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L'unità di vita e la missione dei fedeli laici nell'Esortazione Apostolica

Alla conclusione della VII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi era quasi scontato che la messa a fuoco dell'unità di vita, come testimonianza essenziale richiesta al cristiano dal mondo contemporaneo, avrebbe trovato un posto di rilievo nell'esortazione apostolica post-sinodale. Infatti, nella 5ª proposizione, i Padri sinodali avevano qualificato quest'esigenza come di "grandissima importanza"[1]; non stupisce dunque che il Santo Padre, accogliendo tale indicazione, abbia voluto farne uno degli assi portanti del documento sin dalla sua apertura, laddove nella mancanza dell'unità di vita viene individuata una delle più importanti difficoltà da superare, ovvero una delle due principali "tentazioni" del cammino post-conciliare: -la tentazione di legittimare l'indebita separazione tra la fede e la vita, tra l'accoglienza del Vangelo e l'azione concreta nelle più diverse realtà temporali e terrene-[2].

Lo scopo del presente studio è di offrire una visione dell'articolazione teologica e pastorale di tale insegnamento. Nello svolgimento del lavoro, verranno inoltre evidenziati i punti di coincidenza con la dottrina che, già dal 1928, insegnò a questo riguardo il Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer[3]. Siamo infatti di fronte ad un tratto essenziale della vita spirituale dei fedeli della Prelatura dell'Opus Dei, come si rileva nel Codex Iuris Particularis[4]. E' ovvio che la Christifideles laici considera l'orizzonte dell'intera Chiesa, nella pluriforme attuazione del suo mistero di comunione, e che quindi non ci si possa aspettare una completa sovrapposizione tra la dottrina del documento post-sinodale e quella di Mons. Escrivá. Tuttavia, esiste un nucleo di convinzioni essenziali in cui si verifica una stretta affinità, la quale merita di essere esplicitata.

A. L'UNITA' DI VITA COME ESIGENZA DELLA MISSIONE DEI LAICI

1. Le motivazioni di una scelta

Nella Christifideles laici, l'unità di vita non appare —come del resto non avviene in nessun documento magisteriale[5] - come un tema astratto, né come una meta ideale da proporre ad alcuni avvantaggiati nella vita spirituale. Si tratta, invece, di un'autentica esigenza della stessa vita cristiana e della missione dei laici nel mondo contemporaneo, giacché sta in rapporto con le grandi sfide proposte alla Chiesa dalla situazione attuale della famiglia umana.

Infatti, la descrizione tracciata nel n. 34 delinea una realtà quanto mai grave. Da una parte, il -continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo e dell'ateismo-[6]. Da questo punto di vista l'elemento caratteristico è dato dal fatto che -la fede cristiana, se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali e ritualistiche, tende ad essere sradicata dai momenti più significativi dell'esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire e del morire-[7]. Se in questi momenti fondamentali e radicali della vita umana non è presente la luce della fede, è spiegabile -l'imporsi di interrogativi e di enigmi formidabili che, rimanendo senza risposta, espongono l'uomo contemporaneo alla delusione sconsolata o alla tentazione di eliminare la stessa vita umana che quei problemi pone-[8]. E' la situazione del cosiddetto primo mondo.

D'altra parte, esistono regioni e paesi in cui -si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi d'essere disperso sotto l'impatto di molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette-[9].

Tutto ciò rende necessaria una nuova evangelizzazione, che possa assicurare -la crescita di una fede limpida e profonda, capace di fare di queste tradizioni una forza di autentica libertà-[10] Orbene, l'impegno apostolico dei laici in tali ambiti diventa particolarmente urgente e decisivo: -Ad essi tocca, in particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l'unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni società-[11].

Per trovare accenti simili nel Magistero della Chiesa, bisogna risalire ad altri grandi momenti di svolta nella storia. Quelle descritte sono infatti circostanze di crisi profonda, dalla cui positiva risoluzione dipenderà a lungo la vita degli uomini. Infatti, gli interrogativi oggi aperti riguardano il significato del nascere, del soffrire e del morire, cioè le radici stesse di qualsiasi cultura e civiltà.

Si può dire allora che l'orizzonte apostolico dei laici si è radicalizzato. Ed è appunto nel prospettarsi di questo salto di qualità nella missione dei laici che emerge l'esigenza dell'unità di vita. Infatti, la testimonianza di tale -unica risposta pienamente valida- agli interrogativi attuali sarà possibile, secondo Giovanni Paolo II, -se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, nel lavoro e nella società, l'unità di una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza-[12].

Nella logica di quanto rilevato ciò vuol dire che, prima ancora che agli altri, il fedele laico dovrà pensare a se stesso, nel senso di verificare fino a che punto le dimensioni più profonde del suo essere uomo trovino nella fede il loro pieno significato; e di esaminare fino a che punto il proprio comportamento quotidiano viene portato avanti nella luce e nella forza di tali convinzioni.

A conferma di tutto ciò, il Santo Padre collega tale esigenza col -grido appassionato- che è diventato quasi emblematico del suo pontificato: -Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!-[13]. E' come dire: poiché -gli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo-[14] sono affidati alla responsabilità, anche se non esclusiva, dei laici, ad essi compete di aprire -i confini- di tutte queste realtà alla potestà salvatrice di Cristo. Questa percezione dei fatti richiama alla mente il dato paradossale già rilevato da Giovanni XXIII nella Pacem in terris (11 aprile 1963): -Nelle Comunità nazionali di tradizione cristiana, le istituzioni dell'ordine temporale, nell'epoca moderna, mentre rivelano spesso un alto grado di perfezione scientifico-tecnica e di efficienza in ordine ai rispettivi fini specifici, nello stesso tempo si caratterizzano non di rado per la povertà di fermenti e di accenti cristiani. E' certo tuttavia che alla creazione di quelle istituzioni hanno contribuito e continuano a contribuire molti che si ritenevano e si ritengono cristiani; e non c'è dubbio che, in parte almeno, lo erano e lo sono. Come si spiega? Riteniamo che la spiegazione si trovi in una frattura nel loro animo fra la credenza religiosa e l'operare a contenuto temporale. E' necessario quindi che in essi si ricomponga l'unità interiore; e nelle loro attività temporali sia pure presente la fede come faro che illumina e la carità come forza che vivifica-[15].

2. Cristologia e sintesi vitale nel Magistero

Su questa linea occorre rilevare un dato decisivo per gli sviluppi successivi. Si tratta del cardine cristologico dell'unità di vita. Infatti, l'-unica risposta pienamente valida- a tutti gli interrogativi posti dall'esistenza umana si trova in Gesù Cristo: -Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo-, dice la costituzione pastorale Gaudium et spes (n. 22); e Giovanni Paolo II riecheggia questa convinzione di fede già nell'Enciclica Redemptor hominis (n. 8). L'unità di vita del fedele laico, quindi, dovrà rispecchiare un'altra unità che la precede e la rende possibile: -Con l'incarnazione —citiamo ancora la Gaudium et spes (n. 22)— il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo-. Tutta la natura umana è stata allora -innalzata a una dignità sublime-[16]. Elencando gli aspetti più significativi di tale unione, la stessa costituzione pastorale insegna che il Figlio di Dio -ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo-[17]. Dunque, contemplando in Gesù la natura umana, troviamo anche il pieno e definitivo significato della nostra esistenza. Pertanto, il fedele laico è chiamato ad essere consapevole di questa "sublime dignità" e a rispecchiarla, per quanto possibile, nella propria vita. Perciò la Christifideles laici conclude che, di fronte alle sfide del mondo contemporaneo, -sarà la sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita la più splendida e convincente testimonianza che, non la paura, ma la ricerca e l'adesione a Cristo sono il fattore determinante perché l'uomo viva e cresca, e perché si costituiscano nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana-[18].

In sintesi, solo identificandosi con Gesù il fedele laico potrà essere all'altezza di questa radicalità di missione, che il mondo contemporaneo reclama.

3. L'Incarnazione come fondamento dell'unità di vita, in Mons. Escrivá.

Nella predicazione di Mons. Josemaría Escrivá, la chiamata del cristiano a illuminare il mondo intero appare come un principio fondante. In tal senso, è significativo che già al n. 1 di Cammino (pubblicato nel 1939), venisse rilevata quest'esigenza: -Che la tua vita non sia una vita sterile. —Sii utile. —Lascia traccia. —Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore. Cancella, con la tua vita d'apostolo, l'impronta viscida e sudicia che i seminatori impuri dell'odio hanno lasciato. —E incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore-[19]. L'espressione "unità di vita" si trova già nei suoi primi scritti. Infatti, già nel 1940 scriveva: -Compiere la volontà di Dio nel lavoro, contemplare Dio nel lavoro, lavorare per amore di Dio e del prossimo, trasformare il lavoro in mezzo di apostolato, dare valore divino all'umano: ecco l'unità di vita semplice e forte che dobbiamo avere e insegnare-[20]. Ed ecco un testo del 1945: -Non viviamo una doppia vita, ma un'unità di vita semplice e forte, in cui si trovano fuse e compenetrate tutte le nostre azioni-[21]. E nel 1954 scriveva: -E' quest'unità di vita che ci conduce ad unire l'orazione e il lavoro, come due mani che si stringono l'una all'altra...: l'azione è contemplazione e la contemplazione è azione, in unità di vita -[22].

Ma sono numerosissimi i testi che, in un modo o in un'altro, riguardano il rapporto tra Incarnazione e unità di vita[23]. Ne riprenderemo soltanto due, che ci sembrano particolarmente pertinenti al nostro scopo. Il primo dice così: -A rigore, non si danno realtà nobili che siano tali in senso esclusivamente profano, dal momento che il Verbo si è degnato di assumere integralmente la natura umana e di consacrare la terra con la sua presenza e con il lavoro delle sue mani. La grande missione che riceviamo nel Battesimo è la corredenzione-[24].

Il brano successivo torna sull'argomento in modo più ampio e particolareggiato: -Non c'è nulla che sia estraneo alle attenzioni di Cristo. Parlando con rigore teologico, senza limitarci a una classificazione funzionale, non si può dire che ci siano realtà —buone, nobili, e anche indifferenti— esclusivamente profane: perché il Verbo di Dio ha stabilito la sua dimora in mezzo ai figli degli uomini, ha avuto fame e sete, ha lavorato con le sue mani, ha conosciuto l'amicizia e l'obbedienza, ha sperimentato il dolore e la morte. Perché piacque a Dio di fare abitare in Cristo ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli (Col 1, 19-20)-[25].

Sono testi risalenti agli anni sessanta[26], ma la loro sintonia con quelli del Magistero posteriore appare evidente. La consapevolezza sottostante è che l'intera esistenza dell'uomo viene illuminata dal mistero dell'Incarnazione, nel senso che nessuna realtà umana è rimasta al di fuori del suo raggio. Ne deriva la necessità per il cristiano di lasciarsi illuminare da questa realtà ed esprimerla nella propria vita quotidiana.

B. LA FORMAZIONE DEI FEDELI LAICI ALL'UNITA' DI VITA

1. La sintesi vitale come scopo della formazione

Esigenza fondamentale della missione dei laici, l'unità di vita ha un luogo prioritario nella loro formazione: Nello scoprire e nel vivere la propria vocazione e missione, i fedeli laici devono essere formati a quell'unità di cui è segnato il loro stesso essere di membri della Chiesa e di cittadini della società umana[27].

Dopo quest'affermazione di principio, la Christifideles laici esplicita le conseguenze che ne derivano: -Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta "spirituale", con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta "secolare", ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura. Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il "luogo storico" del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto —come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l'amore e la dedizione nella famiglia e nell'educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell'ambito della cultura— sono occasioni provvidenziali per un "continuo esercizio delle fede, della speranza e della carità" (Apostolicam actuositatem, 4)-[28].

Con accenti simili e linguaggio spesso affine si esprime il Servo di Dio Josemaría Escrivá nell'omelia Amare il mondo appassionatamente, pronunciata nel campus dell'Università di Navarra l'8 ottobre 1967, quasi un riepilogo del ministero pastorale da lui svolto sin dai primi momenti della fondazione dell'Opus Dei: -A quegli universitari e a quegli operai che mi seguivano verso gli anni trenta, io solevo dire che dovevano saper materializzare la vita spirituale. Volevo allontanarli in questo modo dalla tentazione —così frequente allora, e anche oggi— di condurre una specie di doppia vita: da una parte, la vita interiore, la vita di relazione con Dio; dall'altra, come una cosa diversa e separata, la vita famigliare, professionale e sociale, fatta tutta di piccole realtà terrene.

No, figli miei! Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani: vi è una sola vita, fatta di carne e di spirito, ed è questa che deve essere —nell'anima e nel corpo— santa e piena di Dio: questo Dio invisibile, lo troviamo nelle cose più visibili e materiali-[29].

2. Dimensione personale dell'unità di vita

Fra i molti aspetti che si potrebbero sottolineare nei testi appena citati, spicca in modo particolare il carattere prettamente personale dell'unità di vita, nel senso che tale realtà ha como soggetto esclusivo la persona. E qui si impongono due riflessioni, che si richiamano a vicenda.

Da una parte, in negativo, si deve escludere la comunità —ecclesiale o civile che sia— come soggetto dell'unità di vita. La Chiesa e la comunità politica —in quanto realtà collettive— stanno in funzione della persona. La costituzione pastorale Gaudium et spes (n. 76) dice che -sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane-. Quindi, l'unità di vita verrebbe fatalmente fraintesa, se la si ponesse nella comunità come soggetto: si andrebbe verso una teocrazia o verso il ripristino del regalismo, a seconda che si conceda alla struttura ecclesiastica o a quella civile il primato all'interno del corpo sociale. L'improponibilità di tali ipotesi è sin troppo palese.

In positivo, invece, si deve evidenziare il carattere di totalità che assume l'unità di vita. Infatti, nella posizione della persona come soggetto di essa vengono assunti tutti gli aspetti dell'esistenza umana: in modo emblematico, l'essere membro della Chiesa e cittadino della società umana, come direbbe la Christifideles laici; o l'anima e il corpo, la carne e lo spirito, secondo la terminologia adoperata da Mons. Escrivá. Quindi, l'unità di vita si costituisce in ogni cristiano come incontro tra due totalità: quella dell'intero esistere umano —«ogni settore dell'attivita e dell'esistenza"

Da tali premesse Mons. Escrivá ricavava con esemplare coerenza tutte le conseguenze. Infatti, considerare la persona come "luogo" dell'unità di vita comporta l'esigenza di rispettare la libertà personale, per quanto riguarda sia le legittime opzioni temporali, sia soprattutto l'apertura totale del cristiano nei confronti di Cristo. Tra le sue diverse espressioni al riguardo, giova sottolineare la seguente: -Se la mia testimonianza personale può avere qualche interesse, posso dire che ho concepito il mio lavoro di sacerdote e di pastore di anime come un compito volto a porre ciascuno di fronte a tutte le esigenze della sua vita, aiutandolo a scoprire ciò che in concreto Dio gli chiede, senza porre alcun limite a quella santa indipendenza e a quella benedetta responsabilità personale che sono le caratteristiche proprie della coscienza cristiana-[33].

3. I vari aspetti della formazione dei fedeli laici

In questa prospettiva la formazione all'unità di vita ha come finalità il raggiungimento della maturazione personale della sintesi vitale e della integralità nella formazione: -Entro questa sintesi di vita si situano i molteplici e coordinati aspetti della formazione integrale dei fedeli laici-[34].

Dell'aspetto spirituale della formazione si parlerà più avanti. Per quanto riguarda la formazione dottrinale, la Christifideles laici indica la necessità di un approfondimento. Al di là di quel carattere di globalità e completezza che debbono contraddistinguere la catechesi come tale, i fedeli laici dovranno ricevere una formazione dottrinale specifica che li renda capaci di cristianizzare la cultura, dando adeguata -risposta agli interrogativi che agitano l'uomo e la società di oggi-[35]. La connessione stabilita fra la formazione dei laici e la necessità di offrire una risposta alle sfide poste alla Chiesa dalla cultura contemporanea sottolinea che il fedele laico non è chiamato soltanto a vivere questa unità, ma anche ad esprimerla nelle parole e nei fatti, nell'impegno a rendere ragione della speranza che è in lui e ad aprire agli altri il sentiero del loro personale incontro con Cristo.

Segue il richiamo alla formazione nella dottrina sociale della Chiesa, che riprende la proposizione 22 del Sinodo[36]. Assai indicativo anche che la Christifideles laici abbia voluto riprendere il grande e suggestivo tema della crescita nei valori umani, citando alla lettera un testo conciliare: -E, infine, nel contesto della formazione integrale e unitaria dei fedeli laici, è particolarmente significativa per la loro azione missionaria e apostolica la personale crescita nei valori umani. Proprio in questo senso il Concilio ha scritto: "(i laici) facciano pure gran conto della competenza professionale, del senso della famiglia e del senso civico e di quelle virtù che riguardano i rapporti sociali, cioè la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza d'animo, senza le quali non ci può essere neanche vera vita cristiana" (Apostolicam actuositatem, 4)-[37].

Anche quest'aspetto appare molto presente nella predicazione e negli scritti del Servo di Dio Josemaría Escrivá, che poneva Cristo, perfectus homo, a fondamento e modello della pienezza umana per il cristiano. Spicca in questo senso un'omelia del 6 settembre 1941, dedicata alle virtù umane. Eccone due brani decisivi: -Una certa mentalità laicista e altri modi di pensare che potremmo chiamare "pietisti" coincidono nel non considerare il cristiano come un uomo completo. Per i primi, le esigenze del Vangelo soffocherebbero le qualità umane; per gli altri, la natura decaduta metterebbe in pericolo la purezza della fede. Il risultato è lo stesso: si smarrisce il senso profondo dell'Incarnazione di Cristo, si ignora che il Verbo si fece carne, uomo, e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14)-[38]. -Se accettiamo la responsabilità di essere suoi figli, vedremo che Dio ci vuole molto umani. La testa deve arrivare al cielo, ma i piedi devono poggiare saldamente per terra. Il prezzo per vivere da cristiani non è la rinuncia a essere uomini o la rinuncia allo sforzo per acquistare quelle virtù che alcuni posseggono anche senza conoscere Cristo. Il prezzo di ogni cristiano è il Sangue redentore di Gesù nostro Signore che ci vuole —ripeto— molto umani e molto divini, costanti nell'impegno quotidiano di imitare Lui, perfectus Deus, perfectus homo -[39].

Leggiamo, infine, il brano conclusivo del numero 60 della Christifideles laici, che ci pone dinanzi all'aspetto centrale e sintetico della formazione all'unità di vita, vale a dire quello spirituale, di cui tratteremo ora: -Nel maturare la sintesi organica della loro vita, che insieme è espressione dell'unità del loro essere e condizione per l'efficace compimento della loro missione, i fedeli laici saranno interiormente guidati e sostenuti dallo Spirito Santo, quale Spirito di unità e di pienezza-[40].

C. LA CARITA', PRINCIPIO DINAMICO DELL'UNITA' DI VITA

1. Il "posto privilegiato" della formazione spirituale

L'insegnamento della Christifideles laici sulla formazione spirituale è conciso nell'espressione, ma carico di singolare densità di contenuto: -Non c'è dubbio che la formazione spirituale debba occupare un posto privilegiato nella vita di ciascuno, chiamato a crescere senza sosta nell'intimità con Gesù Cristo, nella conformità alla volontà del Padre, nella dedizione ai fratelli nella carità e nella giustizia. Scrive il Concilio: "Questa vita d'intima unione con Cristo si alimenta nella Chiesa con gli aiuti spirituali, che sono comuni a tutti i fedeli, soprattutto la partecipazione attiva alla sacra liturgia, e questi aiuti i laici devono usarli in modo che, mentre compiono con rettitudine gli stessi doveri del mondo nelle condizioni ordinarie di vita, non separino dalla propria vita l'unione con Cristo, ma, svolgendo la propria attività secondo il volere divino, crescano in essa" (Apostolicam actuositatem, 4)-[41].

L'unità di vita appare qui come nozione e realtà globale, che opera il superamento della dicotomia tra interiorità e attività, tra vita spirituale e apostolato. Il fondamento, come abbiamo già visto, è il mistero dell'Incarnazione. In questo quadro, nel parlare della vita spirituale, la Christifideles laici non si pone come dinanzi ad un'alternativa in cui occorre operare una scelta, ma esprime un ordine nel cammino verso l'attuazione di tale sintesi di vita. Questo dato sembra decisivo, perché fa capire che il "posto privilegiato" della formazione spirituale acquista significato all'interno di una visione genetica dell'unità di vita; ciò vuol dire che tale formazione è, in certo senso, la base sulla quale poggiano gli altri aspetti della formazione ed è, al tempo stesso, la struttura portante della totalità della formazione dei fedeli laici.

Con quest'osservazione si vuole rilevare anche la specificità della formazione spirituale dei laici, nel senso che essa deve mantenersi necessariamente aperta, dall'interno di se stessa, verso gli altri aspetti della formazione e non chiudersi né assolutizzarsi nei propri contenuti. Ad esempio, se i valori umani acquistassero significato soltanto in quanto fattori semplicemente accattivanti nei confronti degli altri, come semplice accorgimento di apostolato, e nel contempo tutta la sostanza della vita spirituale venisse collocata nell'anima spirituale, allora sarebbe chiaro che non ci troviamo dinanzi ad una proposta di unità di vita, ma solo di fronte ad una giustapposizione accidentale —strumentale— dell'uomo e del cristiano. Quindi, la formazione spirituale indispensabile ai fedeli laici non può cercare una qualsiasi fonte di ispirazione, prescindendo dal proprio organico collegamento con gli altri ambiti della formazione integrale (dottrinale, sociale, valori umani); ma dovrà tener conto di quest'essenziale esigenza di congiungimento con la totalità dell'esistere.

E' in questo senso che vuole esprimersi la Christifideles laici, pur nella sua concisione, indicando i tratti fondamentali di una spiritualità che dia vita ad una sintesi capace di superare ogni possibile frattura nell'esistenza quotidiana dei fedeli laici. La chiave di volta è l'unione con Cristo, come si esprime il decreto Apostolicam actuositatem, o l'intimità con Cristo, come dice la Christifideles laici. In che cosa consista tale unione viene specificato dall'indicazione che l'attività umana va svolta «secondo il volere divino»

2. Unione con Cristo e unità di vita dei fedeli laici

-Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il "luogo storico" del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli-[43].

Nell'interpretazione di questo testo occorre ricordare innanzitutto che l'unità di vita nel cristiano deriva dall'unione con Cristo. E' infatti il radicamento nella Vite —che è Gesù— ciò che porta "frutto" in ogni ambito della vita dei fedeli laici. Orbene, nel quadro della formazione spirituale va colto il principio attorno al quale tale unione con Cristo si può sviluppare fino a pervenire all'unità di vita. La risposta della Christifideles laici a tale domanda sarebbe questa: solo nella graduale e costante identificazione con l'amore di Gesù al Padre e al suo disegno salvifico, il fedele laico porterà a compimento l'unità della propria esistenza. Infatti, ciò che si deve manifestare e realizzare nella vita quotidiana non è l'amore del cristiano in quanto uomo, bensì "la carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli". Quindi, tale sintesi vitale non avviene sulla base, per così dire, di una "composizione" tra le esigenze del proprio io e quelle di Gesù, ma piuttosto in forza di una negazione di se stesso, per ritrovare in Cristo l'intera propria esistenza. Tale affermazione merita di essere approfondita nei suoi fondamenti.

A questo riguardo va ricordata, innanzitutto, la piena partecipazione del Figlio di Dio alla natura e alla storia umana. In tal senso, è significativo il testo della Gaudium et spes che la Christifideles laici riprende (n. 15) nel prospettare l'indole secolare dei fedeli laici: «Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della convivenza umana (... ). Santificóle relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali traggono origine i rapporti sociali, volontariamente sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un lavoratore del suo tempo e della sua regione»

Ma ciò che è più caratteristico di Gesù non è tanto quest'assunzione della "materia", per così dire, della nostra esistenza, quanto lo "spirito" con cui l'assunse. Il Verbo di Dio ha voluto farsi uomo per partecipare alla nostra storia e per redimerci dall'interno di essa. Egli volle entrare nel cuore della drammaticità del nostro vivere sulla terra —del nostro rapporto vitale con Dio spezzato dal peccato— al fine di stabilire la pace, la comunione con Dio Padre, e di instaurare l'unione fraterna tra gli uomini peccatori[46]. E tale opera redentiva è stata un atto di obbedienza alla volontà —al disegno misericordioso— di Dio, sorretto dallo stesso amore del Figlio verso il Padre (cfr. Mt 26, 39.42; Mc 14, 36; Lc 22, 42; Eb 5, 7s). Certamente, la redenzione raggiunge il proprio apice nel mistero pasquale; ma la Croce e la Risurrezione non sono momenti isolati nella vita di Gesù. L'amore obbediente del Figlio al Padre illumina già la stessa Incarnazione e tutta la vita di Cristo appare segnata da questo costante occuparsi delle "cose del Padre" (cfr. Lc 2, 49). Il Figlio è stato -mandato dal Padre-, e tale missione è al centro stesso dell'essere teandrico di Gesù e di tutta la sua opera salvifica[47].

Ebbene, l'identificazione con l'amore obbediente di Gesù Cristo dovrà portare il fedele laico ad assumere l'intera propria esistenza nella prospettiva della redenzione, giacché —come dice la stessa Christifideles laici (59b)— -tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il "luogo storico" del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli-. Quindi, l'edificazione dell'unità di vita è un processo, nel quale il fedele laico lascia se stesso e si identifica con Cristo nel suo amore obbediente al Padre, "ricuperando" la propria esistenza nel mondo in una prospettiva nuova. A questo riguardo, Mons. Escrivá ha scritto: «Obbedire alla volonta di Dio, pertanto, e sempre un uscire dal

proprio egoismo; ma non e detto che ció sia possibile solo a condizione di abbandonarele circostanze ordinarie di una vita come e quella di coloro che, per illoro stato, la loro professione e il loro posto nella societa, sono in tutto uguali a noi»

In sintesi, attraverso i fedeli laici l'amore redentivo di Gesù si attua capillarmente in tutti gli spazi della vita degli uomini: l'intera creazione viene così rinnovata.

3. Pienezza della carità e pienezza umana

Tutto ciò dovrebbe essere messo in rapporto con il numero 17 della Christifideles laici, intitolato Santificarsi nel mondo. Infatti, l'assidua ricerca dell'identificazione con l'amore di Gesù altro non è se non la ricerca della santità, della pienezza della carità cristiana[49]. Da questo punto di vista si può dire che l'unità di vita dei fedeli laici andrà ricercata nello sforzo per vivere il cristianesimo fino in fondo, altrimenti resterà un'aspirazione insoddisfatta.

D'altra parte, se ricordiamo che l'unità di vita si pone come condizione della missione nel mondo contemporaneo, cioè come la via che rende possibile agli altri uomini il recupero del senso e della dignità dell'esistenza[50], allora la ricerca della santità non sembrerà una sorta di lusso raffinato, ma un'urgenza vitale per la crescita della Chiesa nel nostro tempo.

Questa consapevolezza palpitava con forza nella carità pastorale di Mons. Escrivá e nel suo vigoroso annunzio della dottrina sulla santità in mezzo al mondo: -Forse qualcuno di voi sta pensando che io alluda esclusivamente a gruppi scelti di persone. Non lasciatevi ingannare tanto facilmente dalla codardia o dalla comodità. Sentite, invece, l'urgenza divina che ciascuno di voi sia un altro Cristo, ipse Christus, lo stesso Cristo; in poche parole, l'urgenza che il vostro comportamento si svolga in coerenza alle norme della fede, perché la nostra santità —la santità a cui aspiriamo— non è una santità di seconda categoria, che non può esistere. E il primo requisito che ci viene chiesto —in piena conformità alla nostra natura— è l'amore: la carità è il vincolo della perfezione (Col 3, 14); carità che dobbiamo mettere in pratica secondo i comandamenti esplicitamente stabiliti dal Signore: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente (Mt 22, 37), senza riservare nulla per noi stessi. Questa è la santità-[51].

Occorre dunque respingere una tentazione: quella di immaginare questa pienezza cristiana, che porta in sé la pienezza umana, come qualcosa che necessariamente si impone con stridore a livello di opinione pubblica. Senza escludere che in qualche caso possa avvenire così, ciò non accadrà per la stragrande maggioranza dei fedeli laici, senza che questo significhi una diminuzione dell'efficacia della loro testimonianza nella storia. A tale riguardo, Giovanni Paolo II scrive: -Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici, uomini e donne, che proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi —certo per la potenza della grazia di Dio— della crescita del Regno di Dio nella storia-[52].

Di questo carattere paradossale della santità e dell'unità di vita il Servo di Dio Josemaría Escrivá fu araldo tenace. La percezione iniziale, come sempre, è cristologica: la vita nascosta di Gesù trabocca di forza esemplare: -Anni oscuri, ma per noi luminosi come la luce del sole. Sono, anzi, lo splendore che illumina i nostri giorni, che dà ad essi il loro autentico significato: perché altro non siamo che comuni fedeli che conducono una vita in tutto uguale a quella di tanti milioni di persone dei più diversi luoghi della terra. Per sei lustri Gesù non fu che questo: fabri filius (Mt 13, 55), il figlio dell'artigiano. Quando poi vengono i tre anni di vita pubblica e l'osanna delle folle, la gente si stupisce: chi è costui e dove ha appreso tante cose? Perché la sua vita era stata la vita comune della gente della sua terra. Egli stesso era noto come faber, filius Mariae (Mc 6, 3), l'artigiano, figlio di Maria. Ed era Dio, e veniva a compiere la Redenzione del genere umano, ad attirare a sé tutte le cose (Gv 12, 32)-[53].

Di tale semplicità di un'esistenza pienamente santificata nel mondo la Madonna è il modello emblematico: -A quella donna che un giorno proruppe in lodi a Gesù esclamando: Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte, il Signore risponde: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano (Lc 11, 27-28). Era l'elogio di sua Madre, del suo fiat (Lc 1, 38), sincero, pieno di dedizione, portato a compimento fino alle ultime conseguenze, che non si sarebbe manifestato in gesti spettacolari, ma nel sacrificio nascosto e silenzioso di ogni giorno.

Quando meditiamo queste verità, comprendiamo un po' di più la logica di Dio; ci rendiamo conto che il valore soprannaturale della nostra vita non dipende dalla realizzazione delle grandi imprese che a volte ci figuriamo con l'immaginazione, ma dall'accettazione fedele della volontà di Dio, dalla disposizione generosa a far fronte al piccolo sacrificio quotidiano-[54].

In questa cornice il lavoro umano assume il significato più profondo: asse dell'esistenza umana sulla terra, esso costituisce anche il cardine della vita spirituale, il "luogo" dell'identificazione con quella vita di lavoro che Gesù condusse nell'amore obbediente alla volontà del Padre, in spirito di preghiera. -Il lavoro, essendo stato assunto da Cristo, diventa attività redenta e redentrice: non solo è l'ambito nel quale l'uomo vive, ma mezzo e strada di santità, realtà santificabile e santificatrice. Non bisogna pertanto dimenticare che tutta la dignità del lavoro è fondata sull'Amore. Il grande privilegio dell'uomo è di poter amare, trascendendo così l'effimero e il transitorio. L'uomo può amare le altre creature, può dire un tu e un io pieni di significato. E può amare Dio, che ci apre le porte del Cielo, ci costituisce membri della sua famiglia, ci autorizza a dar del tu anche a Lui, a parlargli faccia a faccia. L'uomo, pertanto, non deve limitarsi a fare delle cose a costruire oggetti. Il lavoro nasce dall'amore, manifesta l'amore, è ordinato all'amore. Riconosciamo Dio non solo nello spettacolo della natura, ma anche nell'esperienza del nostro lavoro, del nostro sforzo. Sapendoci posti da Dio sulla terra, amati da Lui ed eredi delle sue promesse, il lavoro diviene preghiera, rendimento di grazie-[55].

Quindi il lavoro non è semplicemente "attività"; sarebbe riduttivo porlo in rapporto soltanto col soggetto che lo svolge, senza considerare che ogni lavoro nel mondo fa parte inoltre —nel bene e nel male— di un intreccio di relazioni più vaste, talvolta di autentiche iniziative collettive di ampia portata. Esso è sempre partecipazione responsabile allo sforzo dell'umanità. E il cristiano è chiamato a svolgerlo finalizzandolo al Regno di Dio e rendendo partecipi di questa medesima tensione tutti gli altri uomini, a cominciare dai propri colleghi. Anche a questo riguardo la sensibilità di Mons. Escrivá si rivela acutissima nell'evidenziare il ruolo del lavoro nella corredenzione: -Dato che ci dobbiamo comportare sempre come inviati di Dio, dobbiamo ricordare molto bene che non lo serviamo con lealtà quando trascuriamo il nostro lavoro; quando non condividiamo con gli altri l'impegno e l'abnegazione nel compiere i doveri professionali; quando diamo motivo di essere giudicati scansafatiche, leggeri, superficiali, disordinati, pigri, inutili... Perché chi trascura questo genere di doveri, solo in apparenza meno importanti, difficilmente riuscirà vittorioso nei doveri della vita interiore, che certamente sono più difficili. Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto (Lc 16, 10). Non sto parlando di ideali astratti. Mi attengo a una realtà molto concreta, di capitale importanza, capace di trasformare l'ambiente più pagano e più ostile alle richieste divine, come avvenne nei primi tempi dell'era della salvezza-[56].

Questo testo ci riporta alle considerazioni iniziali. Il mondo contemporaneo pone alla missione della Chiesa delle sfide radicali. La riflessione sinodale ha identificato quest'urgenza di sintesi vitale nella missione dei fedeli laici, chiamati ad illuminare tutti gli uomini con l'amore di Cristo che sorregge l'esistenza quotidiana del cristiano in mezzo al mondo. Raul Lanzetti Docente di Teologia dogmatica nel Centro Accademico Romano della Santa Croce

[1] Il testo completo, trascritto dalla stessa Es. Ap. Christifideles laici (17a), diceva così: "L'unità deIla vita dei fedeli laici e di grandissima importanza: essi, infatti, debbono santificarsi nelI'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere aila loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attivita delIa vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento deIla sua volonta, e anche di servizio agli altri uomini, portandoli alIa comunione con Dio in Cristo"

[2] Es. Ap. Christifideles laici, 2i.

[3] Tra i molti titoli della bibliografia sull'argomento, si possono elencare essenzialmente: Illanes, J.L., Mundo y santidad, Madrid 1984, pp. 80-90, 222-225; Casciaro, J.M., "La santificación del cristiano en medio del mundo"

[4] "Spiritus Operis Dei aspectus duplex, asceticus et apostolicus, ita sibi adaequate respondet, ac cum charactere saeculari Operis Dei intrinsece et harmonice fusus ac compenetratus est, ut solidam ac simplicem vitae —asceticae, apostolicae, socialis et professionalis— unitatem necessario secum ferre ac inducere semper debeat" (Tit.III, cap.I, n. 79 §1: De Fuenmayor, A.—Gómez-Iglesias, V.—Illanes, J.L., El itinerario jurídico del Opus Dei. Historia y defensa de un carisma, Pamplona 1989, p.639. La sottolineatura è nostra).

[5] L'esigenza dell'unità di vita è stata sottolineata più volte dal Magistero, che l'ha sviluppata gradatamente e in diversi contesti. I luoghi fondamentali a questo riguardo mi sembrano i seguenti: Giovanni XXIII, Enc. Pacem in terris (11-IV-1963): AAS 55 (1963) 297; Conc. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes (7-XII-1965), n. 43: EV 1 (1985) n. 1454; Paolo VI, Esort. Ap. Evangelii nuntiandi (8-XII-1975), n. 20: AAS 68 (1976) 19. Essa è stata richiamata anche per i presbiteri (cfr. Decr. Presbyterorum Ordinis, 14) ed i religiosi (cfr. Dec. Perfectae caritatis, 18).

[6] Es. Ap. Christifideles laici, 34a.

[7] Ibid.

[8] Ibid.

[9] Es. Ap. Christifideles laici, 34b.

[10] Ibid.

[11] Es. Ap. Christifideles laici, 34d.

[12] Ibid.

[13] Giovanni Paolo II, Omelia all'inizio del ministero di Supremo Pastore della Chiesa (22 ottobre 1978): AAS 70 (1978), 947.

[14] Ibid.

[15] AAS 55 (1963), 297; versione italiana in R. Spiazzi, I documenti sociali della Chiesa. Da Pio IX a Giovanni Paolo II, Milano 1983, pp. 775s.

[16] Conc. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 22.

[17] Ibid.

[18] Es. Ap. Christifideles laici, 34g.

[19] Josemaría Escrivá, Cammino, Ares, Milano 1988, 23ª ed. it.

[20] Cit. da Rodríguez, P., op.cit., p. 212.

[21] Ibid.

[22] Ibid., p. 213. Il corsivo è nostro.

[23] Vedi bibliografia segnalata alla nota 3.

[24] Josemaría Escrivá, E' Gesù che passa, Ares, Milano 1988, 5ª ed. it., n. 120.

[25] Ibid., n. 112.

[26] Il primo degli ultimi due testi citati è tratto dall'omelia pronunciata il giorno dell'Ascensione del 1966 (19 maggio); il secondo appartiene all'omelia della Pasqua del 1967 (26 marzo). Cfr. ibid., nn. 117 e 102 (in calce).

[27] Es. Ap. Christifideles laici, 59a.

[28] Es. Ap. Christifideles laici, 59b.

[29] Colloqui con Monsignor Escrivá, Ares, Milano 1987, 5ª ed. it., n. 114.

(30) Es. Ap. Christifideles laici, 59b.

(31) Cfr. Ibid.

(32) Vedi, in modo particolare, l'insistenza del n. 58 su questo argomento.

[33] Josemaría Escrivá, E' Gesù che passa, ed. cit., n. 99.

[34] Es. Ap. Christifideles laici, 60a.

[35] Es. Ap. Christifideles laici, 60c.

[36] Perché i laici possano realizzare attivamente questo nobile proposito nella politica (ossia il proposito di far riconoscere estimare i valori umani e cristiani), non bastano le esortazioni, ma bisogna offrire loro la dovuta formazione della coscienza sociale, specialmente nella dottrina social e della Chiesa, la quale contiene i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttrici pratiche (efr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su liberta cristiana e liberazione, 72). Tale dottrina deve essere gia presente nella istruzione catechistica generale, negli incontri specializzati e nelle scuole ed universita. Questa dottrina sociale della Chiesa e, tuttavia, dinamica, cioe adattata aIle circostanze dei tempi e dei luoghi. E' diritto e dovere dei pastori proporre i principi morali anche sull'ordine sociale; e dovere di tutti i cristiani dedicarsi alla difesa dei diritti umani; tuttavia, la partecipazione attiva nei partiti politici e riservata ai laici. (Es. Ap. Christifideles laici, 60d).

[37] Es. Ap. Christifideles laici, 60e.

[38] Josemaría Escrivá, Amici di Dio, Ares, Milano 1982, 3ª ed. it., n. 74.

[39] Ibid., n. 75.

[40] Es. Ap. Christifideles laici, 60f.

[41] Es. Ap. Christifideles laici, 60b.

(42) Conc. Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem, 4.

[43] Es. Ap. Christifideles laici, 59b.

(44) Conc. Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 32.

(45) Ibid., 22.

[46] Cfr. Conc. Vaticano II, Decr. Ad gentes, 3.

[47] Tale verità permea tutta la predicazione di Mons. Escrivá: "Questo fuoco, l'ardcntc desiderio di compiere il decreto salvifico del Padre, informa tutta la vita di Cristo, fin dalla nascita a Betlemme"

(48) Josemaría Escrivá, E' Gesù che passa, ed. cit., n. 20.

[49] Significativo in tal senso è il brano iniziale: "La vocazione dei fedeli laici alla santita comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtil temporali e nela loro parteeipazione alle attività terrene. E' ancora I'Apostolo ad ammonirci: "Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre" (Col 3, 17). Riferendo le parole dell'Apostolo ai fedeli laici, il Concilio afferma categoricarnente: "Né la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei all'orientarnento spirituale della vita" (Apostolicam actuositatem, 4)."

[50] Cfr. Es. Ap. Christifideles laici, 3ss.

[51] Josemaría Escrivá, Amici di Dio, ed. cit., n. 6.

[52] Es. Ap. Christifideles laici, 17b.

[53] Josemaría Escrivá, E' Gesù che passa, ed. cit., n. 14.

[54] Ibid., n. 172.

[55] Ibid., nn. 47 e 48.

[56] Josemaría Escrivá, Amici di Dio, ed. cit., nn. 62 e 63.

Romana, n. 9, Luglio-Dicembre 1989, p. 300-312.

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