accordo su una premessa: le soluzioni tecniche non possono bastare a risolvere un problema che si pone in termini essenzialmente morali. Ma nulla come l'etica reca in sé i segni della crisi spirituale della nostra epoca. Mentre ci si affanna a cercare i punti di accordo di una concezione minima comune dei diritti e dei doveri, si continua a lasciare da parte la riflessione sul fondamento della morale stessa. Si vuole ignorare che, ove non poggi sul riferimento alla realtà immutabile di Dio, Essere perfetto e Bene sommo, la determinazione del bene e del male può effettuarsi solo sulla base delle opinioni prevalenti e delle mode, di interessi sempre mutevoli o dei rapporti di forza riflessi nell'organizzazione sociale. Affidato al flusso della storia, sfuma il contenuto della norma: il male trasmuta nel bene; e viene meno la capacità della legge morale di incidere sulla coscienza e vincolarla: la contraddizione diviene regola. La stessa morale si svuota, disponibile a qualificare comportamenti anche opposti.

Le cose sembrano mature perché si ammetta il fallimento della ricerca del minimo morale comune e si ponga la coerenza come fattore discriminante della riflessione etica. In questa chiave si può leggere il recente Messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale della Pace: non tanto una denuncia delle fragilità intrinseche nell'odierna sensibilità ecologica, quanto uno sforzo per condurla allo sbocco coerente che essa stessa invoca dalle strettoie in cui si trova costretta.

L'affermazione centrale è perentoria: "La crisi ecologica è un problema morale"[1]. E la conclusione altrettanto netta: "La società odierna non troverà soluzione al problema ecologico, se non rivedrà seriamente il suo stile di vita"[2], interrompendo la spirale dell'edonismo e del consumismo, dai quali deriva la massima parte dei danni recati dall'uomo all'ambiente. Un richiamo che coinvolge direttamente i singoli, perché il problema non può essere delegato soltanto agli interventi globali delle istituzioni competenti: "L'austerità, la temperanza, l'autodisciplina e lo spirito di sacrificio devono informare la vita di ogni giorno, affinché non si sia costretti da parte di tutti a subire le conseguenze negative della noncuranza dei pochi"[3].

Quando la "coscienza ecologica" stenta a sollevare le proprie improrogabili istanze al di sopra di un indefinito velleitarismo o di un irrazionale rifiuto del progresso tecnologico[4]; quando non riesce ad elaborare un concetto di natura più consistente di quello che tremola nella vaga nostalgia di un "paradiso perduto"; quando subisce le banalizzazioni della propaganda ideologica e della stessa pubblicità commerciale, l'appello ad "un'autentica conversione nel modo di pensare e nel comportamento"[5] non rappresenta l'ennesima scappatoia, ma l'unica via di uscita.

Conversione nel modo di pensare, anzitutto. Il Santo Padre svolge un'argomentazione che si spinge fino al fondo del problema. Egli rivendica un approccio alla questione ecologica che rientri in quella "coerente visione morale del mondo"[6], quale scaturisce dalla Rivelazione. In essa l'uomo riconosce pacificamente:

a) che "nell'universo esiste un ordine"[7], posto dal Creatore;

b) che quest'ordine lo precede ed è stato a lui affidato da custodire e promuovere;

c) che quest'ordine stabilisce le linee invalicabili di un corretto rapporto degli uomini con il creato e, in esso, degli uomini fra loro.

Una riproposta della metafisica? Piuttosto una riscoperta che giunge al termine di un lungo cammino, ovvero al punto di non ritorno in cui le tentazioni di Prometeo (positivismo, materialismo, capitalismo e capitalismo di Stato, sempre programmaticamente rivestitisi di polemica anti-teologica) andrebbero definitivamente abbandonate come residui di un'umanità adolescente.

Dai fondamenti alle ineludibili implicazioni morali. La rottura dell'ordine posto da Dio nel creato ha un solo nome: peccato. Il peccato è una realtà che investe in pieno il problema ecologico. Lo sconvolgimento del rapporto dell'uomo con il creato —su cui egli avrebbe dovuto esercitare il proprio dominio "con saggezza e con amore"[8] - consegue alla perversione del suo retto rapporto con gli altri uomini, creature di Dio. La cupidigia e l'ansia di accumulare sfociano in devastazioni della natura spesso irreparabili, ma prima calpestano il diritto di altri uomini, sfruttati ed offesi nella loro dignità. E' tutto il piano divino che subisce la lacerazione del peccato. Come non ammettere oggi, proprio a partire dal suo turbamento, l'esistenza del nesso che intercorre fra il rispetto della legge divina nell'agire umano complessivo e l'integrità del creato?

Il Santo Padre scrive: "Quando si discosta dal disegno di Dio Creatore, l'uomo provoca un disordine che inevitabilmente si ripercuote sul resto del creato. Se l'uomo non è in pace con Dio, la terra stessa non è in pace"[9]. Non viene qui adombrata una sorta di cupa vendetta contro l'uomo da parte di impersonali forze cosmiche. E' l'uomo che si autodistrugge, violando le norme etiche fondamentali. Ecco un'altra conseguenza di quell'esigenza di coerenza di cui si diceva.

Reperito in Dio il fondamento stabile della morale, l'uomo ne diviene il fulcro. Se non è posto in rapporto essenziale all'uomo e se in tale posizione vengono anche solo parzialmente messi fra parentesi quei cardini dell'etica che sono la libertà e la responsabilità dell'uomo, il problema ecologico risulta eluso e la sua sostanza morale cancellata. Allora non è più legittimo parlare di rimedi. Il Santo Padre ammonisce: "Spesso le ragioni della produzione prevalgono sulla dignità del lavoratore e gli interessi economici vengono prima del bene delle singole persone, se non addirittura di quello di intere popolazioni. In questi casi, l'inquinamento o la distruzione dell'ambiente sono frutto di una visione riduttiva e innaturale, che talora configura un vero e proprio disprezzo dell'uomo"[10].

Di qui che il Messaggio riconduca decisamente la riflessione sull'ecologia ad uno dei primissimi dettami dell'etica, vale a dire il rispetto per la vita: "Il segno più profondo e più grave delle implicazioni morali, insite nella questione ecologica, è costituito dalla mancanza di rispetto per la vita"[11]. "E' il rispetto per la vita e, in primo luogo, per la dignità della persona umana la fondamentale norma ispiratrice di un sano progresso economico, industriale e scientifico"[12]. Esso infatti, in tutta la sua ampiezza (dalla promozione della dignità della persona quale valore supremo della crescita economica, alla difesa della sacralità della vita umana fin dal concepimento, alla considerazione del benessere dei cittadini di altre aree e dei diritti delle generazioni future, alla tutela delle specie animali e vegetali come regola per un equilibrato sfruttamento delle risorse naturali, ecc.), appartiene necessariamente a quel "senso dell'integrità del creato" in cui Giovanni Paolo II condensa il principio ispiratore dell'etica applicata all'ecologia.

Sarebbe contradittorio predisporre programmi di difesa dell'ambiente e non intervenire per rimediare alle "forme strutturali di povertà"[13] che stanno spesso alla radice di incontrollabili devastazioni; o lanciare campagne di sensibilizzazione per la conservazione delle specie in estinzione, passando sotto silenzio le atrocità dell'aborto e della manipolazione genetica, come se l'uomo non facesse parte di questo mondo sconsideratamente aggredito. E come se tollerare il degrado morale dell'uomo non rendesse tragicamente vano il pur lodevole sforzo di arginare il degrado ambientale, il quale altro non è se non lo specchio materiale di quella prima e radicale lesione del piano divino che si consuma contro l'uomo.

La stessa urgenza con cui il problema ecologico viene oggi sentito sembra far emergere questo bisogno di coerenza che, opportunamente sviluppato, può proporre all'umanità l'incomparabile saldezza ed armonia delle istanze morali contenute nella fede. Ai cristiani, dunque, il compito di svolgere anche su questo piano un'attiva catechesi dottrinale e pratica. Il Papa ha voluto espressamente ricordare che "i loro compiti all'interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede"[14].

Rivolto a loro, quell'appello alla coerenza conduce ad un passo ulteriore, ove si rivelano prospettive d'ampiezza sconfinata e di assiduo impegno spirituale: significa l'invito a non dimenticare che il creato "è chiamato ad unirsi all'uomo per glorificare Dio"[15]. E dunque l'ammonimento a non limitare la propria testimonianza al solo rispetto delle esigenze morali insite nel piano creatore. L'ordine impresso da Dio nell'universo si compie soltanto se l'uomo saprà indirizzare tutto il proprio operato nel mondo alla gloria di Dio. Attivamente partecipe al piano divino della creazione, il cristiano è stato abilitato a divenire, in Cristo, strumento del mistero della redenzione. La salvezza si fa strada già nel mondo: qui, in mezzo alle realtà terrene elevate all'ordine della grazia, l'uomo nuovo aspetta "nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia"[16].

Mons. Josemaría Escrivá, dopo aver a lungo contemplato questa realtà e dopo averla assaporata in tanti anni di servizio a Dio, ha scritto: "Si comprende bene, figli miei, perché l'Apostolo poteva scrivere: tutte le cose sono vostre, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio (1 Cor 3, 22-23). Si tratta di un moto ascensionale che lo Spirito Santo, diffuso nei nostri cuori, vuole provocare nel mondo: dalla terra, fino alla gloria del Signore"[17]. Qui sta il senso ultimo del lavoro santificato e trasformato in opera di Dio, operatio Dei.

[1] Giovanni Paolo II, Lettera per la Giornata Mondiale della Pace, 8-XII-1989, n. 15.

[2] Ibid., n. 13.

[3] Ibid.

[4] Cfr. Ibid., n. 13.

[5] Ibid.

[6] Ibid., n. 2.

[7] Ibid., n. 15.

[8] Ibid., n. 3.

[9] Ibid., n. 5.

[10] Ibid., n. 7.

[11] Ibid.

[12] Ibid.

[13] Cfr. Ibid., n. 11.

[14] Ibid., n. 15.

[15] Ibid., n. 16.

[16] 2 Pt 3, 13.

[17] J. Escrivá, Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 115; 5ª ed., Ares, Milano 1987.

Romana, n. 9, Luglio-Dicembre 1989, p. 181-185.

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